05 mazzoncini - Richard e Piggle

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05 mazzoncini - Richard e Piggle
Focus
Il pensiero e l’opera di Donald Meltzer
Introduzione
GIOVANNA MARIA MAZZONCINI
Il desiderio di ripensare il contributo di Donald Meltzer e di poterlo trasmettere in modo vivo alle giovani generazioni di psicoterapeuti è divenuto
più intenso dopo l’agosto del 2005, mese in cui Meltzer è venuto a mancare:
ci eravamo posti l’interrogativo su come fosse possibile commemorare quello
che per tanti di noi è stato un fondamentale maestro, attraverso la scelta di
una modalità non retorica né accademicamente celebrativa. Allo stesso
modo in cui lui stesso ci aveva mostrato, ognuno di noi fonda le proprie radici
formative sul pensiero di altri pensatori, per poi rielaborarle, se la ricerca è
autentica, secondo un proprio percorso soggettivo. Così come lui poteva dire
il mio Freud, la mia Klein, il mio Bion, indicando la direzione verso un pensiero libero, creativo e non adesivo, così a noi il poter presentare un contributo polifonico, ci è parso il modo migliore di ricordarlo nel tentativo di trasmettere quanto avesse seminato e di riscoprire quanto, ognuno di noi,
potesse ritrovare il proprio Meltzer nel percorso teorico e clinico individuale.
I lavori che qui pubblichiamo sono stati presentati nei Seminari dell’AIPPI
nel 2006 che hanno visto un’ampia partecipazione e un buon dibattito. Ho
fatto riferimento ai più giovani perché la proposta dei seminari, in gran
parte, era proprio rivolta a loro: comunicare nel modo più organico possibile
e con uno sforzo di riordino e di chiarificazione il pensiero di Meltzer, legandolo e confrontandolo con altri fondamentali apporti e mostrando lo svolgimento e gli ulteriori progressi della ricerca psicoanalitica, ci è parso il modo
più autentico di riconoscere il suo lascito teorico e clinico. In tutti questi
lavori l’indispensabile riferimento e punto di partenza è il pensiero freudiano che rappresenta le fondamenta di quello kleiniano, per poi ampliarsi
ancor di più in una sorta di complesse ramificazioni negli autori successivi.
Un autore francese nel 1985, G. Bléandonu, in un libro successivamente
tradotto in italiano nel 1986, La scuola di M. Klein, costruisce una genealogia dove Freud è la radice da cui parte il tronco Kleiniano più importante.
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Da “rami” come “Isaacs, Heimann e Riviére” si dipartono per poi ramificare
ulteriormente con enorme spinta vitale nel 1955 pensatori creativi e innovativi come “Segal, Bion, Rosenfeld, Milner, Thorner, Money-Kyrle”. Altri
autori continueranno un percorso originale sviluppando un’importante
scuola in America Latina, altri ancora come Winnicott creeranno altri sviluppi e diramazioni, mentre Meltzer e E. Bick che rappresentano quasi una
generazione successiva, fanno tesoro delle radici e apporti precedenti specie
bioniani, ma sviluppano un filone di ricerca che si spinge fino ai primordi
della nascita della mente.
Meltzer è stato un grande esploratore del pensiero bioniano, ha avuto
in Italia con le sue pubblicazioni e nei gruppi di insegnamento il grande
merito di farlo ancor più conoscere ed apprezzare e di renderlo comprensibile e applicabile sul piano clinico, accompagnando la complessità teorica
con molte riflessioni cliniche utili ad approfondire ed ampliare i concetti
metapsicologici.
In tutti i lavori che in questo focus vengono presentati vi è un excursus
storico e teorico del grande cammino e di alcune delle grandi scoperte psicoanalitiche da Freud ai giorni nostri, viene sottolineato come le radici del pensiero psicoanalitico abbiano influenzato gli studi meltzeriani e viene messo in
evidenza anche ciò che di originale ha potuto concepire e trasmettere.
Un aspetto peculiare della mia personale esperienza con Meltzer, che
mi piace ricordare, è legato al suo modo di avvicinarsi al materiale clinico
presentato dagli allievi nei seminari e al suo modo di lavorare in gruppo.
