FEDELI_Properzio Lo spazio dell`amore

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FEDELI_Properzio Lo spazio dell`amore
PAOLO FEDELI
PROPERZIO: LO SPAZIO DELL’ AMORE
1. « Con te in ogni parte del mondo, con te notte e giorno ». Sembrerebbero le sdolcinate effusioni sentimentali di un cantautore nostrano
in tensione sentimentale, con sottofondo di miagolanti violini; invece
sono parole di Properzio, nell’iperbolico sfogo passionale che chiude la
XXI elegia del II libro e, mentre da un lato non pone all’amore né
limiti spaziali né confini temporali, dall’altro garantisce all’amata l’assidua presenza del suo uomo in ogni momento della vita (2,21,19-20):
nos quocumque loco, nos omni tempore tecum,
sive aegra pariter sive valente, sumus.
Il distico si fonda su una insistente ricerca di parallelismo: nel v. 19
a nos quocumque loco, che assicura una continua presenza nello spazio,
corrisponde nos omni tempore tecum, che tale presenza proietta nel tempo; nel v. 20, poi, mentre sive aegra garantisce che a Cinzia il poeta
resterà accanto anche nei momenti di precaria salute, l’antitetico sive
valente dilata l’ampiezza dell’assidua presenza ai periodi di buona salute
e ribadisce in tal modo l’omni tempore dell’esametro. Non è privo d’importanza, però, che Properzio non si serva del futuro per una situazione
che sembra riguardare gli sviluppi del rapporto amoroso: il presente
sumus, infatti, offre il vantaggio di dare a Cinzia la certezza di una fides
che non è venuta mai meno, neppure nei periodi in cui da lei il poeta
è stato tradito e abbandonato. D’altra parte il poeta sa bene – a dispetto delle sue rassicuranti proclamazioni – che sia il vivere l’amore nello
stesso spazio (ciò che è detto in quocumque loco) sia l’accordargli una
durata ininterrotta (come egli pretende di fare in omni tempore) non dipendono tanto dalla sua volontà, quanto piuttosto dalle decisioni e dagli atteggiamenti della volubile domina.
Al di là, però, delle buone intenzioni, in una vicenda d’amore che si
fonda sul contrasto è inevitabile che per gli amanti non sempre lo spa-
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zio dell’amore sia lo stesso, ma spesso venga violato da presenze estranee e antagonistiche. In maniera analoga il tempo dell’amore, che vorrebbe essere continuo, non di rado deve subire brusche interruzioni:
tutto ciò rientra nelle regole del discorso amoroso, che non si sviluppa
in una coerente successione, ma si fonda sul contrasto e sulle violente
lacerazioni. È necessario, però, fare chiarezza sin dal principio: poiché
spesso mi accadrà di parlare di una storia o di una vicenda d’amore,
sarà opportuno ribadire quanto ho sostenuto anche nel più recente Colloquium Propertianum nel parlare dello statuto della donna elegiaca 1: il
poeta d’amore costruisce la propria vicenda sentimentale e i personaggi
che ad essa partecipano fondandosi in gran parte sui topoi della tradizione ellenistica e catulliana, che non si limitano a fornirgli ricercate
iuncturae e raffinati moduli espressivi, ma gli offrono i contenuti stessi
della vicenda da narrare ai lettori. Di conseguenza diviene ozioso interrogarsi sui limiti fra la vita vissuta e quella letterariamente rivissuta,
perché tali limiti rimangono ampiamente ipotetici e difficilmente definibili; interessa, piuttosto, constatare che proprio questa storia d’amore e
questa sua visione del mondo degli innamorati Properzio abbia voluto
presentare ai lettori del tempo di Augusto.
2. Non sappiamo dove ambientare la scena dell’innamoramento per
il folgorante sguardo di Cinzia, che Properzio descrive nel distico di apertura del I libro: pensa forse il poeta a un incrociarsi di sguardi nella
pubblica via, oppure immagina che quell’occhiata ammaliatrice sia avvenuta in uno dei luoghi canonici della conquista amorosa nell’immaginario degli antichi, e dunque nel teatro o nel circo? Non sarà un caso,
infatti, che quando Cinzia detterà a Properzio nella 4,8 la sua formula
legis, baderà bene a metterlo in guardia dal voltarsi audacemente in teatro per lanciare occhiate assassine verso lo spazio riservato alle donne 2;
ma il dubbio rimane, perché nello stesso contesto Cinzia cita, quali spazi
tipici della conquista amorosa, anche il portico di Pompeo e i luoghi del
Foro in cui si svolgevano i ludi dei gladiatori 3. Il teatro, però, resta il
maggiore indiziato, per testimonianza di Properzio stesso (2,22,3-10):
nulla meis frustra lustrantur compita plantis;
o nimis exitio nata theatra meo,
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Fedeli 2008.
4,8,77 colla cave inflectas ad summum obliqua theatrum.
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4,8,75-76 tu neque Pompeia spatiabere cultus in umbra, / nec cum lascivum sternet harena
Forum.
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sive aliqua in molli diducit candida gestu
bracchia, seu varios incinit ore modos!
Interea nostri quaerunt sibi vulnus ocelli,
candida non tecto pectore si qua sedet,
sive vagi crines puris in frontibus errant,
Indica quos medio vertice gemma tenet.
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I teatri, com’è noto, sono il luogo prediletto per intessere avventure
galanti 4. È vero che l’unico teatro stabile allora esistente era quello di
Pompeo: ma nel plurale del v. 4 Properzio ha in mente anche i teatri
che venivano provvisoriamente allestiti per le numerose rappresentazioni drammatiche; per lui, d’altronde, non è un problema di strutture, ma
di presenze femminili. Però insieme ai teatri nel contesto di 2,22 compaiono anche le strade, perché – nonostante gli infelici tentativi di vedere nei compita del v. 3 un sinonimo di theatra – è agli angoli delle
strade che Properzio pensa, in particolare agli incroci in cui la confluenza di più vie favorisce gli incontri occasionali: è in quello spazio, infatti,
che è più facile per l’aspirante seduttore attendere la preda, e incontrarla.
Lo sa bene anche Cinzia, per esperienza diretta: la sua ombra, che
dopo il funerale imperfetto si presenta a Properzio, sarà pure evanescente e impalpabile, ma evidentemente non ha ancora bevuto l’acqua
del Lete che dona l’oblio, perché tutto ricorda della vita in comune,
specialmente di quella sessuale. Anche Cinzia, dunque, individua nei
punti in cui più vie confluiscono favorendo gli incontri lo spazio ideale per la conquista e svela al lettore che proprio in quello spazio aperto – si spera col favore delle tenebre notturne – lei e il poeta erano
soliti dare sfogo alla loro passione, con le vesti a fare da coperte di un
giaciglio improvvisato ‘en plein air’ (4,7,19-20):
saepe Venus trivio commissa est, pectore mixto
fecerunt tepidas pallia nostra vias.
3. Bastano questi pochi esempi a far capire che in Properzio è la
città lo spazio dell’amore, come lo era stata in Catullo e poi in Cornelio
Gallo. Certo, dell’amore di Cornelio Gallo per Licoride sappiamo ben
poco: ma che ad esso abbia fatto da sfondo l’ambiente cittadino è Virgilio a farcelo capire, quando nella X bucolica per lenire le sofferenze
4
Su questo topos cfr. Fedeli 2005, 566, nel commento a 2,19,9-10.
