Una foresta inestricabile fra Panama e Colombia una ragazza del

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Una foresta inestricabile fra Panama e Colombia una ragazza del
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ANNO II
N° 60
LUNEDI 12 MARZO 2012
SMS 3923798348 MAIL [email protected]
DIARIO DI UN MOTOCICLISTA
IL RACCONTO. Ventisettesima puntata del viaggio di Riccardo Aldegheri da New York alla Terra del Fuoco
Una foresta inestricabile fra Panama e Colombia
una ragazza del posto tradita da un “amore” italiano
.............................................................
...
... RICCARDO ALDEGHERI
... [email protected]
.
uCon Panama finisce il Centroamerica, qualcuno insiste che faccia già
parte del Sudamerica se non altro
perché politicamente appartenne per
molto tempo alla Colombia prima di
rendersi indipendente, ma non siamo qui a fare disquisizioni storiche,
politiche o geografiche; quindi dicevamo, finisce il Centroamerica e con
la Colombia comincia il Sudamerica, sembra tutto facile, si va verso
sud come al solito, da qualche parte
prima o poi c’è il confine, si fanno le
immancabili trafile poi si entra e si
continua. Purtroppo però stavolta
non funziona proprio così, si può andare verso sud ma a un certo punto la
strada finisce e diventa una rete di
sentieri che entra nel Darien, una
delle foreste pluviali più inesplorate
e selvagge del pianeta nonché, per
gli amanti del genere, una delle aree
con la più alta concentrazione di serpenti che si conosca, da lì in poi niente strade, niente distributori, niente
ristoranti, niente alberghi, niente
bar. Per chi proprio se la vuole andare a cercare, ci si può muovere da
un villaggio all’altro cercando di ingraziarsi i locali, di solito a suon di
dollari, e farsi guidare nella giungla
o attraverso i fiumi. Ovviamente il
giocattolo non costa poco e non è del
tutto esente da rischi, anche estremi.
BARCA O AEREO Per proseguire
dunque ci sono due possibilità, inviare la moto a Bogotá in Colombia
con un aereo e raggiungerla con lo
stesso mezzo oppure caricarla su una
barca e raggiungere la Colombia via
mare. Prendendo in considerazione
la seconda opzione l'offerta è a dir
poco variopinta. Da Porto Belo o da
Porto Lindo, due sperduti villaggetti
sul Mar dei Caraibi a sud della città di
Colon, partono in ordine sparso barche a vela di varia misura con destino
Cartagena de Indias. La moto viene
TAGLIA LE COLLINE. Una veduta del Canale e della città di Panama
caricata in qualche modo sulla barca
e via verso il Sudamerica. Il pacchetto costa circa 800 dollari e comprende un paio di giorni in giro per l'arcipelago delle S. Blas, un gruppo di
365 fra isole e isolotti che seguono la
linea della costa panamense verso
sud, poi due giorni e una notte di mare aperto per arrivare alla città di Cartagena. Sempre in qualche modo si
scarica la moto, un po’ di formalità
doganali e si riparte. La seconda alternativa è un po’ avventurosa ma
più economica e inoltre c'è questo giro per le isole che è piuttosto allettante per cui seguo quella. La barca
più gettonata è un vecchio catenaccio in ferro comandato da un tedesco
ma è già partita, sono però in contatto
con il comandante di un diciotto metri che dovrebbe partire fra una settimana circa e con un ostello, almeno
così pare essere dal suo sito internet,
che gestisce un po’di barche che fanno la traversata. Siamo alla fine della
stagione. poi cominciano venti forti
da nord e la faccenda si fa rischiosa
per cui tutti si spostano verso altre
isole più tranquille. Fine della di-
VISTO DA VICINO. Dettaglio del Canale di Panama
gressione, siamo ancora a David,
qualche centinaio di km a nord di Panama City e la mail che trovo la sera
al rientro dall’escursione con Marco
e Paolo è proprio dell'ostello di Porto
Lindo e pare ci sia un grosso motorsailer in ferro che parte fra tre giorni,
per fermare il posto mi chiedono un
anticipo di 100 dollari ma così a scatola chiusa non se ne parla proprio
anche se la data è interessante, rispondo che non ho modo di fare bonifici ma che avrei raggiunto il porto
in un giorno o due.
DI NUOVO IN STRADA. La mattina dopo saluto i ragazzi e mi metto
in strada ancora una volta senza avere un idea di dove posso arrivare, più
o meno da David a Colon ci sono 500
km ma non conosco ancora la situazione delle strade panamensi e ci
posso mettere dalle sei alle dieci ore,
per non parlare dell’incognita pioggia. Dopo un paio di ore mi fermo per
bere un caffè e per elemosinare una
connessione internet in un albergo,
trovo la risposta dell'ostello: il posto
sulla barca è ancora disponibile ma
senza deposito non è garantito, questa insistenza sulla caparra comincia
un po’ a seccare ma proseguo, comincia anche a piovere ma la strada è
buona e scorrevole, qualche villaggio ogni tanto fa perdere un po’ di
tempo e altro tempo me lo fa perdere
un poliziotto che mi ferma e mi dice
che sto correndo troppo, chiacchierando del più e del meno ma soprattutto della mia presunta velocità mi
fa presente che l'abbigliamento standard della polizia stradale motodotata non comprende i guanti e che i
miei sarebbero perfetti per lui, ma
sono quelli leggeri estivi quindi perfetti anche per me per cui ci accordiamo per un cappello che passa dal
mio bauletto al suo e riparto senza altri danni, e poi di cappelli ne ho due!