Sotto le sue sopracciglia spesse e folte sembrava sonnecchiare, ascoltava con
un’attenzione presente, sebbene sembrasse altrove, “un’attenzione fluttuante”: da principio ero sempre incerta e perplessa temendo che il materiale fosse poco interessante, invece Meltzer iniziava, sorprendendomi, con
riflessioni o associazioni che all’inizio mi sembravano altro dal materiale
presentato, per poi suscitare invece un’emozione forte, una comprensione
diversa e più profonda, collegamenti impensati e creativi, un modo di sollecitare l’uso della réverie e il contatto con il proprio controtransfert.
Spesso teneva seminari clinici e di baby observation insieme con la
moglie Martha Harris, psicoanalista di grande sensibilità ed esperienza,
mostrando la creatività del pensiero di una coppia al lavoro.
Questo ricordo mi da modo di sottolineare come già in Bion e anche in
Meltzer la spinta alla ricerca di nuovi significati, l’esplorazione del mondo
interno, i vissuti emozionali da trasformare in esperienza e pensiero, siano
un continuo rifornimento e strumento per la vita psichica e per la costruzione di ogni relazione.
Freud che aveva grande interesse per la psicopatologia e per gli aspetti
ricostruttivi della vita del paziente, ci ha proposto una teoria strutturale
della mente, nella quale sono centrali il conflitto tra istanze diverse, la relazione d’oggetto sotto la spinta pulsionale e le difese dell’Io. Il pensiero kleiniano, proprio perché nasce dal contatto diretto con pazienti bambini, anche
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molto piccoli, mette in modo fondante l’accento sulla relazione, definendo
che anche la “pulsione epistemofilica” spinge la ricerca verso l’oggetto, il
corpo della madre. Vediamo una concezione del bambino attivo in questa
ricerca e impegnato non passivamente nella costruzione della sua mente,
attraverso il processo di proiezioni e re-introiezioni che modificano la realtà
esterna che lui introietta. Attraverso l’identificazione proiettiva, che ci
mostra come tutta la vita mentale avviene nella relazione, Klein rompe la
teoria dell’unità della mente perché tramite questa e la scissione già siamo
difronte ad una nuova teorizzazione del funzionamento mentale. L’evoluzione è grande, dalla rimozione alla scissione, dalla pulsione alle fantasie
inconsce sull’oggetto e sul suo interno. Siamo sempre più vicini ai primordi
della vita psichica e quindi dell’esperienza relazionale ai suoi albori.
Molti autori sotto la spinta della teorizzazione kleiniana, specie quella
riguardante l’identificazione proiettiva e le posizioni, rivolgono la ricerca
verso i primordi dello sviluppo psichico e del suo funzionamento. Nel lavoro
di Giuliana Milana troviamo riferimenti a quegli autori che tanto hanno contribuito alla comprensione degli stati più primitivi della mente: “per Winnicott (1965a, 1965b, 1971) la madre è percepita inizialmente come “madre
ambiente”, Bion (1961) ipotizza un primissimo stadio protomentale, Bick
(1968) attribuisce alla pelle la funzione di primo contenitore fisio-psichico;
della scuola argentina abbiamo Pichon-Riviére (1971) e Rascovsky (1957)
che individuano una posizione iniziale che appellano “posizione fetale”
anteorale, e poi Bleger (1966, 1967) che sviluppa una compiuta costruzione
clinico-teorica sui momenti primordiali della vita neo e perinatale, che colloca, ovviamente prima della fase schizoparanoide, e che chiama glischròcarica (dal greco glyschròs vischioso e karuòn nucleo).” Bleger ha una base
comune con il pensiero bioniano: attraverso la definizione di nucleo agglutinato e delle vicende della posizione glischròcarica nello sviluppo psichico, ci
conduce agli stati natali e neonatali della mente e alla teorizzazione di una
parte psicotica e di un’altra non psicotica, presenti in ognuno di noi, come
un binario, per tutta la vita.
