La repressione nazifascista - Istituto per la storia della Resistenza

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La repressione nazifascista - Istituto per la storia della Resistenza
La repressione nazifascista
Gli scioperi avevano segnato un salto qualitativo nella crescita del movimento di resistenza; il
Biellese, particolarmente quello orientale, che ancora nei primi giorni di dicembre sembrava
qualificarsi agli occhi dei fascisti e tedeschi come un nuovo e fastidioso focolaio di ribellione, che
si aggiungeva ad altri esistenti nella regione piemontese, con gli scioperi e la contemporanea
presenza dei partigiani diventava improvvisamente un centro pericolosissimo di eversione da
controllare con ogni mezzo. Per la prima volta i ribelli, “le bande comuniste”, sembravano
ancorare saldamente la loro lotta ad uno strato sociale che poteva fare da supporto a
imprevedibile sviluppi della situazione. Per i fascisti era non solo la verifica del fallimento dei
tentativi fino ad allora condotti per persuadere gli operai delle proprie intenzioni socializzanti,
ma era anche il segno che gli operai stavano abbracciando un’altra bandiera. Il capo della
provincia si affrettò a segnalare non solo le conseguenze negative sulla popolazione delle
iniziative partigiane, ma sottolineò con crescente preoccupazione come «[…] giornalmente,
forse per l’intervento di emissari nemici e sovversivi, si appalesino sempre più strettamente
legati i vari gruppi di ribelli con la massa operaia».1 Ma se le preoccupazioni dei funzionari della
repubblica di Salò sono tutte di carattere politico, per i tedeschi le preoccupazioni si fanno di
altra natura. Di fronte al crescere degli “incidenti” provocati dai partigiani nella zona,
l’atteggiamento dei tedeschi era stato di scaricare sulle forze fasciste la repressione. Alle
insistenti richieste di intervento avanzate dai fascisti, avevano risposto con sufficienza che in
simili casi non toccava loro provvedere. Ma pochi giorno dopo, quando l’azione concomitante di
operai e partigiani aveva fatto loro capire che la produzione delle fabbriche biellesi poteva
essere compromessa, non esitarono a scendere precipitosamente in campo. Queste pronte
reazioni, in effetti, avevano buone motivazioni se in una relazione un ufficiale tedesco
riassumeva l’importanza economica della zona Biellese in queste cifre: circa 200 industrie
lavoravano per i tedeschi producendo 150 vagoni di stoffa militare, 27 mila metri di flanella,
lenzuola, tende da campo, senza tener conto delle industrie minori e di quelle sfollate dalle
grandi città, come la fabbrica di eliche e motori per aeroplani Piaggio, decentrata in alcuni paesi
del Biellese2. Il rapporto annotava: «Le enormi scorte di stoffa non potevano essere in dicembre,
a causa di disordini, fatte partire3».
Già l’allargamento degli scioperi dai centri industriali del nord (Torino, Milano, Genova) era un
fatto di per sé pericoloso; nel Biellese era inammissibile che agli scioperanti si collegasse il
movimento armato. Affluirono quindi rapidamente verso la zona le forze di repressione che si
concentrarono a est, a Borgosesia, e a ovest, a Biella, così che il Biellese orientale fu investito
quando i focolai di resistenza ai lati erano stati vinti. A Borgosesia giunsero circa duecento militi
del 63o battaglione “Tagliamento”, una delle poche formazioni fasciste passate dopo il 25 luglio
1
Cfr. fonogramma alla direzione generale Ps dalla prefettura di Vercelli, 18 dicembre 1943 e rapporto del
capo della provincia di Vercelli, 15 dicembre 1943, in Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno,
Direzione generale di Pubblica sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, 1920-1945, Direzione
generale, b. 108, fasc. 226, s. fasc. 90.
2
La Piaggio aveva officine a Biella, Candelo, Pavignano, Vigliano e Gaglianico e occupava più di duemila
dipendenti. Nel Biellese orientale c’era uno stabilimento a Lessona dove erano occupati circa 40 operai.
3
“Rapporto sulla situazione di Biella e dintorni del comando locale”, 15 giugno 1944, in Istituto storico
della Resistenza in Piemonte (d’ora in poi ISRP), Torino, Fondo Tempia, Documenti fascisti. Il documento è
parzialmente riportato, ma in una stesura diversa, in PIETRO SECCHIA - CINO MOSCATELLI, Il Monte Rosa è sceso
a Milano, Torino, Einaudi, 1958, p. 258, n. 10.
alle dipendenze dei tedeschi, composta in prevalenza da “veterani” fanatici, degnamente
rappresentati dal comandante tenente colonnello Merico Zuccari. Avendo perso alcuni uomini,
caduti sotto i colpi dei garibaldini valsesiani, comandati da Vincenzo Moscatelli (Cino), i fascisti
scatenarono una feroce rappresaglia. Dieci persone, delle quali alcune nulla avevano a che
vedere col movimento partigiano, vennero fucilate dopo essere state orribilmente torturate4.
