postfazione

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postfazione
POSTFAZIONE
Per Hella Haasse scrivere spesso è un’accurata ricerca di
correlazioni insospettate tra fatti soltanto in apparenza
misteriosi e slegati tra loro. Nel suo universo letterario
infatti le vie dell’immaginazione e quelle della realtà
non si escludono mai a vicenda, ma anzi, corrono parallele per lunghi tratti, e poi s’intrecciano e si sostengono,
come ci spiega sin dalle prime pagine di questo libro in
una sorta di corso di scrittura. Così nel lungo corsivo iniziale ci svela alcuni dettagli fondamentali sulla genesi
dei suoi libri, sulle fonti e sui suoi motivi di fondo: “Proprio quella libertà, l’inafferrabilità di un sapere che non
è concettualizzato, che si lascia esprimere solo attraverso
immagini, metafore, rappresenta per me l’essenza dello
scrivere” riassume in modo chiaro e conciso. L’immagine, la metafora che qui fin dal titolo qui ricorre con insistenza nei contesti più svariati, è quella del cigno, sia
nella sua forma bianca, sia in quella più rara e misteriosa, nera. Il cigno, dice ancora l’autrice, “rappresenta la
parte per eccellenza vulnerabile di me stessa, l’io che
deve inventare storie per essere partecipe della realtà?
Nemmeno di ciò che è realmente accaduto può render
conto senza lavorare di fantasia. Che cosa resta allora,
quando lo spirito ordinatore che indaga colpisce l’immaginazione alata con frecce ben mirate?” Come il Brutto
anatroccolo della commovente fiaba di Andersen, che
scopre con gioia e sorpresa di trasformarsi in un cigno
maestoso dal piumaggio candido, e svela così il segreto
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della propria bellezza interiore, Hella Haasse ricompone
e descrive in racconti affascinanti fatti nudi, all’apparenza casuali e sconnessi, costruendo ponti sospesi tra luoghi
e tempi lontani. Così spazia da Amsterdam all’Australia,
dall’Ottocento al presente, e usa il cigno come filo conduttore di questo libro. Un filo sorprendente con cui
ricama – attingendo una volta di più alla mitologia classica – questo che non è un romanzo né un saggio, né
un’autobiografia in senso stretto, ma piuttosto un collage
di frammenti di consapevolezza che declina in varie
forme elementi di ognuno di questi generi letterari così
diversi. Un collage in cui in ogni momento la finzione
può spiccare il volo dalla realtà, come un cigno che si
alza in volo dalle placide acque di un lago.
Il cigno sin dall’antichità è uno dei simboli animali più ricorrenti nelle mitologie di molti popoli, e
anche uno dei più complessi, con le sue molteplici
valenze talora opposte o complementari. Per il suo
colore candido e per il portamento nobile, il cigno è
spesso considerato simbolo della luce. In alcune regioni tende a rappresentare una luce più notturna e femminile, come quella lunare, in altre è piuttosto il simbolo maschile del sole, della luce del giorno, mentre
altre volte ancora diventa simbolo ermafrodita, che
combina in sé l’elemento maschile nell’atteggiamento
austero e nel collo lungo, con quello femminile, nel
corpo rotondeggiante, aggraziato e sinuoso.
Nel noto mito greco, ripreso da numerose opere
artistiche, come il famoso dipinto scomparso di Leonardo, di cui restano soltanto disegni e copie, e la tela
del Correggio, e la scultura di Michel Anguier, e poi
in campo musicale il Lago dei cigni di Cajkovskij e il
Carnaval des animaux di Camille Saint-Saëns, per
non citare che qualche esempio, Zeus, invaghito di
Leda che nuota in un laghetto, si trasforma in un
cigno e scende dall’Olimpo. L’ignara Leda gioca con
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lo splendido uccello dalle penne iridescenti. Dalla
loro unione – dopo che Leda si è tramutata in un’oca
per sfuggirgli – nasceranno due figli, Polluce ed Elena
(secondo altre versioni del mito anche Castore e Clitennestra sarebbero figli di Zeus). Il cigno, che rappresenta l’amore di Giove per Leda, è anche il simbolo
di Venere, il cui carro è trainato da cigni. E anche
Diana è spesso raffigurata in compagnia di cigni. Il
cigno compare inoltre nella leggenda di Cycnus,
amico di Fetonte, il figlio mortale di Apollo che volle
guidare per un giorno il carro del sole. Nella sua corsa
folle e imprudente a bordo del carro luminoso, Fetonte mise in pericolo gli abitanti dei cieli e della terra.
Per questo Giove decise di punirlo e lo catapultò dal
carro del sole. Cycnus, addolorato, raccolse i resti carbonizzati dell’amico per dare loro degna sepoltura e
assicurare a Fetonte un riposo pacifico nell’Aldilà.
Giove rimase così commosso dalla dedizione di
Cycnus, che volle premiarlo: lo trasformò in un cigno,
Cygnus, costellazione che pose sulla Via Lattea, la scia
luminosa a eterno ricordo della disastrosa cavalcata di
Fetonte nel cielo.
La figura del cigno è legata alle stelle da tempi antichissimi, come documentano alcune iscrizioni rinvenute
sulle rive dell’Eufrate. Agli antichi Babilonesi il cigno era
noto come “l’uccello della foresta”, mentre per i Greci
era “l’uccello che vola a sudovest nella Via Lattea”. E il
cigno è presente nella tradizione indiana: è l’uccello che
depose l’uovo d’oro da cui nacque Brama, come nell’antico Egitto l’oca del Nilo depose l’uovo cosmico, mentre
dall’uovo prodotto da Leda e Zeus nacquero i Dioscuri.