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d’amore che all’amico poeta provoca la fuga di Licoride gli suggerisce
di trasferire la propria esistenza e il proprio canto d’amore nel mondo
bucolico, in modo da trovare nei boschi e nelle selve il rimedio alle sue
pene. Gallo accetta, ma capisce ben presto che alla forza d’Amore non
esiste rimedio, neppure nello scenario bucolico. A quell’invito di Virgilio, però, non rimarrà insensibile Tibullo, che nella sua prima elegia si
farà agricoltore e su un letto campestre si augurerà di poter giacere con
Delia. Che quello di Properzio, invece, sia un amore cittadino, lo si
intuisce ben presto, sin da quando nella prima parte di 1,8 fa della sua
Cinzia una novella Licoride, pronta a seguire un suo spasimante in Illiria, e poi, nella seconda parte della stessa elegia, la fa rinunciare a
tanto audaci propositi; è nel momento del suo trionfo che il poeta proclama (1,8,31-32):
illi carus ego et per me carissima Roma
dicitur, et sine me dulcia regna negat.
Dal punto di vista di Cinzia, dunque, l’amore di Properzio s’identifica addirittura con quello per Roma ed è proprio il poeta, col suo atteggiamento di devozione fedele, a renderle gradita la vita cittadina.
Sono gli amici stessi, d’altra parte, a ritenere l’amore della coppia
elegiaca indissolubilmente legato alla città, al punto che Pontico nell’esordio dell’elegia 1,12 5 può facilmente congetturare che Properzio non
si decide a lasciare Roma perché la sua ‘liaison’ con la donna che ha
scelto di cantare gli impedisce di allontanarsi dallo spazio dell’amore
elegiaco (1,12,1-2):
Quid mihi desidiae non cessas fingere crimen,
quod faciat nobis, Pontice, Roma moram?
D’altronde è significativo che i periodi di dura astinenza sessuale
per il tradimento s’identifichino sempre con la negazione dei luoghi e
dei momenti tipici della vita cittadina, tanto che, quando nell’elegia 2,16
Properzio descrive il trionfo in amore del barbarus che gli ha sottratto la
donna amata 6, la sua condizione disperata di amante abbandonato si
manifesta non solo con l’inappetenza, ma anche col rifiuto di quei luo-
5
Naturalmente se si accetta di correggere con Kraffert nel vocativo Pontice l’improbabile conscia tràdito dai codici nel v. 2, che andrebbe riferito a Roma. Sulla situazione
testuale cfr. Fedeli 1980, 288-290.
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2,16,27-28 barbarus exutis agitat vestigia lumbis / et subito felix nunc mea regna tenet.
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ghi, come il teatro e il Campo Marzio, che dello spazio cittadino sono i
simboli privilegiati (2,16,33-34):
tot iam abiere dies, cum me nec cura theatri
nec tetigit Campi, nec mea mensa iuvat.
Non c’è dubbio che tot iam abiere dies (v. 33) rappresenti un caso di
enfatica esagerazione, perché in precedenza il poeta ha lasciato intendere che il discidium dura solo da una settimana 7: di questo potranno
turbarsi quanti dagli elegiaci si attendono il preciso rispetto di una presunta realtà; è chiaro, però, che qui Properzio vuole intensificare la portata della sua condizione di exclusus, ricorrendo sia alla dilatazione del
tempo della lontananza da Cinzia sia all’anafora della particella negativa, che scandisce la serie degli inutili tentativi di riprendere il ritmo
normale della vita cittadina, fatta di spettacoli e di attività ginnica, oltreché di cibo.
A causa di questo suo ruolo di spazio dell’amore elegiaco, sarà la
città tutta a chiacchierare sulla relazione di Properzio con Cinzia
(2,20,21-22):
septima iam plenae deducitur orbita lunae,
cum de me et de te compita nulla tacent.
Qui iperbolicamente Properzio immagina di trovarsi, insieme a Cinzia, al centro dell’attenzione generale e la rappresentazione dell’amore
che felicemente si realizza è affidata ai rumores della gente nei tradizionali luoghi d’incontro cittadini: i crocevia, innanzi tutto, ma c’è da presumere che Properzio pensi anche ai luoghi in cui i Romani erano soliti
scambiare quattro chiacchiere.
Agli stessi ambienti rinvia la situazione di 2,24a, in cui Properzio
dapprima sostiene di essere ormai sulle bocche degli abituali frequentatori del Foro per i suoi carmi su Cinzia 8 e, poi, proclama che se la
donna da lui cantata gli accordasse facilmente i suoi favori, egli non
sarebbe vilipeso e diffamato per tutta Roma (2,24a,5-7):
quod si iam facilis spiraret Cynthia nobis,
non ego nequitiae dicerer esse caput,
nec sic per totam infamis traducerer urbem.
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2,16,23-24 numquam septenas noctes seiuncta cubares, / candida tam foedo bracchia
fusa viro.
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2,24a,1-2 tu loqueris, cum sis iam noto fabula libro / et tua sit toto Cynthia lecta foro?
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C’è, però, una giustizia riparatrice: sicché quando a tradire è la dispotica Cinzia, a Roma è lei a finire sulle labbra di tutti. È questa la
situazione iniziale dell’elegia 2,5:
Hoc verum est tota te ferri, Cynthia, Roma
et non ignota vivere nequitia?
L’elegia si apre con questa espressione di attonito stupore del poeta,
poco disposto a credere a ciò che tutti vanno dicendo in merito al
dissoluto comportamento di Cinzia: nel verso iniziale al ritmo spondaico si uniscono – a scandire la riflessione del poeta e a conferirle peso –
l’insistente allitterazione della dentale e l’iperbato, che dilata l’ampiezza
della fama in ogni angolo della città; accortamente Cinzia viene accostata a Roma, perché è Roma l’ambiente delle sue dissolutezze.
All’interno della città quale scenario dell’amore, lo spazio in cui esso
si concretizza si restringe – al di là degli iperbolici accenni agli amplessi
nei compita ‘en plein air’ di cui si è già detto a proposito di 4,7,19-20 –
alla casa e al letto di Cinzia. Con un’unica eccezione – su cui mi soffermerò in seguito – Properzio non parla mai della propria casa come di un
luogo d’amore, ma sempre si descrive mentre fiducioso si presenta alla
porta della casa di Cinzia. Talora non sembra incontrare ostacoli sul proprio cammino, come avviene nel caso di 1,3, allorché reduce dal banchetto coglie Cinzia ancora addormentata dopo una notte di vana attesa, o di
2,29b, in cui la stessa situazione si ripropone di buon mattino. In entrambi i casi, vista la facilità dell’accesso da parte dell’amante, si potrebbe
pensare alla casa di Properzio: ma non esistono accenni a una vita in
comune, sia pure per brevi periodi, e questa indeterminatezza, che talora
dà luogo ad apparenti contraddizioni, in realtà si iscrive nella vaghezza
stessa con cui è caratterizzata la figura di Cinzia, ora meretrix ora matrona.
L’eccezione è costituita da 4,8, ma è motivata dalle modalità di esecuzione del tentativo di rivalsa del poeta nei confronti del tradimento
di Cinzia: se la donna amata ha deciso di scorazzare fra Roma e Lanuvio sul cocchio di un ricco ed eccentrico amante, sarà nella propria
dimora a Roma, sull’Esquilino, che Properzio organizzerà un festino consolatorio con due donnine allegre. Ma il ritorno improvviso e inatteso
di Cinzia è quello tipico di una domina che considera violato lo spazio
a lei sola riservato degli amori col proprio uomo, e per questo motivo
– oltre a dettare le regole di un rinnovato patto d’amore – provvede
alle purificazioni di rito, prima di sancire la pace con una battaglia
d’amore sul letto di Properzio.