Arrivando in prossimità del canale
devio verso sud-est e taglio fuori la
città di Panama che sta all'imboccatura sull'oceano Pacifico, lo scavalco, il canale non il Pacifico, e con il
canale scavalco anche un paio di navi che sembrano navigare in mezzo
alle colline, attraverso tutto l'istmo e
arrivo a Colon sul mar dei Caraibi,
altri cinquanta km verso sud e raggiungo Porto Lindo, una baia, quattro case, un paio di ostelli e niente di
più.
L’OSTELLO. L'ostello è gestito da
una coppia di austriaci, il che in teoria dovrebbe essere rassicurante, ma
la prima impressione non è delle migliori. Cerco di non farmi influenzare ma anche la seconda e la terza impressione ecc. non cambiano le cose.
Il giardino sembra una discarica, due
macchine abbandonate corrose dalla
ruggine, qualche motorino buttato
qua e là, una sfilza di fuoribordo più
o meno integri sono appesi a una tavola e potrebbero scrivere la storia
della marineria da diporto, un paio di
gommoni, o meglio quello che rimane di loro arredano il giardino, una
tettoia con qualche arnese sparso dovrebbe essere un’officina meccanica e i resti sparpagliati di qualche
barca a vela probabilmente schiantatasi su qualche barriera lì intorno
completano il quadro. Due stupidi
cani che lontanamente ricordano un
modello rottweiler si azzannano in
mezzo alle mie gambe mentre una
bambina di pochi anni divide con loro un cibo sconosciuto. Nel mezzo di
questo quadretto idilliaco scattano le
trattative con Silvia l’austriaca, le
origini del comandante non sono
chiare ma la barca è grande e robusta,
ha molti viaggi alle spalle per cui si
va tranquilli, lo dice lei...., alla fine
comunque accetto, mollo l'anticipo,
recupero la ricevuta e l'appuntamento è telefonico per domani sera quando mi confermerà la partenza che dovrebbe essere dopodomani mattina.
L'arpia austriaca avrebbe voluto rifilarmi anche la camera nel suo
ostello ma nonostante sia ormai buio
con un pretesto me ne vado. Arrivando, in fondo ad una specie di spiaggetta che dovrebbe essere il porto del
villaggio, avevo intravisto un'insegna, nonostante la sabbia e il buio
riesco a raggiungerla senza ribaltarmi con la moto e arrivo a un porticato
con sei o sette tavolini e qualche avventore. In fondo, dietro una parete
di lamiera, un personaggio che potrebbe sembrare tutto meno che un
cuoco sta trafficando con fuochi e
padelle, la stanza per una o due notti
ci sarebbe anche ma per trattare si
aspetta la padrona di casa, dopo una
mezzoretta arriva, trattiamo e prendo la stanza che più che altro è un locale con dei letti...punto! Non c'è un
armadio, non c'è un appendiabiti,
non c'è un tavolino, né un comodino,
ne' una sedia, nemmeno un chiodo
dove appendere uno straccio, in
compenso ci sono moscerini, ragni e
un topo che scorrazza nell'intercapedine del controsoffitto. Ormai comunque è fatta, è buio, sono stanco e
non credo che il villaggio offra molto di più.
Provo a dare una svolta all’umore
con una doccia ma l’operazione riesce meglio con qualcosa da mangiare un paio di birre.
L’OLANDESE. Lui è olandese ex
capitano, qui tutti quelli che hanno
una barca sono capitani anche se in
teoria dovrebbero essere comandanti non essendo dei militari ma lasciamo perdere le sottigliezze, lei invece
è colombiana, quando scopre che sono italiano si scioglie e per tutta la
cena mi racconta del suo amore piemontese conosciuto vent'anni prima
in Colombia, per lungo tempo coltivato epistolarmente, crollato quando lo stronzo si è sposato improvvisamente con un'italiana e definitivamente tramontato quando lei ha telefonato e la mamma di lui con il tatto
di un rinoceronte le ha fatto capire
che la faccenda era chiusa!
Lei mi confessa che, nonostante tutto, continua a pensare a lui ogni giorno e viene facile pensare che, dopo
tanto tempo, abbia probabilmente
idealizzato troppo ma rimane il fatto
che non è carino andare in giro per il
mondo a illudere le ragazze! Una
volta noi italiani avevamo una reputazione che ci stiamo giocando e così
non va bene!