Contemporaneamente a Biella le locali forze nazifasciste fucilarono otto persone, fra cui molti
civili innocenti. Ristabilito “l’ordine” nei due centri più importanti, le truppe nazifasciste
iniziarono un’analoga azione verso le vallate biellesi. La colonna che si mosse da Biella risalì la
valle Cervo uccidendo a Tollegno quattro persone e altre due uomini nella valle Cervo.
I militi della “Tagliamento”, muovendo da Borgosesia verso la valle Sessera, giunsero a
Crevacuore il giorno 23 dicembre. Guidati nell’azione di repressione da un fascista locale, Pietro
Ciceri, uccisero un civile, devastarono e bruciarono le abitazioni di vecchi antifascisti, di
partigiani e altre di innocenti cittadini; effettuarono numerosi arresti5. Quindi la colonna fascista,
anziché risalire la val Sessera per riportare con la violenza l'autorità della Repubblica di Salò negli
altri centri, si spostò verso occidente giungendo a Cossato.
Le ragioni della rinuncia della “Tagliamento” a penetrare in profondità nella valle Sessera
possono forse essere indicate nel timore di poter essere isolata da un eventuale attacco
partigiano, data la configurazione fisica della valle e date le conoscenze poco precise che i
fascisti avevano della consistenza numerica e dell’armamento dei partigiani. D’altra parte, nella
stessa giornata dell’attacco a Crevacuore era avvenuto a Pray, il paese più vicino, un episodio
che forse aveva reso prudenti i comandi fascisti. Due partigiani del “Matteotti”, Ottavio Galdini e
Giusto Vercella, avuta notizia dell’avvicinarsi delle truppe fasciste, avevano voluto rendersi
conto di quanto stesse succedendo. Scesi da Coggiola con una moto erano stati fermati sotto la
minaccia delle armi spianate, nel centro dell’abitato di Pray da due graduati fascisti. Il Galdini,
invitato a presentare i documenti, estraeva la pistola e fulminava un brigadiere della Mvsn,
mentre il secondo, un brigadiere della Muti, che tentava la fuga, essendoglisi inceppata l’arma,
veniva gravemente ferito dal lancio di una bomba a mano6. L’episodio, che forse avrebbe
determinato una rappresaglia violenta in altre condizioni, venne interpretato probabilmente dai
fascisti come espressione della determinazione partigiana alla lotta. Lo stesso giorno, inoltre, il
“Matteotti” aveva proceduto all’arresto di sette componenti del fascio repubblicano di Coggiola
fra cui il segretario, Carlo Gambetti7. Gli arrestati erano stati condotti al “campo” e trattenuti
come ostaggi. Sia per timore di una reazione partigiana, sia per evitare rappresaglie ai fascisti
4
Sulle nefandezze della “Tagliamento” a Borgosesia cfr. “L’Informatore alpino”, 30 dicembre 1943, n. 11 e
specialmente Quando bastava un bicchiere d’acqua. Processo alla legione Tagliamento. Requisitoria del
dr. Egidio Liberti, a cura dell’Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli, Borgosesia,
Tipolitografia, 1974. Per la repressione a Biella e dintorni cfr. ANELLO POMA - GIANNI PERONA, La Resistenza
nel Biellese, Parma, Guanda, 1972, p. 99.
5
L’ucciso fu Remo Fava. Furono devastate le case di Carlo Bertolini, Francesco Buffa, Aurelio Bussi,
Giovanni Poletti, Luigi Sizzano, Vercellina, Zamboni e altri. Furono arrestati e picchiati tra gli altri, Angelo
Cavazza, Battista Gilardi, Socrate Lama. Testimonianze di Luigi Sizzano e Luigi Pioppo. Cfr. anche
“L’Informatore alpino”, 30 dicembre 1943, n. 11.
6
Testimonianza di Ottavio Galdini. Nell’azione vennero recuperati dai garibaldini un mitra, due pistole e la
“Topolino” usata dai fascisti; cfr, anche “L’Informatore alpino”, 30 dicembre 1943, n. 11 e “Notiziario
dall’interno”, 11-12 gennaio 1944, in Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia,
Rapporti della Guardia nazionale repubblicana raccolti in microfilm (d’ora in poi ISML, GNR).
