Enrico Berlinguer: “la passione, il coraggio, le - "Ferraris"
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Enrico Berlinguer: “la passione, il coraggio, le - "Ferraris"
Matteo Capriolo1 Enrico Berlinguer: “la passione, il coraggio, le idee” Appassionatomi alla storia del Novecento, ho pensato di svolgere un lavoro di approfondimento in alternativa all’ora di religione, da utilizzare, poi, eventualmente, anche come argomento iniziale nel corso del colloquio di maturità. Ho scelto, quindi, di accostarmi a quei decenni del secondo dopoguerra che solitamente, per mancanza di tempo (la materia dispone di due sole ore settimanali), vengono maggiormente trascurati nel corso dell’anno scolastico e l’interesse si è concentrato sulla politica degli anni Settanta, con particolare attenzione a quella comunista durante il periodo della segreteria di Enrico Berlinguer. Oltre al fatto che questo decennio è stato uno dei più intensi della storia della repubblica italiana, ho voluto conoscere meglio la figura di Berlinguer perché mi ha colpito il suo modo di fare politica, così fortemente caratterizzato da passione civile e da rigore intellettuale e morale. Mentre iniziavo a leggere alcuni testi sulla storia del Partito comunista e, più specificamente, sulle vicende biografiche di Berlinguer, ho scoperto che il segretario del PCI venne invitato a Varese nel febbraio del 1981 per tenere un discorso in occasione della manifestazione, organizzata per celebrare il 60° anniversario della nascita del Partito, svoltasi al Palazzetto dello Sport a Masnago. A quel punto ho pensato che forse sarebbe stato possibile rintracciare qualche testimone che, essendo stato presente all’evento, avrebbe potuto rivelarmi particolari interessanti inerenti alla partecipazione di Berlinguer, facendomi scoprire più in profondità non solo la linea politica del segretario ma anche la sua personalità, il suo rigore morale, quegli aspetti del suo carattere che lo fecero diventare il segretario più amato del PCI. Dopo qualche ricerca, che, in effetti, mi ha permesso di contattare alcune interessanti figure della politica locale di quegli anni, sono riuscito a conoscere anche il politico varesino Claudio Donelli, che è stato prima deputato (1972-76) e successivamente senatore (1976-79) durante il periodo centrale della politica di Enrico Berlinguer, quello cioè contrassegnato dal tentativo di realizzare il cosiddetto “compromesso storico” con la Democrazia cristiana. 1 Studente della classe 5^ I. 1 Persona di grande disponibilità e generosità, si è dimostrato subito entusiasta dinanzi alla proposta di una breve intervista tesa a mettere in luce i ricordi relativi alla situazione italiana degli anni Settanta e al ruolo svolto da Berlinguer nella politica nazionale e nel proprio partito in quel decennio. L’intervista si è rivelata una bella e inaspettata esperienza e ne ho voluto, pertanto, riportare i contenuti per offrire un ulteriore prezioso contributo alla ricostruzione di quel periodo da un punto di vista nuovo, diretto, di chi tali cruciali passaggi della nostra storia li ha vissuti sulla propria pelle. Buona lettura! Intervista rilasciata in data 8 aprile 2016 D: “La prima domanda che le pongo è se il compromesso storico sia stato condiviso completamente dal Partito Comunista oppure solo in parte”. R: “Inizialmente questa fu una vicenda abbastanza controversa anche se poi fu accettata dalla maggioranza del Partito. C’era però una minoranza del Partito che non era d’accordo con questa decisione anche se non esistevano correnti istituite: semplicemente c’era chi la pensava in un modo e chi in un altro. Alcuni, anche se si trattava di una minoranza, non erano d’accordo con la decisione del Partito di realizzare un governo in Italia con la partecipazione dei comunisti e i democristiani. La crisi politica che si venne a verificare negli anni ’70, però, portò all’idea che era condivisa da uno dei leader della Democrazia Cristiana, ossia l’onorevole Moro, di superare la crisi del centrosinistra (che allora era tra Democristiani, Socialisti, Repubblicani e