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TIBERIUS CLAUDIUS TIBERI FILIUS THERMODON:
DA VOLSINII A PRAENESTE
MARCO BUONOCORE
Biblioteca Apostolica Vaticana
Città del Vaticano
UDK: 904:295.21(375)“01“
Izvorni znanstveni članak
Primljeno: 1. X. 2010.
La dedica sacra che Tiberius Claudius Thermodon, figlio di Tiberius, soddisfatto per il voto che innalzò al dio Mitra ci informa nel dettaglio sulle altre
iniziative di cui il cultor Mithrae si era fatto promotore al fine di omaggiare
in modo conveniente la divinità. La forma delle lettere e tutto l’impianto del
dettato epigrafico unitamente alla tipologia del supporto consentono di datare
il monumento almeno nella seconda metà del II sec. d.C.
Lo stesso personaggio sembra inoltre potersi riconoscere in quel Ti. Claudius Thermodon che, unitamente a Mettia M. f. Lochias, pone la dedica a Fortuna Primigenia. Quantunque il documento, anch’esso noto dalla sola tradizione manoscritta, sia di Praeneste, nulla vieta pensare che il personaggio debba
essere identificato appunto con il Tiberius Claudius Thermodon delle dedica a
Mitra sopra ricordata.
La presenza di Tiberius Claudius Thermodon quale testimone di offerte a
Mitra e Diana nel territorio di competenza amministrativa dell’antica città di
Volsinii, e poi anche a Palestrina, conferma ancora una volta come determinati
personaggi affidassero la propria visibilità proprio all’espletamento dei sacra.
Da tempo si conserva a Ficulle (Terni) all’interno della chiesa del sec.
XIII intitolata “Santa Maria Vecchia”, con portale gotico di pregevole fattura ed alcuni importanti affreschi della seconda metà del Quattrocento,
alla sinistra dell’altare, un cippo in calcare (76 x 35 x 27; campo epigr. 31
x 27; lett. 2; interpunzione a triangolo), lisciato sulla fronte, parzialmente
lavorato a gradina nel retro1 (figg. 1-3)2:
1. L’ho potuto recentemente visionare l’11 aprile 2009 grazie alla cortesia di don Luca
Seidita, che nuovamente ringrazio per la sua disponibilità.
2. Sul sito internet “http://it.wikipedia.org/wiki/Ficulle” è fatto riferimento a questa
iscrizione, ma con simile errata indicazione: “All’interno di questa chiesa si trova anche
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Soli Invicto
Mitrhae
Tiberius Claudius Tiberi filius
Thermodo[n]
spelaeum cụ[m]
signis et ar[a]
ceterisquẹ
voti compoṣ
dedit.
2 Mitrhae pro Mithrae3.
Il primo a darne notizia era stato
Pierio Valeriano (1477-1560), dotto
personaggio vissuto in quel periodo
quasi irripetibile per gli studi tra tardo
Umanesimo e primo Rinascimento4,
precisamente nelle Castigationes et
varietates Virgilianae lectionis5; nel
commentare la iunctura virgiliana
del v. 52 della decima ecloga (scil. inter spelaea ferarum) portava a sostegno della forma speleum questa iscrizione (tuttavia con errata versuum
divisio e grossolani errori di trascrizione, primi fra tutti speleum, appunto,
e Thermodorus)6, con la seguente indicazione topica: “ex oppido Ficulli
Dioc. Urbeuetanae”.
Ho voluto ricordare tale editio princeps in quanto proprio da questa
edizione romana dipende il Metello (Jean Matal / Johannes Matalius Me-
un cippo marmoreo di età greca”. Una foto dell’iscrizione è anche nel sito “http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Gazetteer/Places/Europe/Italy/Umbria/Terni/Ficulle/Ficulle/
churches/S.Maria_Vecchia/Mithraic_inscription.html”.
3. Per questa forma del teonimo cfr. anche ILS, 1264, 4196, 4226, 4238. Vd. anche
l’onomastica veicolata da ICUR, 6562: Arrio Mitrheti alumno.
4. Per cui mi limito a rimandare all’introduzione di J. HAIG GAISSER alla sua monografia De litteratorum infelicitate. Pierio Valeriano on the ill fortune of learned men. A
Renaissance humanist and his world, Ann Arbor 1999.
5. Cito dall’edizione romana del 1521 di Antonius Blades Asulanus, p. XXVIII.
6. Questa la trascrizione: SOLI • INVICTO • MYTHRAE / TIBERIVS • CLAVDIVS • TIBERI •
FILIVS • THERMODORVS / SPELEVM • CVM • SIGNIS • ET • ARA • CAETERISQVE / VOTI • COMPOS
• DEDIT.
