cooperare per lo sviluppo - ISCOS Cooperazione allo Sviluppo

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cooperare per lo sviluppo - ISCOS Cooperazione allo Sviluppo
“Il dialogo è un processo di
comprensione”
ISCOS Marche Onlus
Istituto Sindacale di Cooperazione allo Sviluppo
Hans Georg Gadamer “Verità e metodo”
Associazione promossa dalla CISL Marche
COOPERARE PER LO SVILUPPO
I sindacati africani per la pace
Dal 24 al 28 marzo si è svolta ad Asmara
(Eritrea) la Conferenza regionale “The Role of
Trade Unions on Regional Integration and
Conflict Resolution in Africa”, organizzata da
NCEW (National Confederation of Eritrean
Workers) e da TUFEA (Trade Union Federation
of Eastern Africa), promossa nell'ambito del
progetto di ISCOS Marche per il sostegno al
sindacato eritreo, finanziato dalla Comunità
Europea. Hanno preso parte ai lavori delegazioni sindacali provenienti da Gibuti, Egitto,
Kenya, Sudan, Burundi, Eritrea, Mauritius,
Seychelles, Ruanda, Uganda, Zanzibar. Riportiamo l’intervento di Giovanni
Serpilli, segretario regionale
della Cisl e presidente di ISCOS
Marche.
Cari colleghi, illustri autorità,
gentili signore e signori,
é con grande piacere che porgo a voi tutti il saluto della
CISL - Confederazione Italiana
dei Sindacati Lavoratori della
Regione Marche, che attraverso il proprio
l'Istituto Sindacale di Cooperazione Internazionale (ISCOS), ha reso attiva e visibile la
solidarietà dei lavoratori italiani con i Sindacati, i lavoratori, le popolazioni, le istituzioni dei Paesi del Sud del mondo.
Questa Conferenza, organizzata in collaborazione con la NCEW - National Confederation Eritrean Workers e con TUFEA Trade
Union Federation of Eastern Africa, si realizza nell'ambito di un più vasto programma di
cooperazione internazionale che vede l'ISCOS Marche impegnato a sostenere l'azione di NCEW nella promozione e nella difesa
dei diritti dei lavoratori eritrei, come parte
integrante dei diritti umani, secondo quanto
Gennaio - Maggio 2008
sancito dalle Convenzioni fondamentali dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro.
La partecipazione a questi lavori di una così
ampia rappresentanza di Sindacati dei Paesi
dell'Africa dell'Est ci riempie di orgoglio e di
soddisfazione e rafforza il nostro convincimento che la cooperazione internazionale
rappresenta uno strumento privilegiato per
costruire il dialogo, la pace, lo sviluppo e la
giustizia. Ci troviamo in questi giorni a confrontarci su come il movimento sindacale
possa favorire il processo d'integrazione e
di risoluzione dei conflitti in
questa vasta area dell'Africa
orientale. La risposta, che ovviamente non è facile, non
può, per noi, che partire dal
tema del lavoro, dei diritti dei
lavoratori, e dal ruolo e dal
protagonismo che le organizzazioni sociali che li rappresentano debbono esercitare. Siamo
tutti consapevoli che la pace è
frutto della giustizia e che la possibilità di
uno sviluppo sostenibile trova la propria
linfa vitale nella democrazia, nella legalità e
nella solidarietà. Creare queste condizioni è
un passaggio decisivo anche dell'Africa contemporanea. Il rafforzamento dei Sindacati
e della loro azione rappresenta pertanto un
percorso obbligato per far crescere il pluralismo nel processo di costruzione della democrazia e dell'integrazione in Africa, per
consentire il riequilibrio del divario esistente
tra capitale e lavoro e per contrastare le
situazioni di elevata vulnerabilità sociale e
di povertà che - interessando la maggior
parte della popolazione africana - è fonte di
instabilità, insicurezza e violenza. Il dialogo
Continua a pag. 2
In questo numero
Dossier Pakistan : “La terra dei puri”, Un po’ di numeri, Iscos in Pakistan, il
rapporto di ITUC
3
Il DDT nella lotta alla malaria: un veleno per salvare vite umane
8
di Leonardo Lucantoni
La Globalizzazione della partecipazione - assemblea ISCOS Marche
ITUC (International Trade Union Confederation): i comunicati dal mondo
I progetti di ISCOS Marche in Eritrea, Pakistan, Italia
Libri e film
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COOPERARE PER LO SVILUPPO
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I sindacati africani per la pace (segue dalla prima pagina)
sociale costituisce la via maestra attraverso cui i Sindacati possono affermare le ragioni della giustizia sociale.
L'Africa dunque ha un evidente bisogno di Sindacato
per risolvere i problemi connessi al suo sviluppo, alla
pace e alla giustizia sociale. E il tema del lavoro deve
occupare pertanto un posto centrale in questo processo.
Il sindacato, attraverso la propria azione nei luoghi di
lavoro e nei rapporti con le istituzioni, ha ottenuto, e
continua ad ottenere nei paesi del nord, nonostante gli
attacchi che subisce, significativi risultati di inclusione e
di allargamento del rispetto dei diritti di cittadinanza.
Il sindacato rappresenta per milioni di uomini il mezzo
per uscire dalla condizione di subordinati, di sottoposti
all’egemonia del capitale. Questa missione è sicuramente più necessaria dove predomina l’economia informale, dove il lavoro è a rischio per la vita per mancanza di minime norme di sicurezza, dove il diritto all’educazione e alla sanità sono inesistenti, dove il sistema di
protezione sociale non dà garanzie per il futuro. Questo
significa sviluppare la presenza politica e organizzativa
dei sindacati nelle aree urbane e rurali dove maggiore è
l’ingiustizia sociale e dove predomina la povertà. Questo significa organizzare sindacalmente settori dove
prevalente è il lavoro nero, dove la sicurezza è bassa,
dove il lavoro minorile è diffuso, come le costruzioni,
ma anche l’agricoltura, il commercio e il turismo, i trasporti, ecc.. La via di sviluppo che propongo alla vostra
riflessione è una via che deve cominciare dai villaggi e
dalle periferie urbane nelle quali il sindacato deve radicarsi per dare voce a chi non ha voce. In queste realtà
il sindacato può diventare molla di aggregazione per
costruire anche forme di associazione cooperativa fra i
contadini e lavoratori dell’economia informale. L’obiettivo è quello di ridurre la povertà e dare la possibilità di
incrementare il lavoro dignitoso. Per troppo tempo si è
pensato che un lavoro dignitoso cioè rispettoso dei
diritti dei lavoratori, della loro salute , dell'ambiente di
lavoro, tutelato da una rete previdenziale, con un giusto salario - fosse una prerogativa solo dei paesi ricchi.
E' venuto il tempo di ribaltare questa analisi: è ora
cioè di battersi per favorire la creazione di posti di lavoro capaci di offrire, in ogni parte del mondo, redditi
sufficienti alle famiglie per garantire loro la sicurezza
alimentare, per mandare i figli a scuola, per accedere ai
servizi sanitari, per assicurare una vecchiaia dignitosa,
per non emigrare. E' questo il passo indispensabile da
fare per evitare che i paesi poveri continuino ad essere
intrappolati nella morsa della povertà Ma tutto questo
presuppone e richiede una forte e solidale iniziativa dei
Sindacati, a partire da quelli dei paesi industrializzati,
per dare vigore al sindacalismo internazionale per l'affermazione dei diritti e di un lavoro dignitoso (decent
work) per tutti ed attraverso queste azioni riequilibrare
i rapporti di forza del mercato. E' necessario cioè che il
sindacato in tutte le sedi nazionali e internazionali si
impegni, congiuntamente con gli altri soggetti della società civile, perché siano affermate condizioni che consentano:
-una buona governance fondata su un sistema politico
democratico, sull'affermazione
dei diritti dell'uomo,
sulla supremazia della legge e della giustizia sociale,
rispetto al guadagno e al profitto;
-uno Stato che assicuri una elevata e stabile crescita
economica, la tutela dei beni pubblici (a cominciare dall’acqua) e protezione sociale, che migliori le capacità
delle persone tramite l'accesso universale all'istruzione
e ad altri servizi sociali, e che promuova la parità di
genere;
-una società civile dinamica, fondata sulla libertà di associazione e di espressione, che rifletta pienamente e
dia voce alle diversità di opinioni e di interessi.
-lo sviluppo di forme reali di dialogo sociale come sostenuto da ILO.
I sindacati nazionali e la loro rappresentanza regionale
ed internazionale devono lavorare insieme per contrastare il disegno delle multinazionali che tentano di condizionare non solo le libertà sindacali ma anche i parlamenti, i governi, le grandi agenzie multilaterali, a partire da quelle finanziarie e regolatrici del commercio
mondiale, per piegarne i comportamenti ai loro interessi. La CISL è sempre stata protagonista, attraverso l'articolata presenza internazionale dell'ISCOS, di iniziative a favore dei lavoratori e dei sindacati più esposti alla
repressione e allo sfruttamento, in molti paesi del mondo. Anche la nostra esperienza con il sindacato in Africa
è maturata fin dal suo inizio attraverso una scelta di
impegno civile a favore delle organizzazioni in difficoltà
e delle popolazioni più svantaggiate. Attraverso il programma Africa, che la CISL sta realizzando con ITUC
e le iniziative di Cooperazione dell'ISCOS, stiamo fornendo alcuni strumenti ai Sindacati di vari paesi per
renderli protagonisti della società africana in evoluzione. E' il nostro modo per contribuire alla costruzione ed
alla espansione della democrazia in Africa. Un'altra dimensione con cui confrontarsi riguarda i processi di
internazionalizzazione produttiva. Essi sono cresciuti a
dismisura in questi anni ed hanno prodotto un altro
fenomeno preoccupante: l'aumento incessante delle
cosiddette Zone Franche. In queste zone le lavoratrici
ed i lavoratori sono costretti a viverci molte volte in
condizioni disumane e in totale violazione delle norme
fondamentali dell'Organizzazione Internazionale del
Lavoro. Ho voluto cogliere la straordinaria occasione di
questa Conferenza per lanciare qualche input ma soprattutto per ribadire la volontà della CISL e dell'ISCOS
di affiancare i Sindacati africani nel loro processo di
crescita e di rafforzamento del loro ruolo, in una ottica
di solidarietà internazionale che abbraccia tutte le lavoratrici e i lavoratori del mondo. La nostra modalità di
cooperazione ha al suo centro il dialogo e il rispetto fra
organizzazioni e gruppi dirigenti. Questo significa rispetto delle storie. Questo significa riconoscere l'impossibilità di trasferimento di modelli di organizzazione o
azione sindacale. Questo significa costruire insieme,
nelle azioni progettuali, soluzioni storicamente coerenti
con la situazione dei paesi e dei protagonisti con cui
cooperiamo. In altre parole questo è un processo di
apprendimento condiviso che provoca alla fine un cambiamento in tutti i soggetti coinvolti.
Mi auguro che i lavori e i risultati di questa Conferenza
contribuiscano a consolidare questo processo di cammino e di cooperazione che insieme stiamo sviluppando.
