reggiseno per procace

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reggiseno per procace
AGOSTO - Dopo tre mesi era apparentemente tutto finito. La vicenda giudiziaria della mezza
canna di Pasquetta, era ormai alle spalle.
Damiano accettò di fare il viaggio con i propri genitori in Grecia sull’isola di Santorini. Per i
genitori di Damiano doveva essere una nuova luna di miele per una ritrovata complicità sessuale,
quella che il padre di Damiano aveva cercato, senza successo, nelle fredde ed esasperate ventenni di
Formia. Damiano accettò di accompagnarli sotto ricatto che senza di lui non sarebbero partiti. Poco
male, perché Damiano incontrò Christa, una ragazza danese coetanea e con i freni inibitori
totalmente deteriorati, con la quale trascorse l’intero mese di agosto.
Anche Valerio trascorse l’intero mese di agosto con una amichetta senza freni inibitori. Si
trattava di Carmen, una cugina svizzera di terzo grado di un paio di anni più piccola di lui, tornata a
Formia per le vacanze estive. Con la differenza, però, che mentre Damiano al termine della vacanza
salutò la sua Christa senza versare una sola lacrima, Valerio “ci rimase sotto”, nel senso che “prese
la cotta” più importante della sua vita.
Arturo e il suo assistito diversamente abile trascorsero tutto il mese di agosto nei vari
campeggi d’Italia dove faceva tappa un tour reggae, tutto birra e fumo. Si divertirono da pazzi e ne
combinarono di tutti i colori. L’assistito di Arturo divenne la mascotte e l’oggetto sessuale più
ambito da tutte le partecipanti al tour reggae, e trombò come un riccio. Evidentemente farlo con un
paralitico era diventata la sfida più improbabile delle ragazze che seguivano il tour, tanto che
l’assistito di Arturo doveva staccare ogni sera i biglietti di prenotazione per soddisfare tutte le
amanti del “sesso no limit”, o “sesso offshore” che dir si voglia. Arturo non fu da meno. Anche lui
trombò a rotta di collo, sperimentando nel contempo nuovi e più potenti acidi allucinogeni.
Dopo tre mesi tutto era apparentemente finito. La storia della mezza canna neanche fumata a
Pasquetta era alle spalle, e nulla lasciava presagire che potesse riemergere. Nulla. Proprio nulla. Era
tutto apparentemente finito. Ma non era così.
LUNEDI’ 4 OTTOBRE - Quando tutto sembrava finito, ecco comparire il solito trafiletto anonimo
sulla cronaca locale di Formia Oggi, di quelli che nessuno legge se non perché direttamente
interessato. E Damiano era direttamente interessato alla questione. Titolo anonimo e
apparentemente innocuo: LA POLIZIA GIUDIZIARIA DI FORMIA INDAGA SUL TRAFFICO
DI SOSTANZE STUPEFACENTI NELLA CITTA‘. In pratica i giornalisti locali erano in possesso
di una copia delle indagini della Polizia Giudiziaria di Formia per i fatti che vedevano coinvolti
Damiano, Valerio e Arturo. Nell’articolo giornalistico era evidenziato un invito a comparire, da
parte della Procura della Repubblica di Latina, destinato a Damiano, in quanto persona nei cui
confronti vengono svolte indagini. Damiano pensò immediatamente all’ennesima macchina del
fango orchestrata dalla stampa locale per riempire un po’ di pagine di giornale in attesa di fatti più
eclatanti. Ma la precisione dei riferimenti narrati nell’articolo lo convinse a correre a casa per
verificare se nella posta della giornata c’era quell’invito a comparire scritto sul giornale.
La curiosità fu presto svelata. A casa trovò una cartella di raccomandata con ricevuta di
ritorno, proveniente dalla Sezione di Polizia Giudiziaria presso la Procura della Repubblica di
Latina, proprio come scritto sul giornale. Era un invito a comparire per rendere sommarie
informazioni della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini. Sarebbe dovuto comparire
il successivo 10 gennaio 2011 alle ore 15,30, presso gli uffici di Polizia Giudiziaria della Procura
della Repubblica di Latina, per essere interrogato con l’assistenza di un proprio difensore, per il
reato di cui all’art. 73 del DPR 309/90. Il tutto scritto e firmato da un certo Sostituto Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Latina.
Damiano rilesse quella lettera almeno una decina di volte. Non conosceva il gergo
giudiziario e faticava molto a comprendere il reale contenuto della missiva. Corse a casa dal padre
per chiedergli consigli, e per capire fino in fondo di cosa si trattasse. Il padre aveva subito già una
decina di processi penali per fatti di minore entità e quindi sapeva districarsi abbastanza bene nella
aule dei tribunali. Così rassicurò il figlio che non si trattava di un processo, come Damiano pensava,
ma di una semplice acquisizione di informazioni che sarebbero servite, eventualmente, per istruire
un processo penale. Ma di lì a un vero processo sarebbero passati anni e considerata la prescrizione
breve dei processi che il Governo Berlusconi stava portando avanti, non ci sarebbe stato alcun
processo, né a breve e né tra anni. Il padre di Damiano fece di tutto per rassicurare il figlio della non
gravità della situazione. Usò tutte le argomentazioni possibili per sminuire la gravità del fatto. Si
trattava, secondo lui, di semplici operazioni burocratiche che non avrebbero avuto seguito, tanto più
che il proprio avvocato avrebbe risolto tutto durante la fase dell’interrogatorio preliminare al quale
Damiano doveva essere sottoposto.
Il padre di Damiano telefonò seduta stante al suo avvocato di fiducia per prendere
appuntamento e fargli visionare l’invito di comparizione appena ricevuto dal figlio. Disse che li
avrebbe incontrati due giorni dopo presso il suo studio legale in centro, alle 5 del pomeriggio e si
raccomandò di fargli pervenire una copia della missiva inviata dalla Polizia Giudiziaria. L’avvocato
era molto sicuro di sé, e per telefono rassicurò anch’esso che si trattava di una semplice formalità
che non avrebbe avuto seguito. Il padre di Damiano rassicurò il figlio, l’avvocato rassicurò tutti, ma
Damiano continuava a immaginare un futuro fatto di sbarre di carcere, di camorristi come inquilini
di cella e di rancio consegnato in piatti di metallo con due centimetri di sporcizia.
Nonostante tutte le rassicurazioni Damiano non era tranquillo. Quella storia dell’invito a
comparire non gli piaceva proprio. Non riusciva a capire fino in fondo i farraginosi meccanismi
della giustizia e pensava che un invito a comparire non poteva essere inviato senza senso. Del resto
anche l' innocua canna fumata a Pasquetta era tutta una buffonata che non avrebbe dovuto avere
strascichi giudiziari.
Lasciò la missiva della procura al padre, ma su un foglietto si segnò gli estremi legislativi
del capo di imputazione al quale doveva rispondere: articolo 73 del DPR 309/90. Corse a casa per
fare una ricerca sommaria del capo di imputazione, per verificare la gravità del reato e le
conseguenze che potevano derivarne. Andò su google e scrisse art. 73 del DPR 309/90 e lesse
quanto scritto: “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Chiunque, senza l'autorizzazione, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in
vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in
transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I
prevista dall'articolo 14, e' punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro
26.000 a euro 260.000.” Da sei a venti anni di galera? Damiano sbiancò. Iniziò a tremare. Da
26.000 a 260.000 euro di multa? E non ci sarebbe da preoccuparsi? E si dovrebbe essere tutti
tranquilli? Poi, sempre su google, digitò l’altro riferimento legislativo che era scritto sulla missiva
della procura, L. 49/2006. Nella legge vi erano tutte una serie di integrazioni alla legge precedente
con alcuni aggravi di sanzioni amministrative, tipo ritiro della patente, perdita del permesso di
soggiorno e altre restrizioni simili. Poi digitò art. 110 del codice penale, che trovò citato nelle due
leggi che aveva appena letto, e constatò che si trattava di una sorta di associazione a delinquere:
“quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di essa soggiace alla pena per
questo stabilita“.
Damiano iniziò a sudare freddo. Quella che per suo padre sarebbe stata una passeggiata di
salute e per il suo avvocato sarebbe stata una semplice formalità burocratica, stava diventato un
tremendo incubo per il giovane Damiano. A leggere i capi di imputazione non si poteva certo essere
tranquilli. E Damiano non lo era. Da un lato era terrorizzato da quanto aveva appena letto, e
dall’altro era combattuto per la serenità che suo padre e l’avvocato cercavano di infondergli.
Continuò a navigare in internet per capirne di più, e cercò elementi tra le sentenze che i giudici
avevano finora emesso a seguito delle leggi che lui aveva appena letto. Effettivamente, almeno fino
a quel momento, nessuno era mai stato condannato a venti anni di galera, e questo era motivo di
soddisfazione parziale per Damiano e per le sue fobie carcerarie. Ma le condanne e le sanzioni
finora emesse dai giudici dei vari tribunali italiani erano comunque tantissime, tanto da pensare che
le carceri italiane fossero piene di tossicodipendenti e spacciatori.
Mentre navigava in internet gli passò per la mente l’intera filmografia delle condizioni
carcerarie. Aveva visto molti film del genere, e a ogni film c’era la solita sopraffazione del più forte
dei delinquenti, l’indifferenza dei direttori delle carceri, la complicità dei secondini e le regole non
scritte alle quali venivano sottomessi i nuovi arrivati, soprattutto quelli più giovani. Gli venne in
mente un film, del quale non riusciva a ricordarsi il titolo, nel quale veniva narrata proprio la
vicenda di un giovane innocente che doveva scontare qualche annetto di carcere. Si ricordò anche
del grave impatto emotivo che il film ebbe sulla sua immagine delle carceri italiane. E quei ricordi
non lo facevano stare tranquillo, anzi ….
MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE - Damiano spostò alcune lezioni di ripetizioni private che avrebbe
dovuto tenere quel pomeriggio, e alle 5 in punto era davanti allo studio legale insieme al padre, per
l’appuntamento con l’avvocato. Si trattava dell’avvocato Egidio Caracciolo di Trorchiaro, un
vecchio trombone ultrasessantenne che conosceva tre o quattro frasi in latino a memoria e le
ripeteva continuamente per suggestionare gli interlocutori. La sua segretaria, una extracomunitaria
sfruttata a 300 euro al mese per aprire il portone, per rispondere al telefono e per dare all’avvocato
un minimo di dignità professionale, ci fece accomodare in una stanza attigua all’ufficio
dell’avvocato e ci fece aspettare per più di mezz’ora. Nell’ufficio dell’avvocato non c’era nessuno,
ma evidentemente fare aspettare i clienti era un modo come un altro per dare la giusta importanza a
chi non ha mai tempo perché è sempre sommerso dal lavoro. In realtà l’avvocato era al computer, su
facebook, a chattare con una sua nuova conquista sentimentale. Damiano se ne accorse appena
entrati nell’ufficio, sbirciando il monitor con la coda dell’occhio, e quella situazione non gli piaceva
proprio. Lui rischiava da sei a venti anni di reclusione e pretendeva che tutto il mondo fosse
consapevole di quella eventualità.
L’avvocato era separato da oltre dieci anni. I figli lo avevano disconosciuto come padre e il
debito presso le varie banche dove era correntista aveva superato il livello di guardia. Ma per il
padre di Damiano quello era un buon avvocato. E Damiano si fidava del padre, anche se tutte le
circostanze deponessero a suo sfavore. Damiano avrebbe comunque fatto una ricerca in serata per
capire se poteva fidarsi o meno di quell’avvocato, e mettergli nelle sue mani l’eventualità di una
reclusione da sei a venti anni.
L’avvocato Caracciolo Di Trorchiaro poggiò gli occhiali da vista sul naso, si accese una
sigaretta senza neanche chiedere se dava fastidio o meno, accavallò le gambe, si distese sulla
poltrona girevole e lesse in estremo silenzio tutto il contenuto della missiva della Procura di Latina.
Sembrava che leggesse con molta attenzione. Ogni tanto interrompeva la lettura per consultare il
codice penale che aveva sopra la scrivania. Damiano e il padre assistettero a quella cerimonia in
silenzio, come se l’avvocato, da un momento all’altro, dovesse sentenziare chissà cosa. Dopo oltre
dieci minuti, che occorsero all’avvocato per studiare la pratica e a Damiano per osservare l’ufficio
nei minimi dettagli, ci fu un primo resoconto. L’avvocato si tolse gli occhiali dalla punta del naso,
osservò i due clienti e iniziò a parlare: “da un primo studio sommario posso, sic stantibus rebus,
esprimere un primo giudizio, sic et sempliciter. Questa notifica è totalmente sbagliata, absit iniura
verbis, e quindi possiamo giocarcela sia in punta di diritto e sia come serie di errori procedurali
che inficiano la notifica stessa”. La solennità con la quale l’avvocato espresse il suo pensiero servì
a esaltare il padre di Damiano. Ma Damiano stesso era perplesso. L’avvocato spiegò che quella
notifica era illegittima ai sensi di non si sa bene quale procedura del codice penale e che quindi
l’intero procedimento era da considerarsi nullo. Lo stesso avvocato avrebbe personalmente
accompagnato Damiano dinanzi l’ufficiale di Polizia Giudiziaria, nella data indicata della
convocazione, e avrebbe fatto annullare il procedimento per vizio di procedura, e quindi di
legittimità.
Quella sera stessa Damiano fece una sommaria ricerca in internet per saperne di più su
l’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro. Non risultava alcuna sentenza esemplare che portava la
sua firma di avvocato, nessuna pubblicazione, un paio di deferimenti all’ordine degli avvocati, un
paio di denunce di propri clienti per imperizia professionale, redarguito spesso dai giudici di Latina
per scorrettezze deontologiche, insomma, il peggiore al quale affidare una difesa in un processo nel
quale si rischiava da sei a venti anni di galera.