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M. Buonocore, Tiberius Claudius Tiberi filius Thermodon: iz Volsinija u Praeneste
tellus: 1520-1597)7 nel suo codice Vat. lat. 6039 al f. 121r (già f. 348r). Ovviamente l’iscrizione fu vista e schedata da Eugen Bormann (1842-1917),
il grande studioso tedesco a cui Theodor Mommsen (1817-1903) aveva
affidato, tra l’altro, l’incarico di raccogliere le iscrizioni latine delle regioni
augustee Aemilia-Etruria-Umbria per un volume del Corpus Inscriptionum Latinarum (il Bormann fu anche il fondatore della scuola epigrafica
viennese, dove insegnò dal 1885 succedendo ad Otto Hirschfeld, nonché
7. Su cui vd. principalmente A. HOBSON, The iter Italicum of Jean Matal, in Studies
in the Book Trade. In Honour of Graham Pollard (Oxford Bibliographical Society. Publications, n. s., 18), Oxford 1975, pp. 33-61; M. H. CRAWFORD, The Epigraphical Manuscripts of Jean Matal, in M. CRAWFORD (cur.), Antonio Agustin between Renaissance and
Counter-Reform (Warburg Institut Surveys and Texts, 24), London 1993, pp. 279-289; J.-L.
FERRARY, Onofrio Panvinio et les antiquités romaines (Coll. de l’École Fr. de Rome, 214),
Rome 1996, pp. 108-110, 238-242. Altre considerazioni in H. SOLIN, Corpus inscriptionum
Latinarum X. Passato, presente, futuro, in H. SOLIN (cur.), Epigrafi e studi epigrafici in
Finlandia (Act. Inst. Rom. Finl., 19), Roma 1998, 90-91 ed ora anche in G. VAGENHEIM,
«Manus epigraphicae». Pirro Ligorio et d’autres érudits dans les recueils d’inscriptions
latines de Jean Matal, in M. DERAMAIX - G. VAGENHEIM (cur.), L’Italie et la France
dans l’Europe latine du XIVe au XVIIe siècle. Influence, émulation, traduction (Publications
des Universités de Rouen et du Havre), Mont-Saint-Aignan 2006, pp. 233-270.
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portatore della tradizione mommseniana)8. La inserì pertanto nel volume
XI del CIL (pubblicato nel 1888), nella sezione Volsinii (Bolsena)9 dopo
che, per mancanza di sicuri dati topografici così come si era desunto da una
scheda anonima presente in uno dei numerosi codici Vat. lat. 9529-9668 di
Angelo Mai (1782-1854), custode della Biblioteca Vaticana (1819-1833)
poi cardinale bibliotecario (1853-1854)10, il testo era stato erroneamente
attribuito a Roma nel volume VI del CIL11. Fu infatti il marchese Giovanni Eroli di Narni (1813-1904)12, spigolando nell’archivio privato dei
conti Saracinelli di Orvieto, a recuperare preziose informazioni sul luogo
di rinvenimento di detta iscrizione che risulterebbe essere stata scoperta
in epoca imprecisabile (ma come visto già nota nel Cinquecento) “nelle
vigne al di là del Paglia”. Bormann, pertanto, volle inserire nella raccolta
epigrafica attinente all’area di competenza amministrativa dell’antica città
romana di Volsinii anche quelle iscrizioni recuperate nel circondario di
Orvieto (Urbs vetus).
Si tratta della dedica sacra che Tiberius Claudius Thermodon, figlio di
Tiberius, soddisfatto per il voto (voti compos) innalzò al dio Mitra13, ma
8. Vedi essenzialmente E. WEBER, L’impresa epigrafica di Eugen Bormann, in G. A.
MANSUELLI - G. SUSINI (cur.), Il contributo dell’Università di Bologna alla storia della città: l’evo antico. Atti del 1° convegno. Bologna, 11-12 marzo (Convegni e Colloqui.
Nuova serie, 9), Bologna 1989, pp. 333-342.
9. CIL XI, 2684 = ILS, 4223 (Dessau legge il teonimo Mithrae).
10. Sembrerebbe essere il codice Vat. lat. 9530, ma non sono riuscito a recuperarlo
in questo testimone. Oltre ai già citati Vat. lat. 9529-9668 (in cui è compreso un gruppo
di esemplari provenienti dal Sacro Convento di Assisi: Vat. lat. 9657-9668), vd. i Vat. lat.
10163, 13144, 13179, 13180, 13182. Su Angelo Mai vd. recentemente Angelo Mai sacerdote e umanista (Roma 1982: celebrazione bicentenaria), Roma 1984; D. ROTA (cur.),
Angelo Mai e la cultura del primo Ottocento. Atti del convegno. Bergamo, 8-9 aprile
1983, Bergamo 1985; A. CARRANNANTE, Mai, Angelo, in Dizionario biografico degli
Italiani, 67, Roma 2006, pp. 517-520.
11. CIL VI, 3723 (ma vd. già CIL VI, p. 3007); ora A. FASSBENDER, Index numerorum. Ein Findbuch zum Corpus Inscriptionum Latinarum (Corpus Inscriptionum Latinarum. Auctarium, Series Nova, 1), Berlin - New York 2003, p. 477).