Grazie.
(Gli atti completi della conferenza sono disponibili sul
nostro blog: www.iscosmarche.blogspot.com)
COOPERARE PER LO SVILUPPO
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Dossier Pakistan
La terra dei puri
Diritti civili negati, miliardi di dollari in armi e droga, politici a caccia di potere, un generale
silenzioso e i servizi segreti, la guerra al terrorismo… quale democrazia per il Pakistan?
Il 18 febbraio del 2008 si sono tenute in Pakistan le elezioni politiche.
Finalmente, dopo numerosi rinvii, l'ultimo dopo l'omicidio di Benazir Bhutto il 27 dicembre 2007, 81 milioni di
pakistani hanno potuto recarsi alle urne. L'atmosfera è
stata diversa dalle precedenti elezioni: niente comizi,
niente manifestazioni, candidati che parlavano alla gente
dietro un vetro antiproiettile.
Durante la campagna elettorale ci sono stati oltre un
centinaio di morti, in un paese che nel 2007 è stato teatro di 46 attacchi suicidi.
Nello scorso anno Musharraf ha fatto arrestare circa
10.000 persone fra politici, attivisti per i diritti umani e
sindacalisti. Nella regione del Balucistan, si pensa ci siano circa 4.000 detenuti politici. Tutti i giudici contrari al
presidente sono stati dimessi. I segnali di crisi economica diventano sempre più evidenti.
Eppure, la crescita dal 2002 al 2007 è stata in media del
7% annuo. La borsa pakistana è salita del 40% in un
anno. Una pioggia di investimenti esteri è arrivata nel
paese. Dai pakistani all'estero, dal medio oriente, da
Singapore, dall'Europa, dagli Stati Uniti. Solo da luglio a
gennaio scorso, dagli investitori americani sono arrivati
un miliardo e mezzo di dollari. Con poco meno della metà, segue la Gran Bretagna. Ma la maggioranza dei pakistani ha solo assistito, come spettatori, a questo sviluppo. Nel 2007 i prezzi dei vestiti sono aumentati del 9 %,
quelli del cibo del 12. Da novembre a dicembre, la farina
è aumentata del 20% e il prezzo del riso è raddoppiato.
ISCOS in Pakistan
Sette anni fa Iscos apriva il suo primo ufficio in Pakistan nella citta' di Peshawar, capitale della North West Frontier Province
(Nwfp), la provincia che confina direttamente con le Aree tribali e con l'Afghanistan. L'inizio delle attivita' di ISCOS in Pakistan segue immediatamente la fine della
'guerra al terrore' condotta dagli Usa contro
il regime dei Talebani.
L'Nwfp diviene teatro di uno storico afflusso
di rifugiati afgani: tutt'oggi il Pakistan ne
ospita piu' di 3 milioni, 2 milioni dei quali
vivono in questa area. Quella dei rifugiati e'
stata la prima emergenza che ISCOS ha
affrontato in Pakistan, ma ne sono seguite
altre. Gli scontri nelle aree tribali come il
Bajaur e il Waziristan, tra il governo federale e i gruppi filo-talebani fuggiti ai bombardamenti americani e insediatisi nella regione a ridosso del piu' permeabile confine con
l'Afghanistan. Poi il terremoto dell'ottobre
2005 che ha colpito duramente il distretto
di Mansehra, dove le attivita' di ISCOS sono
andate avanti anche nei momenti di maggiore tensione e pericolo. Attualmente nella
Kurram Agency e' in corso un progetto di
sostegno alle cooperative agricole e di promozione di dialogo comunitario, mentre nel
distretto di Mansehra, nei pressi del villaggio di Balakot, si stanno ultimando le costruzioni di 7 scuole primarie distrutte dal
terremoto. Nel resto del Paese sono in corso attivita' per la lotta al lavoro minorile, la
promozione e la difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori e delle lavoratrici.
Sui cellulari pakistani girava questo messaggio:
“E’ sparita la farina, non c’è olio, non c’è gas, non c’è
carburante, non c’è energia elettrica, non c’è acqua. Se
vuoi sparire anche tu, attacca il simbolo della bicicletta
(del PML-Q, partito del presidente Musharraf) alla tua
auto”.
Prima delle elezioni, gli analisti concordavano: il risultato
più probabile di questo voto detto democratico, considerato dagli americani “addomesticabile”, dai pakistani
truccato, è quello di vittoria di una coalizione di partiti (Valeria Patruno, Responsabile ISCOS per
moderati, in cui nessuno sia troppo forte, in modo da l’Asia)
Un po’ di numeri...
ASPETTATIVA DI VITA
(CIA World Fact Book)
ALFABETIZZAZIONE:
(Wikipedia)
PIL PRO CAPITE
(a parità di potere d'acquisto - Wikipedia)
1) Andorra 84 anni
15) Italia 80 anni
165) Pakistan 64 anni
222) Swaziland 33 anni
1) 21 paesi del nord del mondo 99,9%
43) Italia 98,5 %
160) Pakistan 49%
177) Burkina Faso 12,8%
1) Lussemburgo 80.471 $
21) Italia 30.732 $
130) Pakistan 2.722 $
180) Burundi 680 $
COOPERARE PER LO SVILUPPO
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Dossier Pakistan
Un voto
truccato?
evitare a Musharaff un'inchiesta (per la legge pakistana serve una maggioranza di
due terzi in parlamento) e di conservare il potere, e permettere così agli Stati Uniti di
poter continuare la propria politica estera e la lotta al terrorismo.
Alla vigilia del voto, Ahmed, un attivista di All Pakistan Trade Union Organisation,
pensa che non cambierà molto: “Musharraf controllerà tutto come adesso. Starà lì
con il supporto dell'esercito. Fin dai tempi della guerra fredda, l'esercito pakistano ha
sempre avuto il supporto americano e continuerà anche adesso. Ditemi, che cambierà
stanotte? Niente!”
Guardando ai candidati, dice “sarà chiaro che questo tipo di elezioni e di democrazia
servono solo ad aiutare i potenti ufficiali dell'esercito, le elite, i terroristi e i contrabbandieri. Quale democrazia? Non abbiamo neanche la farina per il roti (il pane pakistano). Il prezzo della verdura è alle stelle. Queste elezioni non servono alla gente
comune.”
E si arriva al voto. L'affluenza è piuttosto bassa, circa il 40%. In alcune regioni, nel
Belucistan e in quelle al confine con l'Afghanistan, le donne, per ordine dei capi tribali
e dei leader religiosi, non vanno a votare.
L'sms aveva ragione, così come gli analisti.
Il risultato penalizza fortemente il PML – Q, partito di Musharraf, il presidente in carica, che con 40 seggi si risveglia come terzo partito del paese.
Il PPP, il partito di Benazir Bhutto prende 87 seggi. E' guidato da Asif Ali Zardari, vedovo e letteralmente erede testamentario
della leadership del partito, personaggio
alquanto controverso, accusato di corruzione, anche se la sua condanna è stata cancellata, ed addirittura, da parte di alcuni
familiari, di coinvolgimento nell'omicidio
della moglie.
Il PML – N di Nawaz Sharif raggiunge quota
66 seggi. Sharif è molto vicino ai partiti islamici, e ha dichiarato di voler reintrodurre
la Shariat. E' già stato premier per due volte, prima di essere accusato nel 1999 di
corruzione e dirottamento di un aereo commerciale, e costretto all'esilio in Arabia
Saudita, paese al quale è molto legato. Per
inciso, l'aereo in questione era diretto a Karachi, e a bordo c'era l'allora generale Musharraf, che con un colpo di stato prese il
potere l'anno seguente.
Il totale dei seggi dei due partiti è di 156:
ne mancano19 ai 175 che garantiscono la
maggioranza necessaria per mettere sotto
accusa Musharraf. Senza contare il Senato, Risultati elettorali delle elezioni pakistane.
che è tuttora in mano ai sostenitori dell'at- Fonte: Commissione elettorale del Pakistan
tuale presidente.
Zardari e Sharif non hanno niente in comune, a parte il desiderio di andare al potere.
Ma mentre Zardari è disponibile a turarsi il naso e condividere il potere con Musharraf, Sharif ha più volte dichiarato che entrerà al governo solo quando se ne andrà l'o-
Un po’ di numeri...
MORTALITA' SOTTO I 5 ANNI ogni
mille nati vivi:
(CIA stime 2007)
INDICE DI SVILUPPO UMANO
(max 1 - min 0)
COEFFICIENTE DI GINI
(misura le disuguaglianze nella distribuzione del
reddito - min 0 max 100)
1) Angola 184
33) Pakistan 69
185) Italia 6
221) Singapore 2
1) Islanda, Norvegia 0.968
20) Italia 0,941
136) Pakistan 0,551
177) Sierra Leone 0,336
1) Danimarca 24,7
19) Pakistan 30,6
47) Italia 36
178) Namibia 74,3
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Dossier Pakistan
Coalizioni
forzate
diato rivale.
Una curiosità: formalmente, nessuno dei due può diventare primo ministro, perchè
non si sono candidati. Per questo la nomina di Yousaf Raza Gilani, del PPP, può essere considerata come un incarico “a termine”, utile per cercare di varare una serie
di emendamenti legislativi che neutralizzino i decreti emanati da Musharraf durante
l’emergenza e nel corso degli anni. Questi provvedimenti prevedono l’assenso diretto del presidente per cancellare, alterare o stralciare le leggi che riguardano, tra le
altre cose, l’impossibilità di candidarsi a premier per la terza volta, i poteri del presidente di sciogliere il Parlamento e licenziare il primo ministro. Secondo il Dawn,
un quotidiano pakistano in lingua inglese, servirebbe un primo ministro in grado di
affrontare i problemi del Pakistan, inflazione e terrorismo su tutti, piuttosto che un
“burattino comandato dalla gerarchia di partito”.
Musharraf ha avuto finora il sostegno degli Stati Uniti. Scelto come paladino nella
lotta al terrorismo, ha beneficiato di consistenti aiuti: dopo l'11 settembre 2001,
sono arrivati circa 10 miliardi di dollari.
Nel novembre 2007, dopo le leggi di emergenza proclamate da Musharraf, il Senato
statunitense ha deciso di tagliare di 50 milioni di dollari gli aiuti militari, che ammontavano a 300 milioni. Ha inoltre limitato l'uso dei restanti 250 alla lotta al terrorismo e alle attività legali contro al Qaeda e i Talebani.
Il legame fra i due paesi nasce dagli interessi comuni nei confronti del confinante
Afghanistan. In piena guerra fredda, tra il 1979 e il 1989, i mujahidin che combattono contro l'Unione Sovietica sono sostenuti principalmente dai soldi statunitensi,
sauditi e pakistani.