Era la prima volta che Damiano si imbatteva in un avvocato e sperava che fosse anche
l’ultima. Aveva sempre avuto delle remore nei loro confronti perché li considerava a metà strada tra
tecnici e umanisti. Una sorta di animale ambivalente atto a dimenarsi tra principi tecnici di natura
giuridica e tra casi umani che dovevano essere considerati a prescindere dalla legge. Passò tutta la
notte a fare ricerche su internet e a leggere qualcosa che somigliasse al suo processo, per farsi un'
idea di come si sarebbe dovuto comportare. Trovò molte storie, tristi e appassionanti: storie di
giovani che si facevano di eroina e storie di giudici che scommettevano sulla loro riabilitazione.
Storie di madri disperate per la sorte dei propri figli e storie di volontari che da anni lavoravano nei
centri di recupero per tossicodipendenti. Storie di camorra e di delinquenti che avevano costruito la
loro fortuna sulla vendita di eroina e storie di associazioni laiche che da anni combattevano contro il
degrado sociale delle periferie metropolitane italiane. Storie di violenze e di amori, di emozioni e di
passioni, di rassegnazioni e di riscatti, tutte storie particolari che avevano un minimo comune
denominatore: il rapporto tra i giovani e la droga, tra i genitori dei ragazzi drogati e la droga, tra la
camorra e la droga, come se la droga muovesse una parte consistente dell’economia.
E riuscì a imbattersi anche in tutti gli articoli che lo riguardavano direttamente. La storia
della canna di marijuana fumata a Pasquetta era praticamente su tutti i siti che parlavano di droga e
aveva egemonizzato una parte consistente del dibattito sul problema della droga in Italia. Anche
l’articoletto scritto un paio di giorni prima, nel quale si annunciava l’invito a comparire della
Polizia Giudiziaria di Latina, era stato ripreso da diversi blog di informazione locale, ma il numero
delle letture e dei commenti era molto ridotto rispetto ai primi tempi. Almeno non c’era da
combattere con i mass media e con i vari giornalisti locali, e ci si poteva concentrare interamente sul
processo senza alcuna distrazione. E il fatto che l’interrogatorio ci sarebbe stato non il giorno
successivo ma dopo tre mesi, lo fece rilassare ancora di più.
LUNEDI’ 11 OTTOBRE - Lezione pomeridiana di storia romana. Damiano stava spiegando al
proprio allievo il periodo storico dei primi secoli dopo cristo, della nascita delle mire egemoniche e
imperialiste di Roma, della struttura degli stati romani dell’epoca e, soprattutto, del sistema di
regole, di editti e di leggi che strutturarono il diritto romano, ovvero il primo e articolato “insieme
delle norme che hanno costituito l’ordinamento giuridico romano per circa 13 secoli, dal 753 a.c.
fino al 565 d.c.”, esaltandone l’originalità e la supremazia rispetto agli altri ordinamenti giuridici
vigenti nel resto dell’Europa. E fu allora che il suo allievo confessò che il padre era un giudice del
tribunale di Napoli, e che quelle discussioni le aveva sentite spesso a pranzo, soprattutto quando in
casa c’erano altri colleghi del padre. L’allievo confessò che il padre era un grande cultore dell’epoca
classica del diritto e pretendeva che i figli, anche se avessero scelto strade diverse dalla carriera in
Magistratura, conoscessero i rudimenti del diritto.
Damiano trasecolò. Un giudice. Era proprio quello che cercava. In altre circostanze avrebbe
trattato quella notizia alla stessa stregua che se un allievo gli avesse confidato che il padre era
operaio metalmeccanico, cioè con estrema indifferenza. Ma quelli non erano altri tempi, ma tempi
nei quali la conoscenza di un giudice avrebbe potuto giovarlo nel procedimento penale in corso. La
mente di Damiano viaggiava velocemente. Aveva bisogno di parlare con il padre di quell’allievo,
ma non sapeva come riuscire a strappare un mezzo appuntamento, un incontro fugace. Scoprì, con
sua positiva meraviglia, che il
giudice sarebbe venuto di lì a poco a prendere il figlio per
riaccompagnarlo a casa. Damiano prese una copia dell’invito a comparire della Polizia Giudiziaria
di Latina e si predispose per farla leggere al giudice di Napoli, padre dell’allievo. Non aveva mai
parlato con un giudice, prima di allora, e non sapeva neanche come avrebbe dovuto comportarsi,
come chiamarlo, tipo vostra eccellenza, o eminenza, o signor giudice illustrissimo. Non perse
coraggio: decise di parlare con quel giudice e mostrargli il documento del tribunale, anche sapendo
che così facendo, cioè dichiarando di essere un potenziale delinquente, avrebbe potuto perdere il
figlio come cliente delle ripetizioni private. Quando il telefonino dell’allievo squillò, per avvisarlo
che il giudice era sotto casa per venire a riprendere il figlio, Damiano si offrì di accompagnarlo per
mostrargli la missiva della Polizia Giudiziaria.
Il giudice prese il foglio, non inforcò gli occhiali sul naso, non si accese la sigaretta e dopo
solo otto secondi riconsegnò il foglio a Damiano.
- Stai messo male figliolo. Per i reati contestati rischi da sei a venti anni di galera. Fossi in
te mi troverei un buon avvocato, perché la situazione è grave.
- Ma come? Mi hanno detto che è una formalità … che non devo preoccuparmi, che queste
situazioni vengono archiviate con facilità, e poi …
- … e poi niente”, rispose il giudice con un sorrisetto da stronzo navigato, guardando
Damiano dai piedi fin su alla testa, proprio la settimana scorsa ho condannato uno della tua età per
lo stesso motivo.
Il sorrisetto del giudice si trasformò da sorrisetto da stronzo navigato a sorrisetto da pezzo di
merda, di quelli che provano piaceri sadici nell’estremizzare il mito della propria professione.
Anche il saluto affrettato con il quale il giudice si congedò da Damiano era da annoverare tra quelli
tipici degli stronzi pezzi di merda. Damiano non avrebbe mai accettato una consulenza da quel
giudice, ma neanche gli fu proposta. Si aspettava che il giudice gli dicesse che avrebbe esaminato il
caso per fornirgli i giusti consigli su come muoversi, le giuste dritte per evitare il peggio, o
perlomeno una qualche frase di conforto e di ottimismo. Invece niente. “Fossi in te mi troverei un
buon avvocato”. Una frase buttata lì giusto per dire qualcosa, giusto per non mandarlo a cagare
direttamente. Ma Damiano se ne fece una ragione. Sapeva che quella battaglia avrebbe dovuto
vincerla da solo e che non poteva aspettarsi alcun aiuto da nessuno, soprattutto dalle persone che
avrebbero potuto aiutarlo.
Per un paio di secondi, non di più, arrivò anche a pensare che Berlusconi avesse ragione
quando diceva che i giudici italiani erano antropologicamente dei malati di mente. Solo due
secondi. Giusto il tempo necessario per vergognarsi di quel pensiero e promettere a se stesso che
non avrebbe mai fatto pensieri così eversivi.
Tuttavia, l’invito del giudice a non sottovalutare la questione e “fossi in te mi troverei un
buon avvocato” lo tormentarono tutta la serata, al punto che si ritrovò su internet, pensando alle
conseguenze peggiori, a fare una ricerca sullo stato di agibilità delle carceri italiane, sul
sovraffollamento delle stesse, sui suicidi da reclusione carceraria e sulle statistiche dei dati di
reinserimento degli ex detenuti nella società civile. Ne uscì fuori un quadro a dir poco sconcertante
e desolante. Riuscì a farsi un' idea abbastanza realistica della situazione delle carceri italiane e
amaramente constatò come una situazione così grave e preoccupante fosse relegata dai mass media
in ultima posizione, dietro alla presunta maternità di Belen Rodriguez e dopo il mistero del
reggiseno di Nicole Minetti.
MARTEDI’ 26 OTTOBRE - Il giorno prima il figlio del giudice venne interrogato in storia
romana. L'insegnante non poté fare a meno che mettergli otto. Fu un'interrogazione brillante, di
quelle che non si vedevano da anni, a detta della professoressa, che si complimentò con il giovane
studente per i visibili miglioramenti nell’esposizione lessicale e nella compiutezza del tema trattato.
Fu un trionfo per il giovane studente, che solamente qualche mese prima viaggiava sulla media del
4,2. Il giovane allievo di Damiano era riuscito a conquistare la professoressa ad ottenere il voto più
alto di tutta la classe, con solo una decina di ripetizioni private. Evidentemente Damiano aveva
svolto un ottimo lavoro motivando lo studente, al punto da riuscire a rendere interessante una
materia così ostica come la storia romana. Ovviamente il padre dello studente apprese la notizia con
profonda soddisfazione, complimentandosi con il figlio e con Damiano, artefice di una vera e
propria impresa epocale. Damiano era riuscito a trasformare uno svogliato, viziato e irritante
sedicenne, in uno studente esemplare, addirittura il primo della classe, almeno in quella materia. A
dire il vero Damiano era riuscito a salvare decine di giovani dalla svogliatezza e dalla pigrizia nei
confronti dello studio. Quello non era il primo caso di miracolo, ma solamente l’ultimo successo di
un metodo di studio pedagogico che Damiano aveva costruito con l’esperienza. Al termine della
seduta non squillò il cellulare del figlio del giudice, ma il campanello di casa. Era il giudice in
persona che era salito nell’appartamento di Damiano senza preavviso. I due si strinsero la mano,
cosa che non avevano fatto qualche giorno prima, quando Damiano gli aveva mostrato la missiva
della Polizia Giudiziaria, e si misero a sedere attorno al tavolo di studio.
- Voglio ringraziarla, disse il giudice a Damiano con un tono più sottomesso di qualche
giorno prima, … voglio ringraziarla per le lezioni che impartisce a mio figlio e per la dedizione
che ci mette nel suo lavoro .
- Non deve ringraziarmi rispose Damiano con una dose di alterigia,con suo figlio non ho
adottato alcuno strumento particolare. Uso la stessa dedizione con tutti gli studenti che si
rivolgono a me, sia figli di giudici che di operai metalmeccanici.
Il giudice parve un po’ contrariato, come se si aspettasse una più alta considerazione in virtù
della sua professione.
- Bravo Damiano, ha fatto un ottimo lavoro, e ci tenevo particolarmente a ringraziarla per
il miracolo che è riuscito a compiere.
La discussione proseguì per alcuni minuti, nei quali il giudice sottolineò il lavoro svolto da
Damiano, e Damiano rispose che se la scuola superiore motivasse di più gli studenti ci sarebbero
molti più miracoli di quelli visti fino a quel momento. Ma il giudice non era salito
nell’appartamento di Damiano solo per ringraziarlo, ma anche per mettere una pezza alla figura da
arrogante che aveva fatto qualche giorno prima, quando lo aveva trattato con superficialità e
supponenza.
- Mi faccia rivedere quella lettera che mi ha mostrato qualche giorno fa, e vediamo cosa si
può fare, disse il giudice a Damiano.
Damiano tentennò un po’, nel senso che disse al giudice che non doveva sentirsi obbligato a
dargli alcun consiglio e che la tariffa che pagava mensilmente per le ripetizioni private del il figlio
ripagava abbondantemente il suo lavoro.
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Lo so, rispose il giudice ma l’altra sera mi sono comportato veramente male nei tuoi
confronti, sono stato maleducato e spocchioso. Forse ha ragione Berlusconi quando
dice che noi giudici siamo tutti antropologicamente malati di mente … ahahahahaha.
- Veda giudice, rispose Damiano l’altra sera le ho mostrato quel foglio solo per avere
qualche consiglio, e non certo per chiedere un favore di intercessione verso chissà quale
suo collega.
- E allora vada a riprendere quel foglio e me lo mostri, così possiamo vediamo di cosa si
tratta.
Questa volte il giudice dedicò qualche secondo in più alla lettura della missiva, storcendo il
labbro inferiore della bocca di tanto in tanto come a sottolineare un passaggio più grave di un altro.
- Allora, Damiano, due sono le cose: o il Sostituto Procuratore della Repubblica di Latina
fa sul serio, e allora sono cazzi tuoi, oppure è una semplice formalità, come dire … una pratica
lasciata in sospeso che deve essere definita … per la quale l’interrogatorio è un passaggio
burocratico obbligatorio che non avrà alcuna conseguenza. Può sembrare una banalità quella che
ho detto, ma non è così. Il Sostituto Procuratore della Repubblica di Latina avrà già in mente
qualcosa nei tuoi confronti, e non è facile capire cosa sia. Certo, la precisione con la quale è stata
redatta questa notifica sembra far propendere per una questione seria; così come l’elenco preciso
di tutti i reati contestati non lascia presagire niente di buono. Con questo non voglio allarmarti,
perché sarebbe da carogna infierire su un ragazzo, ma leggendo questa lettera e solamente
attendendomi a quanto c’è scritto, sembra che la cosa sia seria. Dovrai faticare molto per avere
ragione e non sarà facile.
- Quindi secondo lei rischio grosso?
- Francamente penso di sì.
- E che speranza avrei di vincere il processo ed essere assolto?
- Personalmente, e questa è solo un mio pensiero personale, penso che in zona non ci siano
avvocati penalisti capaci di affrontare la situazione. Gli avvocati di Formia sono una manica di
arraffoni, buoni solamente a conciliare incidenti stradali e a fare qualche causa per divieto di sosta
al giudice di pace. Niente di più. Non vedo in zona avvocati penalisti all’altezza di un processo
serio come il tuo. Dovresti rivolgerti altrove e verificare tutte le potenzialità dell’avvocato che
sceglierai. Anche perché, sempre secondo me, dovresti fare in modo di non arrivare mai al
processo, e cercare di chiudere la partita molto prima, con un decreto di archiviazione. Finire a
processo non giova a tuo favore. Devi stare attento. E’ troppo rischioso per te. Puoi trovare un
qualsiasi giudice che ti dia torto, e rischiare tutti e sei gli anni di carcere.”
