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Josephine Angelini
Attraverso il fuoco
Traduzione di
Carla De Caro
Titolo originale:
Trial By Fire
Copyright © 2014 by Josephine Angelini
All rights reserved
http://narrativa.giunti.it
© 2014 Giunti Editore S.p.A.
Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia
Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia
Prima edizione: settembre 2014
Ristampa
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Anno
2018 2017 2016 2015 2014
Per la mia famiglia
Uno
Lily Proctor s’infilò nel bagno delle ragazze, tirandosi indietro i
capelli indomabili. Con la vista offuscata dalle lacrime, si precipitò verso il water e vomitò finché le ginocchia non la ressero più.
Era stata male tutto il giorno, ma avrebbe preferito rompersi
un braccio piuttosto che chiedere di andare a casa. Tristan non
l’avrebbe mai portata alla festa quella sera se avesse saputo che
stava per avere una delle sue famigerate reazioni allergiche, e
Lily non voleva assolutamente rinunciare.
Non ora. Ora che le cose tra lei e Tristan sembravano aver
preso una piega inaspettata… e meravigliosa.
Lily e Tristan Corey erano da sempre migliori amici. Erano
cresciuti insieme, costruendo accampamenti con le lenzuola
immacolate della madre di Tristan e stazioni spaziali con i cuscini del divano. Molti amici d’infanzia si allontanano quando
cominciano a crescere; Lily questo lo sapeva. Alcuni scoprono
il segreto per diventare fighissimi e altri rimangono dei poveri
imbranati per tutto il periodo del liceo. Tristan – bisognava riconoscerlo – non era cambiato, anche se col passare degli anni
era diventato molto popolare, mentre Lily si era isolata sempre
di più, per via delle sue allergie in costante peggioramento, oltre
che per le voci imbarazzanti che avevano cominciato a circolare
su sua madre. Lui non era mai venuto meno alla promessa che
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si erano scambiati da piccoli intrecciando i mignoli, quella di
rimanere migliori amici per sempre. Non aveva mai cercato di
nascondere la loro amicizia o di ignorarla solo perché gli altri
ragazzi la trovavano strana. L’ unica ragione per cui la portava
raramente alle feste era perché molti ragazzi fumavano e i polmoni di Lily non avrebbero potuto sopportarlo.
O, perlomeno, così diceva Tristan. Dal momento che Lily
non era mai andata a una festa non poteva saperlo con certezza, ma aveva come il sospetto che Tristan non volesse portarla
perché aveva sempre qualche ragazza da rimorchiare. O magari
più di una.
Tutti quelli dell’ultimo anno conoscevano Tristan: era il
miglior giocatore di baseball di Salem, nel Massachusetts. Era
molto più alto dei ragazzi della sua età e all’inizio della seconda
aveva cominciato a uscire con una dell’ultimo anno, diventando una leggenda. Da quel momento in poi le ragazze – e
le donne – di Salem se lo scambiavano come un paio di jeans.
Sfortunatamente Lily aveva una cotta per Tristan sin dal giorno
in cui si era resa conto che i maschi e le femmine non erano
uguali, molto prima che il livello di testosterone del ragazzo
subisse un’impennata improvvisa, trasformandolo in uno stallone. E lei non poteva fare a meno di soffrire.
Per anni aveva cercato di accontentarsi di essere la sua assistente tuttofare. Facevano insieme ogni genere di cose: studiare,
andare a comprare scarpe da football per lui, fare lezioni di
guida, finché, inevitabilmente, qualche ragazza lo chiamava e lui
se la squagliava alla svelta. Lily non gli aveva mai detto quanto
le facesse male vedere le sue guance arrossire e gli occhi azzurri luccicare impazienti quando se la filava per raggiungere la
sua ultima conquista, salutandola con un abbraccio frettoloso.
Tristan non l’aveva mai guardata in quel modo. E mentre si
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contorceva orribilmente sopra la tazza del water, Lily pensò che
non poteva biasimarlo per averci messo così tanto a baciarla.
Quel bacio era arrivato senza preavviso. Avevano passato la
serata a guardare la TV e Lily si era addormentata con la testa
appoggiata sulle sue gambe, come mille altre volte. Quando
aveva aperto gli occhi, lui la stava fissando con aria stupita. E
poi l’aveva baciata.
Era successo tre giorni prima e solo al pensiero Lily tremava
ancora. Un momento stava dormendo e un momento dopo
Tristan era sopra di lei che la baciava, la abbracciava e la stringeva dolcemente. Poi improvvisamente si era fermato e aveva
cercato di scusarsi. Lily non era affatto dispiaciuta e non voleva
che lui lo fosse.
Non ne avevano più parlato ma la mattina dopo, a scuola, lui
le aveva tenuto la mano. Le aveva persino dato un bacio dolce e
fuggevole davanti ai suoi compagni di squadra, prima dell’allenamento. Lily non era mai uscita con nessuno, quindi non sapeva come funzionassero certe cose, ma credeva fermamente che
portarla alla festa quella sera significasse annunciare al mondo
che stavano ufficialmente insieme. Quindi non le importava di
vomitare l’anima o di starnutire fino a farsi sanguinare il naso.
Doveva andare a quella festa a qualsiasi costo.
Quando finalmente il suo pranzo vegano a base di foglie,
germogli e radici sparì nello scarico del water, Lily vacillò verso
il lavandino per darsi una rinfrescata.
Guardandosi allo specchio le sfuggì un gemito d’orrore. Era
peggio di quanto si aspettasse. La pelle diafana del suo viso era
così arrossata che sembrava l’avessero presa a schiaffi. I segni
violacei dell’orticaria sul petto ossuto parevano colpi di frusta,
e gli occhi verdi erano lucidi per la febbre. Passò rapidamente
in rassegna tutto ciò che aveva mangiato quel giorno, ma non
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riusciva a capire cosa avesse potuto causare una reazione così
violenta. Forse qualcosa che aveva toccato inavvertitamente,
come i prodotti chimici che usavano per pulire la scuola, ad
esempio. Ma non poteva esserne sicura.
Lily raccolse i folti riccioli rossi, fermandoli con una matita
dopo averli arrotolati in un arruffato chignon. Si tolse la maglietta con la scritta SALVIAMO LE BALENE e con il solo reggiseno
addosso si chinò sul lavandino, picchiettando il rubinetto con le
dita nella speranza che il getto, solitamente tiepido, si raffreddasse un po’. Spruzzò l’acqua, non ancora abbastanza fredda,
sulla violenta eruzione cutanea che stava emergendo come una
marea bollente sul suo corpo ipersensibile.