I talebani che tra il 1994 e il 1998 prenderanno il potere in Afghanistan sono addestrati e riforniti nel nord del Pakistan, da parte dell'esercito e dei servizi segreti pakistani, l'ISI. Il regime talebano fu praticamente una creatura del generale Musharraf, che puntava da un lato a sostenere il progetto USA di un gasdotto dal Turkmenistan all'Afghanistan (Unocal), e dall'altro a controllare il traffico di oppio. Prima
Il Pakistan etnolinguistico. Fonte: Limes 2.0, 2008
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Dossier Pakistan
Le poste in gioco. Fonte: Limes 2.0 - 2008
La storia
recente
La CIA e
Al Qaeda
dell'invasione sovietica il Pakistan era il maggior produttore mondiale. Alleandosi con i mujahidin prima, e rovesciandoli dopo con i talebani, il Pakistan si
inserisce nuovamente in questo traffico. Con l'assenso di Washington e di Islamabad, l'Afghanistan arriva a produrre fino a 240 tonnellate di oppio all'anno.
Oltre il 90 % dei ricavi andava alla criminalità organizzata in giro per il mondo:
parliamo di oltre 9 miliardi di dollari l'anno. Il resto, 850 milioni, finiva nelle
casse del Pakistan, creando le basi per farla diventare una potenza nucleare.
Gli intrecci fra al Qaeida, talebani, esercito pakistano e servizi segreti sono così
vasti che diventa difficile fare delle distinzioni.
Il Pakistan è sempre più in rivolta. In Balucistan, la provincia più ampia, ci sono continui attacchi di guerriglieri secessionisti. Nel Punjab e del Sindh i sunniti
attaccano gli sciiti. Al confine con l'Afghanistan le missioni “segrete” della CIA
contro al Qaeda continuano a causare perdite tra i civili. Il ministro degli interni, Hamid Nawaz, commentando ai giornalisti la morte del numero tre di al Qaeda, Abu Laith al-Libi, ha detto: “C'è stata un'esplosione e alcune persone sono
rimaste uccise. Come sia avvenuta l'esplosione, non sappiamo”. In realtà, un
Predator, veivolo senza pilota, ha lanciato un missile sulla casa di Libi nel villaggio vicino Mir Ali in Nord Waziristan, un centro nelle zone tribali Pashtun noto come zona di al Qaeda. La CIA, che comanda a distanza questi mezzi, non
può rivendicare apertamente il colpo su territorio pakistano. E nemmeno i pakistani possono farlo: sarebbe troppo imbarazzante per entrambi gli alleati. Intanto le proteste della popolazione locale aumentano di giorno in giorno.
Nei piani di Musharraf, avere un primo ministro come la Bhutto sarebbe servito
come disperato tentativo di pacificazione.
Per questo il suo assassinio assume un significato particolare. E' avvenuto a
Rawalpindi, una sorta di fortino: significa che esercito e Isi non hanno suppor-
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Dossier Pakistan
Il generale,
Il Gattopardo
tato l'accordo tra Musharraf e Bhutto, e che il presidente sta perdendo il controllo
delle principali istituzioni del paese.
L'esercito guidato dal generale Kiyani, si è praticamente sganciato da Musharraf,
ex-generale.
Negli ultimi tempi Kiyani non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Ha richiamato i
militari nelle caserme, ha proibito qualunque contatto con i politici. Poco prima
delle elezioni ha ritirato le truppe dal Waziristan e negoziato un cessate il fuoco
con Baitullah Mehsud e il Tehrik-i-Taliban, che prevedeva anche la cessazione del
blocco economico nei confronti della provincia.
Il silenzio di Kiyani, e le crescenti simpatie popolari, sembrano preludere a un
copione già visto.
Come sosteneva tempo fa Fatima Bhutto, nipote di Benazir, con un opinione condivisa dalla maggioranza della cosiddetta ‘società civile’: “"In questo paese non
cambia niente, mai. Il potere passa di mano, ma tutto rimane come prima. Arriverà forse un altro generale, avremo ancora una volta la legge marziale. All’interno di questo sistema, si tratta della soluzione più logica e più naturale”.
Le fonti di questo articolo
•
“Vulcano Pakistan” il numero 1 / 2008 di Limes, in edicola e libreria
•
Speciale Vulcano Pakistan 2.0 , su Limes on line, disponibile a questo
indirizzo: http://limes.espresso.repubblica.it/2008/02/14/specialevulcano-pakistan-20/?p=477
•
Il blog della Reuters sul Pakistan: http://blogs.reuters.com/pakistan
•
Geo Tv, il sito della televisione bandita dal governo: www.geo.tv
•
Il sito Iscos nazionale, con gli interventi dei nostri cooperanti:
www.iscos.cisl.it
•
Il nostro blog www.iscosmarche.blogspot.com, con i link alle altre fonti internazionali.
Rapporto di ITUC sul lavoro in Pakistan
IL 16 gennaio 2008 l’ITUC ha pubblicato un rapporto che dimostra come tutti gli standard di lavoro,
anche se ratificati, sono violati ripetutamente e in maniera flagrante in Pakistan. Il rapporto mette in
luce che i diritti sindacali non sono rispettati. Il diritto di associazione è violato sistematicamente e
non c’è protezione sufficiente contro la discriminazione verso i sindacati. Il diritto di sciopero non può
essere esercitato e i lavoratori nelle tre zone di esportazione del paese non hanno il diritto di formare
un sindacato, contrattare in maniera collettiva o scioperare.
Le forme rischiose di lavoro minorile includono la vendita ambulante, la manifattura di strumenti chirurgici, la pesca d’alto mare, la pelletteria, la preparazione di mattoni, di palloni da calcio, e la tessitura di tappeti.
Il rapporto denuncia come, sebbene il Pakistan abbia ratificato entrambe le convenzioni contro il lavoro forzato, questa pratica, che include anche i bambini, sia diffusa in tutta la nazione.
Il rapporto ricorda anche che il Pakistan è fonte, transito e destinazione per il traffico umano e che
attualmente donne e bambini sono le vittime più vulnerabili di queste pratiche.
Le donne soffrono anche per la discriminazione sul posto di lavoro. Le molestie sono un problema serio, ma non esiste alcuna legge per combatterle.
Per scaricare il rapporto completo:
http://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/TPR_Pakistan_-_FINAL_11.01.08.pdf
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Studi: DDT e malaria
Il DDT nella lotta alla malaria:
un veleno per salvare vite umane
Leonardo Lucantoni
Più di un milione di morti, il 90% dei quali tra bambini sotto i cinque anni d’età, 500 milioni di
casi clinici, migliaia di persone ridotte alla inabilità permanente in conseguenza degli episodi
severi della malattia. Questo è il tragico bilancio annuale della malaria, una malattia parassitaria completamente curabile e prevenibile con mezzi attualmente esistenti, che ciononostante si colloca oggi al secondo posto tra le cause di morte nel mondo (il primo posto spetta all’AIDS).
Lo scorso settembre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in un comunicato stampa
del direttore del Dipartimento Malaria, dr. Arata Kochi, ha dichiarato che l’Organizzazione
finanzierà l’impiego del controverso insetticida DDT in Africa per uccidere le zanzare che trasmettono il parassita della malaria. Tale decisione rappresenta un’inversione di rotta nella
politica dell’OMS degli ultimi trent’anni riguardo questa sostanza.
L’insetticida dicloro-difenil-tricloroetano (DDT) è stato il protagonista della campagna di lotta
alla malaria degli anni ’50-’60, che, basandosi sullo spray di questo composto nelle abitazioni
e sulla somministrazione del farmaco clorochina per curare i casi clinici, puntava allora ottimisticamente alla e radicazione della malattia in tutto il mondo. Tale campagna fallì nei Paesi
tropicali, anche a causa della comparsa di ceppi di zanzare resistenti al DDT e di parassiti
resistenti alla clorochina 1. Nel frattempo, l’aumento della preoccupazione dell’opinione pubblica occidentale circa i rischi per la salute umana e dell’ambiente connessi all’uso del DDT
(che allora era soprattutto impiegato, massicciamente, in agricoltura), portarono al bando
ufficiale del pesticida negli USA ed in Europa, già negli anni ’70.
A tutt’oggi l’Unione Europea definisce il DDT come una sostanza che “può provocare effetti
irreversibili”, e l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro lo ha inserito nella categoria
delle sostanze definite "possibili cancerogeni per l’uomo”.
Perché un’organizzazione internazionale che si occupa della tutela e della promozione della
salute umana come l’OMS sta sponsorizzando l’utilizzo di una sostanza di dubbia sicurezza
per impieghi di sanità pubblica?
Nel 2001 ha avuto luogo la ratifica della Convenzione di Stoccolma sui Pesticidi Organici Persistenti, promossa dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), per imporre il bando mondiale di 12 pesticidi pericolosi per l’ambiente e la salute umana, tra cui il DDT. Durante la fase negoziale del trattato alcuni esperti, fortemente sostenuti dalla fondazione “Malaria
Zone di diffusione della malaria - Wikipedia
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Studi: DDT e malaria
Foundation International”, hanno esercitato una forte pressione per ottenere che il DDT
venisse proibito come gli altri pesticidi, tranne che per l’impiego contro i vettori della malaria, sostenendo che 2,3,4:
il DDT rappresenta il solo insetticida ancora realmente efficace contro le zanzare della malaria in molti Paesi tropicali, dove gli insetti sono divenuti resistenti ad altri principi attivi;
è tra i più economici degli insetticidi, ideale quindi per l’utilizzo nel Terzo Mondo;
se usato esclusivamente in interventi di sanità pubblica (escludendone quindi l’uso in agricoltura) è assolutamente sicuro per la salute umana e degli ecosistemi;
proibire l’uso del DDT in Paesi endemici provocherebbe come conseguenza un intollerabile
aumento della mortalità per malaria.
Questa campagna pro-DDT, che ha visto tra i suoi sostenitori anche fondazioni e organizzazioni di attivismo sociale (ad es. il “Congress on Racial Equality” e “Africa Fighting Malaria”) legate a vario titolo con grandi corporazioni e think tank neoliberisti, ha assunto in
molte occasioni accesi toni anti-ambientalisti (Rachel Carson, autrice del libro “Silent
Spring” (1962), che contribuì alla nascita del movimento ambientalista con la denuncia
degli effetti nocivi del DDT sulla fauna selvatica, è stata addirittura paragonata a Hitler!).
L’operazione ha avuto successo, e il documento finale della Convenzione di Stoccolma
(che è entrata in vigore nel 2004) prevede che il DDT possa essere usato e prodotto, dai
Paesi che ne abbiano fatto esplicita richiesta, per l’impiego in sanità pubblica. L’esenzione
del DDT dal bando è stata accolta entusiasticamente da una parte della stampa e della
comunità scientifica, alimentando in certi casi un ingiustificato ottimismo sulle reali potenzialità di questo strumento.
L’annuncio dell’OMS infatti, salutato con entusiasmo anche da alcuni esponenti politici di
Paesi poveri, solleva molte controversie, sotto numerosi aspetti:
1) La campagna di sostengo dell’uso del DDT in sanità pubblica ha maliziosamente nascosto che l’efficacia del DDT non è da considerarsi costante ed indefinita nel tempo, dal momento che la resistenza dei vettori malarici verso questo principio attivo si è già verificata
in diverse zone del mondo in passato, e una delle ragioni del fallimento della campagna di
eradicazione mondiale della malaria che ebbe luogo negli anni ’50-’60 è stata proprio la
comparsa di ceppi di zanzare resistenti al DDT. Ci sono zone in Africa in cui il DDT è ancora efficace, ma la stessa OMS suggerisce che il suo utilizzo dovrebbe essere combinato
con altri principi attivi utilizzando miscele di insetticidi diversi o il loro utilizzo a rotazione,
per evitare che in breve tempo la resistenza ne renda impossibile l’impiego 5.
