Stavolta non vinciamo da soli che deve reagire

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Stavolta non vinciamo da soli che deve reagire
Italia | L’importanza delle piccole imprese
Giuseppe Morandini, presidente della Piccola Industria di Confindustria,
presenta la sua ricetta per uscire dalla crisi
Stavolta non vinciamo
da soli
È il sistema Paese
che deve reagire
Le pmi possono essere un'ancora di salvezza
per l'economia italiana.
Perché hanno tre elementi di forza:
le fabbriche, gli uomini, la flessibilità sui margini.
Ma hanno bisogno di un credito
più accessibile e di uno Stato più efficiente
di Massimiliano Panarari
ono abituate a sentirsi prese in causa quando si parla del «tessuto produttivo del Paese»: le piccole e medie imprese, o pmi,
sono da sempre le protagoniste dell'economia nazionale. Anche ora, che la crisi imporrà delle trasformazioni al modello produttivo. Su quale situazione si trovino ad affrontare oggi e quali potranno
essere le prospettive future abbiamo sentito il presidente della Piccola Industria di Confindustria Giuseppe Morandini.
Le piccole e medie imprese sono una delle punte di diamante del modello industriale e produttivo italiano. Qual è il panorama attuale?
«Le rispondo coi numeri: abbiamo un totale di imprese manifatturiere doppio rispetto a Francia e Germania messe assieme, il più alto
d'Europa, eppure troppo spesso dimentichiamo che queste imprese
sono il cuore pulsante della nostra economia. Una ricchezza che ci
contraddistingue da sempre, e che ogni volta che andiamo all'estero
suscita parecchio interesse. Prova ne è la recente missione in Russia
S
miliardi di euro:
60
è la cifra che le aziende attendono dalla pubblica amministrazione
Primo trimestre 2009:
-14,7%
di fatturato delle pmi del manifatturiero
rispetto allo stesso periodo del 2008
doppio
ITALIA: numero di imprese manifatturiere
rispetto a Francia e Germania messe assieme
54 OUTLOOK
«La crisi di
sovrapproduzione
ci obbliga
a individuare
un sistema
industriale
differente
da quello attuale:
frammentazione
e orientamento
al mercato
interno
dovranno
essere superati»
«Faccio un invito
alle banche:
devono
realmente
tornare
sul "territorio"
e recuperare
un dialogo vero
con tutti
gli imprenditori»
OUTLOOK 55
Italia | L’importanza delle piccole imprese
organizzata da Confindustria, Ice e Abi lo scorso aprile: il presidente
Dmitry Medvedev, ricevendoci al Cremlino, ha chiesto come funzionasse il sistema delle piccole e medie imprese e dei distretti perché,
come ha riconosciuto lui stesso, "il benessere di ogni Stato, di ogni
Paese poggia proprio sulle piccole industrie". Tutto il mondo ci identifica e ci apprezza per inventiva, dinamismo, flessibilità.
Ma io non dimentico mai che il nostro quotidiano è fatto soprattutto di battaglie contro le tante inefficienze del sistema, che spesso equivalgono a vere zavorre e impediscono all'Italia di avere un'economia
scattante. Per essere chiari: in un momento come questo, i problemi
storici (elevata pressione fiscale, lentezza burocratica, difficoltà di
accesso al credito) si vanno a sovrapporre a una crisi pesantissima,
con conseguenze altrettanto gravi. L'ultimo rapporto Unioncamere
assegna alle pmi del manifatturiero il calo del fatturato più consistente, con un -14,7 per cento nel primo trimestre di quest'anno rispetto al
precedente. E un dato ancora più critico arriva dalle aziende con
meno di 50 dipendenti che registrano un -15,2 per cento».
Come stanno reagendo le piccole imprese alla recessione?
«Fare una diagnosi precisa mi sembra ancora prematuro, perché
occorre tempo per valutare gli effetti reali della crisi e le ricadute che
avranno sulle imprese le misure varate dal governo. Sicuramente il
clima generale sta migliorando. Nonostante il dato di marzo sulla
produzione industriale segnasse un impietoso -23,8 per cento, il Centro Studi di Confindustria, parla di una ripresa dell'attività produttiva ad aprile, e anche le aspettative degli imprenditori manifatturieri,
per i prossimi tre mesi, sono meno pessimiste.