12. Su cui vd. gli apprezzamenti di Bormann apud CIL XI, pp. 601 n. III, 664 n. VI;
ne dò notizie anche io nel mio Tra i codici epigrafici della Biblioteca Apostolica Vaticana
(Epigrafia e antichità, 22), Bologna 2004, pp. 123-124. Vd. sempre T. ZAMBROTTA,
Eroli, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, 43, Roma 1993, pp. 236-238; R.
COVINO - F. BUSSETTI (cur.), Giovanni Eroli: uomo, intellettuale, gastronomo. Vita,
cultura e pratiche materiali di un nobile narnese dell’Ottocento tra antico regime e modernità, Perugia 2003.
13. Il dedicante è sempre ricordato nei repertori attinenti ai mysteria Mitrae; cito, ad
esempio: F. CUMONT, Textes et monuments figurés relatifs aux Mystères de Mithra, I,
Bruxelles 1896, p. 122 n. 161; M. J. VERMASEREN, Corpus Inscriptionum et Monumen148
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non solo; il dettato epigrafico dell’altare - dalle semplici modanature di
raccordo, provvisto di focus nel piano superiore e le consuete raffigurazioni dell’urceus sul fianco sinistro e della patera su quello destro, in linea
con lo specimen tettonico maggiormente utilizzato14 - ci informa nel dettaglio sulle altre iniziative di cui il cultor Mithrae si era fatto promotore
al fine di omaggiare in modo conveniente la divinità: volle infatti allestire
la grotta sacra al dio (spelaeum) con le statue (signis)15, l’ara (ara)16, appunto, ed ogni altro arredo (ceteris) necessario per il corretto espletamento
dei sacra17. La forma delle lettere e tutto l’impianto del dettato epigrafico
unitamente alla tipologia del supporto consentono di datare il monumento
almeno nella seconda metà del II sec. d.C.
Il medesimo personaggio è noto da altra documentazione epigrafica
sempre collegata con i sacra che ci consegna Gian Francesco Gamurrini, (1835-1923), archeologo, studioso soprattutto di antichità aretine, socio
corrispondente dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica di Roma, direttore dei Musei di Antichità di Firenze nel 1867, membro della Deputazione per la Conservazione e l’Ordinamento dei Musei e delle Antichità
Etrusche nel 1871, membro della Direzione Generale dei Musei e delle
Antichità di Roma con delega per l’Italia settentrionale nel 187518; egli,
torum Religionis Mithriacae, I, Hagae Comitis 1956, p. 244 n. 660; L. A. CAMPBELL,
Mithraic iconography and ideology (Études préliminaires aux religions orientales dans
l’Empire romain, 11), Leiden 1968, p. 212; M. CLAUSS, Cultores Mithrae. Die Anhängerschaft des Mithras-Kultes (Heidelberger Althistorische Beiträge und Epigraphische
Studien, 10), Stuttgart 1992, p. 50. Vd. anche (ma ancora con l‘errato rinvio a CIL VI,
3723) E. SCHRAUDOLPH, Römische Gotterweihungen mit Reliefschmuck aus Italien.
Altäre, Basen und Reliefs, Heidelberg 1993, p. 83.
14. Per confronti vd. A. BUONOPANE, Aspetti della produzione epigrafica norditalica in ambito cultuale, in G. CRESCI MARRONE - M. TIRELLI (cur.), Orizzonti del
sacro. Culti e santuari antichi in Altino e nel Veneto orientale. Venezia, 1-2 dicembre 1999
(Studi e ricerche sulla Gallia Cisalpina 14. Altinum: studi di archeologia, epigrafia e storia, 2), Roma 2001, pp. 345-357.
15. Per la distinzione tra imagines e signa (= statue) vd. C. LETTA, Le imagines
Caesarum di un praefectus castrorum Aegypti e l’XI coorte pretoria, in Athenaeum, 56
(1978), pp. 14-19.
16. In CIL VI, 746 = ILS, 4202 abbiamo ara cum suis ornamentis.
17. Le iscrizioni fanno riferimento anche a exedrae, aquae, hypobasis, parembolii,
praesepia, sacraria: vd. l’indice epigrafico in VERMASEREN, Corpus Inscriptionum cit.
(nota 13), pp. 345-351.
18. Vd. G. M. DELLA FINA, Gamurrini, Gian Francesco, in Dizionario biografico
degli Italiani, 52, Roma 1999, pp. 133-135; A. FARALLI, Per una storia delle scoperte e
delle ricerche su Arezzo antica, in G. CAMPOREALE - G. FIRPO (cur.), Arezzo nell’antichità (Accademia Petrarca di Lettere e Scienze), Roma 2009, pp. 30-31.