La campanella suonò a indicare la fine della pausa pranzo,
e a Lily non rimase altra scelta che ricorrere a uno dei tanti kit
d’emergenza che portava sempre con sé nello zaino. Scartò in
fretta l’inalatore e la boccetta di pillole di steroidi a scioglimento rapido, e puntò direttamente all’autoiniettore di adrenalina.
Tolse il tappo verde dalla siringa di plastica sterile e ficcò l’ago
nei jeans che le coprivano la coscia, stringendo i denti per il
dolore.
In realtà avrebbe dovuto usare l’autoiniettore solo in caso di
pericolo di vita, ma dal momento che non aveva idea di cosa
stesse causando una reazione così violenta, ritenne fosse meglio
prevenire che curare. Non appena il cocktail di sostanze si diffuse nel suo organismo, i sintomi cominciarono ad attenuarsi.
Gli occhi smisero di lacrimare e la sua visione tornò nitida.
L’ adrenalina che si era iniettata la scosse violentemente e si rese
conto di avere il busto completamente fradicio. Con le mani
tremanti per l’agitazione si asciugò come poté con dei fazzoletti
di carta e si infilò la maglietta, appena in tempo per la seconda
campanella che segnava l’inizio delle lezioni.
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Lily scappò via dal bagno e si precipitò su per le scale, facendo rimbombare i suoi passi lungo il corridoio vuoto fino alla
classe del professor Carnello, un attimo prima che lui chiudesse
la porta.
«Scusi, professore» disse ansimando mentre gli passava davanti.
«Tutto bene?» le chiese l’insegnante, lanciando uno sguardo
alla maglietta di Lily per poi immediatamente distoglierlo.
«Certo. Ho solo avuto un piccolo problema» borbottò distrattamente.
Tristan, seduto al suo posto, nel banco che dividevano nell’ora
di scienze, la guardò avvicinarsi con aria perplessa. Mentre si accomodava, Lily notò che un paio di persone la fissavano in modo
strano. Cercò di sorridere amichevolmente, ma loro distolsero
immediatamente lo sguardo, evitando di incontrare il suo.
«Lily» sibilò Tristan.
«Che c’è?» rispose lei.
«Perché hai le tette bagnate?»
«Che dici?» Lily abbassò lo sguardo sulla maglietta e vide
che il tessuto bianco era diventato completamente trasparente
all’altezza del reggiseno zuppo. Mortificata incrociò le braccia sul petto. Sentì un paio di ragazzi ridacchiare in un angolo
dell’aula, ma Tristan si voltò e li zittì con un’occhiata.
«Ha bisogno di un momento per riprendersi, signorina Proctor?» chiese il professor Carnello con gentilezza.
«No, è tutto ok» rispose Tristan al posto di Lily, togliendosi
velocemente il maglione.
La maglietta che indossava sotto si alzò accidentalmente,
lasciando intravedere i muscoli definiti e la pelle vellutata, suscitando i mormorii eccitati delle ragazze. Senza farci caso, Tristan
aiutò Lily a indossare il maglione. Considerando che gli bastava
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camminare in corridoio per provocare i gridolini estasiati delle
ragazze, probabilmente non le aveva neanche sentite. Ma Lily le
aveva sentite eccome, e avvampò, più accaldata di prima, mentre
cercava di resistere all’impulso di strangolarle.
«Hai la febbre?» le chiese lui.
«Ho sempre la febbre» rispose Lily contrariata, ed entrambi
sapevano che era vero.
In una giornata normale la temperatura corporea di Lily si
manteneva sui 39 gradi. In una giornata sfortunata la febbre
poteva schizzare fino ai 43. I medici non si spiegavano come
fosse riuscita a sopravvivere alle crisi più acute ma, del resto,
c’erano molte cose che non riuscivano a spiegarsi di lei.
«Dico sul serio» insisté Tristan, indicando con aria accusatoria la macchia di sangue sui jeans di lei, nel punto in cui si era trafitta con l’autoiniettore. «Vuoi che ti porti a casa? O all’ospedale?»
«Sto bene» rispose con enfasi. «Davvero, sto alla grande.»
Si interruppe e sorrise amara. «Be’ a parte la scena delle tette
bagnate.»
Lily gli rifilò una gomitata, cercando di liquidare l’intera
faccenda con uno sguardo ammiccante. Con tutto quello che
la gente raccontava sul suo conto e sulla sua famiglia, una maglietta bagnata era l’ultimo dei suoi problemi. Tristan piegò il
capo in una risatina sommessa. Lily guardò i suoi grandi occhi
azzurri illuminarsi, i capelli castano chiaro ricadere sulla fronte.
C’erano migliaia di piccoli gesti come questo che la lasciavano
senza fiato. Era terribilmente carino e Lily non riusciva a credere alla sua fortuna, ora che lui era finalmente suo.
«Fa’ attenzione al signor Carn» lo riprese lei, come se fosse
stato Tristan a disturbare la classe. Lui ricambiò la gomitata ed
entrambi si concentrarono sulla lezione.
«Se esiste un simbolo che rappresenta l’universo meglio di
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ogni cosa…» Il professor Carnello si girò verso il proiettore e
disegnò un otto rovesciato che rappresentava l’infinito «… è
questo.» Tracciò il segno dell’uguale. «Newton ha dimostrato
che se si colpisce una sfera con una determinata forza, questa
forza non svanisce, ma si trasforma in energia cinetica e la
sfera percorre una distanza che si può misurare con precisione.
Perché? Perché l’energia che entra» indicò il segno dell’uguale
da un lato «è pari all’energia che esce» concluse con un colpetto sull’altro lato del segno. «Quindi l’energia si trasforma.
Persino la materia può trasformarsi in energia – in seguito
arriveremo all’equazione di Einstein e=mc2 – ma nulla si crea
né si distrugge. Questo è il primo principio della termodinamica. Ora: thermo in greco sta per calore, e dinamica, dal greco
dynamikos, significa potenza. Calore e potenza sono due parti
di una stessa entità.»
Carnello cominciò a scribacchiare forsennatamente, borbottando tra sé e sé. Lily e Tristan si scambiarono uno sguardo
e sorrisero: tutti e due avevano una predilezione per le scienze.
Tristan, quell’anno, aveva addirittura ottenuto il punteggio più
alto di tutto lo Stato nel test di biologia e stava seriamente pensando di iscriversi a un corso propedeutico in una delle università della Ivy League cui avrebbe fatto domanda quell’inverno.