Ci sono poi altri piccoli segnali positivi che aprono qualche spiraglio: il prezzo dei carburanti è sceso, quello dell'energia pure, la rata
del mutuo ha smesso di galoppare. Insomma, esistono le basi per far
Il profilo | Un geologo
prestato a Confindustria
iuseppe Morandini è nato a Udine nel 1959. È sposato con Sandra e
padre di due figli, Marta e Nicola. Dopo la maturità scientifica, nel
1983 si laurea in Scienze Geologiche presso l’Università di Trieste. Nello
stesso anno entra nell’azienda di famiglia, la Fornaci Morandini Spa, fondata dal bisnonno nel 1923 e attiva nel settore dei laterizi. Le sue prime
mansioni sono nell’organizzazione commerciale. Il 2001 rappresenta
l’anno della svolta gestionale. L’azienda, che ora si chiama Fornaci Giuliane Spa, passa da una conduzione familiare a una gestione manageriale attraverso un’operazione di fusione con il suo principale concorrente.
Oggi la Fornaci Giuliane Spa rappresenta un polo regionale nei materiali
da costruzione; conta circa un centinaio di dipendenti, con una rete di una
diecina di stabilimenti situati prevalentemente nel nord est, ma anche in
Lombardia ed Emilia-Romagna.
Da sempre attivo in campo associativo, Morandini ha iniziato la sua esperienza come componente del comitato di presidenza dei Giovani Industriali di Udine, per poi diventare vicepresidente del comitato Piccola
Industria e capogruppo delle aziende del settore dei materiali da costruzione. Nel 1994 è entrato a far parte della giunta di Confindustria. Dal 2001
al 2005 ha ricoperto la carica di presidente Piccola Industria del FriuliVenezia Giulia. Nel 2004 è entrato nel consiglio direttivo di Confindustria,
in rappresentanza della Piccola Industria, della quale è stato consigliere
incaricato per l’energia e i rapporti con il territorio.
Dal 10 novembre 2005 è presidente Piccola Industria di Confindustria.
G
«Durante la recente
missione in Russia
lo stesso presidente
Dmitry Medvedev
(nella foto,
con il presidente
del Consiglio
Silvio Berlusconi
al Cremlino)
ha evidenziato
l’importanza
delle pmi
per tutti gli Stati»
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Italia | L’importanza delle piccole imprese
respirare un po' le famiglie e rilanciare i consumi. L'obiettivo adesso
è attivare un circolo virtuoso a partire dalle risorse messe in campo.
Bene, ad esempio, gli otto miliardi destinati agli ammortizzatori sociali, ma sarebbe opportuno alzare l'attuale limite di 52 settimane di
durata della cassa integrazione ordinaria.
Tuttavia, per le piccole imprese il tasto dolente è un altro e si chiama credito. Le banche dicono che non hanno smesso di sostenere il
sistema produttivo, ma le aziende rispondono che il credito costa troppo, nonostante i tassi siano scesi, che le banche chiedono sempre più
garanzie, che hanno allungato i tempi di istruttoria, accentrato le
facoltà di firma e si sono allontanate dal territorio. Perché dobbiamo
fare i salti mortali ogni volta che entriamo in filiale? Certo, c'è il Fondo
di garanzia, i Tremonti bond, ma al momento le risorse aspettano
ancora di essere trasferite alle imprese. E non dimentichiamo i 60
miliardi di euro (stime Confindustria) che le aziende attendono dalla
pubblica amministrazione. Sui ritardati pagamenti abbiamo adesso
la possibilità di far certificare dall'ente debitore il credito vantato, di
assicurarlo presso la Sace e di scontarlo in banca con la formula pro
Il ministro
dell’Economia
Giulio Tremonti.
Portano il suo nome
i bond concessi
dallo Stato
alle banche
per finanziare
le imprese
in questo momento
di crisi
«Mentre cala la fiducia
nei politici, nel giudizio
degli italiani salgono
ai primi posti
gli imprenditori
di piccole imprese»,
afferma Morandini.
«Un dato che deve fare
riflettere tutti,
ma soprattutto noi:
dobbiamo farci avanti,
cominciare a pensare
e a comportarci
da classe dirigente»
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soluto. Ma finché tutto questo non diventa operativo, serve a poco».
Cosa si può fare per migliorare la situazione del credito?
«A parte rendere concrete il più presto possibile queste misure, ci
sono altri provvedimenti che potrebbero aiutare le pmi. Innanzitutto,
elevare a un milione di euro la soglia di compensazione fra debiti e
crediti fiscali. Al momento, è ferma ai 500.000 euro, un tetto che una
piccola impresa esaurisce in pochi mesi di normale lavoro. Allo stesso
modo, non sarebbe male detassare per tre anni gli utili reinvestiti in
azienda e i rendimenti derivanti da nuovi apporti di capitale. E, poi,
un invito alle banche: devono realmente tornare sul "territorio" e recuperare un dialogo vero con gli imprenditori. Una banca conosce
tutti i dati sensibili del "paziente impresa": non può consentire che gli
interlocutori in filiale cambino così spesso, come sta succedendo in
questo momento».
Da qualche tempo, alcuni studiosi parlano di «multinazionali tascabili»
per indicare l'evoluzione più recente della «forma pmi». Lei cosa ne pensa?
