NO alla violenza sulle donne

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NO alla violenza sulle donne
PERCHE' IL 25 NOVEMBRE NON SIA SOLO UNA RICORRENZA
di Lea Melandri e Maria Grazia Campari
Associazione per una Libera Università delle donne di Milano
firma l'appello
VIOLENZA DI GENERE: DAL PRIVATO ALLA SFERA PUBBLICA
Il problema della violenza maschile sulle donne - in particolare quella che avviene in ambito
domestico (maltrattamenti, stupri, persecuzioni, omicidi, ecc.) - è stato, negli ultimi sei anni,
al centro di grandi manifestazioni nazionali, oggetto di dibattiti, appelli, documenti,
ricerche, iniziative cittadine, da parte delle componenti più varie dell’impegno femminile. Il
fenomeno, come apprendiamo purtroppo dalle cronache quotidiane, non è diminuito, anzi, è
aumentato sommandosi alla violenza omofobica contro la libertà di scelta sessuale,
mentre è invece inspiegabilmente scomparso dall’agenda del movimento delle donne nel
momento stesso in cui stanno per essere chiusi, per mancanza di finanziamenti, alcuni centri
antiviolenza.
Senza aspettare che sia la ricorrenza del 25 novembre a ricordarcelo, è perciò necessario che il
tema venga ripreso e affrontato per la gravità che riveste e l’ampiezza delle implicazioni,
private e pubbliche, che vi sono connesse.
Nella speranza che il movimento nato dalle piazze del 13 febbraio non voglia attestarsi
soltanto su posizioni rivendicative, cancellando il mutamento profondo che dagli anni ’70 in
avanti il femminismo ha portato alla concezione tradizionale della politica, è importante perciò
che, prima di definire un’agenda fatta di obiettivi, proposte specifiche, articolate su diversi
piani, si faccia chiarezza sulle interpretazioni che hanno impedito finora di affrontare in tutta la
sua complessità e ambiguità una violenza che sembra legata fatalmente alle vicende più intime
del rapporto tra i sessi (sessualità, amore, maternità, affetti famigliari):
1. la lettura in chiave di devianza o patologia individuale, e non come residuo dell’antico potere
patriarcale di vita e di morte su donne, schiavi e figli;
2. l’uso in chiave sicurezza pubblica e di conflitto di civiltà, cioè contro i costumi barbarici di
questo o di quello ‘straniero’;
3. l’idea che si possa arginarla con politiche di tutela familiare, senza tener conto che sono
proprio i vincoli familiari a tenere ambiguamente confuse protezione e aggressività.
Un altro passaggio importante è non isolare la violenza nelle sue forme manifeste da quella che
passa e si perpetua invisibile attraverso la cultura maschile dominante - istituzioni, saperi,
linguaggi, habitus mentali, norme morali, mezzi di comunicazione, ecc. -, una
rappresentazione del mondo che le donne stesse hanno, loro malgrado, interiorizzata e fatta
propria. Rientra nella violenza simbolica o culturale anche la difficoltà a vedere il rapporto di
potere tra uomo e donna per la valenza politica che ha in sé, per cui persiste la tendenza a
porlo come “questione femminile”: le donne viste come un gruppo sociale omogeneo, portatore
di uno “svantaggio” storico da colmare, o di un “talento” da valorizzare quanto merita. In altre
parole: un sesso debole da tutelare, o una risorsa salvifica, una visione tutta interna alle
“differenze di genere” così come sono arrivate fino a noi, le stesse sulla base delle quali è
avvenuta la divisione tra privato e pubblico, la complementarizzazione e la subordinazione del
ruolo femminile a quello maschile.
L’identificazione della donna con il corpo, la funzione sessuale e riproduttiva, e quindi la sua
cancellazione come persona, è la ragione prima della sua esclusione dalla polis, ma a sua
volta, è la violenza implicita in questa privazione di spazi essenziali di spazi di libertà e di
potere decisionale ad avere pesanti ricadute negative sulla vita delle donne: dai gesti
quotidiani di disvalore alla persecuzione violenta di quelle che tentano gesti di autonomia.