Anche in Meltzer l’esperienza relazionale con gli oggetti primari è centrale per lo sviluppo psichico, si svolge tra oggetti interni ma anche tra persone reali, vi è un binario costante fin dalla nascita tra relazionale e intrapsichico, non si parla più del funzionamento della libido ma dell’emozione
su cui si fonda tutta la vita mentale. Tutta la vita emozionale interna e le
fantasie inconsce condizionano le relazioni con il mondo esterno: “relazioni
tra le parti separate e scisse del Sé e relazioni delle parti del Sé con gli
oggetti interni ed esterni”. Bion e Meltzer assegnano alla madre e all’esperienza relazionale primaria un fondamentale compito costruttivo e trasformativo, che avviene attraverso la funzione alfa e lo scambio emozionale che
dà vero significato all’esperienza.
Iniziamo a conoscere l’impostazione teorica di Meltzer dal primo scritto
Il Processo Psicoanalitico (1967), seguiranno Stati sessuali della mente
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(1973) e la raccolta di scritti Sviluppo Kleiniano (1978), nei quali viene ribadito che “non c’è vita senza relazione d’oggetto” e che queste primitive relazioni si creano fin dalla nascita. Ma mentre la Klein era spinta a considerare
le fantasie e la pulsione conoscitiva verso il corpo della madre e il suo
interno, Meltzer amplia tale interesse a tutta la madre reale e fantasmatica
e alla sua vita psichica, tali fenomeni si esplicano attraverso movimenti
proiettivi ed introiettivi. L’identificazione proiettiva, come già era stata
intesa da Bion, non ha solo la funzione di proiettare, scindendo, le parti
intollerabili del Sé per controllare o danneggiare o possedere l’oggetto, ma
servono anche ad una funzione comunicativa e conoscitiva dell’oggetto
stesso, perché questi deve restituire comprensibili e tollerabili gli stati emotivi del soggetto. L’istinto epistemofilico diventa sete di conoscenza e interesse per l’altro, ciò rappresenta lo sviluppo della funzione K bioniana del
legare, “conoscere le proprie emozioni esplorandole nell’altro”.
In tutti i lavori che presentiamo ritroviamo riferimenti a queste teorizzazioni e confronti tra autori, che qui ho sintetizzato brevemente, come premessa comune all’introduzione della specificità di Meltzer.
Luisa Carbone Tirelli e Roberto Quintiliani approfondiscono il tema
delle relazioni oggettuali precoci approfondendo il concetto di spazio psichico
e quello di dimensionalità.
Sottolineano gli autori che il contributo di Meltzer è stato quello di trasportare nella clinica la descrizione del mondo interno, in modo molto concreto, popolato di oggetti aventi una vita propria. Il mondo interno, “geografico” è uno spazio di vita reale come quello esterno, uno spazio dove gli
oggetti interni hanno ricche relazioni tra loro, i cui significati colorano il
mondo esterno. Il mondo interno viene rappresentato nei sogni e nel gioco e
nel disegno infantile.
Meltzer, continuano gli autori, amplia il concetto di identificazione
proiettiva descrivendone altri con caratteri di funzionamento ancor più primitivi, come l’identificazione adesiva, che si fonda sull’imitazione, l’identificazione massiccia, l’identificazione intrusiva, esempi di uno sviluppo in
varie direzioni che lascia ancora aperto il campo alla ricerca.
Questi stati della mente vengono riportati alla dimensione clinica e questo è il grande contributo di Meltzer che li rende usufruibili nel lavoro terapeutico e ciò permette di orientare e comprendere il funzionamento mentale
di pazienti anche molto gravi.