Se, però, la norma vuole che lo spazio degli amanti sia quello della
casa di Cinzia – che anche per questo motivo palesa più spesso la con-
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dizione di meretrix di quella di matrona – allora non sorprendono né i
frequenti accenni ai custodes che impediscono l’ingresso in casa di Cinzia
né la raffigurazione di una dimora in cui tutti possono entrare perché
Cinzia si comporta come una grande cortigiana 9; una dimora dove i
giovani si disputano animosamente la precedenza e con i loro reiterati
appelli non le consentono di dormire 10. È sempre la casa di Cinzia,
divenuta lo spazio del tradimento, ad accogliere per le gozzoviglie e i
notturni amplessi il pretore di 2,16 11, mentre il poeta si lamenta di
esservi ammesso solo ogni dieci giorni 12 e di non avere neppure la
possibilità di far filtrare i suoi appelli accorati attraverso le fessure della
porta 13. Ben diversamente, invece, da quanto capita a Properzio, nel
caso del pretore tota ... nocte patet in riferimento alla porta (2,16,6) fa
capire che per lui non esiste alcun divieto d’accesso durante l’intera
notte: proprio la porta, tradizionalmente ostile al poeta e tanto spesso
per lui inesorabilmente chiusa, si apre, anzi si spalanca (patet) per accogliere quel bellimbusto!
Se la casa di Cinzia costituisce lo spazio dell’amore, ben si capisce
perché nella fase del discidium essa possa assumere una connotazione
negativa, che ben s’intona con l’atteggiamento desolato e querulo di
una Cinzia che soffre per la lontananza del suo uomo e i sospetti di
tradimento (3,6,11-18):
nec speculum strato vidisti, Lygdame lecto
scriniaque ad lecti clausa iacere pedes
ac maestam teneris vestem pendere lacertis?
Ornabat niveas nullane gemma manus?
Tristis erat domus, et tristes sua pensa ministrae
carpebant, medio nebat et ipsa loco,
umidaque impressa siccabat lumina lana,
rettulit et querulo iurgia nostra sono?
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2,6,1-6 Non ita complebant Ephyraeae Laidos aedis, / ad cuius iacuit Graecia tota fores; /
turba Menandreae fuerat nec Thaidos olim / tanta, in qua populus lusit Ericthonius; / nec quae
deletas potuit componere Thebas, / Phryne tam multis facta beata viris.
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2,19,5-6 nulla neque ante tuas orietur rixa fenestras, / nec tibi clamatae somnus amarus
erit. La rixa ante Cynthiae fenestras a cui allude Properzio nel v. 5 sarà con ogni probabilità
una disputa fra spasimanti avvinazzati perché reduci dal banchetto e desiderosi di avere
la precedenza nei favori sessuali, piuttosto che un alterco fra uno spasimante e il portiere o un tentativo di attirare, urlando, l’attenzione della donna.
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2,16,5-6 nunc sine me plena fiunt convivia mensa, / nunc sine me tota ianua nocte patet.
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2,17,11-12 quem modo felicem Invidia admirante ferebant, / nunc decimo admittor vix
ego quoque die.
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2,17,15-16 nec licet in triviis sicca requiescere luna, / aut per rimosas mittere verba fores.
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La condizione di abbandono e di trascuratezza in cui versa Cinzia si
riflette sulla sua casa: lo specchio giace abbandonato sul letto, il cofanetto con gli ingredienti per il trucco è confinato ai piedi del letto, la
veste è neghittosamente gettata sulle sue spalle e nessuna pietra preziosa adorna le sue dita.
In quale quartiere di Roma il poeta collochi lo spazio dell’amore è
Cinzia stessa a dircelo, nella rievocazione dei legami di un tempo ormai
passato all’interno del suo sfogo post mortem nei confronti dell’amante
ingrato e immemore (4,7,15-18):
iamne tibi exciderant vigilacis furta Suburae
et mea nocturnis trita fenestra dolis,
per quam demisso quotiens tibi fune pependi,
alterna veniens in tua colla manu?
Che la scena sia ambientata nella Suburra potrà sorprendere i volenterosi sostenitori di una Cinzia matronale, ma offre una definitiva
conferma a quanti ritengono che Properzio abbia voluto conferire alla
donna da lui cantata i tratti di una meretrix da commedia (quanti suoi
monologhi patetici, allora, piuttosto che un tono tragico potrebbero assumere cadenze paratragiche!). Comunque sia, a una donna che viene
rappresentata come una meretrix ben si addice la Suburra e alla sua
condizione di vigilata da uno o più custodes che le impediscono di allontanarsi ben si adatta la descrizione di un’audace fuga dalla finestra, grazie a una corda che le consente di giungere fra le braccia di Properzio.
Nonostante gli amplessi nei compita e le ardite discese dalla finestra
di casa, è il letto di Cinzia lo spazio privilegiato dell’amore. In un rapporto d’amore contrastato, il letto può divenire addirittura il confidente
degli sfoghi del poeta, oppure nei momenti di maggiore felicità si può
assistere al suo makarismós. È quanto avviene dopo una straordinaria
notte d’amore (2,15,1-2):
O me felicem! O nox mihi candida! Et o tu,
lectule, deliciis facte beate meis!
Nel pentametro oggetto dell’attenzione, e della beatificazione, è proprio il letto, che ha assistito alle prestazioni erotiche degli amanti e qui,
personificato, assume la tradizionale funzione di testimone di una notte
di amore 14: il resto del pentametro, poi, costituisce un’espansione di
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Esempi del topos in Fedeli 2005, 444.
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lectule, che giustifica la preferenza accordata al vocativo anche nel nesso
appositivo in omeoteleuto (facte beate).
In situazioni del genere il ruolo del letto può divenire addirittura
iperbolico, come nel caso di 2,26b,23-24:
non, si iam Gygae 15 redeant et flumina Croesi,
dicat ‘De nostro surge, poeta, toro!’
Tutte le ricchezze del mondo, dunque, non riuscirebbero ad allontanare Properzio dal letto di Cinzia. Se, però, muta l’atteggiamento della
sua domina, ecco che il poeta può diventare ‘di peso’ per un letto che
ormai è occupato da un altro (2,24c,19-20):
una aut altera nox nondum est in amore peracta,
et dicor lecto iam gravis esse tuo.
In gravis è racchiusa l’idea di un peso insostenibile per il letto stesso, perché il poeta è stato escluso dallo spazio dell’amore ed è ormai di
troppo in un letto in cui un rivale ha preso fissa dimora.
Proprio per questa sua funzione simbolica di testimone d’amore e di
sede dell’amore è il letto che in primo luogo è colpito e offeso dalla
violazione del patto d’amore (4,8,27-28):
cum fieret nostro totiens iniuria lecto,
mutato volui castra movere toro.
Iniuria, uno dei non pochi termini del linguaggio legale passati in quello erotico, denuncia la violazione del foedus amoris, che nel caso di Properzio, poi, è reiterata (totiens), tanto da indurre il poeta a ‘togliere le tende’
(castra movere, in questo caso con un’espressione presa in prestito dal linguaggio militare) e a trasferirsi in un letto diverso (mutato ...toro): cambiare
donna, dunque, significa in primo luogo cambiare la sede dell’amore.
A causa di tale funzione simbolica, non sorprende che nella rappresentazione metaforica dell’unione sessuale il letto possa assurgere allo stesso
livello di un luogo sacro: è questo il caso della chiusa di 3,10 (vv. 29-32):
cum fuerit multis exacta trientibus hora,
noctis et instituet sacra ministra Venus,
annua solvamus thalamo sollemnia nostro
natalisque tui sic peragamus iter.
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Sul testo qui adottato cfr. il mio commento ad loc.