Misure efficaci
Lo svantaggio sociale femminile cristallizzato nella famiglia tradizionale è all’origine della
violenza maschile che alligna nel privato e si espande nel pubblico anche grazie alla
mercificazione mediatica del corpo femminile, usato come elemento eccitante di promozione
vendite in senso lato.
Lo svantaggio politico percepibile in una democrazia a-partecipata e monosessuata determina
il quadro e lo completa.
Ecco perché la violenza sessista, anche domestica, non può mai essere un fatto privato, ma è
un’indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o mistificare attraverso la
scorciatoia dell’utilizzo del diritto criminale come risposta esclusiva o preponderante.
A ben altri livelli occorre agire per sradicare questo grumo di violenza ancestrale, sedimentato
nell’immaginario maschile, che va contrastato a partire dai primissimi messaggi che i bambini
ricevono dalla famiglia, dalla scuola e dalla società.
Le misure suggerite dall’esperienza ben più seriamente strutturata in altri Paesi europei (vedi
Legge spagnola del 2004) partono appunto da un piano di acculturamento e sensibilizzazione
fin dalla prima infanzia per il cambiamento delle relazioni fra donne e uomini, in ogni contesto
del vivere associato.
Si sviluppano attraverso piani scolastici multilivello e una legislazione onnicomprensiva che
evidenzia l’origine sessista e discriminatoria della violenza contro le donne e la previene
attivamente, contrastando esclusioni e pregiudizi .
Si concretano attraverso una vigilanza costante e un monitoraggio dei risultati, attivando
interventi correttivi e provvidenze pubbliche adeguate.
Prevedono, oltre alla visibilità del problema, ritenuto di interesse generale, ruoli attivi delle
istituzioni pubbliche centrali e locali, gravate delle connesse responsabilità.
Proposte iniziali
In concreto, sull’esempio di ciò che si fa in altri Paesi, pensiamo si debba promuovere un piano
nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere, incentrato su specifiche
iniziative, tra cui qui citiamo:
• un programma di educazione/formazione sull’esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e
femmine nell’ambito sia privato che pubblico che si sviluppi fin dal livello scolastico
elementare;
• il lancio di campagne pubbliche di sensibilizzazione contro gli stereotipi dei ruoli familiari
femminili;
• la promozione di azioni positive per la eguaglianza di genere in tutti i campi del vivere
associato (politico, economico, culturale), da rispettare rigorosamente (e la cui inosservanza
venga sanzionata);
• il reintegro dei fondi incredibilmente sottratti ai Centri antiviolenza e alle Case delle donne,
fondi che andrebbero al contrario aumentati per rafforzare le équipe che vi operano con varie
professionalità a collaborazione integrata;
• l’istituzione di un Osservatorio indipendente di monitoraggio sui diritti delle donne e di
vigilanza sui mezzi di informazione e pubblicità, a garanzia di un trattamento conforme ai
valori costituzionali e alla dignità personale delle donne.
Riteniamo dovere principale di tutti gli schieramenti politici e dei singoli che si candidano per
ruoli istituzionali in Italia e in Europa l’elaborazione e il perseguimento concreto di un piano
integrato per la soluzione di questa incancrenita piaga sociale. Ma quel che ci preme di più è la
presa di responsabilità da parte di tutte le donne impegnate in un ruolo istituzionale: a loro
chiediamo esplicitamente di proporre, seguire e curare a ogni livello le misure necessarie a
questa improrogabile svolta di civiltà.
Anche su questa base, che intendiamo verificare nelle fasi di ideazione e di realizzazione, si
decideranno le nostre scelte politiche future.
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Fonte: www.zeroviolenzadonne.it