Meltzer si è a lungo occupato di autismo, descrive la dimensione psicofisica di unidimensionalità dove non vi sono pensieri, lo spazio e il tempo si
fondono e non vi sono legami o significati. Nella bidimensionalità prevale la
sensorialità, il pensiero concreto, la superficie e non l’interno dell’oggetto e
del Sé, prevale l’adesività come una forma d’identificazione più narcisistica
e più primitiva dell’identificazione proiettiva, conseguenza del fallimento
della funzione contenitiva. Nella funzionalità tridimensionale dove l’oggetto
esiste come separato, con un proprio spazio interno, “il Sé e l’oggetto divenRichard e Piggle, 15, 3, 2007
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tano potenziali contenitori di spazi” in grado di utilizzare e mettere in atto
l’identificazione proiettiva. Infine nella quadridimensionalità vi è la possibilità di sviluppo di maturità, di contatto con la realtà, anche attraverso la
consapevolezza del tempo e dello spazio. Viene sempre più approfondito il
tipo di movimento e di ricerca e di conoscenza che viene sperimentato tra il
Sé e l’oggetto, in quali spazi, con quali fantasie e con quali apporti onirici
vengono conosciuti gli spazi interni del Sé e dell’oggetto.
Nell’interessante caso clinico gli autori esemplificano le oscillazioni tra
aspetti bidimensionali e tridimensionali, descrivono il passaggio da un’esperienza concreta sensoriale, la ipermotricità, ad una dimensione dove vi è
più pensiero e più uso della funzione del contenitore. Ciò permette di riflettere sul tema dell’identità, anche quella di genere, di capire meglio le esperienze identificative e quelle introiettive, specie delle figure genitoriali; la
dimensione più integrata permette al bambino di sentirsi accolto e restare
presente nella mente della madre.
Anna Sabatini Scalmati con il suo linguaggio evocativo, ricorda che lo
stesso Bion in quegli anni stava ponendo gli affetti al centro delle sue teorie, così per Meltzer l’apprendere è vivere dando significato e nome alle emozione, ai sentimenti dentro la relazione.
Riferendosi agli albori della vita psichica, esponendo vari aspetti degli
stati primitivi della mente, espone una delle più affascinanti e originali teorizzazioni meltzeriane, quella del conflitto estetico. Meltzer ha esplorato il
profondo cambiamento e contrasto nel passaggio dalla vita prenatale a
quella postnatale: l’incontro con l’oggetto materno può provocare sia l’amore
della bellezza della visione materna (seno, occhi, viso) sia il timore di essa e
per ciò che può nascondere (Meltzer, 1981).
L’esperienza estetica dell’oggetto materno diventa conflitto in questi
termini.
La scoperta di Meltzer, che ha dato molto valore all’osservazione del
neonato, fonte inesauribile di esperienza emotiva sul campo e di apprendimenti dal neonato con la madre e con l’ambiente, lo porta a ipotizzare un
rovesciamento delle posizioni kleiniane PS-D, ribadendo che inizia la vita
psichica con la pienezza del legame emozionale, con l’amore per l’oggetto
estetico, per poi consolidarsi ed evolvere oppure spegnersi o pervertirsi.
L’ammirazione e l’estasi del neonato per la bellezza materna se viene ricambiato fondano il senso di sicurezza, base dell’identità.
Meltzer ci lascia in eredità il compito di ricercare la bellezza, concetto
che estende a tutte le forme artistiche, ma anche all’amore per la vita, intesa
anche in senso bionano amore per la verità, amore per la ricerca, per il
nostro lavoro, per la scoperta del funzionamento della mente.
Riporto un riferimento ad un lavoro di Pierandrea Lussana, psicoanalista che ha molto studiato e trasmesso il pensiero di Meltzer: “Se bene intendiamo che la bellezza esiste veramente, va capita e protetta e collocata nelle
nostre vite”; sintetizza poi il percorso psicoanalitico “dal conflitto edipico di
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Freud nell’infanzia avanzata a quello oggettuale di M. Klein nella prima
infanzia, al conflitto estetico di Meltzer dalla nascita” (Lussana, 2006).
L’elemento sconvolgente nell’esperienza estetica non è tanto legato alla
finitezza e caducità dell’oggetto d’amore ma al suo enigma. Momenti che possono ostacolare l’esperienza del conflitto estetico possono essere oltre alle
caratteristiche carenti dell’oggetto anche gli events life che costringono a
precoci e traumatiche separazioni.