7
Cfr. “Notiziario provincia di Torino”, 30 dicembre 1943, e “Notiziario sulla provincia di Vercelli”, 2
gennaio 1944, in ISML, GNR; cfr. anche GUIDO QUAZZA, La resistenza italiana, Torino, Giappichelli, 1966, p.
160.
locali, la “Tagliamento” abbandonò la val Sessera e si portò a Cassato per congiungersi con le
altre truppe provenienti da Biella, prima di iniziare un’azione verso la valle Strona. A Cossato i fascisti ripeterono le loro tristi imprese terrorizzando la popolazione. Tre uomini vennero arrestati
per la strada: uno riuscì a fuggire, gli altri due furono fucilati alla sera nella piazza del municipio8.
Il giorno seguente, vigilia di Natale, la colonna, rinforzata da truppe fasciste e tedesche giunte da
Biella, si mosse verso Valle Mosso. Qui l’azione di rappresaglia raggiunse toni ancor più tragici. I
nazifascisti entrarono in paese sparando a vista e ferendo diciassette persone9. Bloccate tutte le
vie di comunicazione, rastrellarono le case del centro trascinando nella piazza della chiesa tutti
gli uomini che riuscirono a trovare in casa. Anche tre industriali del luogo, Fiorino Piana, Ercole e
Luigi Botto, furono messi in fila con gli operai, ma nella confusione del momento riuscirono a
fuggire. Infine i nazifascisti misero al muro tre uomini, scelti a caso, e li fucilarono sotto gli occhi
dei familiari10. I cadaveri non poterono avere sepoltura per tutto il giorno.
È chiara nella valle Strona la determinazione dei tedeschi e dei fascisti di colpire lo sciopero. Le
rappresaglie sono dirette contro gli operai; ma anche gli industriali sono messi sotto accusa per
non aver saputo resistere alla pressione operaia nei giorni precedenti; i tedeschi pretendono da
loro i nomi dei “promotori dello sciopero”. Minacce di ulteriori rappresaglie furono proferite
contro la popolazione se gli operai non avessero ripreso immediatamente il lavoro. Alcuni
industriali furono costretti a recarsi personalmente nelle case degli operai per invitarli ad
eseguire l’ordine «perché i tedeschi avevano minacciato di bruciare gli stabilimenti». Verso sera
alcuni gruppi di fascisti si spinsero verso Crocemosso e le colline circostanti per rastrellare la
zona, poiché avevano avuto notizia della presenza di depositi di armi dei partigiani. Nella notte,
alcune pattuglie di tedeschi e fascisti vennero a conflitto tra di loro provocando la morte di un
milite fascista e il ferimento di altri quattro11. Il giorno seguente i fascisti approfittarono
dell’occasione favorevole per compiere furti e ruberie nelle case di Crocemosso, mentre il
tenente colonnello Zuccari faceva affiggere nei paesi delle vallate dei manifesti che
minacciavano l’uccisione di dieci civili per ogni milite ucciso e l’incendio dei paesi ove si fosse
verificato il fatto12.
Per attenuare le conseguenze del terrore diffuso nella valle, i comunisti fecero uscire un
manifesto, in cui si invitavano gli operai a riprendere il lavoro il giorno 27 e gli industriali a
rispettare gli impegni assunti13. La violenza della rappresaglia si andava gradatamente
esaurendo: la valle Strona ne usciva assai duramente provata; il legame tra popolazione e
movimento clandestino, e soprattutto, movimento armato, era momentaneamente spezzato.
Annotava un testimone di quelle giornate di violenza: «cresce [...] nell’opinione pubblica l’ostilità contro i partigiani, fatti segno anche al ridicolo, sia da parte dell’elemento industriale, sia di
8
Furono fucilati Ido Boschetti e Giambattista Pizzorno.
Cfr. “L’Informatore alpino”, 30 dicembre 1943, n. 11.
10
Cfr. G. QUAZZA, La resistenza italiana, cit., p. 157. I fucilati furono: Gino Camozza, Ugo Lanzone e
Francesco Panicchi. Sul tragico episodio testimonianze di Ilvo Lanzone, figlio del fucilato, e Artemisia
Palotta, che dal balcone di casa vide trucidare un figlio, Francesco Panicchi, e picchiare l’altro, che aveva
invano cercato di difendere il fratello.
11
Cfr. “L’Informatore alpino”, 30 dicembre 1943, n. 11. Vedi anche G. QUAZZA, La resistenza italiana, cit., p.