2) Il costo del DDT per metro quadro di superficie domestica da trattare, più basso rispetto a quello di altri composti (anche se oggi altri insetticidi, meno pericolosi, hanno lo stesso costo per applicazioni analoghe in molti paesi 6), non è l’unico fattore da tenere in considerazione nel calcolo del costo degli interventi. Date le sue caratteristiche tossiche, l’OMS ammette che per l’impiego di DDT è necessaria una notevole organizzazione infrastrutturale (siti di stoccaggio sicuri, modalità di trasporto, addestramento e monitoraggio
sanitario del personale) e particolari provvedimenti legislativi e regolatori (controllo del
rispetto delle restrizioni all’utilizzo in sanità pubblica, adeguatezza degli strumenti legislativi per l’importazione e l’uso) 7. Ciò potrebbe richiedere stanziamenti finanziari ingenti,
quindi il costo finale degli interventi a base di DDT rischia di diventare perfino più alto di
quello di azioni basate su altri principi attivi, oltre che lasciare dubbi sulla sua sostenibilità
nel tempo e sulla sua stessa fattibilità in regioni del Mondo dove le infrastrutture scarseggiano.
3) I dubbi relativi alla sicurezza del DDT restano molti. Come si è detto, il controllo dell’utilizzo del DDT in ambito sanitario implica degli investimenti notevoli, in assenza o in caso
di insufficienza dei quali non è affatto garantito che quote rilevanti del prodotto non vengano impiegate illegalmente in agricoltura, o che si verifichino contaminazioni per incorretto uso, stoccaggio o smaltimento. In Etiopia uno studio condotto nel 2002 ha rivelato
che in alcuni casi le dosi di DDT applicate nelle case (da personale dotato di insufficiente
equipaggiamento protettivo per evitare l’iperesposizione) erano superiori a quelle raccomandate, che frequenti erano i casi di furto e conseguente vendita del prodotto nei mercati e, prevedibilmente, che il DDT era spesso usato nelle coltivazioni8. Tutte le questioni
relative all’inquinamento ambientale, ai rischi per la salute umana e al possibile insorgere
di resistenza nelle specie bersaglio restano così irrisolte. Infatti se il DDT finisce nei corpi
d’acqua dove le larve di zanzara si sviluppano potrebbe permettere in breve tempo la
(ri)comparsa di ceppi resistenti. Ma c’è di più. Anche supponendo un corretto e rigido utilizzo del DDT, che segua scrupolosamente le linee guida OMS 8, spesso le caratteristiche
delle abitazioni destinate allo spray, specialmente nella zone rurali, non sono idonee ad
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Studi: DDT e malaria
evitare la dispersione di quantità di sostanza in grado di contaminare l’acqua, il cibo e l’ambiente
circostante, contribuendo così in ogni caso alla presenza di residui nei prodotti agricoli e negli
animali destinati a consumo umano 9.
4) In particolare, le preoccupazioni che portarono alla proibizione dell’uso del DDT in tutti i Paesi
occidentali riguardavano la tossicità del pesticida verso i vertebrati e la sua lunghissima persistenza nell’ambiente, unitamente alla sua grande capacità di viaggiare per migliaia di km trasportato dai venti e alla possibilità di bioaccumularsi nel tessuto adiposo degli animali e dell’uomo. Studi di laboratorio hanno dimostrato la tossicità del DDT sugli animali, e rischi per la salute
umana connessi all’esposizione da DDT non possono essere ignorati 10. Sebbene la letteratura
scientifica al riguardo spesso non abbia indicato una correlazione tra l’esposizione al DDT e patologie umane, a causa di mancanza o incompletezza di studi epidemiologici, ciò non significa che
la sostanza in questione sia completamente innocua 11. Alcuni studi hanno correlato la presenza
di residui del DDT nel siero e nel latte materno con parti prematuri e durata ridotta dell’allattamento, rispettivamente. Questo, tradotto nelle realtà dei Paesi del terzo mondo, significherebbe
un aumento dei morti per denutrizione o malattie, tale da compensare la diminuzione della mortalità per malaria 12. Nulla si sa, poi di possibili effetti a lungo termine, specialmente sul sistema
endocrino e riproduttivo, dell’esposizione cronica a dosi di DDT come quelle impiegate lo spray
domestico.
5) La contaminazione con DDT dei prodotti agricoli dei Paesi africani potrebbe avere ripercussioni gravissime sulle esportazioni. Infatti l’Europa (uno dei principali importatori dei prodotti alimentari dei paesi africani) continua a vietare il DDT per qualsiasi utilizzo ed ha adottato da anni
una politica molto restrittiva verso i residui di DDT nei prodotti alimentari destinati al consumo
interno, adottando soglie fino a dieci volte più basse di quelle tollerate da altri Paesi, come USA
o Giappone. L’UE ha annunciato che, pur non interrompendo le importazioni da Paesi che usino
DDT allo scopo (dichiarato) di controllo dei vettori, bloccherà le partite contenenti residui superiori ai suoi valori soglia 13. Il controllo delle zanzare con DDT rischia quindi di penalizzare fortemente l’economia africana.
Nelle sue linee guida, l’OMS precisa che l’uso del DDT dovrebbe essere preceduto da specifiche
analisi di reale necessità e fattibilità, nella prospettiva di eliminarne l’uso col tempo, ma intanto
molti governi africani stanno rispondendo al rinnovato interesse verso il DDT dichiarando di voler includere il pesticida nei loro programmi di lotta alla malaria, in molti casi sostenuti da donazioni e finanziamenti che diverse agenzie internazionali di aiuti stanno destinando ad hoc per
questi programmi. Ad esempio l’USAID, l’agenzia di Stato USA per lo sviluppo internazionale, ha
stanziato 20 milioni di dollari nel 2006 per programmi di spray domestico con insetticidi
(soprattutto DDT) in Africa, contro meno di 1 milione nel 2005 14. La “President’s Malaria Initiative” (PMI), uno stanziamento da 1,2 miliardi di dollari lanciato nel 2005, include ora 15 Paesi
africani 15, molti dei quali acquisteranno il DDT con i fondi ricevuti.
Spesso, però, la decisione di reintrodurre il DDT per la lotta alla malaria viene presa dai governi
senza che vi sia un’adeguata consultazione delle parti in causa, come in Malawi, dove il governo
ha annunciato a gennaio che beneficerà di 15 milioni di dollari della PMI per l’acquisto dell’insetticida, sollevando le proteste dei coltivatori, preoccupati per i residui di DDT che potrebbero contaminare il prodotto destinato all’esportazione 16. Per le stesse ragioni, in Uganda, l’annuncio del
governo di voler usare il DDT contro la malaria è stato criticato dai produttori agricoli 17. Inoltre,
nello stesso paese, un incontro organizzato a febbraio 2005 tra esportatori locali di prodotti alimentari, funzionari governativi e rappresentanti della UE ha sollevato gravi preoccupazioni, tra
cui il costo necessario a garantire l’applicazione sicura del programma, la prevenzione delle contaminazioni, il rischio per le esportazioni, la regolamentazione e il monitoraggio del corretto uso
del pesticida 18.
Anche nei paesi produttori del pesticida, infine, situati a loro volta in aree critiche del pianeta,
per quanto riguarda salvaguardia dell’ambiente, della salute umana e dei diritti dei lavoratori
(India, Cina), cresce la rabbia delle popolazioni che vivono nei pressi delle industrie che sintetizzano il pesticida. L’indiana Hindustan Insecticides Limited (HIL), con un fatturato di 1755 milioni
di rupie (circa 40 milioni di dollari), è il maggior produttore di DDT del mondo, ed ambisce a diventare il primo fornitore dei paesi africani e del mondo, grazie al “rinnovato aiuto degli USA per
l’ottenimento del DDT e il forte appoggio da parte dell’OMS all’utilizzo del DDT per lo spray domestico” 19. Fondata nel 1957 col supporto del governo indiano e della stessa OMS, la HIL è situata in un’area ad alta densità industriale sul fiume Periyar, nello stato del Kerala. Le comunità
locali soffrono da anni di serie patologie conseguenti al pesante inquinamento ambientale, e lo
scorso settembre hanno presentato al governo e all’OMS una “Dichiarazione dei Diritti del Popolo”, rivendicando il loro diritto alla salute e chiedendo strutture sanitarie per l’assistenza alle vittime dell’inquinamento industriale 20.
La spesa mondiale per ricerca e sviluppo in campo sanitario ammontava nel 2001 (l’anno più
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Studi: DDT e malaria
recente per il quale sono disponibili i dati necessari per la seguente comparazione) a 106
miliardi di dollari. Di questi, meno dello 0,3%, ovvero 288 milioni di dollari sono stati investiti per la malaria, che mette a rischio il 40% della popolazione mondiale. Sebbene nel
2004 l’investimento per la ricerca sulla malaria sia aumentato a 323 milioni, si tratta ancora di un decimo di quanto sarebbe necessario tenendo conto dell’importanza della malattia 21. Inoltre, solo il 4% di questa già ridotta cifra (circa 13 milioni di dollari) è stato
stanziato nel 2004 per la ricerca di tecniche di controllo dei vettori21. Per sviluppare un
singolo nuovo insetticida per uso sanitario si stima che occorrano 70 milioni di dollari 22.
E così ci troviamo, oggi, in una situazione paradossale: l’innovazione che la scienza occidentale offre al terzo mondo per salvare vite umane è un veleno vecchio di 60 anni.
Fonti
1.
Bruce-Chwatt, L.J., 1988. History of malaria from prehistory to eradication. In: Malaria - Principles and
practice of malariology, vol. 1. Eds. Wernsdorfer, W.H., McGregor, I., Longman Group UK Limited, Great
Britain.
2.
Attaran, A., Roberts, D.R., Curtis, C.F., Kilama, W.L., 2000. Balancing risks on the backs of the poor. Nature Medicine 6(7): 729-731.
3.
Curtis, C.F., Lines, J.D., 2000. Should DDT be banned by international treaty? Parasitology Today 16(3):
119-121.
4.
Roberts, D.R., Laughlin, L.L., Hsheih, P., Legters, L.J., 1997. DDT, global strategies, and a malaria control
crisis in South America. Emerging Infectious Diseases 3(3): 295-302.
5.
WHO, 2006. Malaria vector control and personal protection: report of a WHO study group. WHO Technical
Report Series 936.
6.
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7.
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www.who.int/malaria/docs/FAQonDDT.pdf
8.
Medhin, H.G., 2003. Facts on DDT use in Ethiopia. Pesticide News 62: 12-13.
9.
Vieira, E.D.R., Torres, J.P.M., Malm, O., 2001. DDT environmental persistence from its use in a vector
control program: a case study. Environmental Research Section A 86: 174-182.