- Ammazza …. Che bella situazione!
- Però, Damiano, una domanda dovrei fartela, e penso che te l’aspetti.
Sì, Damiano se l’aspettava. Sapeva che il giudice gli avrebbe chiesto se effettivamente lui
avesse commesso tutti quei reati indicati nella missiva della Polizia Giudiziaria.
- Damia’, diamoci del tu … puoi anche non rispondere se vuoi …. Ma tu, tutti i reati qui
elencati, li hai commessi o no?
Damiano non era affatto sorpreso da quella domanda. Del resto il giudice operava presso il
Tribunale di Napoli, e non sapeva quasi nulla di quello che accadeva a Formia. Decise di
raccontargli tutto, nei minimi particolari. Gli raccontò della giornata di Pasquetta, della sortita dei
due poliziotti, degli attacchi politici e mediatici, della conferenza contro la droga, del fatto che gli
altri due amici erano spariti del tutto. Il giudice ascoltò in silenzio, senza mai interromperlo e senza
porre alcuna domanda. Si guardavano negli occhi, e gli occhi del giudice erano molto attenti a
cogliere la verità. Guardare negli occhi un imputato era diventato il modo più certo per accertare la
verità. E il giudice credette a tutto quello che Damiano gli raccontò.
- Beh, allora dobbiamo trovare un buon avvocato.
Dobbiamo? In che senso dobbiamo? Fino a quel momento Damiano aveva affrontato sempre
tutto da solo, e quel “dobbiamo” lo rincuorò molto, come se avesse trovato un amico inaspettato che
lo avrebbe aiutato e, chissà, salvato.
- Damia’, chi è il tuo avvocato?
- Egidio Caracciolo di Trorchiaro.
- Gli hai già conferito il mandato legale di rappresentanza?
- Cioè?
- Gli hai già firmato la delega?
- No, sono stato nel suo ufficio, ma non ho firmato nulla.
- Bene, allora dammi qualche giorno di tempo che assumo le informazioni necessarie per
capire chi è questo avvocato Caracciolo, e poi ci risentiamo.
Rimasero al tavolo di studio per qualche altro minuto a parlare di storia romana e del
proseguimento delle lezioni private. Poi il giudice e il figlio si congedarono riproponendosi di
rivedersi qualche giorno dopo.
Damiano continuava a sentirsi combattuto. La gravità e la solennità delle parole del giudice
stridevano con le parole di tranquillità e di serenità dell’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro.
Il primo diceva di preoccuparsi, il secondo riteneva il tutto una semplice passeggiata a Latina, dove
al limite avrebbero solamente perso un po’ di tempo. Di chi doveva fidarsi? Dell’avvocato
Caracciolo, amico del padre e quindi persona di fiducia, o del giudice di Napoli, che prima lo aveva
trattato come una pezza da piedi e poi, solo dopo i risultati scolastici del figlio, si era fatto avanti?
Non poteva fidarsi di entrambi. Le loro posizioni erano antitetiche. Aveva ancora qualche altro mese
a disposizione prima di decidere, e avrebbe speso bene il tempo che gli restava per pensare al
proprio futuro.
MERCOLEDI’ 4 NOVEMBRE - L’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro telefonò quella
mattina al padre di Damiano. Voleva fissare un appuntamento in giornata per firmare il mandato
legale di rappresentanza nel procedimento penale nei confronti del figlio. Una telefonata breve e
coincisa che rimandava allo stesso pomeriggio, alle 5, presso il suo studio legale, per gli
adempimenti del caso. L’avvocato avvisò telefonicamente che la sua segretaria aveva appena
terminato di predisporre gli atti necessari alla rappresentanza legale. Il padre di Damiano avvisò il
figlio subito dopo, dicendogli che quel pomeriggio lo avrebbe accompagnato dall’avvocato
Caracciolo. Damiano cercò inizialmente di prendere tempo e disse al padre che quel pomeriggio
aveva troppi impegni per rinviarli tutti. Del resto non aveva ancora deciso se firmare o meno la
delega all’avvocato Caracciolo ed era ancora in attesa che il giudice di Napoli gli facesse sapere
qualcosa di più di quell’avvocato.
Il padre di Damiano si accorse che c’era qualcosa che non andava. E si accorse anche che il
figlio stava mentendo. La storia degli impegni era una motivazione che non reggeva. Del resto
Damiano riusciva sempre a spostare gli impegni, anche per questioni più futili di quella di una firma
per un mandato legale.
Damiano allora fu invitato dal padre a pranzo al ristorante. Era giusto chiarirsi finché si era
in tempo. Il padre di Damiano era pronto ad ascoltare il figlio e ad evitare qualsiasi forzatura. Fino
ad allora si era servito dell’avvocato Caracciolo per questioni decisamente più lievi, tipo qualche
multa per divieto di sosta, un paio di sinistri stradali e qualche cartella esattoriale ritenuta
illegittima; ma anche lui nutriva dubbi sulla capacità di Caracciolo di sostenere un processo penale,
dove la pena prevista era da sei a venti anni di galera. E sapeva che anche il figlio aveva avuto una
brutta impressione nell’incontro di qualche giorno prima, seppur non lo avesse mai manifestato
apertamente. C’era da sondare la perplessità di Damiano rispetto alla questione dell’impegno preso
con l’avvocato Caracciolo. Chi non li conosceva li avrebbe tranquillamente scambiati per due
fratelli che cazzeggiavano a pranzo parlando di tutto, fuorché di un problema giudiziario.
Affrontarono la questione in estrema libertà; il padre di Damiano, per mettere il figlio a proprio
agio, gli confidò che a lui quell’avvocato Caracciolo non gli piaceva proprio. Fu l’occasione per
Damiano per elencare tutti i motivi e le perplessità per le quali Caracciolo non era proprio
l’avvocato che faceva per lui. Il padre di Damiano ebbe l’occasione per raccontare al figlio come
aveva conosciuto Caracciolo, le tante volte che lo aveva salvato dal collasso economico, il debito di
riconoscenza che gli doveva per tutti i salvataggi e il rapporto umano che si era instaurato tra di
loro. Fu Damiano a formulare la proposta che poteva essere mediatrice tra gli impegni di
riconoscenza del padre verso quell’avvocato e l’esigenza di toglierselo dai piedi quanto prima:
l’avvocato Caracciolo lo avrebbe assistito dinanzi all’ufficiale di Polizia Giudiziaria, ma subito
dopo, nel caso ci fossero stati prosiegui giudiziari, si sarebbe tolto di mezzo per fare spazio a un
altro avvocato scelto successivamente. Il padre accettò quella risoluzione e la trovò molto
ragionevole e sensata. Rimasero d’accordo che non avrebbero rivelato la loro decisione se non dopo
la prima fase del procedimento giudiziario.
Ma l’avvocato Caracciolo, che non era un cretino, propose a Damiano di sottoscrivere una
delega di rappresentanza legale che comprendesse “la difesa in ogni fase e grado di giudizio”.
Padre e figlio lessero quel documento di rappresentanza lanciandosi occhiate incerte. Che fare?
Firmare quel documento oppure rompere una amicizia decennale? Il padre di Damiano tenne il
foglio in mano cercando di prendere tempo, voleva consultarsi prima con il figlio, e l’occasione gli
venne offerta appena l’avvocato si immerse in una lunga telefonata con una cliente che doveva
divorziare. Si avvicinò al figlio e gli sussurrò all’orecchio:
- Damiano, firma questo documento, e subito dopo il primo interrogatorio gli revochiamo il
mandato legale con una scusa.
- Ma è sicuro che si può fare? Non è che poi rimango incastrato per tutta la vita?
- Sì, è sicuro. Il mandato legale si può revocare in qualsiasi momento e quindi non avremo
problemi ad affidare l’incarico a un altro avvocato.
Damiano firmò il mandato legale all’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro,
conferendogli ampio mandato a transigere e conciliare. Ma sapeva che quanto prima se lo sarebbe
tolto dai piedi, senza ringraziamenti. Quel vecchio trombone non gli ispirava fiducia e sapeva che la
gravità del reato richiedeva bel altre capacità professionali. Voleva un avvocato giovane,
specializzato nel Penale, onesto, con un minimo di curriculum vitae che caratterizzasse le sue
specializzazioni. Un bravo avvocato, magari con meno capacità oratorie, ma esperto della materia.
Proprio quel pomeriggio gli venne a far visita il giudice di Napoli. Disse che aveva chiesto
in giro dell’avvocato Caracciolo e aveva scoperto che era il peggior avvocato della zona, un fallito;
che sarebbe stata una condanna sicura “in ogni fase di grado e di giudizio”. Disse che era rimasto
senza clientela e che, tra l’altro, gli capitava spesso di dimenticarsi date e orari dei processi dei
propri clienti. Damiano gli disse che aveva firmato il mandato legale ma che subito dopo il primo
interrogatorio presso la Polizia Giudiziaria glielo avrebbe revocato. Gli confidò anche il debito di
riconoscenza paterno. Il giudice ritenne saggia la decisione assunta e promise a Damiano che
avrebbe seguito la vicenda personalmente, e che, pur non potendo agire direttamente, lo avrebbe
costantemente consigliato sul da farsi.
Quell’interesse non richiesto e inaspettato da parte del giudice di Napoli infondeva in
Damiano una certa dose di tranquillità. Sostenere un processo penale e avere un giudice come
amico gli trasmetteva serenità e lo rilassava.
GIOVEDI’ 5 NOVEMBRE - Damiano non sapeva nulla della ritrattazione di Valerio e Arturo al
Commissariato di Polizia di Formia e quindi credeva che anche loro stavano passando le stesse pene
dell’inferno con avvocati e carte bollate. Il verbale redatto dagli ispettori Percuoco e Madonna era
stato firmato anche da loro e i giornali avevano sempre scritto di tre ragazzi drogati. Invece
Damiano, suo malgrado, fu l’unico a ricevere quell’invito della procura di Latina e oltre a lui non
sarebbe stato interrogato nessun altro.
Ci vollero più di dieci squilli per convincere Valerio a rispondere alla chiamata di Damiano.
Era indeciso se rispondere o no. Non era preparato psicologicamente a dirgli tutta la verità. Ma
sapeva che prima o poi quella chiamata sarebbe arrivata. Stettero cinque minuti a parlare del
reciproco stato di salute e degli studi universitari di Valerio. Ma quando Damiano affondò il colpo,
Valerio iniziò a sudare freddo.
- Senti Valerio, ma tu e Arturo avete già nominato i vostri avvocati per l’interrogatorio davanti alla
Polizia giudiziaria della procura?
- No, né io né Arturo.
- Ah bene, allora perché non ci vediamo in piazza una sera di queste, così concordiamo bene una
linea comune. O no?
- Veramente a me e ad Arturo non è arrivato alcun avviso a comparire dalla procura.
- Strano … e come è possibile? Eravamo in tre a Pasquetta, e non capisco perché l’avviso è
arrivato solo a me. Forse a voi arriverà nei prossimi giorni, altrimenti non si spiega perché a me sì
e a voi no.
- Invece si spiega eccome. Io e Arturo abbiamo ritrattato tutto.
- Prego?
- Ricordi quando i nostri genitori ci hanno trascinato al Commissariato di Polizia? Beh, lì abbiamo
firmato la ritrattazione del verbale sottoscritto da Percuoco e Madonna e, sembra, che alla fine tu
sia rimasto da solo su quel verbale.
- Sembra? Vale’, ma che cazzo stai di’?
Valerio raccontò per filo e per segno tutto ciò che avvenne al Commissariato con suo padre e
con quello di Arturo. Raccontò che sottoscrissero un verbale senza averlo letto e senza essere a
conoscenza del contenuto, nel quale sembra però che la colpa dell’istigazione al consumo della
canna sia stata addebitata esclusivamente a Damiano. Che i due amici, così come il padre di Valerio
gli riferì qualche giorno dopo, erano stati costretti a consumare droga contro la loro stessa volontà.
Valerio era convinto che quel verbale non avrebbe avuto seguito e che tutto si sarebbe fermato lì,
senza ulteriori strascichi giudiziari. O perlomeno ciò gli fu fatto credere. Valerio disse di essere
stato costretto con la forza a firmare la ritrattazione davanti al Commissario di Polizia e che si
sentiva profondamente amareggiato.
Da quel momento Damiano si rese conto di essere stato lasciato solo. Solo come un cane
abbandonato sull’autostrada. Ma nonostante tutto non riusciva a odiare i suoi amici. Arturo non ci
stava con la testa, e quindi qualsiasi comportamento adottasse non era dettato dalla cattiveria ma dal
semplice sballo mentale. Valerio, poveraccio, aveva due genitori stronzi e qualsiasi suo
comportamento era da loro veicolato.
Però, cazzo, Valerio poteva anche avvisarlo!!! Per oltre sei mesi Damiano aveva pensato che
qualsiasi procedimento giudiziario relativo alla giornata di Pasquetta l'avrebbe condiviso con i suoi
due amici. Con una semplice telefonata Valerio avrebbe potuto chiarire la sua posizione e cercare di
riconciliarsi con colui che aveva accusato di essere un istigatore al consumo delle droghe. Sarebbe
bastato anche un semplice sms.
Damiano non era incazzato per quella confessione di tradimento. Era rammaricato per averlo
saputo in ritardo. Se quella mattina non avesse telefonato a Valerio non avrebbe mai saputo la
verità. E quel ritardo lo rammaricò profondamente.