In Cina il cigno è simbolo di grazia, nobiltà e coraggio,
per questo si narra che l’imperatore Chou, Mu, bevesse
sangue di cigno. Anche la mitologia irlandese abbonda di
cigni magici che trascorrono la loro vita in parte come
fanciulle e in parte come uccelli.
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Il cigno con le sue migrazioni rappresenta inoltre il
legame tra i popoli solari del Mediterraneo e i misteriosi, nordici Iperborei. Il giorno in cui Apollo, dio
della poesia, nacque a Delo, alcuni cigni furono visti
volare sette volte intorno all’isola, e Zeus donò al giovane dio un carro trainato da cavalli bianchi e una
lira. I cavalli lo condussero sulle rive dell’oceano dove
nasce il vento del Nord e dove gli Iperborei vivevano
perpetuamente giovani, pacifici e felici sotto un cielo
sempre limpido. Così il cigno è da taluni considerato
anche il simbolo della poesia, e secondo Pitagora
quando muore un poeta la sua anima si trasferisce in
un cigno. Il grande poeta greco Pindaro era soprannominato “il cigno di Tebe”, così come Virgilio fu detto
“il cigno di Mantova”.
La simbologia del cigno è ripresa anche da Goethe
nel Faust (ii, 7295), in cui alcune fanciulle che fanno
il bagno presso una fonte sono avvicinate dai cigni. Il
cigno qui diventa icona di desiderio, di passione e
unione, così come il suo canto può simboleggiare il
piacere che muore per poi risorgere all’alba di un giorno nuovo, grido di passione estrema dell’amante,
co-me il mitico cigno che muore cantando e canta
mo-rendo. La credenza secondo la quale il cigno cante-rebbe splendidamente un’unica volta, prima di
morire, sembrerebbe priva di ogni fondamento scientifico, ma è ciononostante alquanto diffusa e antica. Si
deve a Eschilo, intorno al 500 a.C., quella che probabilmente fu una delle prime descrizioni del cigno che
al sentire la morte che si avvicina, si abbandona a un
canto lamentoso. Da qui l’abitudine di definire “il
canto del cigno” l’ultima opera o apparizione di un
grande artista.
Nella mitologia germanica avevano la capacità di
trasformarsi in cigni le Valchirie, che stabilivano quali
guerrieri sarebbero stati ammessi al Valhalla dopo la
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morte. Talvolta si toglievano le piume da cigno e apparivano in forma umana, ma se un uomo gliele rubava erano costrette a obbedirgli. Valchirie, Ondine e
Melusine, si bagnavano nei fiumi nude e si mostravano al mondo sotto le sembianze di cigni, salvo quando
si invaghivano di un mortale, al quale decidevano di
apparire sotto spoglie umane. I cigni scolpiti sulle prue
delle navi erano considerati di buon auspicio, in
quanto questi uccelli notoriamente non si tuffano
sotto le onde. Il cigno combina inoltre in sé elementi
come l’acqua e l’aria, perché può nuotare e volare, e
dagli antichi Celti era considerato un animale sacro:
uccidere un cigno era un’azione malvagia che attirava
sventura e morte sui colpevoli. In alchimia il cigno è
l’emblema del mercurio, grazie al colore brillante
delle sue penne e alla fluidità dei suoi movimenti. Il
cigno inoltre è simbolo di fedeltà eterna: rigorosamente monogamo, in genere resta solo per il resto della
vita quando perde il suo compagno. Nel mondo cristiano il cigno rappresenta talvolta la purezza e la grazia di Maria.
Ovunque ci conduca Hella Haasse in queste sue
pagine, ci sono cigni come tante metafore della nostra
capacità di trasformare la realtà in immaginazione. I
cigni fungono da catalizzatori che risvegliano i ricordi
e li mantengono in vita in quest’opera in cui l’autrice
riprende a svolgere la matassa dei suoi ricordi e partendo da un piccolo carnet da ballo appartenuto a sua
nonna, si lancia in un’interminabile serie di associazioni mentali per compiere un lungo viaggio nella
memoria alla riscoperta delle proprie radici. Strappata
a vent’anni alla sua terra natale, Hella Haasse conserva tuttora una grande nostalgia della sua infanzia in
Indonesia, un paradiso perduto di cui custodisce gelosamente le tracce nei propri ricordi. Da queste tracce –
e dalle figure delle due nonne tra loro tanto diverse –
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parte il suo viaggio alla ricerca di un passato lontano e
degli elementi che hanno contribuito a forgiarlo. Sua
nonna da parte di madre era una donna aperta,
romantica, impulsiva e curiosa, mentre la nonna
paterna era un emblema di moderazione, di razionalità e riservatezza, due autentici opposti. Haasse avverte
la presenza di entrambe le nonne dentro di sé come
due anime distinte. Per scrivere queste pagine attinge
al suo vissuto, ma anche alla mitologia e alla letteratura, compagne inseparabili. Il tema della ricerca delle
proprie radici è fortemente presente in questo libro.
Incontriamo le due ragazze australiane all’inizio, la
stessa autrice, che scava nel proprio passato, e poi il
giovane australiano: in fondo tutti i personaggi della
storia sono in cerca della propria identità – anche nei
suoi aspetti più oscuri – delle proprie radici, della propria terra. Alla fine di questa ricerca, e dopo avere percorso ampi spazi e tempi, le vie dell’immaginazione di
Hella Haasse confluiscono ad Amsterdam, dove ci
sono le sue radici e dove anche il cigno leggiadro che è
in lei si sente al sicuro.
Laura Pignatti
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