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infatti, nel 1883 pubblicava19 un’iscrizione del seguente tenore, che Bormann, confortato anche dall’autoscopia di Wolfgang Helbig (1839-1915),
inserisce sempre nel volume di CIL XI20:
[D]iana[e sacr]um.
Ti(berius) Cla(udius) Thermodon
d(onum) d(edit)21.
2 gruppo TH in legatura.
Molto utile è riportare la relazione del Gamurrini trasmessa a Giuseppe
Fiorelli, al fine di definire meglio natura e significato del supporto e l’area
geografica di rinvenimento che ben si collega a quello dell’iscrizione con
dedica a Mitra appena ricordata:
“In un terreno del sig. Filippo Mariani di Ficulle, vocabolo piano di
Mealla, posto a nord-est del versante che guarda il castello di Parrano, e
precisamente alla distanza di circa met. 150 dalla destra sponda del fiume
Chiana, / facendosi alcune fosse per piantagione di ulivi, si scoprì una pietra rettangolare di marmo bianco, lunga met. 0,345 [ma 0,25 secondo la
ricognizione di Helbig], alta met. 0,088, larga met. 0,16, in forma di urna,
che doveva essere sostenuta da qualche colonnetta. È di lavoro piuttosto
rozzo, ed ha nella parte inferiore un profondo incavo, per meglio essere tenuta ferma. Superiormente poi ricorre in giro un canaletto, e verso il centro
una traccia quasi circolare, che deve farci conoscere esservi stata collocata
qualche statuetta, o qualche piccolo busto. La detta pietra ha poi per tre lati,
meno nel posteriore, due piccole cornici, formanti quasi due gole rovescie
ed opposte.
Che quivi fosse stata situata una statuetta di Diana, viene dimostrato
dalla iscrizione che vi si legge, così trascritta dal R. Commissario cav. G.
F. Gamurrini, a cui sembra probabile che in quel sito sussistesse una villa
piuttosto sontuosa, di un liberto di Claudio (!), cognominato Termodonte,
il quale aveva dedicata quella scultura votiva.
dIANAe sacrVM
TI · CLA · THERMODON ·
D · D
19. NS, 1883, pp. 162-163 [= Mem. Accad. Lincei s. 3°, 11 (1883), pp. 273-274].
20. CIL XI, 2683.
21. Le litterae singulares D D possono essere anche sciolte d(e)d(icavit) o, se con
soggetto plurale, d(e)d(icaverunt).
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Inoltre, soggiunge lo stesso sig. Commissario, lì presso, sopra un muro
divisorio (forse dell’atrio), quasi resentato a terra, si cavò un bel frammento
marmoreo, a fedele imitazione di antifisse fittili, che si ponevano sopra alle
porte. Vi è raffigurata la pestatura dell’uva, con un Fauno saltante tanto a
destra che a sinistra, che suona la dobbia tibia, e con altri due Fauni, i quali
tenendosi per le mani, calpestano l’uva, di cui la sottoposta corba è ricolma. Mentre che in altri edifizi tali antefisse erano di terracotta, il trovarne
qui una di marmo e di buona mano, fa credere che si tratti di una villa (nè
altro si presenta dalla posizione del luogo) appartenente ad un ricco, come
pur troppo lo erano i liberti di Claudio (!). E che con i pochi saggi, che
dopo la causale (!) scoperta vi ha fatto l’ing. Mancini22, noi siamo prossimi
all’atrio, è lecito dedurlo dalla estremità superiore di un pilastrello marmoreo, che termina ad erma, con testa di Ninfa, coronata di fiori e di grappoli;
e da due canaletti di terracotta che traversavano il muro, e facilmente sfogavano nell’impluvio”.
Lo stesso personaggio sembra inoltre potersi riconoscere, come già diagnostico da Hermann Dessau nelle sue Inscriptiones Latinae selectae ed in
seguito da altri studiosi confermato23, in quel Ti. Claudius Thermodon che,
unitamente a Mettia M. f. Lochias, pone la seguente dedica24:
Fortunae
Primigeniae
Ti(berius) Claudius
Thermodon et
Mettia M(arci) f(ilia)
Lochias eius
simulacra duo
Spei
corolitica d(onum) d(ederunt)25.
Quantunque il documento, anch’esso noto dalla sola tradizione manoscritta, sia di Praeneste, nulla vieta pensare che il personaggio (il quale