In sintesi il lungo cammino psicoanalitico procede dall’interesse verso
la struttura dell’apparato psichico, alla ricerca della relazione d’oggetto
attraverso i movimenti proiettivi e introiettivi, alla definizione della centralità nella relazione delle emozioni e delle qualità dell’oggetto.
Tutto ciò influenza notevolmente, come sottolineano in più punti Carbone Tirelli, Quintiliani e Milana la teoria e il metodo interpretativo che non
richiede tanto all’analista la ricostruzione o il disvelamento del mondo
interno del paziente, ma una capacità di osservazione e disponibilità, l’acquisizione di una capacità emotiva, pertanto cambiano anche gli obiettivi
dell’analisi perché diventa importante il raggiungimento di una capacità
auto-osservante, di un’attitudine a pensare intorno al proprio mondo emozionale e relazionale, è prioritaria l’interiorizzazione della funzione alfa. Il
buon funzionamento estetico all’inizio della vita, spinta verso l’amore e il
bello, può sostenere nel corso della vita l’incertezza e l’enigma.
Meltzer con questa teoria ha dato grande rilevanza alla ricerca della
verità e dell’autenticità nel nostro sistema di vita e di come ognuno di noi le
deve perseguire nel suo lavoro di analista, inoltre ha dato rilevanza alla
ricerca nella nostra pratica quotidiana di fonti creative, dall’arte alla letteratura, come fonti di ispirazione e di rifornimento creativo ed emozionale.
Collegato a questo prende nuova forza il concetto di esperienza emotiva e di
apprendimento dall’esperienza.
Anna Sabatini Scalmati scrive: “Il conflitto estetico non sostenuto,
accolto, condiviso dalla madre, in luogo di emozioni vivibili genera un’atmosfera che condensa precipitati sensoriali e psichici mortiferi”. Questo ci permette di collegarci alla ricerca di Meltzer sull’autismo e sulle patologie
gravi. Esplorazioni sull’autismo (1975) è un libro fondamentale per orientarci nel campo delle gravi patologie infantili ma anche di quelle adulte, stimola la ricerca verso funzionamenti arcaici della mente.
Maria Antonietta Lucariello percorre nel suo lavoro le tre tappe del pensiero di Meltzer sull’autismo, approfondendo in modo ampio le caratteristiche specifiche della mente, dal difetto di dimensionalità, alla ripetitività
ossessiva e al concetto di segmentazione o smontaggio.
Meltzer è lontano dal dare una definizione eziopatologica dell’autismo,
piuttosto ci fornisce una ricca ed acuta descrizione di stati mentali e di ipotesi sul tipo di meccanismo primitivo di funzionamento mentale.
Lucariello ricorda come Meltzer registrasse una notevole presenza di
stato depressivo nella madre nei primi tempi di vita del bambino ma pensava
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anche che ci fosse una particolare spinta da parte del bambino al possesso
dell’oggetto che non era fornito di interno recettivo: in tal caso si viene a
creare una superficie che non contiene, una mente materna che non accoglie.
Il bambino autistico ha una mancanza del senso degli spazi del Sé e dell’oggetto, non usa meccanismi introiettivi né ha spazi interni in cui proiettare e non può introiettare la funzione alfa per produrre pensieri, perché non
si è creato un apparato per pensarli. Lucariello, citando Meltzer, ricollega la
sua ricerca sull’autismo alla teoria del conflitto estetico: “il neonato [...] deve
essere considerato dalla madre un oggetto estetico perché l’esperienza della
loro vita amorosa si rifletta scambievolmente e cresca d’intensità” (Meltzer,
1986, p.239). Questo tragico non incontro e questa dolorosa esperienza viene
descritta attraverso il lavoro della dottoressa Floriana Vecchione, dove da
stati di indifferenziazione e caotico esistere di frammenti del Sé e dell’oggetto, si avvia una primitiva esperienza di esistenza soggettiva attraverso il
sentire le esperienze corporee.