10.
Barlow, S., Kavlock, R.J., Moore, J., Schantz, S., Sheehan, D.M., Shuey, D.L., Lary, J.M., 1999. Teratology
Society Public Affairs Committee Position Paper: Developmental Toxicity of Endocrine Disruptors to Humans. Teratology 60:365–375.
11.
Beard, J., 2006. DDT and human health. Science of the Total Environment 355: 78-89.
12.
Chen, A., and Rogan, W.J., 2003. Nonmalarial infant deaths and DDT use for malaria control. Emerging
Infectious Diseases 9(8): 960-964.
13.
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14.
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15.
usinfo.state.gov/xarchives/display.html?p=washfileenglish&y=2006&m=December&x=20061214161651AKllennoCcM0.3996393, consultato il 13/03/2007.
16.
www.nationmalawi.com/articles.asp?articleID=20276 consultato il 12/02/2007.
17.
www.scidev.net/News/index.cfm?fuseaction=readNews&itemid=3333&language=1, consultato il 13/03/2007.
18.
World Bank, 2006. Uganda, Standards and Trade: Experience, Capacities and Priorities, 2006. Disponibile
sul sito: siteresources.worldbank.org/INTRANETTRADE/Resources/Topics/Standards/Uganda_Standards_final.pdf, consultato
il 13/03/2007.
19.
www.hil-india.com/profile.htm, consultato il 13/03/2007.
20.
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21.
Global Forum for Health Research, 2006. Monitoring the financial flows for health research 2005: behind
the global numbers. Disponibile sul sito: www. globalforumhealth.org, consultato il 13/03/2007.
22.
Hemingway, J., Beaty, B.J., Rowland, M., Scott, T.W., Sharp, B.L., 2006. The Innovative Vector Control
Consortium: improved control of mosquito-borne diseases. TRENDS in Parasitology 22(7): 308-312.
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La Globalizzazione della partecipazione - assemblea ISCOS Marche
Il 21 aprile 2008 ad Ancona, in occasione della prima assemblea ordinaria dei soci di ISCOS Marche, si è tenuto il
seminario "La globalizzazione della partecipazione".
Sono intervenuti Elis Nursen Sinirlioglu (Responsabile internazionale del sindacato turco Birlesik Metal-Is) e Mehmet Selcuk Goktas (Segretario generale del sindacato turco Birlesik Metal-Is). E' stata un'occasione di confronto
fra i sindacalisti italiani e turchi, e di condivisione dei problemi e delle lotte comuni.
Il Birlesik Metal è un sindacato fondato a Istanbul nel 1993 attraverso la fusione di Maden-Is, nato nel 1947, e Otomobil-Is, nato
nel 1963. Negli anni ’70 entrambe le federazioni si distaccarono
dal Turk-Is dando vita alla Confederazione Disk. Oggi il Birlesik è
l’unico sindacato dei metalmeccanici aderente alla Fem e alla
Fism (Cisl Internazionale). Gli altri, tra cui il Turk Is metal, sono
da tempo stati espulsi.
La storia del sindacalismo in Turchia è molto dura, fatta di repressioni, arresti, uccisioni, come quelle della manifestazione del
1 maggio 1977 in Piazza Taksim a Istanbul. Nel 1980 Il loro
leader Türkler Kemal fu ucciso. Il 27 febbraio 2008, migliaia di
lavoratori hanno scioperato per la situazione dei cantieri di Tuzla
(17 morti in 7 mesi) e la polizia ha risposto con 75 arresti, pestaggi, torture. I sindacalisti sono controllati direttamente dallo
stato. Disk si è opposta a questa legge militare pagando con la
chiusura fino al 1991.
L’intervento dei sindacati europei é una necessità primaria per i sindacati turchi. Di grande aiuto è stata la Fem –
federazione europea dei metalmeccanici - e la Fism – federazione mondiale – presente in questi anni con Marcello
Malentacchi. Da tempo Birlesik e Fim-Cisl cooperano nell’ambito dell’allargamento dei CAE ai paesi candidati ad
entrare nell’UE, così come con la Fiom-Cgil e altri sindacati europei, in particolare quello tedesco. Intensa è stata
l’attività di cooperazione realizzata da Iscos e Sindnova in Turchia nel campo dei diritti umani e delle relazioni
industriali, insieme alle confederazioni sindacali turche e alle principali categorie del settore privato, tra cui i metalmeccanici. Il tasso di crescita dell'economia a settembre è stato del 7,3%. Si pensi al boom delle aziende turche di elettrodomestici, come la Arcelik (al sesto posto nel mondo secondo Deloitte) e la Vestel. Le esportazioni
nel 2005 hanno superato i 73 miliardi di dollari. L'Italia è il terzo partner commerciale della Turchia con un interscambio di 13,9 miliardi di dollari (+16,8%). L’inflazione nell’ultimo triennio è scesa sotto il 10% con l’obiettivo di
scendere sotto il 5%. La Confindustria (TUSIAD) ipotizza che tra 6 anni il reddito medio pro-capite dei turchi potrebbe raddoppiare passando dagli attuali 4282 a 11.900 dollari annui. Un operaio turco mediamente guadagna
circa 250 euro al mese.
Nel mese di ottobre il tasso di disoccupazione è salito al 10%. Il 18.2% dei giovani è disoccupato, il 22.3% nelle
zone urbane. Nel 1990 il 34.1% delle donne lavorava, nel 2004 il 25.4%. Sono 18 milioni le donne escluse dal
mercato del lavoro. Solo la metà della forza lavoro attiva (11 milioni su 22) è coperta da una qualche forma di
protezione sociale. 3.690.000 di persone appartengono alla categoria “Lavoranti in famiglia senza salario” senza
nessun obbligo di legge di iscrizione ad una assicurazione sociale. 7.975.000 sono i lavoratori privi di ogni forma
di protezione sociale. Sebbene alcuni diritti sindacali siano garantiti a livello legislativo (la Turchia ha anche ratificato le convenzioni ILO 87 e 98), esistono serie limitazioni. Vi sono soglie di sbarramento per il legittimo riconoscimento del sindacato, a livello nazionale e d’impresa, l’obbligo individuale di recarsi da un notaio per legalizzare
l’iscrizione al sindacato, la presenza di sindacati filo-governativi e filo-aziendali. In Turchia non esiste il diritto di
sciopero. La legislazione turca non consente la contrattazione nazionale e per contrattare a livello aziendale occorre che il 50% più uno dei lavoratori siano iscritti a un sindacato. Lo scenario sindacale è a livello di categoria,
molto frazionato all’interno delle stesse confederazioni. La sindacalizzazione raggiunge il 5% dei lavoratori.
Attualmente ci sono circa 590 imprese italiane presenti in Turchia, il 3.3% del totale delle presenze di imprese
estere. Ogni anno crescono di circa 50 unità, con un numero sempre maggiore di aziende piccole e medie. Alcuni
nomi: Imer Group, Pirelli, Indesit, Candy, Fiat, Beretta, Bialetti, Gruppo Ferroli, Finmeccanica, Fincantieri, Mediobanca. I comportamenti delle nostre multinazionali non sono stati esaltanti. Nel settembre 1998 migliaia di lavoratori di Fiat, Renault, Bosch, Valeo, hanno perso il posto di lavoro per aver fatto richiesta di aderire ad un sindacato diverso da quello ufficiale. Secondo un rapporto sindacale presentato a Bruxelles, nel 2004 sono stati 11.968
i lavoratori che hanno perso il posto per questo motivo. Per questa ragione è fondamentale la negoziazione ed
applicazione degli IFA (Accordi Quadro Internazionali) e la solidarietà sindacale. L’unica azienda metalmeccanica
italiana che, finora, ha sottoscritto con la FISM un IFA per un comportamento responsabile sul piano etico è l’INDESIT Company. Nel caso di CANDY l’intervento tempestivo della FIM-CISL sulla direzione aziendale, raccogliendo l’appello della FEM, ha garantito che la scelta dei lavoratori dell’ex-Doruk di iscriversi al Birlesik Metal fosse
rispettata dall’azienda senza ritorsioni.
Le modalità della crescita della Turchia sono determinanti per il suo essere ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Fino
ad oggi è stata presidiata da uno degli eserciti più attrezzato e agguerrito del pianeta. Le grandi potenze ieri, e le
multinazionali oggi, la vedono come la “chiave d’accesso” al resto del mondo da conquistare. Pensiamola come
porta per la diffusione dei diritti sindacali e sociali.
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ITUC: i comunicati dal mondo
Il 1° Maggio
Il 1° Maggio milioni di Lavoratori in
tutto il mondo si uniscono per celebrare il raggiungimento di oltre un
secolo di sindacalismo. Gli alti principi di uguaglianza, giustizia, dignità umana e pace che hanno trovato espressione attraverso il movimento sindacale sono forti oggi
così come lo erano quando donne
e uomini per la prima volta si riunirono per combattere per i propri
diritti di lavoratori. Questi principi
hanno dato vita alla Dichiarazione universale dei diritti umani e alla convenzione 87 dell’OIL nel 1948.
Ma i diritti fondamentali celebrati in questi strumenti sono lontani dalla realtà di tante persone.
Per la maggioranza della gente del mondo, il lavoro dignitoso è un sogno lontano. Milioni di bambini
sono al lavoro invece che a scuola, i lavoratori sono privati dei loro diritti fondamentali e soggetti a
sfruttamento da parte di datori di lavoro senza scrupoli e regimi repressivi, e l’ineguaglianza sta crescendo all’interno delle nazioni e fra le nazioni, mentre una piccola minoranza accumula ricchezze incalcolabili a spese degli altri.
Mai come negli ultimi decenni le mancanze della governance globale delle “soluzioni di mercato” sono
state così evidenti. Il contagio continua attraverso i mercati finanziari del mondo, con lavoratori e
lavoratrici che sostengono il peso della mancanza di volontà dei governi di affrontare il bisogno di una
regolazione finanziaria. 100 milioni di persone in più dello scorso anno non hanno da mangiare a sufficienza per la crisi globale del cibo che cresce e minaccia il tessuto sociale ed è sostenuta da decenni
di politiche demagogiche a livello mondiale. L’azione per il cambiamento climatico, forse la prova più
grande nella storia umana, è debole in confronto all’ampiezza della sfida. E gli Obiettivi di Sviluppo
del Millennio delle Nazioni Unite, obiettivi che la comunità globale ha posto per se stessa, sono lontani
dall’essere raggiunti. I mezzi per affrontare queste sfide esistono, ma la volontà politica di resistere ai
potenti interessi che bloccano la via del progresso non c’è. I sindacati si scontrano ovunque con questi interressi, promuovendo campagne per portare gli interessi sociali e lo sviluppo sostenibile al centro, piuttosto che ai margini, della politica. Chiediamo un cambiamento fondamentale della governance globale, portando il lavoro dignitoso al centro di una nuova globalizzazione e facendo rispondere le
istituzioni ai bisogni reali della gente invece di seguire le politiche errate del passato.