omette nella formulazione onomastica l’indicazione della filiazione, come
nell’iscrizione dedicata a Diana) debba essere identificato appunto con il
Tiberius Claudius Thermodon delle dedica a Mitra sopra ricordata. I duo
simulacra per la Fortuna Primigenia e la Spes erano stati foggiati con quel
22. Riccardo Mancini.
23. Vd. ad esempio CAMPBELL, Mithraic iconography cit. (nota 13), p. 212.
24. CIL XIV, 2853 = ILS, 3688.
25. Vd. supra alla nota 21.
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particolare tipo di lapis, proveniente dall’Asia Minore, assai prezioso per il
candore simile all’avorio con venature rosate tipiche, appunto, del corallo;
informazione su questa tipologia, che non può essere identificata con il
cosiddetto “palombino”26, si recupera nella naturalis historia di Plinio, il
quale lo paragona per il candore al marmo Pario denominato lygdinus27:
Paulum distare ab eo (scil. onyche) in unguentorum fide multi existimant
lygdinos, in Paro repertos amplitudine qua lances craterasque non excedant, ante ex Arabia tantum advehi solitos, candoris eximii. magnus et duobus contrariae inter se naturae honos, corallitico in Asia reperto mensurae
non ultra bina cubita, candore proximo ebori et quadam similitudine28; da
cui dipende Isidoro nel paragrafo V (De marmoribus) del libro XVI (De
lapidibus et metallis): Parius candoris eximii, lygdinus cognomento: hic
apud Paron insulam nascitur, unde et Parius nuncupatus. Magnitudo eius,
qua lances craterasque non excedat; unguentis et ipse aptus. Coralliticus
in Asia repertus, mensurae non ultra cubita bina, candore proximo eboris
et quadam similitudine29.
Abbiamo poi la seguente iscrizione di Bulla Regia (Africa proconsularis) datata al 196 d.C. che ricorda un templum dedicato a Diana dall’indicativa epiclesi di Corollitica: [Pro salute Im]p(eratoris) Caes(aris)
divi M(arci) Antonini Pii Germanici Sarmat(ici) fil(i) / divi Hadr(iani)
adnepot(is) / [divi Antonini P]ii nepotis divi Traiani Part(hici) abnep(otis)
divi Nervae adnepoti(s) / [L(uci) Septimi Severi P]ii Pertinacis Aug(usti)
Arabici Adiabenici pont(ificis) max(imi) tribunic(ia) / [potestate III]I co(n)26. Vd. sempre R. GNOLI, Marmora romana, Roma 1988², p. 260.
27. Per le fonti vd. TLL, IV, 4, Lepizig 1908, col. 942; Diz. epigr., II, Roma 1910, p.
1225. Vd. anche E. J. FORSDYKE, Archaeology. Monthly Record, in Classical Review,
21 (1907), p. 252; L. LEURINI, Il corallo nei testi greci e latini, in J.-P. MOREL - C.
RONDI-COSTANZO - D. UGOLINI (cur.), Corallo di ieri corallo di oggi. Atti del Convegno. Ravello, Villa Ruffolo, 13-15 dicembre 1996 (Scienze e materiali del patrimonio
culturale, 5 - Travaux du Centre Camille Jullian), Bari 2000, p. 87; R. S. BAGNALL - J.
A. HARRELL, Knekites, in Chronique d’Égypte, 78 (2003), p. 230.
28. PLIN. nat. hist. 36. 13. 62 (ed. MAYHOFF). “Molti ritengono che poco meno
efficace dell’onice, nel conservare i profumi, siano le pietre ligdine, che si sono trovate
anche a Paro – in blocchi comunque non più grandi di un piatto o di un cratere – e che in
passato si era soliti importare solo dall’Arabia, ove sono di un candore eccezionale. Sono
tenute in grande considerazione entrambe le qualità, che hanno caratteristiche opposte
l’una all’altra. Quella corallitica dell’Asia non si trova in blocchi superiori ai due cubiti,
di un colore bianco che tende all’avorio, con cui presenta certe somiglianze” (Gaio Plinio
Secondo. Storia naturale. V. Mineralogia e storia dell’arte. Libri 33-37, Traduzione e
note di A. CORSO – R. MUGELLESI – G. ROSATI, Torino 1988, pp. 620-621; nulla in
apparato sul lapis coralliticus).
29. IS. etym. 16.5.9 (ed. LINDASY).
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M. Buonocore, Tiberius Claudius Tiberi filius Thermodon: iz Volsinija u Praeneste
s(ulis) II p(atris) p(atriae) et M(arci) Aureli Antonini Caes(aris) totiusq(ue)
domus divin(ae) / [res p(ublica) coloniae B]ullens(ium) regior(um) templum Dianae Corolliticae / [quod ex testame]nto suo Marcius Tertullus
c(larissimae) m(emoriae) v(ir) alumnus et patro/[nus rei publ(icae) i]nter
cetera eximiae liberalitatis suae in patriam / [documenta conlata ex HS - -] mil(ibus) fieri iussit suscepta pecunia ab herede eius perfecit30. Già Alfred Merlin, nel pubblicare l’iscrizione commentava: “L’adjectif corolliticus = coralliticus, qui s’applique ici à Diane n’est pas nouveau; on le touve
déja sur une inscription de Préneste: «simulacra duo Spei corolitica»; sans
doute à Bulla Regia, la statue de Diane était faite de cette pierre spéciale
dont la blancheur égale celle de l’ivoire, et cette particularité avait valu à
la déesse son surnom”31; “corollitica Diana dicta (così in apparato di CIL
VIII), fortasse quod statua eius e lapide corollitico fuit facta”. In ogni caso
l’impiego di questo raffinato e raro tipo di lapis microasiatico per i duo
simulacra prenestini è prova delle disponibilità economiche del Nostro.