Erano solo i primi di novembre e gli studenti dell’ultimo anno
avevano ancora un paio di mesi di tempo per scegliere il college,
la materia di specializzazione e, in pratica, pianificare il resto
della loro vita ancora prima di aver compiuto diciotto anni. Lily
era sicura che Tristan avesse già deciso di diventare medico, un
giorno. Quando era stata ricoverata al Mass General, in seguito
a una delle crisi più gravi, lui era venuto ogni giorno a farle visita
e ormai sapeva destreggiarsi perfettamente in un ospedale. Lily
invece non aveva un interesse particolare per la medicina, ma
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aveva sempre studiato le scienze con passione. Comprendeva
la fisica intuitivamente e, nei suoi giorni peggiori, immaginava
che il suo corpo fosse una specie di esperimento mal riuscito. I
suoi disturbi peggioravano di anno in anno e neanche l’équipe
di luminari di Boston che la visitava ogni mese sapeva come
curarla. Lei aveva sempre sognato di incatenarsi a una sequoia
in via di estinzione o di partecipare a un sit-in per fermare i test
sugli animali, ma la verità era che il suo corpo non glielo avrebbe mai permesso. Probabilmente non avrebbe potuto nemmeno
vivere nel campus del college, l’anno successivo; sempre che la
sua salute le consentisse di frequentarlo.
Un’ondata d’ansia la travolse al pensiero di Tristan che partiva per l’università. Harvard e Brown erano abbastanza vicine da
permettergli di tornare spesso a casa, ma cosa sarebbe accaduto
se avesse deciso di andare alla Columbia o, peggio, alla Cornell?
Ithaca era a sei ore di macchina da Salem.
Quando il professor Carnello cominciò ad addentrarsi nei
principi della termodinamica, l’adrenalina abbandonò Lily di
colpo lasciandole un tremendo mal di testa e una crescente
paranoia riguardo al suo nuovo ruolo nella vita di Tristan. Resistette all’impulso di strofinarsi le tempie e di supplicarlo di
rimanere a Boston. Ogni volta che lui la guardava per assicurarsi
che stesse bene, Lily sorrideva radiosa per dimostrargli che andava tutto alla grande.
Quello di cui realmente aveva bisogno era un litro d’acqua
per liberarsi della pellicola amara che sentiva in bocca, ma
avrebbe dovuto aspettare fino al termine della lezione per andare alla fontanella, o Tristan si sarebbe accorto che si sentiva
male.
Lily sospirò di sollievo al suono della campanella.
«Grazie per il prestito.» Si tolse il maglione e lo restituì a Tri14
stan. «Credo che le mie tette siano abbastanza asciutte adesso»
disse sventolandosi il viso accaldato. «Anzi, penso che siano
cotte al punto giusto. Stavo bruciando durante la lezione.»
«E io stavo congelando.» Tristan riprese il maglione con gratitudine e se lo infilò rabbrividendo. «L’ aula del professor Carn
è sempre gelida, cavoli.»
«Per i gatti dissezionati è meglio così.»
«Ringrazia il cielo che ti voglio bene.»
«Sì, certo. È solo che non volevi che dessi spettacolo davanti
all’intera classe!» esclamò Lily a voce troppo alta.
Tristan raccolse la sua roba e uscì in fretta dall’aula, senza
badare alle parole che le aveva appena detto. Di tanto in tanto le
diceva che le voleva bene. Lily sapeva di dare a quella frase un
peso diverso rispetto a lui. Ma sapeva anche che Tristan teneva
davvero a lei, e questo non faceva che rendere le cose ancora
più confuse. Dopo quell’episodio mozzafiato sul divano, Tristan
non aveva più tentato nessun tipo di approccio a parte tenerla
per mano e darle qualche timido bacetto. Le voleva bene – Lily
l’aveva sempre saputo – ma non sembrava particolarmente attratto da lei.
Non che il suo aspetto fosse da buttar via, pensò Lily fermandosi alla fontanella a bere un sorso d’acqua, per poi raggiungere
Tristan al suo armadietto, di fianco a quello di lei. Certo la sua
pelle era un po’ troppo chiara rispetto all’abbronzatura delle
ragazze più trendy, ed era anche terribilmente magra, ma aveva
un viso molto bello. Be’, ammise tra sé, aveva un bel viso quando
non le colava il naso o non aveva l’orticaria, il che non avveniva
molto spesso. I capelli, invece, erano un problema: color rosso
acceso, più folti della pelliccia di un orso e ricci come i nastri
su un regalo di compleanno, erano una vera forza della natura,
selvaggi e ribelli. Li raccoglieva, li legava in una coda, insomma
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doveva darsi un gran da fare per evitare che le inghiottissero
la faccia.
Lily odiava i suoi capelli, probabilmente perché le ricordavano troppo quelli della madre. Sua sorella maggiore, Juliet, aveva
capelli perfetti, liscissimi, di una rispettabile tonalità castana.
Ma Lily no. Oh, no. Oltre a dover portare al polso una serie
imbarazzante di braccialetti di allerta medica che proclamavano al mondo la sua stranezza, le erano toccati anche i capelli
ingestibili della madre.
Lily sperava ardentemente di non aver ereditato anche la
sua mente malata.
«Sei sicura di voler fare l’ultima ora?» chiese Tristan con aria
scettica quando vide Lily prendere il libro di spagnolo dall’armadietto. «Posso chiedere un permesso e accompagnarti a casa
subito» si offrì.
«Perché?» fece lei allegramente.
Tristan si voltò verso di lei, guardandola dall’alto del suo
metro e novanta. Tese le lunghe braccia flessuose inchiodandola
al muro degli armadietti. Lei trattenne il fiato e alzò lo sguardo
su di lui: Tristan era uno dei pochi ragazzi che potevano vantare
una pelle sempre fresca e pulita, da coprire di baci.
«Non scherzare. Non fare la dura» disse avvicinandosi fino
a premere le cosce su quelle di Lily. «Non sei obbligata a venire
alla festa con me stasera» sussurrò sfiorandole una guancia con
il dorso della mano.
Lily si rabbuiò. Se pensava che lei stesse così male, perché
voleva andare comunque alla festa, senza di lei? Era sul punto
di domandarglielo quando una voce stridula li interruppe.
«Stai scherzando?»
Lily e Tristan si voltarono di colpo. Miranda Clark li stava fissando con le mani piantate sui fianchi ben modellati,
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un’espressione di ostentato disgusto sulla faccia colorita per lo
spray autoabbronzante. Metà corridoio si fermò a guardarli a
bocca aperta.
«Che c’è Miranda? Hai qualcosa da dire?» esclamò Tristan
in tono sgarbato.
«Sì, ho qualcosa da dire» rispose Miranda, il labbro inferiore
tremolante.
Lily provò dispiacere per lei. Dietro tutto quel lucidalabbra e
i capelli biondi ossigenati, si vedeva chiaramente che era ferita.