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È il giorno del compleanno di Cinzia, che dopo aver celebrato i
sacrifici rituali lo trascorrerà con Properzio in un convito intimo: alla
fine, dopo aver trascorso le ore insieme, i due amanti concluderanno
degnamente nel letto la celebrazione della fausta ricorrenza. Nella conclusione del carme l’adozione del linguaggio sacrale fa sì che anche
l’accenno all’atto sessuale si mantenga nell’ambito della sfera ufficiale di
celebrazione della festa (alludo a instituet sacra; ministra Venus; solvamus ...
sollemnia); ma al tempo stesso Properzio gioca sull’ambiguità di termini
come solvere 16 e iter 17.
Poiché, dunque, il letto è il simbolo dello spazio d’amore, quando il
discidium costringe alla separazione la distanza che si crea fra gli amanti
equivale a un’iperbolica lontananza dal letto abbandonato. Si è già citato il distico iniziale di 1,12, in cui l’amico Pontico attribuisce l’indugio
di Properzio in città alla passione per Cinzia e al desiderio di non lasciare lo spazio dell’amore; il poeta, però, mette subito in chiaro che
non è così e con un’iperbolica immagine geografica identifica la lontananza di Cinzia con la lontananza dal letto (1,12,3-4):
tam multa illa meo divisa est milia lecto,
quantum Hypanis Veneto dissidet Eridano.
4. Con lo spazio dell’amore coesistono, però, anche quelli del sospetto e del tradimento. Quello del sospetto è descritto con abbondanza
di particolari nella sezione iniziale di 2,32 (vv. 1-18):
Qui videt, is peccat: qui te non viderit, ergo
non cupiet: facti lumina crimen habent.
Nam quid Praenestis dubias, o Cynthia, sortis,
quid petis Aeaei moenia Telegoni?
Aut cur te Herculeum deportant esseda Tibur?
Appia cur totiens te via Lanuvium?
Hoc utinam spatiere loco, quodcumque vacabis,
Cynthia! Sed tibi me credere turba vetat,
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Solvere è attestato quale verbo tecnico in occasione di riti religiosi: cfr. OLD s.v.
solvo [21a]. Da Properzio, però, è usato in due occasioni con una chiara sfumatura erotica: si tratta di 2,28,62 votivas noctes et mihi solve decem e di 4,8,88 respondi et toto solvimus
arma toro.
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Peragere iter è iunctura poetica frequente: cfr. e.g. Verg. Aen. 6,384; Hor. Sat. 2,6,99;
Ov. Fast. 1,188; Trist. 4,7,2. Tuttavia nella poesia erotica iter, casus e sim. spesso sono
usati metaforicamente per designare l’atto sessuale: cfr. La Penna 1951, 208-9 e Citroni
1975, 151.
PROPERZIO : LO SPAZIO DELL ’ AMORE
cum videt accensis devotam currere taedis
in nemus et Triviae lumina ferre deae.
Scilicet umbrosis sordet Pompeia columnis
porticus, aulaeis nobilis Attalicis,
et platanis creber pariter surgentibus ordo,
flumina sopito quaeque Marone cadunt,
et, leviter nymphis toto crepitantibus orbe,
cum subito Triton ore refundit aquam.
Falleris, ista tui furtum via monstrat amoris:
non Vrbem, demens, lumina nostra fugis!
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In serrata successione sfilano qui, nei vv. 3-6, l’oracolo di Preneste, le
mura di Tuscolo, Tivoli, Lanuvio: insomma, basta che Cinzia si allontani
da Roma perché penetri in uno spazio che per Properzio s’identifica col
sospetto di tradimento. Di contro il v. 7 esprime l’auspicio che Cinzia
trascorra il tempo libero passeggiando per le vie di Roma (hoc ... loco); ma
Properzio osserva poi (vv. 8-10) che questo suo desiderio contrasta con la
vox populi, che parla di Cinzia in pellegrinaggio al tempio di Diana Nemorensis, e dunque ancora una volta lontana da Roma. All’inizio del v. 11
scilicet introduce ironicamente l’ulteriore deduzione del poeta: « evidentemente », se Cinzia si comporta così, se ne deduce che « le fa schifo » (sordet) il portico di Pompeo, che il poeta descrive in tutti il suo splendore
(vv. 11-16). Per chi, come Properzio, a Roma può controllare i movimenti
della domina (v. 18), il fatto che Cinzia da Roma si allontani fa assumere
al suo comportamento i tratti della tresca e del tradimento. Dalle parole
del v. 8 (sed tibi me credere turba vetat) si ricava che Cinzia si è difesa dalle
accuse del sua amante: Properzio, però, non ha tutti i torti nel farsi sospettoso perché, almeno a stare a Ovidio (Ars 1,259-262), il bosco sacro a
Diana Nemorensis presso Ariccia, sui colli Albani in riva al lago di Nemi,
aveva la fama di luogo particolarmente adatto alle tresche amorose. Nel
v. 18 il comportamento di Cinzia viene apertamente denunciato come
una fuga: da Roma, certo, ma soprattutto dagli occhi del poeta, che solo
lo spazio cittadino riescono a controllare. Dal suo punto di vista demens
indica che Cinzia, comportandosi così, dimostra di essere impazzita.
È inevitabile, nello sviluppo del discorso elegiaco, che lo spazio del
sospetto si concretizzi in quello del tradimento: di conseguenza Lanuvio,
che nell’elegia 2,32 – come si è visto – era una delle mete predilette da
Cinzia nelle scorribande lontano da Roma, diverrà agli occhi del poeta il
luogo dove la donna, che ha abbandonato lo spazio dell’amore cittadino,
consuma i suoi tradimenti. Nella 4,8, infatti, si capisce subito che l’annuale offerta sacrificale al serpente di Lanuvio è solo il pretesto a cui Cinzia
ricorre per poter consumare a Lanuvio il tradimento (vv. 1-16), e Proper-
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zio ne descrive con tratti realistici lo spericolato comportamento, degno
di un acrobatico auriga, alla guida del cocchio del suo ricco corteggiatore,
lanciato a folle velocità lungo la via Appia (vv. 17-25). In quel caso – lo si
è visto – solo il ritorno di Cinzia nello stesso spazio del poeta sarà in
grado di ristabilire con un rinnovato foedus la concordia in amore.
Persino il luogo di una tranquilla e piacevole villeggiatura può mutarsi nello spazio del tradimento. È inevitabile, allora, che se Cinzia si
reca a Baia, il poeta rimasto solo a Roma dia libero sfogo ai sospetti
destinati a divenire certezza nella sua mente. Se si segue lo sviluppo del
carme 1,11 si nota il passaggio progressivo dal dubbio alla certezza del
tradimento e, infine, a un ritorno sulle proprie posizioni, che implica le
scuse del poeta per il suo sospettoso atteggiamento (vv. 1-20):
Ecquid te mediis cessantem, Cynthia, Bais,
qua iacet Herculeis semita litoribus,
et modo Thesproti mirantem subdita regno
proxima Misenis aequora nobilibus,
nostri cura subit memores a! ducere noctes?
Ecquis in extremo restat amore locus?
An te nescio quis simulatis ignibus hostis
sustulit e nostris, Cynthia, carminibus?
Atque utinam mage te, remis confisa minutis,
parvula Lucrina cumba moretur aqua,
aut teneat clausam tenui Teuthrantis in unda
alternae facilis cedere lympha manu,
quam vacet alterius blandos audire susurros
molliter in tacito litore compositam,
ut solet amota labi custode puella
perfida communis nec meminisse deos.
Non quia perspecta non es mihi cognita fama,
sed quod in hac omnis parte timetur amor.
Ignosces igitur, si quid tibi triste libelli
attulerint nostri: culpa timoris erit.
