Il trekking a cavallo fino in Abruzzo

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Il trekking a cavallo fino in Abruzzo
Il trekking a cavallo fino in Abruzzo
L’inizio è stato tutto per l’entusiasmo di avventurarsi in una spedizione che sembrava qualcosa di
impossibile, di epico, tutte le aspettative di intraprendere un viaggio che avrebbe segnato un punto
fondamentale delle nostre esperienze di cavalieri.
Quattro amici, Alessandro, Emanuele, Guido e Romano : tra loro se ne parlava già da un anno,
battute, allusioni, con lo spirito tipico dei toscani, chi diceva che non saremmo partiti mai, chi
diceva che voleva aggregarsi ma aveva sempre una scusa pronta, poi i vari impegni e alla fine il
giorno della partenza è stato deciso.
Dall’Associazione Equestre “La Fogliarina”, da dove erano già partite numerose spedizioni,
l’occasione è stata la festa per la prima comunione di Thomas ed Emily, i due figli minori dei
titolari del maneggio. Quindi si è iniziato con un gran banchetto innaffiato abbondantemente da una
sangria speciale (l’Associazione è anche famosa per la qualità dei raduni conviviali organizzati
dalle capacità culinarie di Guido).
La prima giornata è scorsa tranquilla, tutta in pianura lungo la Val di Chiana, anche per collaudare
la preparazione dei partecipanti e la disposizione dei bagagli : le bisacce con un cambio, un libro,
qualche accessorio con gli attrezzi per ferrare, il sacco a pelo e una mantellina. Tutti si pensava
infatti al tempo che avremmo trovato, le previsioni indicavano perturbazioni in arrivo, le nuvole
c’erano, ma l’entusiasmo non si sarebbe certo fatto spengere soltanto dalla pioggia. E tutti avevamo
davanti agli occhi la sagoma del Gran Sasso, la nostra meta, sembrava così lontana, ma tutti
l’avevamo cercata negli atlanti, per potercela immaginare.
La prima sosta da un amico, Giulio, a Montanare di Cortona, dove abbiamo trovato quattro comode
poste per i cavalli ed una cena ottima ed abbondante.
E’ iniziato il processo di simbiosi con Misterfive, il mio cavallo : non mi accontento di starci
sopra durante la marcia e di accudirlo per il ricovero ed i pasti, è bello passarci insieme
anche la notte stendendo il sacco a pelo in terra, accanto a lui, fargli un fischio ogni tanto e
vederlo girare la testa verso di te per guardarti, mentre le stelle ti stanno sopra e anche loro
ogni tanto ti fanno un fischio e ti fanno alzare la testa a guardarle.
Con la seconda tappa ancora non si comincia a renderci conto delle difficoltà del viaggio, i
panorami sono ancora dolci, il lago Trasimeno è spesso sullo sfondo, si fa una breve sosta per il
pranzo nel caratteristico paese di Castel Rigone.
Unico appunto : i sentieri sono segnati in modo inadeguato ed organizzati molto male, spesso
sarebbe bastato proseguire brevi tratti per collegare vallate diverse ed accorciare i percorsi evitando
inutili serie di salite e discese o tratti di strade asfaltate.
Anche l’arrivo al maneggio di Ponte Pattoli ha messo in evidenza l’unicità dell’accesso al maneggio
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stesso attraverso un tratto di strada imbrecciata di oltre 2 km da ripercorrere anche in uscita …
assurdo per chi fa trekking !
Nella terza tappa si sono ripetuti gli stessi problemi per il percorso, quindi procedendo abbastanza
lentamente in termini di superamento delle distanze.
E siamo imbattuti nelle incomprensioni degli abitanti del paese di S. Egidio che hanno addirittura
fatto intervenire i vigili urbani perché ci eravamo fermati in uno spazio sistemato a prato e
delimitato da staccionate di legno : il posto sembrava proprio predisposto per i cavalli, che non
hanno arrecato alcun danno se non qualche “cacca”.