Tristan non parlava della sua vita amorosa con Lily, ma lei aveva intuito che tra lui e Miranda doveva esserci stato qualcosa
fino a poche settimane prima. Lily non avrebbe saputo dire
quando avessero smesso di vedersi, ma a giudicare dall’aria
sconvolta di Miranda doveva essere successo di recente. Forse
troppo.
«Sarebbe davvero un evento» disse Tristan, incrociando le
braccia con un sorrisetto. «Mi raccomando, Miranda, vedi di
parlare come noi grandi.»
Lily rimase a bocca aperta. Non riusciva a credere che Tristan si stesse comportando in modo così crudele. D’accordo,
Miranda Clark non era esattamente la ragazza più sveglia della
scuola, ma aveva due anni meno di loro, era normale che a volte
si esprimesse in modo infantile. E poi, come gli era venuto in
mente di uscire con una ragazzina di quindici anni? Tutta quella
storia le lasciava l’amaro in bocca.
«Miranda, mi dispiace che tu sia arrabbiata, ma che ne dici
se ne parliamo dopo?» intervenne Lily. L’ altra non sembrò apprezzare la sua offerta di pace, anzi, la guardò come se avesse
voglia di avventarsi su di lei e farla nera.
«Non è un problema tuo, Lily» disse stancamente Tristan.
«Vai a spagnolo. Mi occupo io di lei.»
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«Problema?» strillò Miranda concentrando tutta la rabbia
su di lui. «Mi vedi come un problema?» ripeté alzando ancora
il tono di voce.
In quel momento suonò la campanella, disperdendo il gruppetto di spettatori che si era radunato, ma Miranda non si mosse. Stava aspettando, con gli occhi lucidi di collera, che Tristan
le concedesse la sua attenzione.
«Vai,» ripeté Tristan a Lily «me la sbrigo io.»
Incamminandosi verso la classe, Lily continuava a sentire
gli altri due litigare, il volume delle voci che aumentava costantemente fino all’ultima replica di lui che echeggiò per tutto il
corridoio.
«Va bene, Miranda,» disse Tristan «ma sinceramente non mi
interessa quello che pensi.»
Subito dopo Lily e metà degli studenti della scuola udirono
Miranda rifilare un sonoro ceffone a Tristan.
Anziché tornare indietro per difenderlo, come avrebbe fatto
qualche giorno prima, Lily andò in classe. Non era la prima
volta che il suo migliore amico veniva preso a schiaffi da una
ragazza, ma era la prima volta che lo meritava davvero.
Dopo la scuola Lily si sentì un po’ strana ad accettare il solito
passaggio a casa da Tristan. Ma non avendo un’alternativa, lo
aspettò nel parcheggio, accanto alla sua macchina, e quando lo
vide avvicinarsi con il disappunto dipinto in faccia, gli sorrise.
«Potevo chiamare mia madre…» cominciò esitante.
«Tua madre? Guidare? Non voglio avere sulla coscienza il
sangue di qualche innocente» disse lui alzando un sopracciglio.
«In ogni caso non ce l’avrebbe fatta neanche a uscire dal
vialetto» disse Lily seccamente «il garage la confonde.»
Tristan aprì le portiere della sua Chevy Volt, che teneva immacolata per Lily, ed entrambi salirono a bordo.
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«Scusami per oggi» disse sinceramente dispiaciuto. «Non
volevo coinvolgerti.»
«Quello sì che era uno schiaffo. Come va la faccia?»
Lui sospirò con enfasi. «L’ infermiera mi ha detto che, sfortunatamente, con quello schiaffo mi ha trasmesso i pidocchi.»
Lily sussultò afflitta. «Pidocchi?»
«Dovranno raparmi a zero.»
«Le ragazze di tre Stati saranno inconsolabili. E di sicuro
verrà istituito un giorno di lutto nazionale.»
Le sorrise dolcemente, la sua bocca a pochi centimetri da lei,
gli occhi che cercavano i suoi. Lily avrebbe voluto disperatamente dimenticare tutta la faccenda e baciare la sua testa infestata
dai pidocchi, ma qualcosa la tratteneva.
«Come sta Miranda?» chiese Lily guardandosi le mani.
«E come faccio a saperlo?» rispose lui girandosi verso il volante e mettendo in moto la macchina. La sua freddezza nei
confronti di Miranda la turbava. Si era comportato così con
tutte le ragazze che aveva lasciato?
«Vuoi che le parli io?» si offrì Lily. «Le posso spiegare che è
stata una cosa inaspettata. Che si è fatta un’idea sbagliata su di
noi e su quello che è successo.»
«Miranda ha tante di quelle idee sbagliate in testa, che non
vedo come una giusta possa fare differenza. Non è una ragazza
molto sveglia.»
Uscendo dal parcheggio Tristan lanciò uno sguardo a Lily,
indovinando i suoi pensieri. «Lo so, lo so» disse esasperato «se
penso che sia un’idiota, probabilmente non avrei dovuto perdere tempo con lei, giusto?»
«È molto piu giovane di noi, Tristan. Due anni sono tanti»
obiettò Lily con gentilezza.
«Lo so» sospirò. «Ma credimi, Miranda è tutt’altro che una
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ragazzina innocente. E comunque non l’ho rovinata o roba del
genere.»
«Rovinata? Ma in che secolo siamo?» ridacchiò Lily. Le labbra di Tristan si piegarono in un sorrisetto. Lily tacque per un
attimo, cercando di raccogliere il coraggio per fare la domanda
successiva. «Stavate ancora insieme l’altra sera?»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Non era la mia ragazza. Non le
ho mai fatto nessuna promessa, è stata lei a immaginarsi che
stessimo insieme.»
Per un po’ nessuno dei due parlò.
«Per curiosità, come dovrebbe fare una ragazza a sapere se
vuoi stare con lei o no?» Lily stava cercando di strappargli un
impegno, come fosse una delle sue tante spasimanti. Questo
non le piaceva affatto e poiché il silenzio di lui si prolungava,
lasciando la sua domanda sospesa, a ristagnare come un cattivo
odore, cominciò a non piacergli neanche lui. Arrivarono davanti
al vialetto di casa di Lily senza che Tristan avesse dato il minimo
segno di voler rispondere alla sua domanda.
«Passo a prenderti alle sette per la festa» le disse e, senza
aggiungere altro, ripartì.
Dopo che Tristan se ne fu andato, Lily rimase fuori a godersi
l’aria fresca del mare. Le piaceva il freddo, soprattutto l’aria
pulita e salmastra dell’Oceano Atlantico, che si infrangeva sulla
costa rocciosa a pochi isolati da casa sua. L’ aria fredda e umida
attenuava la pressione del cerchio alla testa e dava sollievo alla
sua pelle. Fortunatamente Lily era cresciuta a Salem, dove i
venti di tempesta che soffiavano dal mare non mancavano mai.