157. Non ho trovato conferma della notizia della morte di quattro tedeschi.
12
Vedi la riproduzione del manifesto in Quando bastava un bicchiere d’acqua, cit., p. 36; testo analogo in
DOMENICO ROCCIA, Il Giellismo vercellese, Vercelli, ed. “La Sesia”, 1949, p. 42; anche il comando germanico
emanò disposizioni durissime, cfr. Severissime disposizioni a Biella per frenare gli atti di terrorismo, in “La
Stampa”, 25 dicembre 1943.
13
Cfr. G. QUAZZA, La resistenza italiana, cit., p. 159.
9
quello operaio14». Era la comprensibile reazione alla delusione per il mancato intervento dei
distaccamenti garibaldini contro le violenze nazifasciste. Nelle altre valli del Biellese orientale,
invece, in quegli stessi giorni il movimento partigiano acquistava ancora maggior prestigio,
soprattutto agli occhi degli operai, impostando in modo nuovo il problema della soddisfazione
delle rivendicazioni salariali dalle quali avevano preso avvio le vicende entusiasmanti e dolorose
di quelle settimane. In valle Sessera anche perché il comando dei partigiani aveva preso diretto
contatto con gli industriali impegnandoli a corrispondere alle rivendicazioni operaie, non erano
state nominate le commissioni operaie e questi fidavano nelle promesse degli industriali al
comando partigiano, promesse che in particolari casi erano state fatte seguire dai fatti in quanto
agli operai era stato dato un forte acconto.
In val Sessera i partigiani erano dunque diventati i diretti portatori delle richieste operaie,
assumendo di fatto la rappresentanza degli interessi della classe operaia nei confronti degli
industriali. L’“errore politico” paventato dai dirigenti comunisti era stato compiuto, non senza
conseguenze nello sviluppo di tutta la storia della resistenza e dei rapporti di questa con la
classe operaia delle valli. Naturalmente l’atteggiamento prevalente da parte industriale dopo
l’intervento tedesco e fascista, a parte rari casi dovuti alla pressione partigiana, fu quello di non
mantenere le promesse facendosi scudo delle nuove disposizioni fasciste in materia di salari.
Infatti un intervento del commissario del lavoro per coordinare le tariffe salariali aveva stabilito
non solo che dal premio di 192 ore promesso per Natale fosse detratto l’anticipo di cinquecento
lire concesso con la stipulazione dell’accordo di novembre, ma che la percentuale di aumento
dei salari passasse di fatto dal 50 per cento al 30 per cento15.
Il capo della provincia Morsero aveva ribadito questa posizione per la provincia di Vercelli; una
circolare dell’Unione fascista degli industriali aveva confermato la decisione agli associati16, i
quali trovarono comodo portare avanti l’argomento delle “superiori disposizioni” per
giustificarsi di fronte agli operai, fidando nel deterrente costituito dalla presenza delle forze
nazifasciste.
Altre iniziative venivano nel frattempo portate avanti al fine di dare una cornice accettabile a
quello che era ritenuto un riequilibrio dei rapporti di forza che per qualche momento erano stati
a favore degli operai e dei comunisti. Il partito dell’attesismo riprendeva fiato attraverso gli inviti
delle gerarchie ecclesiastiche alla pace sociale e le iniziative dei partiti moderati del Cln, che
rispolveravano per l’occasione gli argomenti forniti dalla sanguinosa repressione per scoraggiare
l’opposizione armata al nazifascismo e acquietare lo scontro nelle fabbriche17. La complessità
della situazione e la durezza dello scontro sono messi in luce dalle parole di Battista Santhià in
una relazione dei primi di gennaio alla direzione del partito: «La crisi politica locale è
profondissima. L’anticomunismo è più attivo che la base comunista. I socialisti locali sono con
Amedeo al... quindi forza di punta dell’anticomunismo. Gli industriali alla Rivetti organizzano la
guardia bianca da contrapporsi ai nostri18».
14
Cfr. G. QUAZZA, La resistenza italiana, cit., p. 158.
Cfr. “Il Biellese”, 31 dicembre 1943.
16
Cfr. “Relazione sugli scioperi di dicembre e gennaio”, di Benvenuto Santus (Falco), membro del comitato
federale del Pci biellese e responsabile politico delle valli Sessera, Ponzone e Strona, in ISRP, C 57-Ia.
17
Su tutto questo e sulle risposte dei comunisti, cfr. A. POMA - G. PERONA, La Resistenza nel Biellese, cit.,
pp. 101-104.
18
“Copia di una lettera di Redestar”, a firma “Antonio”, Battista Santhià, 9 gennaio 1944, in Istituto
Gramsci, Roma, Archivio del Partito comunista italiano, Piemonte 1943-1945.
15