5
10
15
20
Sin dal verso iniziale Baia è indicata quale spazio temibile per
l’amante che è rimasto a Roma, a causa del modo in cui in quello
spazio viene inserita Cinzia: in te mediis cessantem ... Bais, infatti, medius
non sta a indicare semplicemente il centro della città, ma è usato ‘exaggerandi causa’ 18 per esprimere un senso di biasimo e di sdegno nei
18
Vahlen 1908, 541, che mette in rilievo come un tale uso sia familiare anche ai
Greci: cfr. e.g. Hom. Il. 6,224 !Argei mevssw/ e Verg. Aen. 7,372 mediae ... Mycenae.
PROPERZIO : LO SPAZIO DELL ’ AMORE
15
confronti di Cinzia che lì s’intrattiene; d’altra parte, cessantem del v. 1,
legato a et ... mirantem del v. 3 sottolinea il suo prolungato dolce far
niente, che dal punto di vista del poeta è criticabile perché Cinzia, invece di starsene lì a perdere tempo e ad ammirare, con occhi da turista,
le bellezze paesaggistiche (vv. 3-4), farebbe meglio a tornarsene a Roma.
A partire dal v. 5, poi, i timori divengono sospetti e i sospetti si
mutano in certezza: il poeta comincia col chiedere alla sua donna – in
questa singolare elegia che ha sviluppo e funzione epistolare, come si
capisce da libelli / attulerint nostri dei vv. 19-20 – se passi la notte pensando a lui (v. 5) 19 e se esista ancora uno spazio per lui in una parte sia
pur remota del suo cuore (v. 6). Dopo aver espresso in tal modo la
speranza che Cinzia durante gli ozi balneari si ricordi di lui, Properzio
affaccia il dubbio angoscioso dell’esistenza di un rivale: si chiede se sia
già entrato in azione e se l’abbia sedotta fingendo uno slancio passionale. La presentazione dell’ipotetico rivale trasuda sdegno e disprezzo, a
causa di quell’indeterminato e sprezzante nescio quis ... hostis che lo designa e a simulatis ignibus (v. 7), che denuncia la falsità di chi finge di
amare Cinzia, mentre in realtà la considera un’avventura passeggera. La
denuncia del tradimento implica anche una singolare minaccia di vendetta da parte del poeta (v. 8): se Cinzia, che sinora ha trovato una
sede fissa nei suoi carmi, tradendo ha deciso di abbandonare lo spazio
dell’amore comune, quale conseguenza inevitabile dovrà allontanarsi da
quei carmi che tale amore hanno celebrato. La minaccia di non cantare
più Cinzia chiude la serie di dubbi e di sospetti dell’esordio: a delimitare l’inizio e la fine di tale sezione sta l’apostrofe a Cinzia sia nel verso
d’apertura sia in quello di chiusura (v. 8), che è destinata a conferire
grande rilievo al rimprovero d’infedeltà a lei rivolto. Nei vv. 9-14 la
speranza prende ad alternarsi col sospetto: Properzio si augura che Cinzia se ne vada tranquillamente in barca sul lago Lucrino o si dia a
innocenti nuotate, ma al tempo stesso non può fare a meno di sospettare che ben diversa sia la situazione e che, invece, la sua donna, mollemente sdraiata sulla spiaggia, ascolti le tenere parole d’amore sussurrate
da un qualche corteggiatore. Il poeta, d’altronde, da uomo esperto dei
corteggiamenti e degli amori qual è sa bene come vanno le cose; basta
che una giovane riesca ad eludere la sorveglianza a cui è sottoposta
19
L’interpretazione del v. 5 è quanto mai controversa: per le varie possibilità rinvio
al mio commento ad loc., dove però propendevo per un riferimento all’innamorato infelice e incapace di prender sonno. Ora, però, è la presenza del motivo all’inizio di una
climax che m’induce a far dipendere nostri da noctes memores.
16
PAOLO FEDELI
perché facilmente ceda, violi il patto d’amore, si dimentichi degli dèi
testimoni dei giuramenti (vv. 15-16). Ma il poeta d’amore è legato all’obsequium nei confronti della sua donna: per questo motivo non stupisce
che, dopo i dubbi e i sospetti, egli ritorni sui propri passi, proclami la
piena fiducia nei confronti di una donna dalla specchiata onestà (v. 17) 20,
giustifichi i suoi dubbi addossando tutte le colpe a Baia, tradizionale causa di timori per gli innamorati (v. 18), e chieda perdono a Cinzia per
quanto di spiacevole sinora le ha detto, in preda al timor (vv. 19-20).
Nella patetica perorazione conclusiva del carme (vv. 27-30), poi, Properzio riprende il motivo iniziale e invita Cinzia a lasciare quanto prima
quel luogo di corruzione e di frequenti discidia fra gli innamorati: a
caratterizzare Baia e le sue spiagge come uno spazio ostile all’amore sta
non solo il participio passato corruptas, ma anche l’anafora di litora (a
cui ista conferisce, come sempre, una sfumatura dispregiativa) e il poliptoto (Baias ... Baiae).
Quello della campagna, invece, per il poeta cittadino si connota come
lo spazio di una tranquilla fedeltà, che apparentemente lo mette al sicuro dai tradimenti. È questa la situazione che viene caratterizzata all’inizio
dell’elegia 2,19 (vv. 1-14); sembra quasi di sorprendere un Properzio bucolico, alla virgiliana maniera, ma in realtà non è così, perché Cinzia ha
deciso di allontanarsi da Roma e il poeta non nasconde la sua contrarietà, benché sia motivo di conforto per lui il sapere che Cinzia se ne
andrà in campagna: in quell’ambiente casto non c’è pericolo di corteggiatori che la invoglino a tradire o di spasimanti che le turbino il sonno
vociando sotto le sue finestre. Nella solitudine della campagna Cinzia
contemplerà la natura e i lavori dei campi, lontana dalle tentazioni dei
teatri e dei templi; al tempo della vendemmia porterà modeste offerte a
un umile sacello campestre e cercherà di imitare le rustiche danze. Per
l’amore, però, non esiste un luogo sicuro e anche quello spazio di idilliaca serenità può nascondere le sue insidie: di conseguenza l’improbabile
Properzio bucolico prende le sue precauzioni. Se, dunque, Cinzia con le
gambe nude vorrà imitare le danze rustiche, dovrà farlo al riparo da
sguardi indiscreti (vv. 15-16); se, poi, mediterà qualche scappatella, dovrà
sapere che Properzio è in grado di raggiungerla in pochi giorni. Anche
la solitudine dello spazio campestre, dunque, non è mai tale da tenere
lontano il timore di un rivale, anche se il poeta si augura che nessuno
voglia approfittare della sua assenza (vv. 27-32).
20
Su perspecta i.q. probata, spectata cfr. Cic. Off. 1,149 eos ...quorum vita perspecta in
rebus honestis atque magnis est ...observare et colere debemus.
PROPERZIO : LO SPAZIO DELL ’ AMORE
17
Quando, poi, la situazione s’inverte – come accade nella sezione conclusiva della 4,8 – ed è Cinzia a nutrire sospetti di tradimento, ben si
capisce che, consapevole dell’assoluta preferenza che il poeta d’amore
accorda allo spazio cittadino e della sua incapacità di concepire un rapporto d’amore che non sia ambientato a Roma, i divieti da lui espressi
nel rinnovato foedus amoris riguardino i luoghi più frequentati dell’Urbe,
primo fra tutti il tanto decantato portico di Pompeo, insieme al Foro e
al teatro (vv. 75-77).