Quando si sentì più fresca e sollevata si avviò verso l’antica
casa coloniale che apparteneva alla sua famiglia sin dai tempi
dei Padri pellegrini. Nel vero senso della parola. Gli antenati di
Samantha e James Proctor, i genitori di Lily, si erano imbarcati
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sul Mayflower, e avevano vissuto a Salem o nei dintorni della
contea del Sussex, da quando questa aveva cominciato a esistere
in quel continente.
Qualche volta Lily pensava che le sue allergie fossero il risultato di unioni tra consanguinei, ma sua sorella le diceva che
era un’assurdità. La famiglia di Tristan, i Corey, viveva a Salem
sin da quando c’erano i Proctor, ma di sicuro Tristan non faceva
pensare a legami incestuosi.
Lily poggiò la sua roba sul tavolo della cucina e si mise in
ascolto. «Mamma?» chiamò pensando che la casa fosse vuota.
«Sei tu Lillian?» Solo la madre la chiamava col suo nome
intero.
«Sì, sono io. Dove sei?» Lily, confusa, si mosse nella direzione
da cui sentiva provenire la voce. Sembrava fosse in garage.
«Oh, mamma. Che disastro!» esclamò Lily quando vide cosa
aveva combinato la madre.
Samantha era seduta al suo vecchio tornio, con i riccioli rossi
arruffati, intenta a modellare l’argilla con indosso pigiama e
vestaglia. Si era sistemata nell’angolo in cui il padre di Lily parcheggiava l’auto, ma non aveva pensato a mettere per terra un
telone di cerata, così il pavimento era ricoperto di schizzi che
avevano già cominciato a indurirsi. Adesso avrebbero dovuto
raschiarli, ma quella era solo la metà del problema. Anche la
vecchia jeep Grand Cherokee di sua madre, parcheggiata accanto, era ricoperta d’argilla. Lily controllò l’entità del disastro
con le mani tra i capelli.
«Eccola qui, niente lividi né bernoccoli! Stavo quasi per
venirti a prendere a scuola» esclamò Samantha con energia,
masticando appena le parole. Lily si allarmò. Le medicine che
prendeva la madre avevano l’effetto collaterale di farla farfugliare, e quando riusciva a pronunciare un discorso con una
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certa chiarezza significava che non le aveva prese tutte. «Ma
poiché non ho ricevuto nessuna telefonata dal preside, ho capito che non poteva essere la mia Lillian la ragazza aggredita
da quell’ochetta nel corridoio. Vedi? È così che capisco la differenza tra quello che è avvenuto qui e quello che è avvenuto
altrove.»
Lily cercò di seguire il ragionamento della madre senza riuscirci.
«E poi ho visto il tornio!» continuò Samantha allegramente.
«E mi sono chiesta perché mai avessi smesso di fare vasi.»
Lily guardò la massa annacquata di argilla mal miscelata tra
le mani tremanti della madre e pensò che non sarebbe mai riuscita a dirle: perché hai perso la testa e le medicine hanno rovinato
il tuo talento in un modo che non sembrasse troppo crudele.
Lily si era resa conto, prima di andare a lezione di spagnolo,
che Miranda aveva tutta l’intenzione di prendersela con lei,
ma poi aveva dirottato la rabbia su Tristan. Eppure, secondo
sua madre, il litigio era avvenuto. Da qualche altra parte. Era
chiaro che la nuova cura non era abbastanza forte. Se il dosaggio
era troppo basso, le cose potevano solo peggiorare. Sua madre
avrebbe avuto bisogno di aiuto.
«Ehi, mamma, non hai freddo?» le chiese allegramente. Samantha annuì, quasi se ne fosse accorta solo in quel momento.
«Perché non vai dentro, finisco io al posto tuo.»
«Grazie tesoro» rispose Samantha placidamente. Si sfilò le
Crocs sudicie e si tolse la vestaglia rovinata, porgendola a Lily.
«Ti accompagno di sopra, ti rimbocco le coperte e dopo faccio qualche telefonata, ok?» continuò Lily scegliendo con cura
le parole. Quando sua madre era in stato confusionale come in
quel momento, sapeva che il modo migliore per farla calmare
era essere il più chiara possibile.
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«Sì, chiama tua sorella e raccontale cosa è successo» disse Samantha facendosi improvvisamente seria e prendendo le mani
di Lily tra le sue imbrattate di argilla.
«Non c’è Juliet che non ti ami» disse in tono enigmatico.
«Ricordalo.»
«Certo, mamma» con un ampio sorriso sulle labbra, Lily cercò di liberarsi dalla sua stretta. «Adesso diamo una ripulita, ok?»
Samantha annuì ed entrò in casa con andatura strascicata.
La ragazza tirò fuori il cellulare e chiamò il padre, nella vana
speranza che si degnasse di rispondere. Quando, dopo un paio
di squilli, scattò la segreteria telefonica, non provò nemmeno a
lasciare un messaggio. Stava di certo evitando di rispondere e
probabilmente non avrebbe controllato la segreteria telefonica
per ore. Così compose il numero di sua sorella maggiore, Juliet.
«Che succede?»
«Non è una buona giornata per la mamma» esordì Lily, per
nulla sorpresa che la sorella avesse già indovinato che qualcosa
non andava. Le due sorelle scherzavano spesso su come i loro
cellulari si fossero talmente abituati alle chiamate d’emergenza
che avevano imparato a squillare con più insistenza quando
c’era un problema. Lily andò verso il frigorifero e controllò le
medicine della madre.
«Si è persa di nuovo?»
«No» rispose Lily sollevata mentre contava le pillole della
madre. «Ha solo deciso di fare qualche vaso. Ma si è dimenticata
di portare la macchina fuori dal garage prima di cominciare.»
«Fantastico» sbottò sarcastica Juliet e tacque. Le due sorelle scoppiarono a ridere nello stesso momento. «È proprio un
disastro?»
«Direi di sì, Jules. Ho appena controllato, oggi ha preso tutte
le medicine, quindi dobbiamo ridiscutere del dosaggio con i
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medici. Posso pulire questo caos, ma mi preoccupa lasciarla
sola stasera. Sai, ho quell’impegno.»
«Un appuntamento?» strillò Juliet elettrizzata.
«Una specie.» Lily sentì le guance arrossire. «Tristan mi porta
a una festa.»
«Una festa.» Juliet sospirò pesantemente. «Lily sei sicura di
quello che fai? Con tutti quei prodotti per i capelli e i profumi
che si metteranno le ragazze, e l’alcol e il fumo?»