Trovo assurdo che ci siano persone così ottuse da non amare l’uso naturale che si cerca di
fare della natura, mentre sarebbe da auspicare che la gente accolga festosamente i cavalieri
che hanno ancora il coraggio di affrontare un viaggio allo scopo di mantenere viva la
memoria di quelle che erano le strade prima dell’invenzione del motore e dell’utilizzo
estensivo dell’asfalto.
Con un po’ di amarezza si è conclusa la tappa, alla fine rasserenata dallo spettacolo delle mura di
Assisi, arroccate sulla rupe proprio sopra l’agriturismo dove si è fatta la sosta.
Cosa guardare la notte ?
i cavalli sistemati dentro un recinto ?
o la città di San Francesco illuminata ?
o il monte Subasio che incombeva sulla prosecuzione del viaggio ?
sarebbe stato meglio riposare, da domani si sarebbe cominciato a fare sul serio.
Infatti all’alba ci si arrampica in salita attraversando tutto il centro medievale di Assisi,
approfittando dell’ora per poterselo godere senza la presenza delle macchine, fino al cassero per
affrontare il monte Subasio.
Purtroppo una frana aveva chiuso il sentiero più agevole per cui siamo stati costretti a salire a una
quota di oltre 1000 m per superare il monte e raggiungere la Valtopina : una sosta lungo il fiume
Topino è servita anche per rinfrescarsi e fare il bucato.
Dopo aver superato un’altra salita fino al paese di Cariè (dove speravamo di trovare ospitalità ma il
paese era stato abbandonato dopo il terremoto e ci viveva solo una coppia di anziani), siamo scesi
alla valle di Colfiorito dove siamo stati ospitati in un maneggio posto proprio in mezzo alla valle.
I cavalli sono stati sistemati in box e recinti, accanto anche a dei simpatici muli, animali che avremo
continuato a trovare anche in seguito.
Dopo un’ottima cena c’è stato anche il tempo di rintracciare un maniscalco per sostituire i ferri
anteriori di Fulgor e di Luna, i cavalli di Romano e Emanuele, che cominciavano a manifestare
segni di logoramento.
L’indomani finalmente il percorso si è sviluppato completamente al di fuori di zone abitate, tutto sui
crinali del monte Pizzuto, già dentro il parco dei monti Sibillini.
Tutto un susseguirsi di prati, valli, crinali, dove si trovavano solo mandrie di mucche e cavalli e
greggi di pecore. La gentilezza di un pastore ci ha consentito di dissetare i cavalli ad un
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abbeveratoio che lui stesso riempiva portando l’acqua da valle.
E si cominciano a vedere le vette delle montagne dove nei solchi incisi si distinguevano piccoli
ghiacciai : i monti Sibillini, il Terminillo, forse, anche il Gran Sasso, in lontananza.
Alla fine del crinale il sentiero sembra finire, nell’ultimo prato in mezzo a un gregge di pecore,
sembra non esserci via d’uscita verso valle. Da un piccolo varco in mezzo a un boschetto si
intravede appena un percorso che parte, fangoso, scivoloso, ma è quello giusto, arriva alla strada
che porta al paese di Riofreddo.
Il paese, parzialmente distrutto dal terremoto, con ancora qualcuno che vive nelle casette di legno
prefabbricate, ci accoglie con una fontana ricca d’acqua, sgorga senza interruzione, una ricchezza
che molti paesi più ricchi non hanno …
Gli abitanti sono cordiali, curiosi, ci vendono pane, salame, formaggio e vino, meriterebbero
un’approfondita ricerca antropologica : un giovane pastore è curioso di sapere da dove
veniamo, due vecchi si lamentano di non trovare neppure compagnia per giocare a carte, ma
sono tranquilli, sereni, ti mettono a tuo agio, una giovane pastorella rientra con il suo gregge
e la sua somarella cieca (prima l’avevamo vista che la cavalcava a pelo), ma lei non è cieca,
ha la luce negli occhi, ci puoi vedere i colori del cielo e dei prati, e nel suo sorriso anche.