Il 7 ottobre 2008, la Giornata mondiale per il lavoro dignitoso, i sindacati nel mondo si uniranno per
rivendicare i diritti dei lavoratori. Porteremo alla ribalta la grande tradizione di solidarietà che è stata
il perno del sindacalismo sin dai suoi primi passi, e che è essenziale per risolvere i problemi che affliggono il mondo oggi. Mostreremo come il lavoro dignitoso sia centrale nella lotta per la fine della povertà e per assicurare uguaglianza per uomini e donne, e dimostreremo il nostro impegno incrollabile
per la solidarietà con gli emarginati e con chi è privato dei diritti. Restiamo fermi nella nostra richiesta
per un mondo migliore e rinnoviamo il nostro impegno per portarla avanti con l’azione unita dei lavoratori di ogni angolo del pianeta.
Guatemala: la violenza continua
Il 2 marzo è stato assassinato Miguel Angel Ramirez, membro del Sitrabansur, sindacato dei lavoratori delle piantagioni di banane.
Il sindacato è stato fondato il 15 luglio 2007 da un gruppo di lavoratori, tra cui Ramirez, della Frutera
Internacional Sociedad Anonima, che lavora per la Chiquita. Quattro mesi dopo la compagnia ha ottenuto una lista di tutti i membri fondatori e ha iniziato a minacciarli tramite i propri agenti di sicurezza privata. Alcuni sono stati illegalmente detenuti e costretti a dimettersi. Quattro settimane fa la figlia del segretario generale del Sitrabansur è stata stuprata da uomini armati e la moglie di Victor
Manuel Gomez, un altro leader sindacale, è stata minacciata di morte. Il primo marzo alcuni colpi di
arma da fuoco sono stati esplosi verso la casa di Carlos Carballo Cabrera, segretario generale della
Confederazione di Unità Sindacale del Guatemala (CUSG). ITUC si è rivolta al presidente del Guatemala Alvaro Colom perchè agisca in modo da identificare i responsabili di queste violenze.
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ITUC: i comunicati dal mondo
Emirati Arabi Uniti: lavoratori condannati a sei mesi di carcere
Quarantacinque lavoratori edili indiani sono stati condannati a sei mesi di carcere con l’accusa di riunione illegale, vandalismo e violazione della pubblica sicurezza dopo la loro partecipazione in uno sciopero lo scorso anno
per richiedere migliori condizioni di lavoro.
ITUC protesta con forza contro questo verdetto della Corte Penale di Dubai, un verdetto che costituisce una grave violazione della Convenzione 87 sulla libertà di associazione. Secondo ITUC, il giudice capo Jassem ha voluto
creare un precedente e dare un messaggio forte ai lavoratori “che ricorrono a metodi illegali per difendere i propri diritti nei confronti dei datori di lavoro.”
“Questi lavoratori devono essere rilasciati senza ulteriori attese”, ha dichiarato Guy Ryder, segretario ITUC.
“I lavoratori, specialmente se migranti, devono essere liberi di esercitare i propri diritti di libertà di associazione
ed espressione”.
In una lettera inviata all’OIL, ITUC ha richiesto l’intervento urgente presso le autorità di Dubai e degli Emirati
Arabi Uniti per l’immediata liberazione dei lavoratori e la cancellazione delle accuse.
Cina: Misure sempre più repressive contro i lavoratori di Panyu
Nella provincia di Guangdong, il governo municipale di Guangzhou ha violentemente represso l'azione collettiva
dei lavoratori del distretto di Panyu. La polizia ha disperso circa 4.000 lavoratori della Casio, azienda giapponese.
Fonti locali affermano che il gruppo è stato disperso da circa 1.000 poliziotti in assetto da sommossa. Circa 20
lavoratori, tra cui alcune donne, sono state ferite.
La disputa con la Casio è iniziata il 5 marzo scorso, quando la compagnia ha aumentato i salari base da 580 a
690 yuan. I lavoratori hanno poi scoperto che contemporaneamente il loro bonus mensile era stato tagliato da
85-200 yuan a 5-60 yuan. Diversi lavoratori sono stati portati via dalla polizia. Fotografie degli incidenti mostrano che almeno due donne sono state portate via dai poliziotti.
ITUC sta anche seguendo il processo di 13 lavoratori, tutti coinvolti nelle proteste di Panyu. Cinque di loro sono
detenuti. Lavoravano per una fabbrica di scarpe, forse la Li Chang Footwear Company Limited.
Sono stati accusati penalmente per dimostrazione non autorizzata e disturbo dell'ordine pubblico. La condanna
potrebbe arrivare fino a sette anni di prigione.
In tutto il mondo le donne sono pagate il 16% in meno
Alla vigilia della festa della donna, un nuovo rapporto ITUC, il Global Gender Pay Gap, rivelava che in media le
donne sono pagate il 16 % in meno degli uomini. Il rapporto analizza fonti ufficiali di 63 paesi del mondo. Sono
anche inclusi i dati di un sondaggio on line che interessa 400.000 lavoratori in 12 paesi del mondo.
“Nonostante decenni di leggi anti discriminazione e cambiamenti nella retorica aziendale, i pacchetti salariali delle donne, a New York come a Shangai, sono ancora significativamente più piccoli di quelli degli uomini. Le notizie
positive per i lavoratori del mondo sono che i sindacati riescono a diminuire questa distanza, come confermano i
dati del rapporto. Attraverso la contrattazione collettiva, le donne e gli uomini ottengono un trattamento migliore
e più equo”, dice il presidente di ITUC Sharan Burrow. Le donne più istruite spesso si trovano in una condizione
di differenza anche maggiore rispetto agli uomini con educazione simile; la competizione internazionale dovuta
alla globalizzazione sembra in alcuni casi restringere il divario, ma ciò è dovuto più alla pressione verso il basso
delle paghe degli uomini che all’aumento di quelle delle donne; le informazioni sui redditi non sono disponibili per
centinaia di milioni di persone con un lavoro informale e non protetto, soprattutto nei paesi in via di sviluppo,
lasciando un corposo deficit nella conoscenza globale.
I sindacati in diverse nazioni sottolineano che le differenze effettive tra uomini e donne sono maggiori di quanto
rilevato dalle statistiche. Le differenze nei criteri di raccolta e analisi dei dati, o l’assenza di lavori come ad esempio il lavoro domestico, possono condurre a una sottostima della differenza reale.
“Attraverso le nostre campagne per l’uguaglianza e altri diritti dei lavoratori, i sindacati stanno giocando un ruolo
vitale nell’educare e informare i lavoratori sulle differenze di salario tra i generi, contrastando la forte resistenza
di alcuni governi e imprese. Siamo decisi a continuare e rafforzare questo lavoro, per assicurare che le donne in
ogni angolo del mondo, impiegate in settori diversi e in centinaia di lavori diversi, possano ottenere una paga
equa”, dice Burrow.
La nuova campagna mondiale di ITUC “Lavoro dignitoso, vita dignitosa per le donne” è stata lanciata il giorno
della donna, 8 marzo, con eventi organizzati da 67 sindacati di 52 nazioni nel mondo. L’uguaglianza di genere
sarà anche un argomento centrale della Giornata mondiale del lavoro dignitoso, un’iniziativa del sindacato globale che avverrà il 7 ottobre 2008.
Per scaricare il report: http://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/gap-1.pdf
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I nostri progetti
In queste pagine presentiamo alcuni dei progetti attualmente in corso.
Per gli approfondimenti e gli aggiornamenti si invita a visitare la pagina dedicata del
nostro sito http://snipurl.com/26god o il blog www.iscosmarche.blogspot.com
Pakistan
Ricostruzione della scuola di Shohal Masullah e delle strutture igienico
sanitarie di altre sette scuole
Gli interventi sono stati effettuati nel Tehsil di Balakot, area più colpita dal sisma dell’ottobre del 2005,
ed in particolare nelle Union Council di Shohal Mazullah e Talhatta nel Distretto di Mansehra, NWFP, Pakistan. Su una popolazione di circa 170.000 persone
(in maggior parte bambini), si stima che siano morte
25.000 persone e che altrettante siano rimaste ferite.
ISCOS-CISL ha deciso di concentrare le risorse in
questa area fornendo alla popolazione i servizi e le
strutture scolastiche ed educative di base che erano
andati perduti con il crollo o il danneggiamento di
tutte le scuole della zona.
Nel corso del progetto sono state ricostruite, tra l’altro:
- la Struttura Scolastica Primaria Governativa di Shohal Mazullah finanziata da Regione Marche, ISCOS
Marche onlus e Regione Piemonte;
- le Strutture Igienico Sanitarie, situate presso altre
sette strutture scolastiche finanziate da Regione Marche ed ISCOS Marche.
Eritrea
Attività di sanitation e di educazione sanitaria a Buya
Il villaggio di Buya è stato sostenuto attraverso vari
progetti nel corso degli anni. Sostegno all’agricoltura,
costruzione di un modulo abitativo per usi sanitari,
fornitura di un molino. Questa serie di attività ha dato impulso all’economia locale favorendo l’aggregazione di persone che prima vivevano come nomadi
nell’area circostante.
Adesso si tratta di fornire dei servizi adeguati da un
punto di vista sanitario al villaggio.
L’impegno continua con questa attività di educazione
sanitaria e costruzione di latrine.
Obiettivi:
Garantire servizi di salute di base alla popolazione
attraverso la realizzazione di corsi di educazione sanitaria e la costruzione di latrine pubbliche
Attività:
Costruzione di 15 latrine, realizzazione di iniziative
di sensibilizzazione sui temi della salute ed igiene di
base.
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I nostri progetti
Mostra fotografica
INDIA
Serra de’ Conti (AN) 20 aprile - 31 maggio 2008
L’India mette in mostra le sue bellezze: un viaggio tra i musicisti, i
liutai, la danza, ma anche tra le gente e le culture di una realtà
che la convulsa modernizzazione rischia di far scomparire in poco
tempo. E’ il tema della mostra fotografica “India: culture, spiritualità, tradizioni”, inaugurata il 20 aprile ed aperta sino al 31 maggio
prossimo, presso il Chiostro San Francesco, a Serra de’ Conti, che
l’ISCOS Marche in collaborazione con l’Anteas, propone attraverso
l’esposizione delle opere del fotografo e viaggiatore friulano,
Maurizio Frullani. La mostra permette di vedere ed interpretare
alcuni elementi fondamentali della cultura indiana. Nella tradizione
classica dell’India la musica è da sempre espressione di creatività
e veicolo per il soprannaturale ed il musicista vive in estasi intuitiva sperimentando le realtà che sono oltre al visibile. Attorno a
questo tema, le opere di Frullani illustrano un mondo fatto di momenti della vita quotidiana, in quanto la musica, la religione, il
lavoro, l’etica ed ogni altro aspetto dell’essere non sono a se stanti, ma si compenetrano l’un l’altro, avendo ogni forma la stessa
matrice ed essendo destinata ad annullarsi nella stessa origine.
Articolata in una cinquantina di foto la Mostra è stata realizzata
con il patrocinio del Comune di Serra de’ Conti e con la collaborazione del Centro Servizi per il Volontariato.