«Puoi venire o no?» chiese Lily tranquillamente. «Per me
significherebbe molto.»
Juliet tacque. «Parleremo della festa appena arrivo» concluse
e riagganciò.
Lily decise di cominciare dalla jeep. Il posto di suo padre
poteva aspettare. Tanto quella notte non sarebbe neanche tornato a casa.
Tecnicamente i genitori di Lily non erano divorziati, ma il
padre aveva praticamente abbandonato la famiglia quando sua
madre aveva cominciato a vagare per Salem nel cuore della notte, urlando a tutti di fare silenzio. James aveva tenuto duro per
qualche anno. Lily era alle medie quando i sintomi dell’allergia
avevano cominciato a peggiorare esponenzialmente e proprio
nello stesso periodo Samantha aveva preso ad attaccare bottone
con gli sconosciuti quando andava a fare la spesa. Avvicinava
le persone dicendo che sapeva tutto delle loro relazioni clandestine, dei conti in rosso che nascondevano, o delle sostanze
nocive che assumevano per dimagrire.
A volte ci azzeccava, a volte no. Quando aveva torto diceva
semplicemente che era stata un’altra «versione» della persona
accusata a fare quelle cose. Samantha aveva causato un sacco di
problemi a tanta brava gente, ma soprattutto aveva infangato il
nome dei Proctor. In una piccola comunità come Salem, avere
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una madre fuori di testa non poteva certo passare inosservato.
Quando Juliet era andata al college, due anni prima, sembrava
che tutta Salem ce l’avesse a morte con la famiglia Proctor e
volesse radiarla dalla città.
Fu allora che James cominciò a passare la maggior parte
delle notti fuori casa. Non riusciva a sopportare l’imbarazzo di
essere sposato con una pazza, ma sapeva che se avesse chiesto
il divorzio avrebbe dovuto farsi carico di Lily. Nessun giudice
avrebbe mai affidato a Samantha la custodia di un minore, soprattutto uno come Lily, con tutti quei problemi di salute, e a
James non piacevano le malattie, fisiche o mentali. Non chiese il
divorzio e non si rivolse ad avvocati perché sapeva che avrebbe
finito per avere più responsabilità. Così, da un giorno all’altro,
non si fece più vedere.
Lily riempì un secchio con acqua e sapone e aprì la porta del
garage per disperdere le esalazioni del detergente. Persino i prodotti non tossici che la madre di Lily comprava da Whole Foods
erano per lei un problema, se li respirava per troppo tempo.
Dieci minuti dopo, i suoi occhi lacrimavano così tanto per via
delle sostanze chimiche che ci vedeva a malapena. Cercò di non
badarci. Aveva una festa quella sera, maledizione, e dopo tutto
ciò che le era successo quel giorno, non si sarebbe certo tirata
indietro per un po’ di lacrime. Venti minuti dopo aveva quasi
finito, quando sentì l’auto di Juliet parcheggiare nel vialetto.
«Sai una cosa? L’ argilla sparsa dappertutto dà quasi un’aria
festosa al garage» disse Juliet sulla soglia.
«Farò tutto quello che vuoi se tieni d’occhio la mamma» ribatté la sorella scostandosi i capelli dalla fronte madida di sudore.
«Hai la febbre?» Juliet le si avvicinò. La guardò preoccupata,
sgranando i grandi occhi castani. Lily si scansò prima che le
mani morbide e fresche di Juliet riuscissero a toccarla.
25
«Sono solo un po’ accaldata per il movimento» disse.
Juliet spinse in avanti il mento mentre valutava pensierosa
le sue condizioni di salute. Quel gesto accentuò la forma a cuore del viso e quando strinse preoccupata le labbra rosse, Lily
pensò, come le capitava sempre, che la bocca di Juliet sembrava anch’essa un cuore, un piccolo cuore rosso racchiuso in un
cuore più grande e pallido. Sapeva che molti consideravano la
sorella un tipo insignificante; d’altronde Juliet vestiva in modo tradizionale, non si truccava né si acconciava mai i capelli
lisci, di un castano smorto. Ma per Lily nulla di tutto ciò aveva
importanza. Lei considerava la sorella la ragazza più carina che
avesse mai visto.
«Occupati della mamma. Io sto alla grande.» Lily prese Juliet
per le spalle, la voltò e la spinse dentro allegramente.
Quando Lily ebbe finito di pulire trovò la sorella seduta al capezzale della madre che le controllava il polso. A vent’anni Juliet
era già iscritta al registro dei soccorritori e faceva un secondo
lavoro all’ospedale per pagarsi la retta alla Boston University.
Pareva quasi che le persone a lei più vicine avessero scelto molto
presto di studiare medicina, probabilmente perché più di una
volta avevano assistito ai tentativi dei paramedici di salvarle la
vita. Un’esperienza che tende a lasciare il segno su un ragazzino.
«Come sta?» sussurrò quando Juliet levò lo sguardo su di lei.
La sorella inclinò la testa di lato, evasiva, poi si alzò dal letto e
condusse Lily in corridoio.
«Ha il battito accelerato. Il che è piuttosto strano quando sei
imbottita di psicofarmaci e sonniferi.»
«Può restare da sola?»
«Per adesso sta bene» sussurrò Juliet coi grandi occhi pensosi.
«Ti ha detto cosa la preoccupa?» chiese Lily mentre si spostavano in camera sua.
26
«È paranoica» sospirò Juliet sedendosi sul letto. «Ha detto
che un’altra Lillian voleva rapire la sua Lillian.»
«Ma è…» Lily si interruppe, sconcertata.
«… il modo in cui cerca di dare un senso alle sue allucinazioni» finì Juliet al suo posto. «Le allucinazioni non sono
assurde se avvengono in un “altrove”. Lei non è pazza; crede che
esistano molteplici versioni delle persone in molteplici mondi
che lei sola conosce.»
«Già» ammise Lily a malincuore. Qualcosa nella spiegazione
di Juliet non la convinceva. Sapeva che sua madre s’inventava
le cose, ma come poteva sapere che Miranda era stata a un passo dal picchiarla nel corridoio della scuola? Non era successo,
ma sarebbe potuto succedere se un paio di cose fossero andate
diversamente. «Eppure è inquietante quanto siano vicine alla
verità le sue bugie.»
«Sì. È vero.»
«E diventa tutto sempre più strano.»
«La schizofrenia è una malattia degenerativa.»
Era proprio da Juliet dire frasi del genere. Non per istruire
Lily, che conosceva già tutti i particolari del disturbo della madre, ma per ricordare a se stessa che, per quanto quella situazione somigliasse a un incubo, sui libri di medicina poteva trovare
una spiegazione plausibile. Fingere che fosse tutto normale non
le aiutava un granché, ma a volte era necessario prenderla con
ironia.