MARTEDI’ 28 DICEMBRE -
Mirko aveva 24 anni. Era un ragazzo serio, tutto casa, scuola e
lavoro. Un bel ragazzo, fidanzato con una coetanea, simpatico, affabile, tanti amici. Lavorava come
barista al chiosco bar della piazza centrale di Formia. Sempre sorridente e solare con tutti, sempre
cordiale e gentile con i clienti. C'era uno stuolo di ragazzine che sbavavano per lui e con nessuna di
esse era sgarbato o irriverente, neanche con le più racchie. Era molto popolare nella città ed era
diventato il beniamino di tutta la sua generazione.
Fu trovato morto quella sera stessa, poco prima delle otto di sera, nei pressi di un bagno
pubblico di un parcheggio multipiano di Formia. Accanto al suo corpo una siringa usata di eroina,
un laccio emostatico e dei fazzolettini sporchi di sangue. La Polizia operò tutti i rilievi del caso e
faticò molto a tenere a distanza i giornalisti accorsi sul posto per acquisire tutti gli elementi per i
loro articoli. La Procura della Repubblica di Latina inviò uno dei suoi migliori Sostituti a sbrigare
gli adempimenti del caso: operare riscontri, raccogliere impronte digitali, radunare testimoni
oculari, reperire oggetti che giacevano a terra, parlare con il medico legale. Quest'ultimo riscontrò
che il decesso era appena avvenuto e che si sarebbe riservato di effettuare l’autopsia solo qualche
giorno dopo.
La notizia, come è ovvio che accadesse, fece il giro della città, e in pochi minuti tutti erano a
conoscenza di quell’inspiegabile morte che aveva sconvolto l’intera comunità formiana. Incredulità
e sconcerto erano le sensazioni che tutti i giovani formiani provavano in quel momento. Incredulità
per un giovane che tutto sembrava, fuorché un tossicodipendente, e sconcerto per la fine improvvisa
di uno dei più bravi ragazzi di Formia. Centinaia di giovani con le lacrime agli occhi e anche curiosi
di passaggio si mescolavano a giornalisti, cameraman e poliziotti della scientifica che si
adoperavano per le operazioni di rito. La storia della siringa di eroina e dei fazzoletti sporchi di
sangue scatenarono un senso di inquietudine e di rabbia in tutti quelli che lo conoscevano il
ragazzo. I genitori di Mirko erano straziati dal dolore e le telecamere che indugiavano su di loro ne
testimoniavano la disperazione. Una famiglia stimata in tutta la città, una coppia di genitori
esemplari: lui operaio metalmeccanico, sindacalista e attivista della protezione civile; lei infermiera
professionale e operatrice sociale della Caritas Diocesana. Due genitori apprensivi e comprensivi,
come tutti i genitori “normali” della città.
Il commissario di Polizia di Formia convocò una decina di amici di Mirko per domande
finalizzate a “riempire la pratica”, tipo abitudini, frequentazioni, aspettative, orari e gusti musicali.
Poi ascoltò quello che era stato il suo medico curante, per il rilascio di dichiarazioni tese a stabilire
la sua condizione psicofisica. Il medico disse di conoscere Mirko solo di nome, di non averlo mai
visto in ambulatorio e di non averlo mai visitato. Godeva di buona salute e quando aveva bisogno di
un farmaco era la madre infermiera a somministrarglielo. Disse anche che era normale che fino ad
allora non avesse mai visitato un ragazzo di 23 anni. Anche molti suoi coetanei erano
completamente sconosciuti al Servizio Sanitario Nazionale. Evidentemente stavano tutti bene,
vivaiddio.
Anche il prete della parrocchia dove Mirko ricevette la prima comunione si fece vedere nei
pressi dell’obitorio. Rilasciava interviste a cani e porci, ribadendo sempre la metafora del “Signore
che chiama a se stesso sempre i migliori angeli ….”.
Quella sera stessa una veglia di qualche centinaia di persone si svolse spontaneamente
presso l’obitorio dell’ospedale di Formia. Oramai le feste natalizie erano compromesse e la mestizia
avrebbe prevalso sulla gioia dei festeggiamenti di fine anno.
Anche il sindaco Pappagogna era disperato: a lui non gliene fregava una mazza di quel
mocciosetto schiattato nei sotterranei del multipiano; a lui interessava solamente non rompere la
straordinaria atmosfera costruita con cura per mesi interi. Luminarie ultimo modello, filodiffusione
di musica natalizia in tutto il centro cittadino, presepi avveniristici, alberi di Natale artificiali
all'amianto, neve artificiale sui tetti di tutti gli edifici pubblici, spettacolo di fuochi pirotecnici già
commissionati per la sera del 31 dicembre quando si sarebbero esibiti la fantastica “premiata
orchestra di Gigino Strummolo di Avellino” e il famoso corpo di ballo “le allegre e insaziabili
casalinghe di Belo Horizonte” .Il tutto per la modica cifra di 58.000 euro. Il sindaco Pappagogna
già pregustava l’intervento augurale dal palco della notte del 31 dicembre e la folla oceanica che lo
avrebbe applaudito. Ma quel cazzo di ragazzo morto per una pera di eroina rischiava di mandare a
puttane l'attesa nottata. Lui, il sindaco Pappagogna, il maestro delle false facce di circostanza, non
sapeva ancora se usare la faccia contrita dal dolore per la scomparsa di un ragazzo di Formia o la
faccia schifata di chi prova ribrezzo nei confronti dei drogati. Alla fine decise di adottare il viso
trasecolato, di chi non riesce bene a comprendere la situazione.
La televisione locale inviò ben tre corrispondenti con altrettanti cameraman per riprendere i
visi dei coetanei di Mirko e le espressioni di tutti coloro che quella notte decisero di tenere la veglia
all’obitorio dell’ospedale. Ne uscirono fuori una serie di servizi strappalacrime, con sfondi musicali
scontati e banali, intramezzati da immagini del chiosco bar dove lavorava il ragazzo deceduto, sulla
cui saracinesca era scritto “chiuso per lutto“.
I giornalisti della carta stampata si contendevano i politici locali per una loro dichiarazione
“a caldo”, e i componenti della Polizia Scientifica per un dettaglio in esclusiva sul quale costruire
misteriose congetture di piste di narcotraffico internazionale da regalare ai lettori più esigenti.
Anche i network sociali di internet si scatenarono in post di dolore e cordoglio per la scomparsa di
Mirko. Aveva 832 amici sul suo profilo di facebook e la sua bacheca fu inondata di immagini e
video musicali che a lui piacevano tanto. Anche la Polizia di Formia visionò la bacheca di facebook
di Mirko, sempre per “riempire la pratica” e relazionare il giudice di turno che avrebbe condotto
l’inchiesta. La sua vita privata divenne così di dominio pubblico. Anche i giornalisti televisivi e
della carta stampata misero a soqquadro quella bacheca. Scaricarono tutte le sue foto e soprattutto i
video che lo riprendevano al lavoro mentre serviva al bar. C’era tutto il materiale per tratteggiare il
carattere e la personalità di Mirko e sbatterli sulla prima pagina dei giornali del giorno successivo.
Un vero e proprio schifoso sciacallaggio mediatico ai danni di un povero ragazzo che forse
chiedeva solamente di riposare in pace nella massima serenità, così come serena era stata la sua vita
fino ad allora.
MERCOLEDI’ 29 DICEMBRE - La notizia della morte di Mirko finì sulle prime pagine dei
giornali e nelle aperture dei telegiornali locali. Le foto rubate da facebook facevano da cornice al
resoconto della cronaca della sera precedente e alle interviste a medici, poliziotti, preti e politici. Gli
articoli erano di bassa fattura ma abbastanza dignitosi. Tutti i giornali trattarono la questione con
molto equilibrio e rispetto per la giovane vittima e la sua famiglia. Tutti tranne un quotidiano locale,
Formia Oggi, famoso per la campagna mediatica contro Damiano.
Formia Oggi scelse di porre in primo piano le foto della siringa, del laccio emostatico e dei
fazzoletti sporchi di sangue rivenuti a fianco di Mirko. Ma la cosa più drammatica e zozza allo
stesso momento, furono due riquadri, posti sotto la foto degli oggetti rinvenuti sul luogo del
decesso. Nel primo riquadro il resoconto della cronaca della morte di Mirko e nel secondo riquadro
la notizia del procedimento penale a carico di Damiano, con la data di comparizione del 10 gennaio,
solamente 12 giorni dopo, presso gli uffici di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica di
Latina. La giornalista mise insieme le due questioni per sottolineare un probabile nesso di causa tra
la morte di Mirko e la vicenda giudiziaria di Damiano, accusato di detenzione e spaccio di sostanze
stupefacenti. Il collegamento era chiaro: Mirko era morto per colpa di Damiano, noto spacciatore
della città, che avrebbe venduto la dose di eroina alla giovane vittima. Il titolo dell’articolo era: CHI
HA VENDUTO LA DROGA A MIRKO?. E’ evidente che un titolo siffatto stuzzica la curiosità di
qualsiasi lettore interessato alla morte di Mirko, ed è altrettanto evidente che la notizia del
collegamento tra la vicenda giudiziaria di Damiano e la morte di Mirko divenisse l’argomento del
giorno. Insomma, Damiano era responsabile della morte di Mirko. Damiano aveva ucciso Mirko.
Formia Oggi non aveva scritto esplicitamente che la colpa della morte di Mirko era di Damiano, ma
l’allusione era evidente.
Damiano apprese la notizia di Formia Oggi nella rassegna stampa televisiva alle otto di
quella stessa mattina. Il suo viso si sfigurò al punto da sembrare un ottantenne. Rimase con la bocca
aperta per diversi minuti, come ipnotizzato, con gli occhi fissi sul televisore e con lo sguardo
assente. Rimase a guardare anche la successiva pubblicità di un moderno frullatore dalla forza così
impressionante che prometteva di frullare anche i mattoni. Se il telefono non avesse squillato
sarebbe rimasto con la bocca aperta davanti allo schermo per ore. Al telefono, era un suo allievo che
disdiceva l’appuntamento per la lezione privata del pomeriggio. Damiano rispose senza neanche
capire quello che il suo allievo dicesse. Era in completa catalessi. Finora lo avevano definito
tossico, spacciatore, delinquente, ma mai assassino. Le parole della giornalista di Formia Oggi gli
rimbombavano nelle orecchie come una mitragliatrice che non si fermava mai. La salivazione
azzerata e il sudore che gli grondava dalla fronte erano gli iniziali sintomi di uno svenimento che
però non avvenne. La notizia era agghiacciante, di quelle che uno non si aspetta mai di leggere,
soprattutto per uno come Damiano che non avrebbe fatto del male a una mosca. Forse aveva capito
male, forse aveva frainteso le parole della giornalista, forse si sentiva troppo coinvolto da aver
equivocato il reale significato dell’articolo giornalistico. Corse in edicola, acquistò una copia di
Formia Oggi, aprì il giornale e rilesse la notizia più volte. Non c’era stato alcun equivoco: secondo
il giornale Damiano era un assassino della peggiore specie. Acquistò anche tutti gli altri giornali
locali e si diresse di corsa a casa per leggere tutti gli altri articoli, per saperne di più. Quel trafiletto
di Formia Oggi era l’unico che parlava di lui. Gli altri giornali lasciavano spazio agli inquirenti, alle
indagini, alle piste incerte della somministrazione della droga, al cauto silenzio del coordinatore
delle indagini della Polizia Scientifica, al riserbo del giudice incaricato, che si sarebbe riservato di
rilasciare dichiarazioni dopo l’autopsia, e a tutti gli altri aspetti di cronaca nera che solitamente si
trovano sui giornali locali.
D’un tratto, una intuizione: andare via dalla città di Formia. Subito. Immediatamente.
Partire. Andare lontano. Damiano telefonò subito a un suo ex compagno di scuola delle superiore
che studiava all’università, che qualche giorno prima lo aveva invitato a trascorrere il capodanno a
Roma. Verificò che quell’invito fosse ancora valido, riempì la valigia con i ricambi di vestiario per
un paio di giorni, avvisò il padre che e uscì di casa intorno alle 11 del mattino. Il treno per ci
sarebbe stato da lì a mezz’ora. Acquistò il biglietto del treno e si affrettò a raggiungere il binario
corrispondente alla direzione ROMA. Fece in tempo anche a prendere fiato per la fretta con la quale
aveva fatto tutto e a fumarsi una sigaretta. Aveva anche ripreso a fumare dal nervosismo. Intorno a
lui un paio di militari, probabilmente dal ritorno del congedo straordinario di Natale, un famiglia al
completo, qualcuno in giacca, cravatta e valigetta 24 ore e una corrispondente di Formia Oggi che
aveva visto in redazione qualche mese prima, quando ci era andato con il padre per ottenere le
informazioni relative alla mamma coraggio e allo psichiatra infantile. Damiano inforcò gli occhiali
da sole molto scuri per evitare di incontrare lo sguardo di quella che lui considerava una grande
stronza puttana. La corrispondente di Formia Oggi maneggiava il proprio cellulare con lo stesso
infantilismo di una bambina di sei anni. Era irritante agli occhi di Damiano e questo lo infastidiva
tantissimo. Il treno arrivò e Damiano salì. La corrispondente, invece, rimase in stazione e si diresse
verso l’uscita correndo. La per là Damiano pensò che, oltre ad essere stronza, fosse anche un po'
esaurita.
30 DICEMBRE - Roma la tentacolare, Roma con i suoi colori, i suoni le luci, Roma l'eterna che
non puoi farne a meno di andarci minimo una volta l’anno, che ti tenta, soprattutto tra natale e
capodanno, Roma che ha fretta, che riposa, che si snerva. Ma anche la Roma del caos massacrante,
dei fiumi di pendolari dalla provincia, di chi chiede l’elemosina con insistenza, Roma che quando
arrivi metti il portafoglio nella tasca davanti per evitare il taccheggio, che sei costretto a fare la fila
per ogni cosa, per un caffè, per un pacchetto di sigarette, per andare in bagno.