Nell’ambito della Mostra, ISCOS Marche presenta i risultati di un
significativo intervento di ricostruzione di strutture comunitarie e
di ripristino delle attività economiche e sociali di alcuni dei villaggi
costieri maggiormente colpiti dal maremoto del dicembre 2004.
ISCOS Marche onlus ha bisogno della tua solidarietà
Il tuo personale contributo e quello della tua organizzazione sono
fondamentali per il successo degli interventi di ISCOS Marche nel
mondo.
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n. 17541608 intestato a ISCOS Marche onlus
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I nostri progetti
Il 5 per mille a ISCOS Marche
Lo scorso anno tante persone hanno deciso con un semplice gesto di diventare protagonisti nella difesa dei diritti degli ultimi.
Il tuo contributo ci permette di rafforzare il nostro intervento in tante aree del mondo che
hanno bisogno di aiuto per affermare i diritti umani, le tutele dei lavoratori e per garantire
un livello di vita migliore alle popolazioni più povere.
L’impegno dell’ISCOS Marche nei progetti di cooperazione è andato avanti in Albania,
Eritrea, Pakistan, India, Tanzania. Altri progetti partiranno nel 2008.
Ti chiedo di destinare il tuo 5 per Mille all’ISCOS Marche ed al suo impegno, consolidato
da circa 15 anni di esperienza, nel campo della solidarietà internazionale, della lotta alla
povertà e della difesa dei bambini, delle donne e degli anziani.
Un semplice gesto come quello del 5 per Mille può produrre tantissimo.
Un grazie sentito.
ISCOS MARCHE onlus
C.F. 93046010422
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I nostri progetti
I video su YouTube: http://it.youtube.com/iscosmarche
Dal 21 gennaio 2008 siamo su
Youtube con un nostro canale:
http://it.youtube.com/iscosmarche
Il canale propone i video dei nostri
progetti. Le immagini ci aiutano a
comprendere le realtà, gli sguardi,
le persone che vivono al di là dei
numeri e dei rendiconti.
YouTube viene presentato spesso
come deposito di video divertenti
o, peggio, come espressione di idioti muniti di videofonino. E' invece un potente strumento di comunicazione dal basso, che vive sul
passaparola, al di là delle logiche
pubblicitarie, di palinsesto, di audience. I piccoli di tutto il mondo
che dialogano e si raccontano, si
confrontano e si scoprono. Il primo
passo per globalizzare i diritti.
Le novità sul blog: iscosmarche.blogspot.com
Il 13 febbraio 2008 inizia il blog di
Iscos Marche:
http://iscosmarche.blogspot.com
Una vetrina sui progetti, sulle notizie dagli organi sindacali internazionali come l'ITUC (International
Trade Union Confederation). Un
modo per interagire con chi ci sostiene e far circolare le notizie. E'
possibile abbonarsi al blog tramite
feed rss, in modo da ricevere gli
aggiornamenti con il proprio programma preferito. Inoltre, si possono lasciare commenti alle notizie, e inviare facilmente per posta
gli articoli più interessanti.
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Libri e film
Dall’Afghanistan alla Malesia,
l’Islam nel cuore dell’Asia
L’Islam viene spesso ridotto in
Occidente a pochi stereotipi, e
così sfugge a volte il dato che
solo il 20% dei fedeli musulmani
nel mondo sono arabi, mentre la
maggioranza si trova invece nei
paesi asiatici, Indonesia e Paesi
del subcontinente indiano in testa. Sfatare luoghi comuni, colmare lacune nella letteratura sui
Paesi asiatici musulmani: questi
gli obiettivi dei due volumi presentati a Roma il 21 febbraio
scorso presso il Pontificio istituto
di studi arabi e d’islamistica
(Pisai), di Paolo Nicelli e Francesco Zannini. Intitolati rispettivamente L’Islam nel sud-est asiatico (2007, pp. 288, €16), e L’Islam nel cuore dell’Asia – Dal
Caucaso alla Thailandia (2007,
pp. 260, €15), sono entrambi a
cura delle Edizioni Lavoro, casa
editrice della Cisl.
Nella tavola rotonda tenuta dagli
autori assieme a Miguel Guixot
del Pisai ed Emanuele Giordana,
direttore di “Lettera 22”, si è
messa in evidenza soprattutto la
grande varietà di modi di vivere
e di praticare l’Islam nei diversi
Paesi dell’Asia musulmana. Il
professor Zannini si è soffermato
innanzitutto sull’Afghanistan,
Paese lontano da noi geograficamente, ma che le vicende del
terrorismo e delle missioni di
pace hanno portato alla ribalta
della cronaca mondiale. In Afghanistan, ha sottolineato Zannini, si fronteggiano due visioni
dell’Islam distinte e contrapposte: quella tradizionalista, e
quella integralista - fondamentalista. Il paradosso, evidenziato
dal docente di arabo e islamistica, che ha vissuto per oltre un
quindicennio nel subcontinente
indiano, è che tra le due, quella
integralista
è
la
più
“occidentale”, nel senso che i
talebani fanno della religione una ideologia, una dottrina di legittimazione per la lotta politica
e il mantenimento del potere, e
ciò è molto occidentale.
soffre oggi di mancanza di
“anticorpi” per rapportarsi alla
globalità e alla modernità.
Tutt’altra storia quella della Malesia, raccontata da padre Paolo
Nicelli, docente universitario e
missionario del Pontificio istituto
missioni estere in Asia. Com’è
arrivato l’Islam nel sud-est asiatico, e in particolare in Malesia,
dove oggi rappresenta il credo di
circa il 60% della popolazione?
L’intervento di Nicelli ha ripercorso la progressiva penetrazione della fede musulmana in questo Paese, nei primi secoli dopo
l’anno 1000, attraverso l’arrivo
di mercanti-missionari, soprattutto dal subcontinente indiano,
che qui stabilirono basi commerciali e rapporti con la popolazione locale. Fu questa la fase di
proposizione, e non di imposizione, della religione islamica. Poi,
attorno al XIV secolo, iniziarono
le prime conversioni di regnanti
locali, e i mercanti-missionari
acquisirono anche la funzione di
consiglieri politici dei sovrani neo-convertiti.
E’ possibile, dunque, parlare di
Islam come fattore socioculturale unificante per l’Afghanistan? Sì e no, è la duplice risposta di Zannini. Sì, perché c’è
un modo di praticare l’Islam nel
quotidiano, comune alla maggioranza della popolazione afghana,
in particolare un “afflato afghano
del sufismo”. No, perché qui, più
che in altre nazioni asiatiche,
molto forte è ancora l’elemento
tribale, e le varie tribù che ancora oggi si spartiscono l’Afghanistan si differenziano anche per la
visione socio-politica dell’Islam.
Questo ha radici storiche: se i
musulmani del subcontinente
asiatico hanno conosciuto, anche
per contrapposizione, l’elemento
unificante della colonizzazione
britannica, e sono stati abituati a
confrontarsi con le altre fedi e
culture, ciò non è avvenuto in
Afghanistan: il Paese ha saputo Si assiste allora alla fase di istiresistere fieramente nei secoli tuzionalizzazione dell’Islam, in
alle dominazioni straniere, ma cui alle guerre di espansione dei
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Libri e film
regni musulmani si accompagna
l’islamizzazione delle popolazioni
conquistate, in un momento di
crisi delle altre fedi e dei regimi
ad esse legati. E che cos’è che,
alla fine, provoca la conversione
di massa al nuovo credo? Padre
Nicelli è convinto che la risposta
è da cercarsi innanzitutto nelle
caratteristiche della fede musulmana in sé, oltre che nelle problematiche politiche, sociali ed
economiche. L’Islam ha apportato ai Paesi asiatici, come Malesia
e Indonesia, una dimensione unificante ed universalistica, permettendogli di relazionarsi efficacemente all’internazionalità.
Guai dunque ad immaginare l’Islam come un qualcosa di monolitico: in ogni nazione si assiste a
differenti e problematiche combinazioni tra etnia e religione,
tra fede e diritto, e in praticamente ogni Paese musulmano
esiste un rapporto conflittuale
tra minoranze integraliste e
maggioranze moderate. Spesso
sono le ultime che sopportano le
conseguenze nefaste delle azioni
delle prime, ed avvertono con
disagio anche la crescente criminalizzazione della loro religione
da parte dei non-musulmani.
l'esaurimento delle risorse naturali, l'ascesa di nuove potenze
economiche e il declino dello stile di vita occidentale. Ma questo
è niente, paragonato a quello
che lo aspetta più avanti: la globalizzazione? Sarà sostituita da
un "super-impero", che controllerà politicamente un mondo policentrico, non soltanto il mercato. Le guerre locali e nazionali?
Inglobate da un "super-conflitto"
dalle conseguenze inimmaginabili. E la gente comune? Sarà
costretta a spostarsi continuamente in ogni angolo del globo
per assecondare i dettami dell'economia, con la conseguenza
che si innescherà una catena
inesauribile di lotte intestine fra
nomadi e sedentari. Dunque è
tutto perduto? Forse no, perché
- dice Attali la storia non è semplice fatalità: il domani dipende
da come gli uomini intendono
usare già oggi le innovazioni tecnologiche e da quanto vogliano
mettere a disposizione dell'umanità le potenzialità individuali,
soprattutto quelle creative.
Immigrazione e cittadinanza.
Claudia Mantovan
2007, 336 p., 24 €
Franco Angeli
Breve storia del
futuro
Jacques Attali
2007, 227 p., brosL'immigrazione in Italia è ormai
sura 16 €
divenuta un fenomeno strutturaFazi
le, eppure nel discorso pubblico
politico e mediatico se ne parla
prevalentemente ancora in terCome sarà il mondo nel 2060? E mini allarmistici, culturalisti o,
cosa accadrà nei prossimi cin- nella migliore delle ipotesi, sotquant'anni? Questi gli interroga- tolineandone l'utilità per la notivi cui risponde l'ultimo saggio stra economia. Di migranti come
di Jacques Attali, economista e cittadini e della loro partecipascrittore eclettico, esperto di po- zione politica e sociale, invece, si
litica internazionale e di nuove sente parlare ancora ben poco.
tecnologie. Si sa che nell'imme- Questo libro vuole essere un
diato futuro l'uomo dovrà affron- contributo in tale direzione, anatare alcuni problemi urgenti: il lizzando la questione della
terrorismo su scala mondiale e il "cittadinanza" degli immigrati,
fondamentalismo religioso, il intesa non tanto e non solo in
surriscaldamento del pianeta e senso formale, quanto soprattut-
to come partecipazione effettiva
alla vita politica, civile e sociale
di un Paese.
Nella prima parte, ad una riflessione teorica sulla tematica
"immigrazione, cittadinanza, globalizzazione", segue l'analisi dell'auto-organizzazione, della partecipazione e della rappresentanza degli immigrati in Italia.
Un primo tentativo di sistematizzazione della letteratura relativa
al caso italiano consente di ricostruire l'evoluzione della situazione nel nostro Paese per ciò
che concerne l'associazionismo e
la mobilitazione dei migranti, gli
organismi consultivi per stranieri, il dibattito sul diritto di voto e
la partecipazione degli immigrati
nei sindacati, oltre che di tracciare un bilancio della ricerca in
Italia su questi temi.