«Le multinazionali tascabili sono società di medie dimensioni che
lavorano su scala internazionale. Si tratta di realtà nate quasi sommessamente negli anni Sessanta e Settanta, ma che oggi sono aziende mature e quotate in Borsa. Per le pmi possono rappresentare un
modello, ma credo che i tempi di questa "evoluzione" non saranno gli
stessi del passato. La crisi di sovrapproduzione che viviamo ci obbliga a individuare con rapidità un sistema industriale differente da
quello attuale; frammentazione e orientamento al mercato interno
dovranno essere superati. Gli incentivi fiscali per le aggregazioni e
una ricapitalizzazione esentasse fino a cinque milioni di euro per le
aziende che si uniscono vanno in questa direzione. La ricetta è molto
semplice: aggregarsi oggi per tornare a esportare domani. Vogliamo
che sia solo il mercato a decidere chi ci sarà e chi no? Non credo.
Andare all'estero vuol dire intuire opportunità di crescita anche ora e
allargare gli orizzonti della propria azienda. È già un comune sentire
fra gli imprenditori, come ha rilevato per esempio un recente studio
condotto dalla Fondazione Nord Est sulle piccole imprese di Reggio
Emilia. E non solo. In Russia eravamo più di mille imprenditori: abbiamo avviato più di cinquemila contatti con le nostre controparti. Sa
che vuol dire in tempi di crisi?».
Come vede le classi dirigenti del Paese in questo momento? Pensa
che abbiano una «vision» adeguata rispetto ai temi dello sviluppo e, in
particolare, di quanto necessario a rafforzare le prospettive delle pmi?
«Penso che la politica debba ancora rispondere alla domanda principale, ovvero quale progetto ha in mente per questo Paese. Da quindici anni, l'Italia non cresce, e quando lo fa, è sempre in misura minore degli altri; la produttività del lavoro è calata, mentre altrove è cresciuta soprattutto grazie alle tecnologie dell'informazione. E, ancora,
è diminuita la competitività: basta guardare la classifica stilata dall'Imd per il "World Competitiveness Yearbook". Per avere un'idea,
durante i primi anni Novanta, oscillavamo fra il 25° e il 30° posto, recentemente siamo scesi intorno al 40°. Ma la cosa più grave è che
manca la fiducia, specialmente nei riguardi degli uomini politici. Non
lo dico io, ma l'ultimo rapporto Luiss-Fondirigenti. Fra tutte le categorie analizzate, infatti, alla classe politica viene attribuita la percen-
Italia
tuale più bassa di merito. Ai primi posti, invece, si collocano proprio gli imprenditori di
piccole imprese, forse perché dimostriamo il
nostro valore ogni giorno, confrontandoci con
la concorrenza. È un dato che deve far riflettere tutti, ma soprattutto noi: dobbiamo farci
avanti, cominciare a pensare e a comportarci
da classe dirigente. Un campione rappresentativo di 600 imprese, intervistate da Demos,
ha indicato la necessità di cambiare mentalità rispetto al passato e di svolgere diversamente il proprio ruolo imprenditoriale,
alzando lo sguardo oltre i problemi dell'azienda e dedicando più tempo a quelli
generali del Paese».
Come si sta attrezzando Confindustria rispetto alle tematiche, sempre più decisive, dell'innovazione e del trasferimento tecnologico?
«Ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico sono leve di competitività, a maggior
ragione utili in questo momento, per uscire
dalla crisi. Ma è fondamentale creare un ambiente favorevole alle imprese, soprattutto
quelle piccole e medie. Il nostro dilemma non
è la capacità di innovare, ma la disponibilità
di uomini e risorse finanziarie. Quanto più si
è piccoli, tanto maggiormente risulta difficile
investire in innovazione: da un lato, è complicato sostenere i costi di persone con un'adeguata preparazione tecnico-scientifica, dall'altro, le piccole imprese, a differenza delle
medio-grandi, accedono meno alle risorse
pubbliche, per minore esperienza, per scarse
conoscenze personali, perché non fanno attività di lobbying e qualche volta anche perché
non conoscono gli strumenti a disposizione.
Non solo: molta dell'innovazione che fanno le
piccole è difficilmente misurabile. E quindi
non emerge.
Detto questo, Confindustria e tutto il sistema si stanno impegnando parecchio. Al di
là del progetto "Imprese x innovazione", ci
sono strumenti come il credito d'imposta per
investimenti in ricerca e sviluppo, o le agevolazioni per le aziende innovatrici in fase di
start up, che potranno dare una scossa anche
al sistema pubblico per spingerlo a collaborare di più, e meglio, con le imprese. Imprese
che da parte loro, e lo dico con orgoglio, hanno
capito l'importanza dell'innovazione e si stanno davvero dando da fare».