A Damiano Roma piaceva tanto. Ci andava di rado e forse è per questo l’apprezzava di più.
Era contento di essere fuggito da Formia e di essersi lasciato alle spalle tutti i problemi che lo
affliggevano. Aveva un forte bisogno di “staccare la spina” e di ritrovare la giusta serenità, il giusto
equilibrio con il mondo intero. Se fosse rimasto a Formia avrebbe rischiato un travaso di bile per la
rabbia che aveva in corpo. Essere accusato di omicidio di un coetaneo è una situazione troppo
difficile da reggere, soprattutto per un ragazzo sensibile come Damiano. Roma rappresentava una
zona franca dove nessuno lo avrebbe cercato, nessuno lo avrebbe disturbato e nessuno lo avrebbe
importunato. Il telefono cellulare lo avrebbe lasciato acceso, ma si propose che avrebbe risposto
solo ai propri genitori e a nessun altro. Genitori che, peraltro, erano gli unici a sapere della sua fuga
a Roma.
La sera prima si era ubriacato di brutto insieme al suo ex compagno del liceo, e aveva
scorazzato a piedi per tutta Roma ridendo come un idiota e cercando di dimenticare tutti i problemi
che lo assillavano. Era da tempo che Damiano non si concedeva una “botta” di alcool così forte, ma
l’adrenalina che aveva in corpo era tale che non indugiò minimamente ad assecondare il suo ex
compagno di scuola nella fredda nottata romana. Anche il Colosseo gli apparve completamente
diverso. Le allucinazioni delle bighe che lo inseguivano, dei centurioni che lo sfidavano a duello,
dei cavalli imbizzarriti che cercavano di assalirlo, erano solo gli effetti dei vapori etilici sviluppati
dai liquidi di infima qualità tracannati la sera prima.
Quella mattina si svegliò, si fa per dire, a mezzogiorno, e accese il telefono non curante dei
rischi che correva nel riconnettersi con il mondo vero. Soprattutto con Formia. Damiano si sentiva
sicuro li, lontano da tutte le porcherie che i giornali scrivevano, ma non aveva fatto i conti con la
corrispondente di Formia Oggi che aveva incrociato il giorno prima in stazione poco prima di
partire.
La tentazione di connettersi ad internet per leggere le ultime notizie di cronaca locale fu
tanta e non poté farne a meno. Ancora una volta sudò freddo. Gli si azzerò la salivazione. Ancora
una volta tremò come una foglia nel leggere la rassegna stampa mattutina. In prima pagina su
Formia Oggi c’era la foto di Damiano alla stazione di Formia con la valigia in mano e gli occhiali
da sole scuri, mentre aspettava il treno. Titolo: IL FUGGITIVO. Sottotitolo: DAMIANO SCAPPA
DA FORMIA PER EVITARE GLI INQUIRENTI CHE INDAGANO SULLA MORTE DI MIRKO.
La foto era molto nitida ed evidenziava lo stato di irrequietezza e circospezione con cui Damiano
attendeva il treno. Come se temesse di essere seguito o come se realmente stesse fuggendo perché
braccato. La corrispondente di Formia Oggi aveva fatto un'altra porcata; un ottimo lavoro quindi.
Un servizio giornalistico lungo e romanzato, pubblicato con a corredo una sola foto scattata con
l'ausilio di un telefonino cellulare. Un servizio giornalistico pieno di interrogativi (si fermerà a
Roma o proseguirà per l’estero?), pieno di dubbi (cosa conteneva la valigia che portava con sé?),
pieno di sospetti (perché era così nervoso?) e pieno di domande equivoche (per evitare possibili
fughe, come mai gli inquirenti non hanno provveduto ad una custodia cautelare?). Con una sola
foto si era costruita una storia piena di congetture, nessuna delle quali vere, tutte probabili e
verosimili. Con un filo di voce Damiano chiese cortesemente al suo ex compagno di scuola di poter
restare qualche altro giorno a Roma.
DOMENICA 2 GENNAIO 2011 - L’autopsia del cadavere di Mirko si tenne nelle prime ore del
mattino presso l’ospedale pubblico di Formia, ma tutte le attenzioni dei mass media locali erano
invece concentrate sulla casa di Damiano. Una telecamera fissa sull’ingresso e i collegamenti in
diretta ogni due ore della televisione locale, marcavano fortemente l’interesse sulla “fuga” del
presunto assassino e sull’incertezza del suo ritorno. Nonostante questo i genitori di Damiano, pur
dovendo sopportare i giornalisti e una telecamera puntata davanti casa, erano ancora abbastanza
calmi e in un certo senso anche divertiti. Erano certi che il figlio non faceva uso di droghe,
figuriamoci spacciarla, e che alla fine sarebbe uscito pulito e innocente da questo incubo. Il padre di
Damiano chiamava di tanto in tanto il figlio per informarlo sull’evolversi della situazione e per
commentare con lui alcuni degli articoli; conveniva pienamente sul fatto che Damiano dovesse
restare a Roma qualche altro giorno, in attesa che la melma mass mediatica trovasse qualche altro
caso sul quale concentrarsi.
La storia era abbastanza chiara: Damiano era uno spacciatore abituale di eroina, aveva
fornito una dose letale di droga a Mirko, forse anche costringendolo con la forza, e Mirko era morto
per colpa di Damiano, che, tra l’altro, era fuggito non si sa dove. Damiano era un assassino che
andava consegnato alle patrie galere e condannato ergastolo per omicidio. L’opinione pubblica era
in possesso del cadavere di un bravo e innocente giovane e della testa del suo omicida da giustiziare
in piazza. La fogna mediatica era riuscita a confezionare una di quelle storie di provincia nella quale
l'opinione pubblica reazionaria e giustizialista, potesse riconoscersi e trovare un senso di
appartenenza ad una comunità oramai priva di qualsiasi punto di riferimento se non la sete di
vendetta.
Ma, proprio nel momento in cui tutti i cittadini di Formia erano convinti dell’omicidio
commesso da Damiano, mentre tutta l’opinione pubblica era ormai certa del reato di spaccio di
eroina, mentre tutti i giornali, radio e televisioni locali lo indicavano quale responsabile della morte
di Mirko, ecco arrivare la nota del medico legale della procura: la morte di Mirko non era avvenuta
per consumo di sostanze stupefacenti.
L’esame tossicologico non evidenziava alcuna traccia di sostanze psicotrope, sintetiche o
stupefacenti. La perizia del medico legale e quella della Polizia scientifica accertarono che le tracce
del DNA e le impronte digitali rinvenute sul laccio emostatico e la siringa trovate accanto al
cadavere non appartenevano alla vittima e che il decesso era avvenuto per insufficienza cardiaca
dovuta ad una rara forma di cardiopatia definita “cardiomiopatia aritmiogena”, di cui la vittima
soffriva, forse inconsapevolmente, da tempo.
Una fulmine a ciel sereno per tutti i mass media che avevano surrettiziamente indagato e
processato Damiano, condannandolo a furor di popolo all’ergastolo per omicidio. Una colossale
figura di merda senza precedenti che avrebbe richiesto il licenziamento in tronco di tutti i direttori
responsabili di giornali, radio e televisioni locali.
La cosa peggiore è che se non fosse stato per internet nessuno avrebbe saputo la verità. Il
giorno dopo, infatti, nessuno dei giornali scrisse i risultati dell’autopsia, nessuna radio trasmise il
comunicato del medico legale incaricato dell’autopsia e la televisione locale richiamò in redazione
il cameraman che da giorni stazionava davanti la casa dei genitori di Damiano. E fu proprio il padre
di Damiano che in tempi record confezionò una news, con tanto di foto e titolo ad effetto e la
pubblicò su facebook. Tutti gli amici di Damiano condivisero la notizia, tanto che in poche ore più
di duemila persone erano a conoscenza dei risultati dell’autopsia e che Damiano era completamente
estraneo alla triste vicenda. Un miracolo della comunicazione digitale/artigianale “fai da te“. Il
padre di Damiano, oramai esperto internauta, gestì tutta la questione dei commenti e degli
approfondimenti, rispose a tutte le domande che venivano poste e gettò veleno su tutti i giornalisti
locali, in particolar modo sulla giornalista che Damiano incontrò alla stazione ferroviaria. Anche
altri blog, di conseguenza, scrissero della verità sulla morte di Mirko. La notizia fece il giro dei siti
internet, anche di quelli a rilevanza nazionale e Formia Oggi fece di tutto per attribuire le
responsabilità alle locali forze dell’ordine che avrebbero diffuso notizie equivoche e contrastanti. Le
locali forze dell'ordine addossarono la responsabilità alla errata comunicazione del medico legale
che compì il primo sopralluogo, il quale a sua volta accollò agli inquirenti le anticipazioni emerse
sulla stampa; ognuno cercava “per quanto di propria competenza”, di sottrarsi ad una situazione
vergognosa ed imbarazzante che avrebbe creato reazioni a catena.
Damiano, ancora in esilio forzato a Roma, seppe del risultato dell’autopsia direttamente dal
padre. Non poteva credere alle proprie orecchie. D’un sol botto perse tre chili di peso, quello stesso
peso che si trascinava dalla stazione di Formia il giorno della partenza. Il suo viso riprese un
colorito più consono, le occhiaie sembravano scomparire a vista d'occhio, i polmoni cominciavano a
riprendere aria, finalmente fuori da quel tunnel di sospetti e accuse nel quale lo avevano conficcato
quei quattro miserabili giornalisti della stampa locale. L'incubo stava cominciando a finire e sospirò
tanto che avrebbe spostato una montagna. La gioia di Damiano era incontenibile; avrebbe voluto
girare nudo per Roma e urlare a squarciagola DIO C’E’, oppure avrebbe voluto organizzare un
mega droga party, proprio lui che non si era mai accostato ad alcuna sostanza stupefacente, e
sballarsi per tutta la notte con allucinogeni di ultima generazione, oppure andare per la prima volta
al cinema vedere il film di Natale con Cristian De Sica. Optarono per il cinepanettone di Natale con
Christian De Sica. Una tortura inenarrabile. Un fioretto per lo scampato pericolo.
DOMENICA 9 GENNAIO - Damiano restò a Roma ancora un’altra settimana. Approfittò
dell’ospitalità del suo ex compagno di scuola per visitare i musei capitolini. Ne approfittò anche per
andare alla facoltà di Lettere e Filosofia di Roma per affiggere qualche locandina artigianale con la
quale offriva consulenze per la stesura di tesi di laurea. Nonostante fosse solamente diplomato era
in grado di sostenere consulenze per almeno il cinquanta per cento dei temi delle tesi di laurea
triennale, e in passato si era già cimentato in queste consulenze che gli fruttavano guadagni extra da
almeno mille euro a tesi.
Quei giorni a Roma gli servivano soprattutto per svagarsi la mente. Formia era troppo stretta
per Damiano e andare via sarebbe stata la risoluzione a ogni problema di natura esistenziale.
Avrebbe mandato a cagare definitivamente gli ispettori Madonna e Percuoco, il sindaco
Pappagogna, e tutta la borghesia bigotta formiana che in quegli ultimi mesi lo aveva più volte
infangato e distrutto psicologicamente. Trasferirsi a Roma sarebbe stata la panacea di tutti i suoi
malesseri interiori. Sarebbe stato un anonimo ragazzo ventiquattrenne tra le centinaia di migliaia di
giovani romani, e forse si sarebbe anche deciso a iscriversi all’università, almeno per accontentare i
genitori che volevano vederlo laureato.
Damiano amava sognare e fantasticare a occhi aperti, e la storia di lasciare Formia e
trasferirsi altrove lo faceva volare con l’immaginazione e la fantasia. Seppur innocente, seppur
scagionato da qualsiasi accusa in merito alla morte di Mirko, Damiano era molto restio a tornare a
Formia. Del resto anche i sui due amici più stretti, Arturo e Valerio, erano scomparsi dalla
circolazione, e la comitiva che frequentava era di quanto più degradante ci fosse sul mercato delle
comitive locali. Gli venne in mente il film “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore, nel quale il
protagonista, per realizzarsi, fu costretto a scappare dal suo paese di nascita. Ebbene, Formia
somigliava tanto a Giancaldo, il paese del film di Tornatore; un paesino siciliano dove il tempo
sembrava essersi fermato a cento anni prima, dove l’arretramento culturale era tangibile, dove la
fame si tagliava con il coltello. Contrariamente al protagonista del film, Damiano non cercava
successo o realizzazione professionale, ma soltanto una città a misura d’uomo e non a misura di
negozi commerciali e volgari camorristi senza scrupoli. Una città dove ci fosse almeno un teatro o
una biblioteca che funzionava, dove vi fossero spazi di aggregazione sociale non monopolizzati
dalla parrocchia, o una città dove le politiche ambientali fossero state considerate prioritarie nei
confronti dello sviluppo concepito a botta di cemento e asfalto, dove la politica non fosse stata
appannaggio dei soliti vecchi rincoglioniti analfabeti, ma dove la partecipazione popolare, anche
giovanile, trovasse diritto di cittadinanza. Una sorta di “isola che non c’è” che frullava nella mente
di Damiano. E magari ne avrebbe approfittato anche per cambiare cognome. Quel terribile cognome
che gli aveva sempre creato problemi esistenziali.
Ma poi, si sa, i sogni devono lasciare spazio alla realtà. E la realtà voleva che il giorno
successivo doveva recarsi alla Procura della Repubblica a Latina per “… rendere sommarie
informazioni della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini … per il reato di cui all’art.