La seconda parte presenta una
ricerca empirica, che ha come
oggetto l'auto-organizzazione e
la partecipazione degli immigrati
in Veneto.
Morire per vincere.
La logica strategica
del terrorismo suicida
Robert Pape
2007, 336 p., 24 €
Il Ponte
Nella sua semplicità, la tesi dimostrata da questo libro è dirompente: la causa fondamentale degli attacchi suicidi, e del loro incremento esponenziale negli
ultimi anni, non è il fondamentalismo religioso, e nemmeno la
povertà o il sottosviluppo, ma
una risposta organizzata a quello
che viene percepito come uno
stato di occupazione militare.
L’obiettivo fondamentale dei
gruppi terroristici è quindi del
tutto “secolare e strategico”: costringere le democrazie moderne
a ritirare le proprie truppe da
territori che essi considerano
come la propria patria.
Robert Pape, docente di scienze
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Libri e film
politiche all’Università di ChicaParole sante
go, coordinatore del “Chicago
A. Celestini
Project on Suicide Terrorism” ed
2008 Cecchi Gori
editorialista per il New York TiHome Video
mes, il Washington Post e Foreign Affairs, è uno dei massimi
esperti nel campo e il suo libro è
l’analisi più ampia e dettagliata
che si possa all’oggi reperire su
questa inedita e agghiacciante Parole sante è il secondo documodalità di “guerra partigiana”. mentario di Ascanio Celestini che
torna a parlare di lavoro e sfrutL’inquietudine delle tamento dopo Senza paura che
differenze
si occupava della vicenda di sei
Michel Wieviorka
lavoratori notturni. Il noto dram2008, 96 p., 9 €
maturgo ha incontrato un grupBruno Mondadori
po di precari che hanno lavorato
in questi anni nel più grande call
center italiano. Migliaia di persone sono passate per l'Atesia con
sede a Cinecittà in un'anonima
“Nell’ambito delle scienze sociali, palazzina che solo all'apparenza
la questione delle differenze ha sembra un condominio qualunfinito per dare vita a due conce- que. Numeri da capogiro: trezioni opposte. Stando alla prima, centomila telefonate al giorno,
impiegati.
essa andrebbe analizzata in base q u a t t r o m i l a
La
storia
prende
vita
attraverso
alla capacità posseduta da una
società di integrare le proprie le loro interviste e le loro parole.
differenze interne, e dunque in Per quanto Celestini voglia trobase ai concetti di struttura, di vare delle risposte, il filmato solmeccanismo, di istituzione, di leva domande scomode su quesistema sociale e di società. Il sta realtà poco approfondita ma,
secondo orientamento, al con- più in generale, ricostruisce le
trario, esamina la questione non forme di organizzazione e lotta
tanto dal punto di vista dell’inte- passando dai sindacati per arrigrazione compiuta dalla società vare ai partiti e allo Stato. In
quanto piuttosto da quello dei modo chiaro e diretto, viene
portatori delle differenze; esso cancellata l'idea che la flessibilità
considera dunque il soggetto nel possa essere uno strumento per
suo tentativo di affermare la calare la disoccupazione. Rimapropria differenza, analizzando ne, però, la confusione su cosa
le reti che gli permettono di esi- sia un lavoratore precario. Sono
stere e di comunicare e al tempo persone che scelgono la flessibistesso i cosiddetti fenomeni di lità per sentirsi più libere oppure
mobilità o, per dirla con sono subordinati a cui le aziende
Zygmunt Bauman, di fluidità. fanno un contratto a progetto
Questa seconda prospettiva si per risparmiare? Difficile trovare
concentra meno sulla società nel una collocazione per loro visto
suo insieme e più sugli individui, che il mercato del lavoro cambia
sui gruppi, sulle reti, sulla circo- di giorno in giorno.
lazione, la creatività personale e
collettiva e l’esperienza vissuta.
Sebbene le due prospettive non
siano palesemente in contraddizione, è comunque meglio adottarne una sola.”
Michel Wieviorka
Il documentario si preoccupa
non solo di fornire stime precise
su un fenomeno sempre più preoccupante ma sottolinea anche il
forte disagio emotivo vissuto da
molti ragazzi che, spesso, accettano un lavoro pagato cinque-
centocinquanta euro. Fugge l'inchiesta esattamente come si allontana dalla trappola di cadere
nella distinzione tra politica e
anti-politica. Il cinema e teatro
sono politici nel loro stesso essere in quanto parlano di cose che
accadono alle persone.
Persepolis
Marianne
Satrapi,
Vincent Paronnaud
2007 BIM
L’iraniana Marjane Satrapi e il
francese Vincent Paronnaud
hanno fuso insieme le proprie
attitudini professionali e il proprio bagaglio socioculturale per
dirigere da registi e sceneggiatori Persepolis.
Si tratta di un film d’animazione
a carattere autobiografico che
narra le vicende della piccola
Marjane (alias Marjane Satrapi),
simbolo, non unico ma possibile,
dei mutamenti generazionali e
storico-culturali di un’intera nazione, l’Iran.
E’ il cambiamento, infatti, il nucleo tematico intorno a cui si
sviluppa l’intera storia: il cambiamento fisico e caratteriale di
Marjane nel passaggio dall’adolescenza alla maturità, il cambiamento storico dell’Iran avvenuto
sul finire degli anni ‘70, il cambiamento geografico della protagonista alla scoperta dell’Europa
e di una nuova realtà. L’evolversi delle vicende scorre lineare
durante la visione delle sequenze, disegnate quasi esclusivamente in bianco e nero. E la
scelta di non ricorrere ai colori
non toglie affatto energia ed espressività al contenuto narrato.
Persepolis è il viaggio di Marjane
alla scoperta di sé e di un futuro
apparentemente imposto dal destino. È il viaggio di una ragazza
che attraverso Dio, la nonna, e
anche Rocky, riesce a trovare il
proprio spazio nel mondo.
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Una nota
Il sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole, scrisse Ennio Flaiano. Le nuvole dell'ISCOS
Marche sono i valori democratici e sindacali. Sono lontani, in alto, ma guidano le azioni quotidiane, i progetti di
cooperazione in giro per il mondo, le iniziative in Italia. Da lassù, da quelle nuvole, possiamo guardare avanti e
affermare con forza il diritto a un lavoro dignitoso e a una vita dignitosa per tutti. Darsi da fare per difendere i
diritti di tutti non è altruismo. Se volete, potete definirlo egoismo, il sano egoismo di chi ha capito che o ci salviamo tutti, o non si salva nessuno. Realizzare progetti in Eritrea o Pakistan non è un'esotica aggiunta all'impegno
sindacale, ma parte fondamentale di una strategia di azione per affermare i diritti in questa parte del mondo in
cui abbiamo avuto la fortuna di capitare. La strada scelta da ISCOS Marche è quella del lavoro e dei lavoratori,
delle lotte sindacali e dei diritti.
Partire dai diritti di base, l'acqua, il cibo, la salute, l'istruzione, e proseguire con la formazione, il lavoro, la sicurezza, la dignità di chi vede riconosciuto il proprio ruolo di lavoratore. Una strada lunga, difficile, impervia, ma
non vi preoccupate: da quassù si vede bene da che parte andare.
E con queste motivazioni, dopo oltre un anno di pausa, ci impegniamo a riprendere le pubblicazioni del nostro
periodico “Cooperare per lo sviluppo”.
L’obiettivo prioritario è di offrire materiale informativo e di documentazione ad operatori sindacali ma anche a
quanti sono impegnati individualmente o nelle associazioni, sui temi della cooperazione, dello sviluppo e dell’integrazione socioculturale. Intendiamo soprattutto evidenziare i limiti e le contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo soprattutto in quei paesi, in quelle realtà dove l’Iscos e la Cisl sono impegnati concretamente a sostenere
progetti finalizzati all’emancipazione economica, sociale e all’affermazione dei diritti umani fondamentali a partire
dai diritti del lavoro.
Ma quei limiti, quelle contraddizioni si manifestano in modo sempre più drammatico anche nella nostra realtà,
che è quella di una società che si considera economicamente avanzata e socialmente evoluta, ma dove in realtà è
sempre più diffusa la povertà, la precarietà, l’incertezza di ceti sociali non garantiti: lavoratori precari, lavoratori
(anche di alto livello professionale) che percepiscono redditi assolutamente inadeguati, immigrati non integrati,
disoccupati, anziani non autosufficienti… E l’elenco sarebbe ancora più lungo. Una realtà questa che non trova
visibilità se non occasionalmente e marginalmente nei maggiori organi di informazione. Ed a rendere tale contraddizione ancora più stridente è il fatto che tale realtà coesiste con un sistema di privilegi di cui se ne avvantaggiano lobby, corporazioni, caste che costituiscono un ostacolo sempre più forte ad un processo riformatore che
vada nella direzione di una più equa distribuzione del reddito.
Ma non possiamo fornire un’immagine solo negativa della nostra società limitando il nostro compito di informazione e di documentazione alla sola denuncia. Per questo ci proponiamo anche di dare spazio, visibilità a progetti
ed esperienze di integrazione e di sviluppo che vedono impegnate associazioni di volontariato, organizzazioni di
base, espressione di una società civile dinamica e indipendente da logiche di schieramento politico.
ISCOS Marche - Istituto Sindacale di Cooperazione allo Sviluppo - è una onlus (organizzazione non lucrativa di
utilità sociale) attiva nelle Marche dal 1 gennaio 1994, e costituitasi formalmente il 15 luglio 1998. Attraverso la
cultura della solidarietà e della cooperazione ISCOS Marche - in collaborazione con le istituzioni, le comunità locali e le organizzazioni sindacali dei paesi più poveri del mondo - promuove e sostiene iniziative di sviluppo
per il lavoro, la produzione, la formazione, la salute, l’affermazione della democrazia e dei diritti umani fondamentali a partire dai diritti del lavoro.
ISCOS Marche persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale con lo scopo di:
• sviluppare e rafforzare la solidarietà ed i legami tra i popoli;
• sostenere con progetti di sviluppo il progresso economico, sociale, tecnico e culturale delle popolazioni dei paesi poveri, assistendole anche con aiuti umanitari in situazioni di emergenza;
• contribuire al rafforzamento del movimento dei lavoratori nei Paesi in Sviluppo;
• formare, istruire, sensibilizzare la società civile italiana nel suo insieme sulle tematiche relative allo sviluppo,
alla globalizzazione e ai rapporti Nord-Sud.
ISCOS Marche è impegnato a combattere ogni forma di discriminazione etnica, politica, religiosa, di genere ed
offre il suo contributo per l’affermazione della cultura del dialogo e della pace.
Dalla sua costituzione, ISCOS Marche ha completato o ha in corso di realizzazione iniziative di cooperazione internazionale in 17 paesi del mondo.
ISCOS Marche onlus
Via dell’Industria 17/a - 60127 Ancona
Tel. 071 505224 - fax 071 505207