«Ah, la schizofrenia. Non smetterà mai di stupirci.»
Nessuna delle due rise, ma annuirono all’unisono, scambiandosi un sorriso amaro. Era una fortuna poter contare sulla
complicità di qualcuno, solo così Juliet e Lily riuscivano a sopravvivere. La risposta di un libro, una battuta di cattivo gusto,
una sorella a cui appoggiarsi: erano andate avanti così, riuscen27
do, fino a quel momento, a salvare la loro piccola, disfunzionale
famiglia dalla completa rovina.
«Allora, cos’è questa storia della festa?» chiese Juliet.
Lily sedette accanto alla sorella. «È la prima a cui sono stata
invitata dai tempi del ballo del ginnasio. Che, tra parentesi, mi
sono persa perché mi sentivo male» attaccò Lily con un filo di
voce. Juliet fece per interromperla, ma lei le prese la mano e
continuò prima che l’altra potesse ribattere. «Ascolta, so cosa mi
sta succedendo. So che presto non sarò più in grado di andare a
scuola. Il mio tempo sta per scadere, Jules. E va bene così. Cioè,
no, non va bene, ma ormai me ne sono fatta una ragione. Voglio
andare almeno a una festa del liceo prima di finire rinchiusa
dentro una bolla di plastica per il resto della mia vita.»
«Quindi… vai con Tristan?» la interrogò Juliet cauta.
«Sì.» Lily abbassò lo sguardo, sorridendo dolcemente. «E
ho quasi la certezza che ci stiamo andando come una coppia.»
«Ma a lui non importa se non vai alle feste. Lo sai.»
«Ma so anche da quanto tempo aspettavo questo momento. Quanto ho aspettato lui. Non posso perdermi questa festa,
Jules.»
Juliet chinò la testa e l’appoggiò sulla spalla di Lily. Rimasero
sedute così per un po’, confortate dalla vicinanza l’una dell’altra.
«Vuoi che ti stiri i capelli?» chiese Juliet dopo un lungo silenzio, tirandosi su e guardando Lily con un sorriso.
«Lo faresti?» Lily balzò in piedi entusiasta come se la loro
malinconica discussione fosse già lontana anni luce. «Non riesco mai a pettinarli all’indietro.»
28
Due
Tre ore e mezza dopo, Lily aveva capelli splendenti e morbidi
come una star di Hollywood. Era riuscita persino a truccarsi un
po’, tutti prodotti naturali e anallergici, ovviamente, e a infilarsi,
alta e snella com’era, in un tubino aderente che non le facesse
soffrire troppo il caldo. Il vestito era semplice ma si adattava
perfettamente alla sua figura sottile e al colorito delicato. Lily
non voleva mettersi troppo in ghingheri, ma sperava comunque
di apparire carina.
«Tu e Tristan la state prendendo con calma questa storia di
avere una relazione, giusto? Ci state andando piano, no?» chiese
Juliet con finta indifferenza.
«Facciamo sesso sei volte al giorno e stiamo pensando di
girare un porno insieme» rispose Lily impassibile, mentre spalmava olio di mandorle sulle gambe nude. Quando alzò lo sguardo si accorse che Juliet non aveva apprezzato la battuta. «Sì! Ci
stiamo andando piano. Forse anche troppo.»
«Benissimo!» Juliet le diede uno spintone, sollevata. «Adoro
Tristan, ma ha una reputazione davvero pessima con le ragazze.
Ha fatto soffrire un mucchio di persone.»
Il sorriso di Lily si spense. Tristan era l’amico migliore che
potesse immaginare. Era sempre stato accanto a lei in situazioni
che avrebbero fatto prendere il largo alla maggior parte della
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gente. Eppure il modo in cui trattava le sue fidanzate era molto
diverso. Lily l’aveva constatato di persona assistendo al litigio
con Miranda, anche se avrebbe preferito non averlo visto.
«Con me è diverso» sussurrò Lily mentre si tirava su asciugandosi le mani dai residui di olio. «Sarà diverso con me» ripeté
con enfasi.
Juliet sgranò i grandi occhi, preoccupata. «Okay» disse.
«Ma forse sarebbe meglio se ti cambiassi il vestito. Fallo aspettare.»
«Aspettare?» un sorriso si allargò sulle labbra di Lily. «Sono
io che aspetto. Non lui.»
«Esattamente. E dopo tanto tempo, che bisogno c’è di correre?» scherzò Juliet. Udirono l’auto di Tristan fermarsi nel vialetto. «Ultima occasione per andare di sopra a metterti jeans e
maglietta, che ne dici?»
«Scordatelo, Jules» rispose allegramente Lily mentre andava
ad accogliere Tristan. Aprì la porta e gli sorrise, lo stomaco pieno di farfalle impazzite anche se lo vedeva tutti i giorni.
«Che hai fatto ai capelli?» chiese subito Tristan corrucciato.
Lily si portò automaticamente le mani alla testa, per lisciarsi
i capelli già lisci, tutta l’eccitazione svanita. «Me li ha stirati
Juliet.»
«Ehi, Tristan» lo salutò Juliet.
«Come va, Juliet?» rispose lui.
«Non ti piacciono?» gli chiese Lily sulla difensiva. Non era
così che aveva immaginato quel momento. Dopo aver passato
ore a sudare sotto un phon, lui sarebbe dovuto rimanere a fissarla imbambolato, come minimo.
«No, sono carini» fece Tristan scrollando le spalle evasivo e
continuando a squadrarla. «Che cosa ti sei messa?»
«Un vestito.»
30
«È un po’ stretto non ti pare?» disse con una smorfia. «Si
vede tutto.»
«Oh, che orrore» sbottò Lily gelida. Lo spinse fuori e salutò
la sorella. «Notte, Jules.»
«Divertitevi» rispose Juliet con espressione contrita. Lily la
guardò afflitta prima di chiudere la porta e seguire Tristan in
macchina. Mentre accendeva il motore si voltò verso Lily e fece
per dire qualcosa, ma lei lo bloccò.
«Se non hai intenzione di farmi un complimento sarà meglio
che tu non dica altro» proruppe lei infastidita. «Tristan. Mi sono
truccata. Potrebbe non accadere mai più.»
Lui chiuse la bocca e accese il motore. Uscì dal vialetto ed era
già a metà strada quando si decise a parlare: «Carine le scarpe».
«Non era poi così difficile, vero?»
Nessuno dei due proferì parola per il resto del tragitto fino a casa di Scot, perfettamente a loro agio anche in silenzio.