Veramente raro è il cognome del dedicante: Termodonte. Esso ci riporta
alla mente la nona delle dodici fatiche di Ercole, da lui compiute per ordine
del re di Micene Euristeo, cioè la conquista delle armi della regina delle
Amazzoni: Ercole e gli eroi Teseo, Telamone e Alceste giungono presso
il fiume Termodonte32 (odierno “Terme Çayı” nell’Anatolia centro-settentrionale) ove risiedono le Amazzoni e perciò si scontrano con la regina
Antiope, le sue sorelle Ippolita e Orizia e la figlia Martesia. Ricordo che
questo episodio fece da soggetto, su libretto di Giacomo Francesco Bussani, della sedicesima delle quarantotto opere composte da Antonio Vivaldi
(Ercole sul Termodonte) rappresentata la prima volta a Roma al Teatro Capranica nel carnevale del 1723. A quanto mi risulta33 in Italia questo cognome è presente nell’onomastica di un liberto [P(ublio) Numisio P(ubli)
l(iberto) Thermodont(i)] sepolto nel II sec. d.C. nel municipio peligno di
Corfinium34. Fuori d’Italia si ritrova su una stele funeraria marmorea, recuperata ad ͑Ωραιο′καστρον (oggi Daout-Bali) posta μνει′ας χα′ριν, a quanto pare nel 207/8 d.C., dalla moglie ֨ Ι σιδω′ρα al proprio marito defunto, di
30. AE 1907, 25 = CIL VIII, 25515.
31. Lettre de M. Alfred Merlin, directeur des antiquités de Tunisie, sur le fouilles de
Bulla Regia, in Académie des Inscripiones & Belles-Letters. Comptes Rendus des Séances
de l’année 1906, Paris 1906, pp. 562-563.
32. Sui cognomi grecanici coniati sul nome di fiumi vd., per Roma, H. SOLIN, Die
griechischen Personennamen in Rom. Ein Namenbuch (Corpus Inscriptionum Latinarum.
Auctarium. Series nova, 2), Berlin - New York 2003², III, pp. 694-701.
33. Ringrazio Edgar Pack ed Hekki Solin per queste indicazioni.
34. CIL IX, 3246.
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nome, appunto, Thermodon (Θερμοδο′ντι τῷ ἰδίῳ ἀνδρί)35. Tutto lascia
pensare che l’origine del nostro sia asiatica, forse proprio del Ponto di cui
certamente Termodonte conosceva la rarità e la preziosità di quel particolare tipo di lapis utilizzato per i duo simulacra prenestini.
La presenza di Tiberius Claudius Thermodon quale testimone di offerte a Mitra e Diana (si ricordi sempre che la dea era intesa anche quale
custode delle acque e delle sorgenti con funzione di vera e propria divinità
guaritrice36) nel territorio di competenza amministrativa dell’antica città di
Volsinii37, e poi anche a Palestrina, conferma ancora una volta come determinati personaggi (ingenui o liberti) affidassero la propria visibilità proprio
all’espletamento dei sacra. Fra i tanti esempi che potrei ricordare, significativo è quello di Apronianus, arcarius della res publica Aequiculanorum,
che negli anni intorno al 172 d.C. ebbe un vero e proprio monopolio delle
cerimonie religiose connesse con il culto di Mitra, Iside e Serapide38:
Invicto Mithrae / Apronianus arka(rius) / rei p(ublicae) d(onum) d(edit).
/ Dedicatum (ante diem) VII k(alendas) Iul(ias), / Maximo et Orfito co(n)s(ulibus), / per C(aium) Arennium Rea/tinum patrem39.
35. IG X, 2, 1, 1014. Cf. anche P. M. FRASER - E. MATTHEWS ET ALII, Lexicon
of Greek Personal Names. IV: Macedonia, Thrace, Northerns of the Black Sea, Oxford
2005, p. 387.
36. Recentemente si può vedere A. M. VÁZQUEZ HOYS, Diana en la religiosidad
hispanorromana, Madrid 1999; C. M. C. GREEN, Roman Religion and the Cult of Diana
at Aricia, Cambridge 2007. Altra bibliografia specifica nei recenti lavori: S. PANCIERA,
Nuovi documenti epigrafici per la topografia di Roma antica, in Rend. Pont. Acc. Rom.