Si riparte, rifocillati, anche nello spirito, non si sa dove sarà possibile fermarci, e quando arriviamo
a una trattoria con davanti un prato, gli alberi, il fiume, pensiamo di passare la notte lì : il
proprietario della trattoria si presta a trovarci un sacco di biada, per il fieno si provvederà con l’erba
che c’è, si dormirà al riparo dei salici.
A cena ci accorgiamo anche che c’è la partita di calcio, gioca l’Italia, ma a noi le mucche e
le pecore che avevamo incontrato non ce l’avevano detto, e nei pascoli che avevamo
attraversato non c’erano cartelli pubblicitari … si può vivere bene anche senza il calcio,
come fanno gli animali.
La tappa successiva avrebbe dovuto essere una delle più belle, fino a raggiungere la piana di
Castelluccio di Norcia, e le aspettative non sono state deluse.
Una lunga salita, in mezzo a boschi, valli, gole, lentamente ma non finiva mai, dove si dovrà
arrivare ? sicuramente si saranno chiesti i cavalli, figuriamoci, ce lo chiedevamo noi, e ci
rendevamo conto che si stava facendo dura, si scendeva di sella e si proseguiva a piedi camminando
accanto ai cavalli, sudati, anche loro con il fiatone.
Alla fine, quasi in cima al monte Xxx, ad una quota di quasi 2000 m, si apre una visione fantastica :
siamo su una pendice tutta erbosa che scende fino alla piana di Castelluccio di Norcia, da una parte
i monti Sibillini con le striscie di neve, lontano altre vette con i ghiacciai, sotto una prateria enorme,
fiorita di tutti i colori,
è così che ci si dovrebbe certo immaginare il paradiso.
Ci fermiamo per uno spuntino a Castelluccio di Norcia
e anche qui ci rendiamo conto che la tradizione spesso si associa con l’abbandono, ma
perché la gente non vuole le cose che sono state da sempre, trasmesse dalle generazioni
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precedenti ? perché sembra che le rinneghi, se ne vergogni ? eppure certamente un uomo
senza le tradizioni è destinato a morire di freddo.
Ci sistemiamo nel piccolo maneggio che c’è in mezzo alla piana grande. Domani ci sarà una festa,
per la fioritura dei prati, con una messa nella cappellina, e balli e musiche popolari.
Si parla,
loro ci raccontano che vogliono mandarli via di lì, ma come ? invece di incoraggiarli, sono
loro che ti permettono ancora di vedere i cavalli che galoppano in quei pascoli, e non solo
gente in bicicletta, in moto o in deltaplano, e il pensiero mi va a come mi immagino sia stato
il Far-West prima dello sterminio dei pellerossa e dei bisonti.
Si parla,
noi si chiedono informazioni per proseguire verso il Gran Sasso, ma loro dicono che è
lontano, loro non ci sono mai stati, anche tutti gli altri cavalieri che incontriamo sono arrivati
lì con i van, non sanno cosa vuole dire ripercorrere sentieri che una volta erano l’unico modo
che aveva la gente per spostarsi e per comunicare, la traccia reale dei rapporti sociali e
culturali che le comunità potevano avere tra loro.
Ci scoraggiamo, no, le cartine dicono che due giorni devono assolutamente bastare, domattina però
si partirà presto, e il cielo si è coperto di nuvole minacciose.
La mattina fa freddo, sembra che stia per piovere da un momento all’altro, ma il panorama è
stupendo, si passa in mezzo a laghetti di montagna, in posti dominio incontrastato degli animali
liberi, al pascolo.