Liberali) creando un’intesa di governo tra Comunisti, Democristiani e Socialisti. Quindi si arrivò all’idea, che fu poi attuata, di un monocolore democristiano, guidato da Andreotti con la partecipazione esterna dei comunisti e dei socialisti. Questo fu il primo passo verso il compromesso storico”. D: “Per cercare di inquadrare meglio come si viene a determinare il compromesso storico, volevo chiederle per quale motivo Berlinguer si avvicina al mondo cattolico: era una strategia politica o davvero auspicava di instaurare una linea comune con l’onorevole Moro?” R: “Il rapporto con i cattolici da parte dei comunisti è una strategia che non parte da Berlinguer, ma da Togliatti dopo la Liberazione. Non dimentichiamo che dopo il 1946 si fece un governo tra democristiani, comunisti e socialisti. L’idea dei comunisti, dunque, era quella di continuare su questa strada, sennonché succede che intervengono gli Stati Uniti d’America e impongono all’Italia di escludere comunisti e socialisti dal governo facendo formare un governo monocolore democristiano che durò una decina di anni. L’intenzione dei comunisti quindi era di seguire la linea del 1946, ma ci fu una divisione non voluta tanto dagli italiani quanto dagli Stati Uniti d’America. Infatti, l’ono2 revole De Gasperi, al tempo presidente del consiglio, andò negli Stati Uniti e quando tornò ci fu la crisi del governo di unità nazionale”. D: “Alcuni affermano che ci fu un avvicinamento tra Berlinguer e Moro anche per evitare una svolta a destra che in quegli anni incuteva timore, soprattutto dopo le vicende del Cile di Pinochet…” R: “Questo è sicuramente vero, ma non fu una scelta improvvisa quella del compromesso storico. Essa fu una linea determinata dalle scelte del Partito Comunista Italiano, memore dei guai del fascismo, che inizialmente pensava che con i cattolici non ci dovesse essere alcun rapporto mentre dopo il 1936, durante la clandestinità, il PCI mutò questa idea teorizzando che, nell’ipotesi di caduta del Fascismo, ci sarebbe stata la necessità di collaborare con i cattolici, perché i cattolici in Italia rappresentavano e rappresentano la maggior parte del Paese”. D: “Per quanto riguarda la questione del terrorismo di questi anni, volevo chiederle come avesse vissuto lei direttamente questo periodo tragico della storia italiana”. R: “Tra le stragi e le morti provocate dal terrorismo fascista, ci fu un periodo del terrorismo che fu anche chiamato terrorismo rosso, ed è vero, perché nasce da alcuni gruppi che facevano parte del movimento della sinistra estrema del PCI. Questi terroristi volevano la rivoluzione armata durante gli anni Settanta. Tale vicenda io l’ho vissuta male, perché ero segretario della Federazione Comunista di Varese durante gli attacchi di questi gruppi armati, i quali individuavano nel Partito Comunista l’obbiettivo principale da sconfiggere perché era il nemico che impediva loro di compiere la propria azione rivoluzionaria. Il PCI già dal 1945 aveva teorizzato però che in Italia non si dovesse andare al potere con la forza, ma con la democrazia, attraverso il voto e poiché naturalmente questi gruppi estremisti non erano d’accordo noi diventammo il loro nemico principale. Gli attentati infatti non avvennero solo nelle sedi della Democrazia Cristiana ma anche in quelle del Partito Comunista”. D: “In particolare l’esperienza del rapimento di Aldo Moro come l’ha vissuta?” R: “Durante il rapimento Moro ero senatore, ci siamo svegliati una mattina con questa tragedia terribile. Si è capito subito che oltre alla tragedia individuale di Moro, quell’atto avrebbe significato una tragedia per il nostro Paese. L’uccisione di Moro poteva determinare uno squasso che avrebbe potuto andare ben al di là di quello che poi è successo. Siamo riusciti ad impedire che queste forze prendessero il sopravvento. E questa fu una cosa molto importante anche se la DC subì un contraccolpo notevole per l’uccisione del suo rappresentante. In realtà, ne risentì tutta la politica democratica in quel periodo. D: “Come abbiamo detto, la morte di Moro rappresenta anche la fine del compromesso