73 del DPR 309/90“. L’appuntamento con l’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro era fissato
alle ore 15 dinanzi l’ingresso della Procura della Repubblica di Latina. Damiano era sereno e quella
notte dormì tranquillamente senza alcun incubo e alcuna preoccupazione. Aveva un avvocato che
ogni volta che lo incontrava gli diceva di non preoccuparsi, di stare tranquillo, che era solamente
una passeggiata di salute, che di operatori di Polizia Giudiziaria se ne mangiava almeno un paio a
colazione tutte le mattine, che lui aveva fatto scarcerare assassini con il sangue ancora attaccato
addosso, insomma, che al termine dell’incontro con gli operatori della procura, Damiano sarebbe
tornato ad essere un uomo libero, innocente e rispettato, e avrebbe ripreso la sua vita normale come
se nulla fosse accaduto.
LUNEDI’ 10 GENNAIO 2011 - Damiano arrivò all’appuntamento con una mezz’oretta di anticipo.
Era vestito e pettinato in modo impeccabile, da bravo ragazzo. Portava con sé una copia della
convocazione della Polizia Giudiziaria e nell’attesa la rilesse più volte, come se rileggerla poteva
fargli capire chissà cosa.
Alle 15,30, mezz’ora dopo l’orario previsto per l’interrogatorio, l’avvocato Egidio
Caracciolo Di Trorchiaro ancora non si vedeva.
Alle 15,45 dell’avvocato non si vedeva traccia.
Alle 16,00 Damiano chiamò il padre per sapere dove cazzo finito quel cazzo di avvocato.
Alle 16,10 Damiano ricevette la telefonata del padre che lo informava che l’avvocato era in
strada con la macchina e sarebbe arrivato da un momento all’altro.
Alle 16,30 Damiano decise di fare da solo. Si presentò nell’ufficio di Polizia Giudiziaria
della Procura della Repubblica di Latina, così come indicato nella lettera della convocazione.
L’ispettore di Polizia Giudiziaria, incaricato dalla Procura per redigere il verbale di sommarie
informazioni, si mostrò subito cordiale e disponibile. Consigliò a Damiano di attendere l’avvocato,
dicendogli che non avrebbe tenuto conto del ritardo. L’ispettore era molto giovane, ma nonostante
tutto sembrava padrone del proprio mestiere. Rispondeva a telefono con determinazione, parlava un
italiano fluente e corretto e smentiva tutti quei luoghi comuni che volevano i componenti delle forze
dell’ordine come persone ignoranti e analfabete. Dall’accento sembrava essere veneto, o comunque
di quelle parti, e Damiano riuscì anche a scambiarci qualche opinione. Nell’attesa dell’arrivo
dell’avvocato, Damiano lesse il verbale che Valerio e Arturo firmarono davanti al Commissario di
Polizia di Formia per tirarsi fuori dalla vicenda e venne formalmente a conoscenza del vile
tradimento. Secondo quel verbale Valerio e Arturo erano al porto di Gianola per fatti loro, che prima
di allora non avevano mai visto e conosciuto Damiano e che la droga gli fu offerta con una certa
insistenza per un consumo collettivo. Dal verbale risultava che quel pomeriggio il porto di Gianola
era pieno di famiglie con tanto di bambini al seguito.
A tutto c’era una spiegazione, e dopo qualche secondo di smarrimento Damiano capì che le
firme di Valerio e Arturo sotto quel verbale erano state estorte con la forza.
Alle 17,00 l’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro ancora non si vedeva.
Alle 17,20 l’ispettore chiese a Damiano di accettare una difesa d’ufficio e rinunciare alla
difesa del suo avvocato di fiducia. L’ufficio doveva chiudere alle 18,00 e se l’avvocato Caracciolo
avesse ritardato ancora, l’interrogatorio poteva non tenersi, e sul verbale avrebbe scritto che
l’interrogatorio non si era formalmente tenuto come prescritto dalla legge, per assenza del proprio
difensore di fiducia. Infine avrebbe rimesso il verbale nelle mani della Procura per i provvedimenti
successivi. Damiano osservò l’ispettore di Polizia Giudiziaria con molta diffidenza, come se lo
stesse fregando. L’ispettore di Polizia Giudiziaria, sempre con molta educazione e con estrema
delicatezza, dimostrandosi amichevole, confessò a Damiano di aver letto tutto il fascicolo e che
aveva anche seguito la notizia attraverso i giornali. Dimostrò di conoscere tutta la vicenda e cercò di
tranquillizzare Damiano dicendogli che l’interrogatorio che avrebbe dovuto sostenere era soltanto
una formalità e che il Pubblico Ministero avrebbe sicuramente archiviato il caso con il “non luogo a
procedere”. In quei mesi Damiano aveva imparato a riconoscere le persone per bene dai malfattori,
e quell’ispettore gli sembrava tanto una persona per bene, di cui potersi fidare.
Alle ore 17,35 l’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro fece il suo ingresso in ufficio di
Polizia Giudiziaria. Era sudatissimo, puzzava come un cane bagnato, aveva la cerniera del
pantalone semi aperta e con un lembo della camicia che gli fuoriusciva, era spettinato e con una
evidente infarinatura sulle spalle della giacca come se fosse appena uscito da un polveroso
scantinato. Iniziò a farneticare con le sue due o tre frasi in latino che conosceva a memoria e a
inveire contro l’ispettore che avrebbe dovuto redigere il verbale di deposizione. Parlò di difetti di
notifica, di incompletezza della convocazione e di un’altra serie di incomprensibili norme che
l’ispettore di Polizia Giudiziaria tentò di confutare. L’avvocato Caracciolo si sentiva forte del fatto
che di fronte aveva un ispettore molto giovane e quindi, secondo lui, inesperto e facilmente
impressionabile. Ma lo stesso ispettore non si fece né impressionare né intimorire. Il tono della voce
tra i due si alzò progressivamente, fino a quando l’ispettore di Polizia Giudiziaria tentò un ultima
volta di spiegare all’avvocato Caracciolo che stava esasperando una situazione che si sarebbe svolta
nella massima serenità e che il Pubblico Ministero avrebbe sicuramente archiviato il caso. Damiano
tifava per l’ispettore di Polizia Giudiziaria, che gli dava più fiducia del suo stesso avvocato di
fiducia, e sperava che l’avvocato finisse quella sceneggiata al più presto. Forte della delega legale
firmata da Damiano e della sua arroganza forense, l’avvocato si irrigidì al punto di non
sottoscrivere alcun verbale, preannunciando di arrivare fino alla Corte di Cassazione per impugnare
la notifica dell’invito a comparire. L’ispettore di Polizia Giudiziaria guardò per l’ultima volta
Damiano con uno sguardo di commiserazione e impotenza e chiuse il verbale della seduta scrivendo
che Damiano e il suo avvocato non volevano costituirsi nell’interrogatorio per vizio di forma della
notifica. Il fascicolo a quel punto, sarebbe passato nelle mani del Pubblico Ministero della Procura
della Repubblica di Latina per gli adempimenti successivi.
Uscendo dall’ufficio l’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro chiese al proprio assistito
se fosse stato contento della difesa che aveva posto in essere, di come aveva trattato
quell'ispettoruncolo da quattro soldi, e se fosse rimasto soddisfatto di come il Pubblico Ministero,
sicuramente grazie a lui, avrebbe archiviato il caso perché era sicuro di essere riuscito a
impressionare l’intero ufficio. Disse anche che aveva volontariamente alzato la voce, sia per farsi
sentire dagli uffici circostanti e sia per affermare la propria autorevolezza in un contesto nel quale
molto spesso si era servili e accondiscendenti. L’avvocato confidò a Damiano di essersi attardato
perché durante il tragitto da Formia a Latina avrebbe incontrato una ventenne rumena procace con
la quale si era intrattenuto in disquisizioni di alto diritto “penale”, alla modica cifra di venti euro.
Servizio completo.
Damiano sembrava non credere alle proprie orecchie: quel vecchio trombone bavoso rattuso
e zozzo aveva ritardato l’udienza perché era andato a puttane? E se ne compiaceva anche? Ma la
cosa peggiore era che quel forforoso puttaniere dell’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro
aveva mandato a puttane anche la possibile archiviazione di una inchiesta che non stava né in cielo
e né in terra.
Damiano decise che se l’inchiesta della Procura della Repubblica di Latina fosse proseguita,
l’avvocato Caracciolo non sarebbe stato mai più il suo avvocato. A costo di litigare anche con il
proprio padre, che era suo amico.
MERCOLEDI’ 16 MARZO - Dopo due mesi Damiano riuscì anche a superare la rabbia generata
dalla squallida arringa tenuta dall’avvocato puttaniere. Si concentrò sul lavoro, sulle ripetizioni
private e sulla stesura delle varie tesi di laurea che gli commissionavano. Aveva aumentato anche il
numero degli studenti che richiedevano lezioni, soprattutto perché si era ormai a qualche mese dalla
chiusura dell’anno scolastico e gli studenti che erano rimasti indietro con il programma didattico
erano sempre più numerosi. Anche il suo reddito aumentava considerevolmente, fino a toccare
punte da milleduecento euro al mese.
Ma quella sera di inizio primavera Damiano decise di distrarsi e di rileggersi tutti gli articoli
e i commenti pubblicati su internet sulla vicenda giudiziaria che lo riguardava. Rileggere tutto a
mesi distanza gli permise di approcciarsi agli articoli giornalistici con il dovuto distacco e senza
particolari coinvolgimenti emotivi. Lesse tutte le cattiverie che lo avevano riguardato, i commenti
degli utenti che parlavano e sparlavano di lui senza neanche conoscere i fatti più elementari della
vicenda. Rilesse gli articoli a volte sorridendo sulle improvvisazioni e le superficialità dei
giornalisti, altre volte sudando freddo per la gravità e la pesantezza delle accuse che si susseguivano
impietosamente. Stampò tutti gli articoli che lo riguardavano e tutto ciò che era riconducibile a
quella incredibile Pasquetta di un anno prima. In una chiavetta usb caricò tutti i video trasmessi
dalle televisioni locali che parlavano di lui, di Valerio e Arturo. Non c’era un motivo particolare per
la formazione di quell’archivio personale, ma pensò che tutto quel lavoro di archiviazione, prima o
poi, gli sarebbe servito. Magari, chissà, un giorno avrebbe potuto scriverci una sceneggiatura per un
film.
Pensò anche a tutte le risposte che avrebbe potuto dare e non aveva mai dato. Durante
quell’anno scelse il silenzio, scelse di non rispondere alle provocazioni e di attendere che
quell’incredibile storia scemasse da sola. A un anno di distanza ripensò se fosse stato opportuno o
meno difendersi da tutte le accuse che lo avevano travolto, oppure se fosse stato meglio rispondere
punto per punto a quella fogna mediatica che gli avevano scaraventato addosso. Damiano sapeva
che senza controprova non era possibile formulare alcuna congettura ma, realmente, si chiese, come
si sarebbe sviluppata la vicenda se lui avesse risposto punto per punto a tutte le accuse rivoltegli.
Quale sviluppo giudiziario ci sarebbe stato se avesse tentato di scagionarsi? quale effetto
avrebbe avuto una sua autodifesa nei confronti dei media? ne avrebbero tenuto conto o no? Forse
quel suo silenzio veniva interpretato dall’opinione pubblica come un silenzio - assenso alle ipotesi
che formulate quotidianamente dai giornalisti locali. Forse sarebbe stato opportuno rispondere
punto per punto a tutte le accuse che gli erano state imputate.
Damiano non era un vero appassionato di internet come i suoi coetanei. Era iscritto a
facebook, ma solo perché lo erano tutti, e usava il computer prevalentemente per motivi di studio. A
volte leggeva le notizie dei giornali nazionali e altre volte scaricava qualche film in prima visione.
Quella sera, però, nell’ambito della ricerca che stava conducendo, si accorse delle enormi
potenzialità di interazione che internet offriva. Un’opportunità che aveva sempre sottovalutato ma
che poteva rivelarsi utile per interagire con i suoi concittadini, con intelligenza e serietà. Nel corso
della ricerca che condusse quella sera, il suo interesse si soffermò su un comunicato stampa del
sindaco Pappagogna di tre anni prima, nel quale annunciava imminenti realizzazioni di Opere
Pubbliche per un importo totale di quattro milioni di euro, che avrebbero cambiato il volto urbano
della città. Pappagogna millantava una grande capacità di persuasione nei confronti della Regione
Lazio, ente erogatore del finanziamento milionario, e una particolare capacità di realizzare
tempestivamente le opere promesse: piste ciclabili, sovrappassi pedonali, accessi al mare, asfalto e
messa in sicurezza delle strade collinari e la costruzione di tre rotatorie in altrettanti punti nevralgici
del traffico cittadino. L’inizio dei lavori degli appalti era dato per imminente ma quelle opere non
furono mai realizzate e nessuno degli amministratori comunali, a tre anni di distanza, aveva mai
dato spiegazione dell’utilizzazione di quei quattro milioni di euro.
Per la prima volta Damiano decise di scrivere un articolo per i siti locali on line. Si
registrò a tutti i blog di informazione locale con il nick name PENNAROSSA e inviò una nota dal
titolo: DEVE SONO FINITI I QUATTRO MILIONI DI EURO PROMESSI DA PAPPAGOGNA?