5. È topico che il viaggio verso terre lontane, che dilata lo spazio
della lontananza e dell’assenza, sia destinato a mettere a repentaglio quel
fragile rapporto che si fonda sul patto d’amore: chi parte, infatti, abbandona lo spazio dell’amore e ad esso preferisce uno spazio diverso e sconosciuto, in cui non sarà più possibile tenere in vita una vicenda comune. Si capisce, allora, perché nell’elegia 1,6 Properzio eviti di seguire
l’amico Tullo, destinatario e con ogni probabilità finanziatore del primo
libro di elegie, che gli ha chiesto di seguirlo in Asia, dove si reca per un
importante incarico politico. Nel suo cortese rifiuto il poeta si dichiara
pronto a seguire l’amico sino ai confini del mondo – come vuole una
topica manifestazione dell’amicizia – ma confessa di non sentirsi in grado di farlo: a trattenerlo a Roma è l’amore per Cinzia, che non se la
smette mai di lamentarsi della sua ingratitudine. Di fronte agli occhi del
lettore sfilano in successione il mare Adriatico e l’Egeo, i monti Ripei e
le terre al di là dell’Etiopia (vv. 1-4), poi addirittura Atene, quale sede
della sapienza, e le regioni orientali ben note per la loro magnificenza
(vv. 13-14): tutte mete, dunque, di straordinaria attrattiva, a cui Properzio rinuncia per la loro estraneità allo spazio degli amori.
Ma il primo è il libro delle partenze mancate, non solo del poeta
ma anche della donna amata: perché anche Cinzia medita un viaggio in
terre lontane e, forte dell’exemplum della Licoride di Cornelio Gallo,
progetta di seguire un suo amante sin nella gelida Illiria, insensibile alle
minacce del mare e ai rigori del clima invernale che il poeta le prospetta in una accorata apostrofe (1,8,1-8):
Tune igitur demens, nec te mea cura moratur?
An tibi sum gelida vilior Illyria,
et tibi iam tanti, quicumque est, iste videtur,
ut sine me vento quolibet ire velis?
Tune audire potes vesani murmura ponti
fortis, et in dura nave iacere potes?
Tu pedibus teneris positas fulcire pruinas,
tu potes insolitas, Cynthia, ferre nives?
5
18
PAOLO FEDELI
In questa circostanza, però, Properzio riuscirà là dove Cornelio Gallo aveva fallito con l’infedele Licoride e – siano o no i vv. 27-46 di 1,8
indipendenti dai vv. 1-26 – la seconda parte dell’elegia fa capire che,
abbandonato il progetto del viaggio per mare, Cinzia è rimasta all’interno dello spazio dell’amore per Properzio. È significativo, però, che tanto nel caso di 1,6 quanto in quello di 1,8 sia il mare – un elemento
considerato di per sé tradizionalmente pericoloso – a simboleggiare lo
spazio ostile anche al mantenimento di un rapporto d’amore. Ciò trova
una conferma nell’esordio di 1,17, in cui l’immaginario e metaforico
viaggio di Properzio in un mare tempestoso equivale alla scelta della
solitudine e dell’abbandono (vv. 1-4):
Et merito, quoniam potui fugisse puellam,
nunc ego desertas alloquor alcyonas,
nec mihi Cassiope solito visura carinam
omniaque ingrato litore vota cadunt.
Solo in un caso, nei vv. 29-58 di 2,26, che per me costituiscono
un’elegia indipendente (come d’altronde avviene nel Neapolitanus), lo
spazio marino si muta in quello dell’amore, ma è significativo che ciò si
verifichi solo nella fantasia del poeta: di fronte alla minaccia di un viaggio per mare della sua donna, Properzio si dichiara pronto a seguirla,
perché non esistono né venti né tempeste che possano separare gli
amanti, disposti a giacere sullo stesso tavolaccio pur di restare insieme.
Il lungo viaggio per mare viene considerato nelle varie fasi, che prevedono anche l’approdo in porti intermedi e la necessità di pernottare
sotto le stelle: ma in questa fantastica e patetica ricostruzione di un
improbabile viaggio sentimentale non esiste ostacolo per gli amanti, che
ovunque potranno ricreare uno spazio propizio al mantenimento della
loro unione. Significativo in tal senso è l’esordio del carme, interamente
costruito nel segno di una totale identificazione dei due amanti, che
sembrano rappresentare un’unica, indistinta entità fisica (vv. 29-34):
Heu, mare per longum mea cogitat ire puella!
Hanc sequar et fidos una aget aura duos,
unum litus erit sopitis unaque tecto
arbor, et ex una saepe bibemus aqua,
et tabula una duos poterit componere amantis,
prora cubile mihi seu mihi puppis erit.
30
Come si può vedere, in una successione di frasi scandite dall’anafora
e dal poliptoto di unus, identico sarà il vento che spirerà propizio per
PROPERZIO : LO SPAZIO DELL ’ AMORE
19
gli amanti (v. 30 una ... aura), identica la spiaggia in cui troveranno il
sonno (v. 31 unum ... litus), identico l’albero che fornirà loro un provvido
riparo (vv. 31-32 una ... arbor), identica l’acqua che berranno (v. 32 ex
una ... aqua), identico il tavolaccio che li accoglierà (v. 33 tabula una). In
questo caso, dunque, e solo in questo, uno spazio ostile come quello del
mare proprio a causa di questa totale e inscindibile unione può mutarsi
in uno spazio a tal punto propizio all’amore e agli amanti che non
esiste alcuna forza capace di separarli 21.
6. Nulla meglio del mito serve a far capire che l’innamorato deve
sempre condividere lo spazio della persona amata, perché il non farlo
espone a un sicuro pericolo. Al mito Properzio ricorre, in circostanze
del genere, non solo nella prima elegia del I libro, dove il timido e
imbelle Milanione capisce che il modo migliore per convincere Atalanta consiste nel seguire ovunque quella intrepida cacciatrice, ma
anche quando si fa precettore d’amore e, nell’esordio di 1,20, ammonisce l’amico Gallo a non perdere di vista il suo bell’amasio: nei vv. 7-16
si passa dai generici corsi d’acqua in una selva ombrosa (v. 7) alla
corrente dell’Aniene (v. 8), dal litorale di Cuma (v. 9) di nuovo a un
imprecisato fiume dal corso sinuoso (v. 10). Poi, dopoché nei vv. 11-12
Properzio ha ammonito Gallo a tener lontano il giovane dalle insidie
degli ammiratori che potrebbero sottrarglielo, l’exemplum mitico fa capire che la situazione in cui verrebbe a trovarsi Gallo col suo amasio
sarebbe identica a quella in cui è venuto a trovarsi Ercole con Ila
durante la spedizione degli Argonauti: il rischio è quello di veder
svanire per sempre l’oggetto del desiderio, se lo si lascia allontanare
e lo si perde di vista, come ribadirà il monito conclusivo (vv. 51-52
his, o Galle, tuos monitus servabis amores, / formosum Nymphis credere visus
Hylan).
Nello sviluppo del discorso amoroso il poeta crea anche uno spazio
in cui l’incontro con la donna amata si rivela per lui sempre incerto e
problematico: exclusus e, di contro, admissus sono i termini tecnici che
definiscono le condizioni antitetiche in cui l’innamorato può venire a
trovarsi, a seconda che la porta della casa dell’amata resti inesorabil-
21
Seguire la propria donna in un viaggio per mare costituiva una forma di obsequium anche in Tibullo (1,4,45-46 vel si caeruleas puppi volet ire per undas, / ipse levem remo
per freta pelle ratem) e s’inserisce nelle manifestazioni del servitium amoris. Sulla disponibilità dell’innamorato ad accompagnare ovunque la sua donna cfr. i numerosi esempi, a
partire da Plaut. Merc. 857 sgg., raccolti da McKeown nel commento a Ov. Am. 1,9,9-14,
da Rosati in quello a Ov. Her. 18,157-8, da Galasso nell’introduzione a Ov. Pont. 2,10.