Arch., s. 3, 43 (1970-1971), pp. 125-134 [= Epigrafi, epigrafia, epigrafisti. Scritti vari e
inediti (1956-2006) con note complementari e indici (Vetera. Ricerche di storia, epigrafia
e antichità, 16), I, Roma 2006, pp. 197-202]; M. G. GRANINO CECERE, Nemi: l’erma
di C. Norbanus Sorex, ibid., 61 (1988-1989), pp. 131-151; D. ISAC, Diana Stabilis Venatrix Examinatrix, in Chiron, 21 (1991), pp. 345-351; U. FUSCO, Iscrizioni votive ad
Ercole, alle Fonti e a Diana dal sito di Campetti a Veio: ulteriori elementi per l’interpretazione archeologica, in Rend. Pont. Acc. Rom. Arch., s. 3, 81 (2008-2009), pp. 479-482
(con riferimento anche a CIL XI, 2683).
37. Per cui si può consultare F. COLIVICCHI - [C. ZACCAGNINI], Orvieto (Volsinii), in Umbria, con la presentazione di S. RINALDI TUFI (Archeologia delle regioni
d’Italia), Roma 2008, pp. 161-175.
38. Ne ho recentemente discusso anche nel mio La res sacra nell’Italia centro-appenninica fra tarda repubblica ed impero, in J. BODEL - M. KAJAVA (cur.), Dediche
sacre nel mondo greco-romano. Diffusione, funzioni, tipologie. Religious Dedications in
the Greco-Roman World. Distribution, Typology, Use. Institutum Romanum Finlandiae American Academy in Rome, 19-20 aprile 2006 (Acta Instituti Romani Finlandiae, 35),
Roma 2009, pp. 253, 288.
39. CIL IX, 4109 = ILS, 4190. Cf. CUMONT, Textes et monuments cit. (nota 13), p.
120 n. 152; VERMASEREN, Corpus Inscriptionum cit. (nota 13), p. 240 n. 647.
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M. Buonocore, Tiberius Claudius Tiberi filius Thermodon: iz Volsinija u Praeneste
[- - - sacellu- vel speleu]m Solis Invic[ti / Mithrae pro salut]e ordinis et
pop[uli / Apronianus arka]rius rei p(ublicae) vetustate [dilap- vel collap]/sum / [perm(ittente) ordin(e) de s]ua pecunia restit[uit]40.
Apronianus / rei p(ublicae) ark(arius) / sua pecunia fecit41.
Se per l’iscrizione a Diana siamo bene informati sul suo contesto archeologico, per quella a Mitra non possiamo certificare nulla di sicuramente
preciso. In ogni caso interessa considerare l’area geografica di entrambe le
iscrizioni: quella del fiume Paglia per la dedica a Mitra, quella del fiume
Chiani per la dedica a Diana. Il fiume Paglia (a regime prevalentemente torrentizio), che nasce a circa m 1.000 s.l.m alle pendici meridionali del Monte Amiata in località “Pian dei Renaì” (comune di Abbadia San Salvatore),
è il più importante affluente di destra del Tevere, in cui confluisce a valle
del Lago di Corbara tra Orvieto e Baschi, dopo aver percorso circa 86 km
attraversando da Nord-Ovest a Sud-Est le regioni Toscana, Lazio e Umbria
(province di Siena, Viterbo e Terni); la sua portata varia da circa 0,3 m3/s in
periodo di magra estiva, fino a 800 m3/s in massima piena; presso Orvieto
ha una portata media di 12,4 m3/s. Il fiume raccoglie lungo il suo corso numerosi affluenti; fra questi alcuni sono di scarsa importanza, mentre altri,
di notevole portata, sono responsabili delle piene del fiume. In particolare
gli affluenti di destra, provenendo dal ripido altopiano di origine vulcanica che sovrasta la sua riva, hanno una notevole pendenza e le loro acque
acquistano forte velocità, impedendone il regolare smaltimento. A sinistra
l’affluente più importante è proprio il Chiani. Esso (dalle acque di discreta
qualità), lungo circa 42 km, nasce dalla confluenza del torrente Astrone
(proveniente dalle colline di Chianciano e Sarteano) con il canale Chianetta
(opera realizzata dallo Stato Pontificio) in località Ponticelli, presso Chiusi
e raccoglie tutte le acque della Val di Chiana romana. Nei suoi primi 13 km
l’alveo del Chiani si trova più in alto rispetto al piano della campagna in
40. CIL, IX, 4110. Cf. CUMONT, Textes et monuments cit. (nota 13), p. 120 n. 153;
VERMASEREN, Corpus Inscriptionum cit. (nota 13), p. 240 n. 648; CLAUSS, Cultores
Mithrae cit. (nota 13), pp. 49-50.
41. N. MANCINI, Il culto mitriaco nel territorio abruzzese, in Atti e Memorie del
Convegno Storico Abruzzese-Molisano. Casalbordino 1931, I, Casalbordino 1935, pp.