La tappa poi si rivelerà una delle più dure, soprattutto perché molti sentieri indicati sulla carta e
segnati sono in realtà abbandonati, in alcuni casi siamo costretti a salire e poi metterci alla ricerca di
un varco per proseguire e alla fine tornare indietro, costringendo quindi anche il morale, nostro e dei
cavalli, a salire e scendere continuamente. Per fortuna Bramante, il grigio di Guido, non smette mai
di profondere energie nell’affrontare le salite.
Mentre eravamo a Rocchetta, quasi in vista di Amatrice (che ci eravamo posti come meta della
tappa, forse con l’idea di ricompensarci con un piatto di spaghetti all’amatriciana) abbiamo
incontrato uno che sembrava un contadino, insieme a un ragazzino, che ci è venuto incontro con
un’aria sveglia, piena di ammirazione.
Era Ezio, con suo nipote, ha un maneggio nel paese, ci ha chiesto da dove venivamo e quando ha
saputo che eravamo partiti dalla provincia di Arezzo ci ha fatto un’accoglienza tale da renderci
pienamente consapevoli della portata dell’impresa che stavamo compiendo.
E la passione comune ha fatto scattare immediatamente la scintilla della simpatia : abbiamo subito
accettato di fermarci da lui, farci spiegare la strada che avremmo dovuto percorrere l’indomani
(finalmente qualcuno che aveva esperienza) e abbiamo deciso di trascorrere insieme la serata.
Dopo un’ottima cena ad Amatrice, come ce l’eravamo immaginata, siamo tornati al maneggio a
parlare ancora di cavalli, di viaggi, e a stringere un’amicizia che avrà ancora occasione di essere
alimentata.
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Luna, la cavalla quarter di Emanuele, era in calore, Ezio ha un bello stallone appaloosa, e allora,
quale migliore occasione per stringere un gemellaggio ? I due cavalli sono stati fatti avvicinare, è
stato evidente come si siano subito piaciuti, e quindi si è passati alla monta, dopo la quale i due
cavalli sono stati lasciati liberi dentro un recinto per poter completare tranquillamente
l’accoppiamento per tutta la notte. Se Luna resterà gravida il puledro si chiamerà Gran Sasso, se
maschio, e Amatriciana, se femmina, e sarà lì a ricordarci questo viaggio.
Restava l’ultima tappa, soltanto sei ore al massimo, fino al lago di Campotosto, alla pendici del
Gran Sasso.
Provavo le stesse emozioni che probabilmente avevano provato Amundsen e i suoi quando
marciavano in direzione del Polo Sud, anche se noi non avevamo nessuna bandiera di
piantare e nessun Scott da superare.
E, certo duramente provati da otto giorni di viaggio, si continuava a procedere tra boschi e vallate
stupende senza che il Gran Sasso si facesse vedere. Solo dopo l’ultima svolta prima della diga del
lago finalmente la montagna con il suo ghiacciaio si è mostrata ai nostri sguardi.
L’avventura stava finendo, c’era il tempo per le foto e per sistemare i cavalli in attesa del camion
che ci avrebbe riportati a casa.
Perché non condividere con il cavallo anche il viaggio di ritorno ? Abbiamo preso posto nel camion
anche noi, dietro, nel cassone, con i cavalli.
Misterfive spesso è nervoso e scontroso, quando gli sto intorno e gli faccio le carezze vuole
mordermi (ma non con cattiveria), ma dopo otto giorni in cui non ci eravamo separati
praticamente mai, si era creato un clima di affetto e stima reciproca che è difficile
descrivere. Nel camion gli stavo di fronte, lui teneva il suo musino appoggiato al mio petto,
incastrato sotto l’ascella, mi trasmetteva il suo calore, mi faceva capire che non c’è niente di
più bello che tenere il proprio corpo accostato ad un altro corpo, e quando le forme dei due
corpi combaciano vuol dire che anche i cuori combaciano, vuol dire che ci si vuole bene.
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