Un articoletto stupido e inconcludente di una ventina di righe, con l’indicazione del link delle
dichiarazioni di Pappagogna di tre anni prima, senza alcuna velleità giornalistica, tanto per
sperimentare l’efficacia del nuovo strumento di comunicazione fino a quel momento mai usato da
Damiano. Inizialmente nessun blog pubblicò quell’articolo, perché ognuno aspettava che fosse
qualcun altro a pubblicarlo per primo. Dopo tre giorni, però, uno dei venti blog ai quali era stato
invitato l’articolo decise di pubblicarlo. E fu così che anche gli altri blog di informazione locale
fecero altrettanto. L’articolo scritto da Damiano, alias PENNAROSSA, ebbe un buon successo di
letture e di commenti, ma ciò che caratterizzò quell’articolo fu il gradimento degli internauti. Ai
formiani piaceva quel misterioso PENNAROSSA che scriveva con un lessico non stereotipato,
senza commettere errori di ortografia, cosa assai rara in internet, e con una sagacia molto
particolare. Il gradimento degli internauti spinse PENNAROSSA a scrivere altre decine di articoli
di quel genere. Con un qualsiasi motore di ricerca era facile trovare le dichiarazioni di Pappagogna
di qualche anno prima e svelare la totale inaffidabilità di un sindaco bugiardo e millantatore,
l’inutilità delle forze politiche di opposizione che non ne denunciavano le malefatte, diventandone
complici a pieno titolo. E fu proprio l’equidistanza politica di PENNAROSSA a suscitare simpatie
dai sempre più assidui e numerosi lettori. PENNAROSSA non era schierato, non era fazioso, non
parteggiava per alcun partito, era completamente distaccato da qualsiasi interesse personale e
scriveva cose intelligenti e interessanti. Ed è per questo che cominciava a dare molto fastidio a tutti
i politici locali, che lo avrebbero visto volentieri appeso a testa in giù al lampione più alto di
Formia. Il Comune di Formia diramò l’ennesimo comunicato nel quale accusava una certa
informazione locale di essere lurida, che compie operazioni luride, degne di persone luride.
VENERDI’ 8 APRILE - Damiano era esaltato da quella nuova attività giornalistica. Il suo avatar
PENNAROSSA
imperversava su tutti i siti internet seminando zizzania e suscitando le più
disparate reazioni. PENNAROSSA scriveva un articolo alla settimana, precisamente il mercoledì
mattina, divenendo immediatamente il beniamino di tutti i cittadini di Formia. Nel tempo che
intercorreva tra un articolo e un altro, PENNAROSSA realizzava accurate ricerche nel sito internet
del Comune di Formia, leggeva le varie delibere di giunta e di consiglio comunale, le esaminava, e
dopo pochi minuti era in grado di scovare tutte le porcherie che si celavano dietro i freddi e
apparentemente neutri atti amministrativi che Carmine Pappagogna produceva. PENNAROSSA
svolgeva il ruolo che qualunque consigliere comunale di opposizione avrebbe dovuto svolgere, pur
senza mai essere entrato in un consiglio comunale. Riusciva con poco a portare alla luce intrallazzi,
porcherie varie, conflitti di interesse, ritardi, costi gonfiati delle opere pubbliche, riuscendo a
svolgere un ottimo servizio di controinformazione. Pappagogna non immaginava neanche cosa
fosse la controinformazione, ma odiava l’informazione. Odiava il fatto che i cittadini di Formia
sapessero tutto ciò che accadeva nei suoi uffici, e quel PENNAROSSA iniziava ad infastidirlo
seriamente. Cercò di intercedere presso gli editori dei siti locali per conoscere il nome della persona
che si celava dietro quel nick name, ma non riuscì nel suo intento. Damiano “pennarossa” inviava
tutti i suoi post da un computer della biblioteca della facoltà di Filosofia di Cassino, dove si recava
tutti i mercoledì mattina per compiere le ricerche commissionategli per la stesura delle tesi di
laurea. Era impossibile risalire all’autore dei post di PENNAROSSA e qualcuno tra le forze
dell’ordine, molto devoto del sindaco, ci aveva anche provato. Damiano scriveva i suoi post a casa,
li caricava in una chiavetta usb e ogni mercoledì, con un semplice click, li inviava a tutti i siti
internet della zona.
Ma PENNAROSSA non si limitava a denunciare pubblicamente le porcherie di Pappagogna
& company. Molto spesso si prodigava in articoli di proposta sui diversi problemi della città,
mettendo in imbarazzo le stesse forze politiche di opposizione che avrebbero dovuto svolgere quel
compito in modo puntuale e costante. Il misterioso PENNAROSSA era odiato sia dalla destra che
dalla sinistra, sia da Pappagogna che dai suoi falsi oppositori. Per questo motivo dopo più di un
mese di pressioni politiche il nick name PENNAROSSA fu rimosso dai siti locali. Ma Damiano non
si arrese: il giorno dopo aprì un sito internet in proprio, chiamato www.pennarossa.it, e un gruppo
facebook “pennarossa“, nei quali poteva esprimere tutte le sue considerazioni senza il timore di
essere censurato. Se fino ad allora si era trattenuto per il dovuto rispetto all’ospitalità che gli
concedevano gli altri siti internet, con il suo nuovo sito nulla poteva più fermarlo. Divenne ancora
più duro e irriverente di quanto fosse stato fino a quel momento, aumentando considerevolmente il
gradimento di gran parte dei cittadini di Formia. Per il lancio del suo sito utilizzò una notizia di
circa venti anni prima e la pubblicò integralmente senza aggiungere alcun commento: QUESTA
MATTINA E’ STATO ARRESTATO IL SINDACO DI FORMIA CARMINE PAPPAGOGNA. La
notizia era reale, copiata da un giornale di carta stampata, ma risaliva a venti anni prima.
Ripubblicarla sul sito, richiamandola su facebook, ottenne comunque un effetto devastante. Molti
internauti, infatti, si limitavano a leggere semplicemente i titoli, senza approfondire il contenuto
della notizia. Per cui, per almeno un migliaio di cittadini di Formia, quella mattina il loro sindaco
era stato realmente arrestato, scatenando le ire di Pappagogna e dei suoi sodali. Ricordare
quell’infausto giorno del 1991 fu come rimestare nel torbido di una carriera politica vissuta
interamente oltre il limite della correttezza e della legalità.
Anche gli altri giornali sottolinearono la sortita di PENNAROSSA e del suo irriverente
modo di fare informazione. Per porre rimedio alle figure di merda che PENNAROSSA gli faceva
fare ogni giorno, Pappagona fu costretto a promettere ai cittadini di Formia un paio di statue di
Padre Pio da collocare in due giardinetti pubblici di periferia, con tanto di inaugurazione in gran
pompa con il redivivo arcivescovo di Formia.
Damiano, al secolo PENNAROSSA, era ormai considerato l’esponente politico più credibile
e amato dell’intera città, tanto da essere acclamato come futuro candidato a sindaco. Troppa grazia
per uno che solo tre mesi prima era considerato un narcotrafficante, delinquente, assassino, zeccone,
ricchione e pure comunista, con un cognome che era tutto un programma. Il sito internet di
PENNAROSSA divenne in pochi giorni il sito più cliccato dagli internauti formiani, scatenando le
gelosie e le ire di tutti gli editori dei mass media locali. Nei giorni successivi scattò la caccia
all’identità del misterioso PENNAROSSA, che però si era ben guardato dal fornire i suoi dati
anagrafici per la registrazione del sito. Sapeva che solamente l’anonimato lo avrebbe messo al
riparo da qualsiasi rappresaglia personale. E comunque, Damiano non venne neanche sfiorato dal
toto blogger che si scatenò per individuare il misterioso PENNAROSSA.
LUNEDI’ 25 APRILE - Quell’anno Pasquetta cadde nello stesso giorno della Festa di Liberazione.
Damiano la trascorse in casa a stilare una bozza di tesi di laurea che avrebbe consegnato tre giorni
dopo a un ragazzo di Roma. Il giorno prima era stato a pranzo con i suoi genitori e il padre lo
incalzò sulla questione dell’identità di PENNAROSSA. Damiano fece il vago, il disinteressato ma il
padre sembrava aver mangiato la foglia e scoperto il nome, cognome e tante altre caratteristiche del
misterioso PENNAROSSA. Anche la madre aveva capito che PENNAROSSA e Damiano erano la
stessa persona, ma non infierì più di tanto con il figlio. Damiano sapeva che poteva contare sulla
discrezione dei genitori, ma ugualmente negò fino all’ultimo di essere lui PENNAROSSA.
Nonostante la concentrazione che ci voleva per scrivere una tesi di laurea, in quel giorno
particolare Damiano non poté fare a meno di pensare a quanto accaduto l’anno precedente nella
stessa ricorrenza. Quella stramaledetta Pasquetta con Valerio e Arturo si era trasformata nella più
colossale fregatura mai presa da un essere umano. Damiano rivisse con la mente quel pomeriggio,
sorridendo alla simpatia di Arturo, ai dischi di Laura Pausini, alla timidezza di Valerio, agli ispettori
di Polizia che li avevano beccati con la canna in mano e alla spensieratezza di un pomeriggio
trascorso con gli amici.
Già … gli amici … gli amici persi … gli amici che lo avevano abbandonato … gli amici che
gli avevano voltato le spalle … gli amici che lo avevano tradito, scaricato, deluso … gli unici amici
veri che aveva. Damiano non riusciva a provare odio per Valerio e Arturo. Sapeva che prima o poi
avrebbero ricucito i rapporti, si sarebbero chiariti e avrebbero ripreso a ubriacarsi insieme e magari
a fumare quella mezza canna che ancora non avevano consumato.
Alle 5 di pomeriggio Damiano decise di interrompere il lavoro sulla tesi, di prendere la
macchina e uscire. Decise di tornare al porticciolo romano di Gianola per distrarsi e prendere una
boccata d’aria nella natura della periferia. Forse in cuor suo si aspettava che Valerio e Arturo
avessero fatto altrettanto, che avessero avuto la sua stessa idea, che i ricordi della Pasquetta
precedente li avessero trascinati nel posto che li aveva visti protagonisti involontari di quell’anno
vissuto nel surreale.
Quando Damiano arrivò al porticciolo romano, notò uno scenario completamente diverso
rispetto all'anno precedente. La calda giornata di sole di quell’estate in anticipo favorì la presenza di
molte famiglie che l’anno prima furono dissuase dalla giornata di pioggia. C’erano bambini che
giocavano a palla, genitori indaffarati nei preparativi per il ritorno a casa e i guardaparco che
vigilavano a debita distanza sui comportamenti da tenere nel sito archeologico. I guardaparco erano
intenti a sollecitare i visitatori a lasciare il posto poiché mancava l’illuminazione; trovandosi in una
riserva naturale, la luce artificiale avrebbe potuto turbare il naturale equilibrio del luogo.
Damiano si sedette sullo stesso scoglio sul quale, un anno prima, si era seduto in compagnia
di Valerio e Arturo e attese paziente l'arrivo dei due amici. Era sicuro che Valerio e Arturo avrebbero
avuto lo stesso pensiero e che di lì a poco sarebbero apparsi dal fitto della vegetazione.
E invece non vi fu alcuna rimpatriata. Evidentemente Valerio e Arturo erano
sentimentalmente meno motivati di Damiano. Loro avevano scampato la vicenda giudiziaria e tutte
le beghe burocratiche che invece Damiano aveva dovuto affrontare.
Valerio era tutto preso dallo studio. Gli mancavano pochi mesi alla laurea triennale in
Giurisprudenza. Aveva terminato tutti i corsi didattici e doveva sostenere ancora un solo esame,
dopodiché avrebbe inoltrato la richiesta per la discussione della tesi di laurea sui diritti dei
lavoratori e delle famiglie extracomunitarie in Italia. Una tesi sperimentale, di alto livello tecnico,
che il suo relatore avrebbe girato alle riviste specialistiche del diritto alla modica cifra di un paio di
migliaia di euro. I genitori di Valerio volevano che il figlio presentasse una tesi di laurea in diritto
amministrativo, perché sognavano per lui un futuro da avvocato amministrativista. Valerio riuscì a
spuntarla e optò per una materia, quella del diritto dei lavoratori extracomunitari, meno importante
per la carriera forense ma più importante per lui e decisamente più interessante.
Arturo, anche volendo, non poteva mai essere quel pomeriggio al porticciolo turistico di
Gianola. Era ricoverato da due giorni per collasso all’ospedale di Formia, ma non per i motivi legati
al consumo delle sostanze stupefacenti. Il venerdì santo, giornata nella quale tradizionalmente non
si poteva mangiare carne, Arturo partecipò a una cena sociale a base di carne di suino e di abbacchi
alla brace, contravvenendo a tutti i peccati mortali previsti dalle varie prescrizioni religiose. Mangiò
talmente tanta carne da sfondarsi lo stomaco, al punto da incorrere in una violenta indigestione che
imponeva il ricovero ospedaliero. Nei quattro giorni di ricovero ospedaliero Arturo fu assistito
giorno e notte dal ragazzo diversamente abile che lui avrebbe dovuto assistere. E pensare che il
giorno prima Arturo aveva seriamente deciso di diventare vegetariano.
GIOVEDI’ 5 MAGGIO - Mai abbassare la guardia. Mai pensare che le cose si aggiustano da sole.
Mai confidare ciecamente nella provvidenza. Mai sperare nella sorte. Mai confidare nel cieco caso.
Mai credere che la Procura della Repubblica di Latina potesse dimenticarsi di Damiano e dei suoi
guai giudiziari. Manco fosse stato un pericoloso camorrista, un evasore fiscale abituale o un assiduo
costruttore di immobili abusivi. Il padre gli aveva sempre detto di non preoccuparsi; quella specie di
avvocato che si ritrovava gli aveva sempre detto di non preoccuparsi; il suo ottimismo gli aveva
sempre detto di non preoccuparsi. Ma quella mattina, nella cassetta delle lettere, trovò una
convocazione per un processo, un vero e proprio processo, con tanto di giudice, pubblico ministero,
testimoni, parti lese, avvocati e carte bollate.