Meltzer infatti, entrando come stupito e ammirato ricercatore nel
mondo autistico, ci ha permesso delle chiavi di comprensione teorico-cliniche straordinarie, suscitando la speranza di un possibile sviluppo di queste
patologie che richiamano i primordi della vita psichica attraverso il nostro
lavoro terapeutico, ci invita a continuare una ricerca e a sperimentare un
modo nuovo, soprattutto nella nostra mente e attraverso il controtransfert,
di comunicare e di cogliere il linguaggio del corpo e della sensorialità primitiva. Tutto ciò ha una ricaduta significativa sull’approccio terapeutico nei
confronti di questi infelici piccoli pazienti che vengono quasi sempre sottoposti a rieducazioni funzionali o comportamentali, che non possono incidere
sul nucleo profondo patologico.
Il lavoro analitico con bambini con gravi patologie e la ricerca sulla
nascita e sul funzionamento della vita psichica hanno notevolmente aiutato lo
studio delle psicosi anche degli adulti, aprendo nuove possibilità di comprensione degli stati più indifferenziati della mente e nuove possibilità di cura.
Altro innovativo apporto di Meltzer è nella teorizzazione del Claustrum,
del 1992, che amplia ulteriormente la comprensione dei pazienti borderline e
degli aspetti psicotici della personalità. In precedenza, nel 1965, troviamo l’inizio della sua teorizzazione in uno scritto “La relazione tra la masturbazione
anale e l’identificazione proiettiva”. Meltzer la considera una forma particolare di identificazione proiettiva. Suzanne Maiello nel suo lavoro ci riporta ai
lavori sulla dimensionalità e sottolinea che il fenomeno appartiene all’area
della tridimensionalità della mente, come prerequisito per l’esperienza del
claustrum. – “È un’identificazione proiettiva attiva e intrusiva in un oggetto
interno, accompagnata da una componente perversa e precisamente una fantasia inconscia masturbatoria”– È interessante come Meltzer apporti alla psicoanalisi due nuove teorizzazioni che riguardano funzionalità della mente
una all’opposto dell’altra: descrive la ricerca della bellezza e l’esperienza estetica e all’opposto, l’esperienza perturbante e distorta del claustrum.
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Maiello approfondisce nel suo lavoro il modello geografico della mente,
suddiviso in quattro aree: il mondo esterno, l’interno degli oggetti esterni, il
mondo interno, l’interno degli oggetti interni, ma ciò che interessa soprattutto a Meltzer è lo sviluppo degli oggetti interni collegato alle fantasie dell’interno della madre. Maiello fa un richiamo suggestivo all’opera di Bosch,
metaforicamente descrive il passaggio dalla bellezza estatica del “Paradiso
terrestre” alle turbolenze erotiche dei “Giardino dei piaceri terreni” per
finire nel degrado tormentato e mortifero de “L’Inferno”. “La voluttà generica degli abitanti testa-seno, trasformata in erotismo eccitato nello spazio
genitale, si perverte in fantasie di qualità sadomasochistiche nel compartimento del retto dell’oggetto.”
Tale teorizzazione porta una nuova comprensione delle patologie sia di
tipo claustrofobico sia delle perversioni, specie sadomasochistiche ma anche
apre un interessante riflessione sull’interpretazione della distruttività e
delle parti perverse della personalità, nelle quali viene enfatizzata l’invidia
e l’aggressività del paziente. Questo non può che aprire un’ampia riflessione
sulla tecnica e sull’approccio interpretativo, infatti la sottolineatura distruttiva con questi pazienti aumenta la persecutorietà e il vissuto sadomasochistico, mentre il paziente, come sottolineano alcuni autori, ha bisogno di
uno spazio di accoglimento e “soggiorno” per tentare una libera evoluzione
delle parti psicotiche, in un “gruppo di lavoro a due”, per affrontare le angosce di perdita o di separazione che spesso troviamo alla base.
Ciò non toglie il grande apporto teorico alla comprensione della multiformità del funzionamento mentale e delle diverse forme e vicende dell’identificazione proiettiva, compresa quella intrusiva.
Maiello riporta uno scritto di Meltzer che condivido molto: “Nel
momento in cui l’analista può riconoscere la qualità di carcerato del paziente
e la sua battaglia per la sopravvivenza in una situazione invivibile, egli vede
che anche il bambino si è smarrito...”. (Meltzer, 1992, p.105).