20
PAOLO FEDELI
mente sbarrata e sorda ai lamenti e alle preghiere (come nel caso dell’elegia 1,16), oppure si dischiuda per ammettere Properzio (è questo il
caso di 2,9,42): tutto ciò ripropone la condizione tipica del contrastato
rapporto d’amore di un adulescens con una meretrix da commedia, alla
quale ci si può accostare solo vincendo la resistenza e la sorveglianza
dei suoi custodes.
Ma a mettere in crisi un rapporto d’amore non è solo l’opposizione
di lenae e custodes: talora vi contribuiscono situazioni di vita ben più
gravi e complesse: se, infatti, il poeta d’amore è per definizione poeta
di pace, è ovvio che per lui lo spazio della guerra s’identifichi con
quello della separazione dall’amore, dell’abbandono che può divenire
definitivo. Si tratta, naturalmente, di situazioni che l’imbelle poeta non
vive direttamente, ma rivive attraverso le vicende dei suoi personaggi e
le loro varie voci. È questo il caso di Pontico, che nell’elegia 3,12 ha
anteposto la gloria militare nella guerra contro i Parti all’amore per la
sua Galla: Properzio se lo immagina mentre beve l’acqua dell’Arasse
(v. 8), tanto lontano dalla sua Galla in lacrime (v. 1): a rassicurare entrambi, però, giungerà provvido l’exemplum mitico della lunga separazione coronata da un ricongiungimento nello stesso spazio dopo le tanto
numerose peripezie (vv. 23-28). Ben si capisce, però, come anche la
guerra in quanto spazio della lontananza possa mutarsi in spazio del
sospetto: analoga a quella di Galla e Postumo è la situazione di Aretusa
e Licota nell’elegia 4,3; Aretusa, però, sin dall’esordio della sua epistola
amatoria lega la prolungata assenza del marito al sospetto del tradimento (v. 2 cum totiens absis, si potes esse meus) e nell’immaginarsi le
braccia del suo Licota si augura che rechino i segni del peso delle armi
piuttosto che dei morsi di un’altra donna (vv. 23-26); se, poi, il volto di
Licota è smunto, Aretusa spera che lo sia per la nostalgia della sua
assenza (vv. 27-28), e l’esortazione a mantenere incorrotti i foedera lecti
viene apertamente formulata quale condizione indispensabile dell’auspicato ritorno (vv. 69-70).
Nel poeta elegiaco sono frequenti le fantasie di morte, caratterizzate
da un tratto comune: la morte non è la fine di tutto e anche al di là
della vita bisogna ricreare lo spazio dell’amore. Un caso emblematico è
costituito dai vv. 17-58 di 2,13, che per me – come per molti altri dopo
il Broukhusius – costituiscono un’elegia indipendente (2,13b) 22: in 2,13b
il sepolcro del poeta non ha solo il ruolo di luogo della memoria, ma
assume anche quello di monumentum di un amore che non avrà mai fine
22
Cfr. Fedeli 2005, 361-5; 382.
PROPERZIO : LO SPAZIO DELL ’ AMORE
21
e continuamente si rinnoverà. A stabilire il rapporto fra il sepolcro e la
vita d’amore provvede l’epigrafe stessa (vv. 35-36):
QVI NVNC IACET HORRIDA PVLVIS
VNIVS HIC QVONDAM SERVVS AMORIS ERAT.
È lì, dunque, che Cinzia dovrà recarsi di tanto in tanto, perché non
nihil ad verum conscia terra sapit (v. 42) e, dunque, le ceneri di Properzio
continueranno ad avere coscienza del comportamento di Cinzia 23. Cinzia, di conseguenza, non dovrà cessare di piangere l’amante perduto,
perché continuare ad amare per sempre chi si è amato in vita costituisce un obbligo morale imposto dagli dèi (vv. 51-52):
tu tamen amisso non numquam flebis amico:
fas est praeteritos semper amare viros.
Ben si giustifica, allora, che persino l’oltretomba – inserito in una
simile dimensione – lungi dal divenire il luogo dell’oblio degli amori
della vita, possa assurgere a spazio eletto di un amore ritrovato e sublimato. Eduard Norden, nel suo commento ad Aen. 6,442 24, ha messo
in piena luce che il motivo del ricongiungimento degli innamorati
dopo la morte, frequente in epigrammi sepolcrali, ha un’origine antica, come dimostra la sua presenza in Platone (Phaed. 68a) e in Euripide (Alc. 363-4). Properzio, per parte sua, lo proclama solennemente
già in 1,19,12 traicit et fati litora magnus amor, subito dopo aver citato il
mito di Protesilao e Laodamia a conferma della sopravvivenza negli
Inferi del sentimento d’amore e della possibilità di una rinnovata unione al di là della vita (e poco importa che il mito di Protesilao e Laodamia non offra la certezza di una ininterrotta continuità, ma solo
quella di un incontro al di là della vita). Basta, però, la presenza rassicurante dell’exemplum mitico perché il poeta ne tragga una salda certezza: Properzio scenderà nel regno dei morti, ma lì non dimenticherà
Cinzia e non cesserà di amarla; potrà pure venirgli incontro, danzando, la schiera leggiadra delle eroine troiane, ma egli continuerà a considerare Cinzia la più bella delle donne e l’attenderà pazientemente,
anche se a lei sarà concessa – com’egli auspica – una lunga vecchiaia
(vv. 11-18).
23
Per l’esatto significato di conscia terra, che qui designa le ceneri, rinvio a Cic. Tusc.
3,59 e al mio commento al verso properziano.
24
Norden 19162, 249.
22
PAOLO FEDELI
Però, almeno nella poetica rappresentazione della fine dell’amore, le
cose prenderanno una piega diversa e sarà proprio Cinzia a scendere
per prima nel mondo degli Inferi: anche se per lei non si rinnoverà né
il miracolo di Euridice né quello di Laodamia, tuttavia nella 4,7, almeno nel sogno-visione di Properzio, farà ritorno quale ombra evanescente
in quello spazio dell’amore che ora ha cessato di appartenerle e, per di
più, è già stato violato dalla presenza di un’altra donna, che ben presto
ha colmato il vuoto dell’assenza prendendo il posto che un tempo era
suo. A Cinzia resta solo la certezza che non è finito tutto, che l’unione
della vita verrà riproposta nella morte; al termine del suo lungo monologo, prima che la sua ombra svanisca e si sottragga ai vani abbracci del
poeta (vv. 95-96), a lei resta il compito di prevedere che quando finalmente Properzio la raggiungerà nell’oltretomba, allora sì che tornerà ad
essere suo e soltanto suo, e la rinnovata unione verrà sancita dal macabro accoppiamento sessuale delle loro ossa (vv. 93-94):
nunc te possideant aliae: mox sola tenebo.
Mecum eris et mixtis ossibus ossa teram.
7. Sempre, nella vita e al di là della vita, il problema degli innamorati elegiaci consiste nel ritrovare lo spazio comune, perché è questa
la condizione indispensabile per evitare il tradimento: Properzio ne è a
tal punto convinto che, quando a notte fonda gli giunge un messaggio
epistolare di Cinzia che lo invita a raggiungerla subito a Tivoli (è questa
la situazione del distico iniziale di 3,16) 25, solo un attimo durano i suoi
dubbi sull’opportunità di affrontare i pericoli notturni e ogni incertezza
è fugata dalla convinzione che gli innamorati sono sacri e inviolabili e,
dunque, né efferati briganti di strada né cani rabbiosi avranno mai l’ardire di toccarli (3,16,11-20).
Al di là di questa non esistono altre possibilità: a meno che non si
scelga uno spazio diverso non per tradire, ma per trovare una consolazione alle proprie pene d’amore o addirittura per mettere fine ad esse.