storico. Come reagì Berlinguer dal punto di vista politico?” R: “Questa fu anche una delle critiche che si fece a Berlinguer ossia che abbandonò questa idea del compromesso storico con la Democrazia Cristiana perché, dopo la morte di Moro, Berlinguer 3 non insistette più in quella direzione. Poi, purtroppo, ha dovuto rinunciare a questa idea perché poco dopo morì e non si sa come sarebbe andato a finire…” D: “Successivamente al compromesso, negli ultimi anni della sua vita, si dedicò principalmente alla questione morale. Com’era visto questo tema dal Partito?” R: “Era sicuramente una questione importante ed era vista, forse con qualche esagerazione, con grande orgoglio. In quel periodo l’Italia era pervasa da una situazione politica morale tale per cui fummo l’unica forza politica che invece sottolineò la necessità di superare questa situazione con un atto di moralità. Molti ci giudicarono come dei moralisti, ma non fu così. La verità è che il Paese aveva bisogno di fare un’azione efficace contro le immoralità e le ruberie, contro la non-politica, determinata dal fatto che ognuno faceva i propri affari al governo. Noi abbiamo salutato con grande slancio questa questione della moralità, però non riuscimmo ad ottenere dei risultati molto efficaci per la verità a quel tempo”. D: “Abbiamo visto il buon rapporto tra Berlinguer e Moro, ma allo stesso tempo in questo periodo abbiamo assistito allo scontro tra Berlinguer e Craxi. Come è stata vista dal segretario del Partito l’ascesa politica di quest’ultimo?” R: “Durante il periodo della Solidarietà Nazionale, con il governo di democristiani appoggiati da comunisti e da socialisti, i socialisti condussero una lotta sotterranea contro il governo. Mi ricordo che in questo periodo noi stavamo con i democristiani, contro invece costoro che speravano solo nell’instabilità del governo. Anche noi in quel contesto fummo critici nei confronti dei socialisti. Questa situazione ha generato una divisione abbastanza profonda tra noi e i socialisti a livello nazionale, anche se in Italia non ci dobbiamo dimenticare che le giunte di sinistra, anche in quel periodo formate da comunisti e socialisti, continuarono a convivere. Ci fu quindi una spaccatura ai vertici, ma non posso dire che questa rottura ci sia stata anche in periferia perché le giunte di sinistra sono rimaste tali”. D: “Per quanto riguarda l’eurocomunismo: com’erano i rapporti con l’URSS e perché vi è stato un avvicinamento di Berlinguer alla NATO?” R: “Anche qui ci fu uno dei motivi di critica verso Berlinguer il quale non andò fino in fondo nella rottura con l’URSS. L’idea dell’eurocomunismo era quella di un’azione nei paesi europei che non erano legati con l’Unione Sovietica e con il comunismo. L’Unione Sovietica criticò Berlinguer per questa scelta, ma allo stesso tempo alcuni dirigenti lo criticarono perché secondo loro doveva attuare una rottura radicale con l’URSS, cosa che Berlinguer non fece. D: “Qualche domanda più personale che riguarda la sua esperienza con Berlinguer: molti dicono che il suo funerale abbia ricevuto maggior affluenza di quello di Togliatti. Lei ha partecipato?” R: “Io ho partecipato al suo funerale, mi ha provocato un’emozione impressionante. È stato emozionante non solo per la partecipazione di massa all’evento, ma anche per la partecipazione politica. Mi ricordo il Presidente della Repubblica Pertini che piangeva come un bambino di fronte alla sua bara. È stata davvero un’emozione grande”. 4 D: “Secondo lei perché era un segretario così amato?” R: “Lui aveva un rapporto con la gente che lo distingueva dal resto dei politici. Berlinguer si caratterizzava per una sua efficacia e un suo modo deciso di far politica, ma aveva un rapporto amabile con la gente, cosa che solitamente i dirigenti nazionali non avevano. Ad esempio questa capacità non l’aveva Togliatti, che dava la sensazione di essere un burocrate, oppure Longo, anche se era più amato. Berlinguer fu capace di stabilire un rapporto efficace con le persone, con questo suo atteggiamento mai altero, quasi docile, che lo fece amare dalla gente”. 5