Il 21 settembre alle ore 11, Damiano era stato convocato presso il Tribunale di Latina come
imputato al reato previsto dall’art. 73 del DPR 309/90, per essere stato sorpreso a usare e
spacciare eroina in luogo pubblico, anche alla presenza di bambini, con il concorso di altri
soggetti di natura sudamericana non identificati, presso il porticciolo romano di Gianola in Formia
alle ore 17,10 del giorno 5 aprile 2010.
Nel plico, inviato dal Tribunale di Latina, c’erano anche altri fogli che Damiano si prefisse
di leggerli la sera stessa con la mente rilassata. Quella mattina aveva troppi impegni per dar retta
alle farneticazioni del Tribunale di Latina. Quella mattina doveva preparare una difficile lezione di
Greco che avrebbe dovuto impartire nel pomeriggio a uno studente del quinto anno del liceo
Classico.
Contrariamente alle preoccupazioni del passato, Damiano era calmo e sereno. Lesse il plico
del tribunale con molta sufficienza, come se la cosa lo sfiorasse appena, come un semplice fastidio
da affrontare e nulla di più. Anzi, quella mattina era anche divertito della convocazione in tribunale
perché ancora non sapeva cosa ne avrebbe pensato il mitico PENNAROSSA. Ovviamente avrebbe
atteso che i giornali locali avessero dato la notizia in modo da non destar sospetti sulla correlazione
tra lui e il suo avatar.
Una cosa però gli frullava per la testa. Come è possibile che si svolgesse un processo senza
prima essere passati dinanzi al giudice delle indagini preliminari? Damiano era uno sprovveduto in
campo giuridico, ma in quegli ultimi mesi aveva letto tanto sulla procedura del codice penale.
Sapeva che dopo la convocazione per le sommarie informazioni della Polizia Giudiziaria, ci sarebbe
dovuta essere un'udienza preliminare nella quale il giudice delle indagini preliminari avrebbe deciso
se assolverlo o rinviarlo a giudizio; solo in questo ultimo caso ci sarebbe stato un processo vero e
proprio davanti a un giudice ordinario. Come mai allora il Tribunale di Latina aveva saltato quel
passaggio fondamentale della procedura?
La risposta la trovò la sera stessa quando si dedicò all’esame completo del contenuto del
plico del tribunale. Nel plico trovò la convocazione per il 21 settembre successivo, con
l’indicazione del giudice, della stanza e dell’orario nel quale presentarsi, e poi notò un foglio
aggiuntivo scritto a penna, difficile da decifrare. Nel foglio aggiuntivo c’era un dispositivo del
giudice delle indagini preliminari che un mese prima avrebbe sentenziato il rinvio a giudizio.
Praticamente un mese prima c’era stata un’udienza preliminare, come prescritto dal codice di
procedura penale, e vi era stata la sentenza di rinvio a giudizio di Damiano.
Qualcosa non quadrava. Damiano doveva essere avvisato dell’udienza preliminare, doveva
essere presente, doveva potersi difendere davanti al giudice, doveva poter citare testimoni, deporre,
contro-dedurre le accuse del Pubblico Ministero, insomma, poteva difendersi. Tornò a sfogliare un
vecchio testo del codice di procedura penale che aveva acquistato proprio per studiare la sua
situazione, ma pensò che probabilmente c’era stata qualche modifica legislativa negli ultimi tempi
che aveva cambiato tutta la procedura. L’indomani mattina decise di recarsi alla cancelleria del
tribunale per capire meglio la situazione.
VENERDI’ 6 MAGGIO - I giornali e i siti internet erano all’oscuro della notizia o forse non la
consideravano più di interesse giornalistico. Con una notizia di rinvio a giudizio, in tempi passati,
avrebbero riempito pagine intere di congetture, allusioni e verdetti finali. Sta di fatto che anche
quella mattina i quotidiani erano privi di riferimenti del processo di Damiano.
Era la prima volta che Damiano entrava in un tribunale. Si trovò proiettato in una
dimensione completamente nuova rispetto agli uffici pubblici che aveva frequentato fino a quel
momento. In uno spazio di cento metri quadrati c’erano una trentina di avvocati che incassavano
almeno centomila euro l’anno ma che non dichiaravano più di duemila euro, altrettanti assistenti
che guadagnavano, loro sì, due mila euro l’anno, una decina di clienti e assistiti, un paio di
giornalisti in cerca di notizie e una pletora di testimoni pronti a giurare di dire la verità, tutta la
verità, niente altro che la verità. Quella che per Damiano era una situazione di confusione e di
baldoria, per gli astanti era la normalità.
Il disagio che Damiano avvertì immediatamente era legato al suo abbigliamento. I vestiti di
Armani e Versace erano le divise di ordinanza dei vari avvocati e dei loro assistenti, come se
indossare un capo di abbigliamento dal prezzo inferiore a cinquecento euro fosse condizione di
inferiorità anche professionale. Sembrava di trovarsi a un meeting di venditori di enciclopedie o
peggio ancora a un congresso della nuova Forza Italia, dove i congressisti erano gli stessi piazzisti
delle enciclopedie. Damiano indossava jeans, scarpe da ginnastica e maglietta e si sentiva alquanto
a disagio e fuori luogo.
Davanti all’ingresso della stanza della cancelleria c’erano un paio di persone che
attendevano il loro turno e una quindicina di avvocati che entravano e uscivano senza minimamente
considerare coloro che per entrare attendevano il proprio turno. Non potevano certo perder tempo a
fare la fila come gli altri, loro. Damiano aspettò oltre mezz’ora e poi entrò finalmente nell’ufficio.
Una segretaria sui 50 anni, con capelli ossigenati e mascara a chili, con lo sguardo rivolto in basso
sulle scartoffie che aveva davanti, gli chiese: “che vuole?”, senza pronunciare alcuna frase di
circostanza del tipo: “Buongiorno, posso esserle utile? Desidera qualcosa?”
Damiano non rimase scosso più di tanto da quell’atteggiamento indisponente e avanzò
educatamente le sue richieste. Voleva visionare il fascicolo del procedimento penale di cui aveva il
numero di sequenza, per poi eventualmente estrarne le fotocopie che riteneva opportune.
Senza neanche alzare lo sguardo e senza accertarsi delle generalità del richiedente, la
segretaria gli porse un modulo da riempire e firmare e gli indicò il faldone all’interno del quale
avrebbe trovato la cartellina del procedimento penale richiesto. Damiano non aveva molta
dimestichezza con le scartoffie, ma chiedere un aiuto a quella segretaria sarebbe stato assolutamente
vano. Il suo fascicolo era inserito nello stesso faldone di camorristi, delinquenti abituali, estorsori,
usurai e papponi, e sorrise amaramente nel pensare all’allegra compagnia che lo attendeva in
carcere.
Nel proprio fascicolo scoprì che, qualche settimana prima, si era tenuta l’udienza
preliminare che lo riguardava, che per la sua assenza dal processo era stato considerato contumace,
che la notifica dell’udienza era stata inviata all’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro, dove lui
era elettivamente domiciliato, e che anche il suo avvocato non si era presentato all’udienza. Il
giudice delle indagini preliminari aveva quindi disposto il rinvio a giudizio e la fissato l’udienza del
processo davanti al giudice ordinario per il successivo 21 settembre.
Damiano era stato condannato al rinvio a giudizio dal giudice delle indagini preliminari
perché l’avvocato Caracciolo non aveva provveduto a costituirsi nell'udienza fissata qualche
settimana prima. In quel momento gli vennero in mente le parole del giudice di Napoli, padre del
suo allievo, che lo esortava a evitare il processo e a concludere tutto nella fase preliminare “…
sempre secondo me, dovresti fare in modo di non arrivare mai al processo e cercare di chiudere la
partita molto prima, con un decreto di archiviazione. Finire a processo non giova a tuo favore. E’
troppo rischioso per te. Puoi trovare un qualsiasi giudice che ti dia torto e rischiare tutti e sei gli
anni di carcere”.
Damiano telefonò subito al padre per informarlo della imperizia professionale dell’avvocato
Caracciolo, chiedendogli di revocargli immediatamente il mandato. Avrebbe scelto personalmente il
suo avvocato difensore per il processo del 21 settembre e non avrebbe mai più sopportato ingerenze
da parte del padre o di chiunque altro. Quel poco di buono di Caracciolo si era dimenticato di
informare Damiano dell’udienza del giudice per le indagini preliminari, si era dimenticato di essere
presente in aula e si era dimenticato anche di informarlo sull’esito negativo dell’udienza.
Il nuovo avvocato lo avrebbe scelto con ponderatezza. Non poteva più permettersi di
commettere errori di poco conto che avrebbero inficiato l’intera difesa processuale. Damiano non
aveva paura di essere condannato. Aveva solamente paura di perdere il processo per questioni di
poco conto. Non temeva il processo in sé, ma tutti gli aspetti procedurali e burocratici che proprio
non gli scendevano giù. Gli unici processi ai quali aveva assistito erano quelli visti al cinema con
arringhe tra avvocati e colpi di scena, con indagini investigative e testimoni messi sotto torchio. A
Latina il massimo del colpo di scena che potevi aspettarti erano le eccezioni procedurali per difetto
di notifica.
Tra i duemila avvocati del foro di Latina doveva pur esserci qualche personaggio onesto e
motivato, che rispettava il codice deontologico dell’ordine, che non viveva di eccezioni procedurali,
prescrizioni e cavilli burocratici e che non fosse ammanigliato con tutti i politici locali.
Damiano si diede un metodo e una scadenza precisa. La ricerca del suo nuovo avvocato
sarebbe durata al massimo dieci giorni. Avrebbe usato inizialmente internet e successivamente si
sarebbe recato personalmente nelle aule di tribunale di Latina per tastare di persona la
professionalità dei vari principi del foro. Avrebbe scelto il migliore e il più affidabile, almeno, nel
caso in cui fosse andata male, non avrebbe avuto remore.
SABATO 7 MAGGIO - Il padre di Damiano aveva parlato con l’avvocato Caracciolo per conosce i
motivi della sua assenza in tribunale all’udienza preliminare. L'avvocato non si era dimenticato, ma
aveva semplicemente dato incarico ad un proprio collega poiché, proprio quel giorno, gli erano stati
offerti ventimila euro per comparire, alla stessa ora, in un aula del tribunale di Frosinone per una
causa di separazione consensuale. Era però stato rassicurato che sarebbe stato sostituito all’udienza
di Damiano da un collega, tanto che era convinto che l’udienza si fosse tenuta e avesse avuto esito
positivo.
Damiano iniziò quella sera stessa la ricerca del suo nuovo avvocato. Tra i requisiti richiesti
aggiunse che non doveva essere un venduto, cosa banale e scontata fino al giorno prima. Individuò
subito tre avvocati che potevano far per lui, ma per essere più sicuro voleva vederli all’opera. Il loro
curriculum era di indubbio valore accademico ma potevano esserci discrepanza tra teoria e pratica;
decise quindi di tornare il lunedì successivo al Tribunale di Latina per vederli all’opera.
Anche Damiano rimase turbato dalla vicenda narrata dall’avvocato Egidio Caracciolo Di
Trorchiaro. Certo la sua versione poteva essere plausibile, ma poteva essere altrettanto verosimile
che qualcuno aveva voluto peggiorare volutamente la sua situazione comprandosi il sostituto di
Caracciolo o il Caracciolo stesso. L’ideale era riuscire a trovare un avvocato onesto, incorruttibile e
lontano dalle beghe di provincia,
Quella sera stessa Formia Oggi pubblicò la notizia su facebook che la data del processo di
Damiano era fissata per il 21 settembre, comunicando che tutti i particolari potevano essere letti il
giorno successivo sul giornale nelle pagine della cronaca di Formia. La notizia fece ripartire il
circus mediatico delle ipotesi, delle congetture, dei commenti, delle cazzate scritte dai
“commentatori” di internet. Damiano decise subito che PENNAROSSA sarebbe rimasto fuori dal
dibattito e avrebbe atteso che gli internauti si sfogassero fino al disinteresse.
Coincidenza volle che quello stesso giorno Carmine Pappagogna, insieme al vescovo di
Formia, annunciasse la costruzione di un centro di accoglienza per redimere drogati e alcolisti
cronici. Alla Regione Lazio giacevano svariati milioni di euro inutilizzati per le politiche contro le
droghe e l'alcolismo e per il Comune di Formia fu gioco facile papparsi quel residuo di
amministrazione. C’erano da accontentare costruttori edili e artigiani che gravitavano attorno ai
politici di turno. Tre milioni di euro diventavano un’occasione ghiotta per rilanciare il mercato del
cemento, per favorire le ditte “amiche”, per rimestare nel torbido degli appalti e per accreditarsi
presso i vertici del clero. A Pappagogna interessava solo la costruzione dell’immobile, e della
funzione sociale non gliene fregava un cazzo. La gestione della struttura sarebbe stata affidata al
vescovo di Formia che avrebbe potuto farne quello che meglio credeva opportuno. La magistratura
non avrebbe mai indagato su di una struttura gestita direttamente dalla chiesa e questo metteva
Pappagogna nella tranquilla posizione di controllare l’intera operazione in tutta serenità. E poi
nessuno avrebbe mai indagato su di una struttura chiamata “Casa per la redenzione Padre Pio”.
La crisi economica e finanziaria che colpiva l’Italia in quei giorni non scalfiva minimamente
le quote di tangenti derivanti dalla realizzazione di opere pubbliche: dell’importo di tre milioni di
euro il dieci per cento andava a Pappagogna, pari a trecentomila euro e il cinque per cento al
vescovo di Formia, pari a centocinquantamila euro. PENNAROSSA si sarebbe sicuramente
interessato al caso, ma in quelle ore aveva altro a cui pensare.