Se è stata la donna ad abbandonare lo spazio comune, allora il poeta
può andare in cerca di uno spazio diverso, però senza alcun desiderio
di stabilirvi un nuovo rapporto affettivo, ma solo per trovarvi uno sfogo
alle pene d’amore. È la situazione di 1,18, che nei versi iniziali ci propone Properzio che, in un periodo di discidium da Cinzia, vaga per
25
3,16,1-2 Nox media et dominae mihi venit epistula nostrae: / Tibure me missa iussit
adesse mora.
PROPERZIO : LO SPAZIO DELL ’ AMORE
23
luoghi solitari e silenziosi – quanto simile all’Arianna abbandonata del
catulliano c. 64 26! – e al cospetto della natura dà libero sfogo al suo
dolore per il comportamento di Cinzia (1,18,1-4):
Haec certe deserta loca et taciturna querenti,
et vacuum Zephyri possidet aura nemus.
Hic licet occultos proferre impune dolores,
si modo sola queant saxa tenere fidem.
Al silenzio dei luoghi (v. 1 taciturna), dunque, fanno da contrappunto i lamenti del poeta (querenti), come sottolinea l’accostamento oppositivo dei due termini nella chiusa dell’esametro iniziale. Non diverso, in
definitiva, era lo scenario che Virgilio proponeva per l’infelice Gallo nella
X Bucolica: Properzio, però, non si farà pastore, ma inserito nel mondo
della natura, che è testimone delle sue pene, si limiterà a rivolgersi ai
faggi e ai pini e ad incidere sulla loro corteccia il nome dell’amata
Cinzia (vv. 19-22):
vos eritis testes, si quos habet arbor amores,
fagus et Arcadio pinus amica deo.
A quotiens teneras resonant mea verba sub umbras,
scribitur et vestris Cynthia corticibus!
La dinamica del rapporto amoroso si sviluppa, dunque, su una trama semplice e ripetitiva: finché gli amanti rimangono nello stesso spazio, non esistono motivi di timore; basta, però, che uno dei due si allontani perché il rapporto venga messo in discussione e tutto proceda
verso un inevitabile discidium. Eppure all’inizio del suo canzoniere Properzio aveva affidato proprio al cambiamento di spazio il compito di
possibile rimedio per guarire dall’amore: allora (1,1,29-30), di fronte
alle pene che gli procurava la duritia di Cinzia, egli aveva esortato gli
amici a portarlo per extremas gentis ... et ... per undas, dove nessuna donna
potesse seguirlo. Il più maturo poeta del II e del III libro avrà modo di
capire che la fuga in terre lontane è solo un’illusione e non può divenire in alcun modo un remedium amoris: nel II libro l’esordio della XXX
elegia non lascia dubbi sull’impossibilità della fuga da Amore, che lì è
proclamata sin dal distico inziale (2,30,1-2):
Quo fugis, a demens! Nulla est fuga: tu licet usque
ad Tanain fugias, usque sequetur Amor.
26
In merito cfr. Fedeli 1980, 420.
24
PAOLO FEDELI
A chi sono rivolte le parole del poeta 27? Se si esclude che destinatario del carme possa essere un amico o un generico lettore, Properzio
può rivolgersi a se stesso oppure a Cinzia 28. Che destinataria del carme
sia Cinzia è ipotesi indubbiamente ingegnosa ma scarsamente convincente: se così fosse, l’esordio del carme prospetterebbe una fuga di Cinzia verso paesi lontani per sottrarsi alla potenza di Amore e, dunque,
per mettere fine alle sue sofferenze d’amore; ciò, tuttavia, sarebbe in
aperto contrasto con la topica elegiaca, in cui la donna fugge solo per
tradire seguendo un nuovo amante, mentre non è la donna, ma l’uomo
che fugge per dimenticare 29. Analoga, d’altra parte, è la situazione dell’elegia 3,21, in cui il progettato viaggio d’istruzione ad Atene si manifesta, in realtà, come un tentativo di abbandonare lo spazio dell’amore
per Cinzia e di liberarsi finalmente dal servitium amoris 30. Di conseguenza sembra ovvio concludere che nell’esordio di 2,30 venga riproposta la
stessa situazione dell’elegia incipitaria del I libro: di fronte alla duritia e
all’infedeltà di Cinzia, Properzio medita la fuga in terre lontane per
trovarvi la guarigione dall’amore; egli si rende conto, però, che tale
rimedio è impossibile e impraticabile, perché le pene d’amore continueranno a inseguirlo ovunque andrà. Chiaro è l’intento di caratterizzare
come primario l’elemento della progettata fuga, da Roma e da Cinzia,
grazie al ricorso insistente al poliptoto (fugis ...fuga ...fugias); evidente è
anche la consapevolezza della inutilità e della irrazionalità di una tale
scelta, perché demens sta ad indicare l’abbandono della ragione da parte
di chi, come Properzio, crede di risolvere i suoi problemi fuggendo.
L’impossibilità di una fuga dall’esito felice è espressa sia da nulla, che
esclude ogni speranza di riuscita, sia dal parallelismo fra usque ... fugias
e usque ... sequetur: si potrà pure fuggire sino ai limiti del mondo, ma si
sarà inseguiti e raggiunti da Amore; la pausa originata dalla separazione di usque da ad Tanain serve ad accrescere l’idea della distanza di quei
luoghi remoti, mentre l’anafora di usque fa capire che è inutile il tentativo di frapporre una tale lontananza.
Quando, poi, l’amore finisce, la separazione definitiva dalla donna
un tempo amata avrà ancora una volta una sua metaforica rappresentazione in ambito spaziale nella chiusa del III libro (3,24,9-16). Novello
27
Jacob pensava che fosse Cinzia a rivolgersi a Properzio, ma la sua improbabile
ipotesi non ha avuto fortuna.
28
Crede nella seconda possibilità Cairns 1971, 204, nell’ambito di un’interpretazione complessiva che vorrebbe salvare l’unità dell’elegia.
29
Gli esempi del topos, sin da Theocr. 14,52-56, sono in Fedeli 2005, 845.
30
In proposito cfr. Fedeli 1980, 606-7.
PROPERZIO : LO SPAZIO DELL ’ AMORE
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Ulisse, il poeta ha percorso quel viaggio tempestoso che sta a simboleggiare il suo amore contrastato, è riuscito a resistere alla furia del mare e
al naufragio, ha raggiunto finalmente il porto. Fuor di metafora, per
guarire dall’amore e per relegare nel passato l’immagine di Cinzia non
ha avuto bisogno né dell’aiuto degli amici né dell’intervento delle streghe né di cruenti e dolorosi interventi chirurgici (3,24,9-12). Raggiungere il porto significa per lui salvarsi e ritrovare la ragione abbandonando la donna amata: perché l’eroe elegiaco può rivivere solo in forma
degradata le vicende dell’eroe epico, per il quale, invece, raggiungere il
porto significa, sì, ritrovare la sua Itaca, ma anche riconquistare e rinnovare l’amore per Penelope. All’eroe elegiaco, invece, protagonista imperfetto di una travagliata vicenda d’amore, una volta raggiunto il porto e
ritrovato il senno smarrito, la sua Cinzia appare tanto diversa dalla donna che aveva creduto bella e alla quale aveva dedicato i suoi versi d’amore. Ora Properzio la vede sempre più lontana, mentre svanisce dal suo
spazio, relegata ormai in uno spazio estraneo e indifferente, che non
sarà mai più anche il suo.
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PAOLO FEDELI
BIBLIOGRAFIA
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Citroni, M., M. Valerii Martialis Epigrammaton liber primus, Firenze 1975
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Santini-F. Santucci (Curr.), I personaggi dell’elegia di Properzio, Atti del Convegno, Assisi 26-28 maggio 2006, Assisi 2008, pp. 3-38
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