Il lavoro di Giuliana Milana ci riporta alla fine all’area della pratica
terapeutica e della sua definizione sia teorica che tecnica che troviamo nel
primo libro Il Processo Psicoanalitico (1967). Come già sottolineato in questo inizio di elaborazione troviamo accennati vari temi che in seguito verranno elaborati negli scritti successivi e anche ritroviamo i riferimenti agli
autori che hanno contribuito al suo pensiero, specie Klein e Bion. Interessante è il collegamento che Milana propone con il pensiero di Bleger: questo autore anche se non fa esplicito riferimento a Bion, presenta molti punti
di contatto ed entrambi spingono la ricerca verso il protomentale. In questa teorizzazione del processo psicoanalitico come naturale e ciclico vi è il
riferimento alle posizioni kleiniane che si susseguono o coesistono in alcuni
momenti della vita, in un continuo oscillare tra aspetti più integrati e
quelli più indifferenziati e viceversa. Milana sottolinea che si tratta di un
continuo alternarsi di cicli rappresentati da un incontro, una separazione
con un ritmo scandito regolarmente, per cui sviluppo e separazioni,
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assenza e presenza, discontinuità e continuità sono alla base del processo
terapeutico e sono strettamente intrecciati. Vengono descritte le cinque
fasi del processo psicoanalitico e i criteri che portano al termine dello
stesso. Sottolinea ancora come alcuni temi ricorrano dalla prima all’ultima
fase, in proporzioni diverse: l’opacità rispetto al proprio mondo interno, difficoltà a riconoscerlo, resistenze ad accettare la dipendenza nei confronti
dell’analisi, un continuo oscillare tra identificazione proiettiva ed introiettiva. Vi è un grande lavoro che porta a distinguere diversità nel divenire e
continuità di ogni componente nel processo ciclico. Vi sono in queste teorizzazioni interessanti ed utili suggerimenti rispetto alla costanza del setting, all’assetto mentale dell’analista, all’attenzione verso il transfert e
controtransfert, alla considerazione dei criteri per intraprendere una diagnosi psicoanalitica.
Penso che tutti questi contributi siano molto ricchi di stimoli per continuare a pensare e per rappresentare una forte spinta verso ulteriori
approfondimenti. Meltzer ha caratterizzato ogni suo lavoro introducendo
un grande salto qualitativo della mente, aperto alla ricerca e al pensiero,
invita alla libertà dell’essere e del pensare, affascinato da ciò che è misterioso, primordiale, dal mondo delle emozioni ma anche molto in contatto
con il mondo delle relazioni reali e delle dinamiche istituzionali, acerrimo
nemico delle lotte di potere e delle dinamiche istituzionali che deformano il
pensiero e funzionano per assunti di base. Il suo modello, basato sulle
modalità di apprendimento dall’esperienza e sui modelli educativi all’interno del gruppo familiare, si è esteso anche allo studio dei rapporti tra la
famiglia e la comunità, affrontando anche temi educativi che rivelano il suo
profondo interesse verso l’infanzia e, in particolar modo, verso l’adolescenza.
Il desiderio è quello che dallo sforzo creativo di tutti gli autori, dai loro
preziosi contributi, nasca molta curiosità verso il pensiero di questo autore
e di conseguenza una riflessione sul nostro modo di vivere il processo psicoanalitico.
Bibliografia
Bléandonu G (1985). La scuola di Melanie Klein. Trad. it., Roma: Borla, 1986.
Bleger J (1967). Simbiosi e ambiguità. Studio psicoanalitico. Trad. it., Loreto: Ed. Lauretana,
1992.
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Meltzer D (1986). Studi di metapsicologia allargata – Applicazioni cliniche del pensiero di Bion.
Trad. it., Milano: Cortina, 1987.
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Giovanna Maria Mazzoncini, Medico Neuropsichiatra infantile, Psicoterapeuta,
Segretario Scientifico e Membro Didatta dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile (A.I.P.P.I.), Psicoanalista S.P.I. e I.P.A.
Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence:
Via Asmara, 50
00199 Roma
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