43-47; VERMASEREN, Corpus Inscriptionum cit. (nota 13), p. 241 nn. 650-651; CAMPBELL, Mithraic iconography cit. (nota 13), pp. 10, 84, 88-90, 255, 263, 280-281, 376379. La lastra marmorea, ora conservata al Museo Nazionale Romano (inv. n. 124668), cm
101 x 81 x 8, è interamente occupata dal rilievo mitriaco costituito, al centro, dal consueto
gruppo di Mitra tauroctono, ai lati dalla mistica grotta, dai dadofori Cautes e Cautopates
e dalle raffigurazioni di Sol e Luna. Chiudono la scena sei soggetti minori lungo i margini
atti a narrare le origini e le gesta del dio.
155
Kačić, Split, 2009.-2011., 41-43
quanto scorre fra argini artificiali; più a valle l’argine scompare ed assume,
come il Paglia, regime torrentizio; la sua portata infatti è fortemente variabile, a carattere stagionale, e dipende strettamente dal regime delle piogge:
al ponte di Morrano, in comune di Orvieto si misurano normalmente da
0,5-1 m³/s in estate fino ai 50-100 m³/s in tardo autunno. Insieme al “Canale
Maestro della Chiana” in Toscana, il Chiani ripercorre gran parte del corso
del Clanis, l’antico fiume che fu ostruito nel 1055 d.C. dagli abitanti di
Orvieto con l’innalzamento del cosiddetto “Muro grosso”, per ragioni strategiche militari al fine di controllare i territori delle comunità di Sarteano,
Chianciano, Chiusi e Monteleone. Ricordo che proprio alla confluenza del
Tevere con il Paglia era il sito del porto romano di Pagliano. I recenti scavi
nell’area archeologica, tra cui è emerso il complesso di una villa rustica
che copre una superficie di 8000 mq., hanno restituito l’immagine di un
insediamento assai vivace, attivo tra il I secolo a.C. ed il IV d.C., al centro
di una rete di commerci svolti prevalentemente per via fluviale che coinvolgeva un territorio ampio e ricco compreso tra Arezzo e Chiusi a nord e
Roma a sud; vi transitavano con sicurezza prodotti agricoli diretti verso il
grande mercato romano e ceramiche di qualità destinate, una volta giunte
nella capitale, ad inserirsi in reti commerciali a scala mediterranea42.
L’importanza strategica ed economica di questi assi fluviali così frequentati già prima della romanizzazione43 doveva essere stata pienamente intesa dal nostro Tiberius Claudius Thermodon, titolare di “una villa
piuttosto sontuosa” (come ricorda Gamurrini) a poca distanza dal Chiani,
forse proprio un mercator di una certa notorietà, il quale naturalmente nel
Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, vetrina di ben più ampia
visibilità rispetto alla sua area di residenza, non poteva che autorappresentarsi mediante l’offerta di eccezionali e quanto mai rara simulacra, simboli
di un raggiunto stato economico assai invidiabile.
42. Sul complesso vd. L. ROMIZZI, Ville d’otium dell’Italia antica (II sec. a.C. - I
sec. d.C.), Napoli 2001, pp. 205-206; COLIVICCHI, Orvieto cit. (nota 37), pp. 172-174;
ora anche I. CUCCHIARINI, Orvieto (TR). Il porto romano di Pagliano, in ArcheoMedia.
Rivista di archeologia on-line, 20 febbraio 2010 (sito: http://www.archeomedia.net/studie-ricerche/36577-orvieto-tr-il-porto-romano-di-pagliano.html).
43. Sull’importanza di questa area, anche in epoca precedente alla romanizzazione,
vd. ora A. CHERICI, Genesi e sviluppo di Arezzo etrusca e romana, in Arezzo nell’antichità cit. (nota 18), p. 159.
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M. Buonocore, Tiberius Claudius Tiberi filius Thermodon: iz Volsinija u Praeneste
SAŽETAK - SUMMARIUM
TIBERIUS CLAUDIUS TIBERI FILIUS THERMODON:
IZ VOLSINIJA U PRAENESTE
Posveta, koju je Tiberius Claudius Thermodon, sin Tiberija, nakon što mu
je uslišan zavjet, podigao bogu Mitri, detaljno nas izvješćuje i o drugim inicijativama, koje je taj cultor Mithrae promovirao u čast božanstva. Oblik slova i
epigrafička cjelina, kao i tipologija spomenika, omogućuju datirati taj spomenik u
drugu polovinu II. st. po Kr.
Ista je osoba, izgleda, i onaj Ti. Claudius Thermodon, koji je zajedno s Mettia
M. f. Lochias, postavio posvetu za Fortuna Primigenia. Kako je spomenik, poznat
nam samo po rukopisnoj tradiciji, moguće smjestiti u Praeneste, ništa ne priječi
da tu osobu identificiramo s onim Tiberius Claudius Thermodon-om sa spomenute
posvete Mitri.
Nazočnost Tiberius Claudius Thermodon-a kao svjedoka prinosa Mitri i Dijani na području administrativne uprave antičkoga grada Volsinii, a potom također
u Palestrini, potvrđuje još jednom kako pojedinci žele svoje očitovanje uprisutniti
upravo kroz fenomen sacra.
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