La strada era già ingombra di macchine. I genitori andavano
spesso fuori città e non sembravano preoccuparsi più di tanto
se il figlio organizzava feste epocali in loro assenza. Dovevano
esserne a conoscenza per forza – in città tutti sapevano dei
party di Scot – ma dal momento che essere il re delle feste
lo rendeva incredibilmente popolare, chiudevano un occhio.
Tutto ciò che chiedevano al figlio era una scusa plausibile da
rifilare ai genitori degli altri ragazzi e lui non aveva problemi
a inventarsene sempre una diversa. Metteva via tutti gli oggetti di valore, copriva i mobili e ripuliva tutto prima che i suoi
tornassero a casa.
«Vomito!» avvertì Tristan tirando da parte Lily per evitare
che finisse dentro una pozza giallognola con resti di cibo ben
mimetizzata tra l’erba del prato.
«Hai occhio.»
31
«Sono allenato. Il giardino di Scot è sempre un campo minato.»
Lily rallentò e cercò di fare respiri poco profondi. Un gruppetto stava fumando proprio davanti al portico d’ingresso e lei
percepì l’odore di fumo già da metà giardino. Parecchi di quei
ragazzi riconobbero Tristan e lo salutarono con urla e acclamazioni, scrutando nel buio la ragazza che teneva a braccetto.
«Ehi, bello. Ce l’hai fatta. Chi c’è con te?» chiese un tipo che
tutti chiamavano Breakfast. Lily si rese conto che nessuno l’aveva riconosciuta senza l’abituale meringa di capelli ricci in testa.
«Ehi, Breakfast. Sono io. Lily.»
«Lily?» Il tizio nascose immediatamente la sigaretta dietro la
schiena. Un gesto premuroso, ma sarebbe servito a poco. «Stai
bene? Voglio dire, ti dà fastidio il fumo?»
Gli occhi di Lily stavano già lacrimando, ma lei sorrise e gli
fece cenno di no. «Non preoccuparti.»
Non voleva farlo sentire in colpa. Le piaceva Breakfast. Era
uno un po’ eccentrico, ma riusciva sempre a farsi amici tutti,
persino i bulli che lo perseguitavano.
«Lily?» Tristan la trascinò via, accigliato, allontanandola dal
fumo.
«Sto bene. Andiamo.»
Si congedarono con un cenno da Breakfast e i suoi compagni
ed entrarono in casa. Altre persone urlarono il nome di Tristan
non appena lo videro entrare, come se fosse una celebrità.
Non è che piacesse a tutti. Anzi, la maggior parte dei ragazzi
gli lanciava sguardi truci, la loro gelosia era palpabile. Tutti volevano essere lui o almeno farselo amico. Tristan lo sapeva ma
tutte quelle attenzioni non gli avevano montato la testa. Piuttosto, lo avevano reso diffidente. Anche Lily ebbe l’impressione
di ricevere gli stessi sguardi taglienti e finalmente capì perché
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Tristan ci tenesse così tanto alla loro amicizia. Non aveva molti
amici veri. Ma del resto neanche lei.
Lily scorse tra la folla una compagna del suo corso di poesia,
di cui aveva sempre ammirato la scrittura, e la salutò con un
sorriso. La ragazza, Una, rispose educatamente al saluto e tornò
alla sua conversazione senza invitarla a raggiungerla. Non lo
fece per cattiveria, solo che non si erano mai frequentate al di
fuori della scuola. In realtà Lily non aveva voluto frequentare
più nessuno, a parte Tristan, da quando sua madre aveva cominciato a fare scenate imbarazzanti in pubblico, urlando frasi
senza senso. Da quel momento la maggior parte delle ragazze
si era mostrata amichevole con Lily solo per avvicinare Tristan.
Le aveva fatto più male di quanto non avesse mai voluto
ammettere. Quando si era resa conto di essere stata usata, Lily
era diventata più diffidente nei confronti di chi le dimostrava
simpatia, spesso a torto. La sua freddezza era una forma distorta
di autodifesa. Ma adesso che la fine della scuola era vicina, rimpiangeva il modo in cui si era comportata con alcune compagne
di classe. Come Una.
«Ehi, bello» disse Scot salutando Tristan con disinvoltura.
«Wow. Lily. Credo che questa sia la prima volta che ti vedo a
una mia festa.»
Scot le si parò di fronte ammirando la sua trasformazione.
Era un tipo robusto, alto quanto Tristan, anche se non muscoloso come lui, e Lily dovette sollevare la testa per guardarlo
negli occhi. Le si fece vicino, sorridendole con simpatia. Lo
aveva sempre considerato un tipo poco affidabile, uno che voleva il suo tornaconto in ogni situazione e per questo l’aveva
sempre evitato. Ora si chiedeva se non l’avesse giudicato troppo
severamente. Esibiva un sorriso simpatico, decise. Non voleva
più fare la parte della tipa solitaria, fredda e scontrosa. Voleva
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sentirsi parte della sua classe, anche se per pochi mesi ancora.
«Non ti dispiace, vero?» chiese Lily, ricambiando il sorriso.
«Scherzi? Dovrò dare un altro party per festeggiare il fatto
che stasera sei qui» ribatté Scot con un sorriso ancor più largo
e Lily si sentì davvero la benvenuta. «Bevete qualcosa?»
«Una birra per me. Acqua per Lily» rispose Tristan. Scot
sollevò un sopracciglio. «Lily non beve» puntualizzò Tristan
come un monito.
«Va benissimo. Neanch’io ho intenzione di bere, stasera»
disse mentre si faceva strada tra la folla in cucina. Tirò fuori una
birra e una bottiglia d’acqua da un contenitore gigante pieno di
ghiaccio poggiato sul bancone e gliele portò. «Ti do una dritta.
Miranda è qui» disse Scot aprendo la bottiglia d’acqua per Lily
e porgendogliela con gentilezza.
«Cristo» sbottò Tristan in un soffio, scrutando la folla sempre più numerosa.
«È di sotto, in soggiorno. Sta ballando. O facendo uno spogliarello. A questo punto non so che altro potrebbe fare» rise
Scot con una smorfia beffarda. «Perché non vai a parlarci prima
che venga qui e cominci a tirarti roba addosso?»
Tristan guardò Lily, chiedendole il permesso in silenzio.
«Vai. Sul serio. Devi risolvere questa faccenda» rispose Lily
senza esitare, ostentando una tranquillità che non aveva.
«Terrò io compagnia a Lily» si offrì Scot. «Farò in modo che
non si faccia calpestare dalla squadra di hockey.» Indicò con un
cenno del capo la cucina dove quattro tipi nerboruti mandavano
giù un bicchiere dopo l’altro, prendendosi a spintoni e urlando
frasi a casaccio.
«Okay. Torno tra poco» si decise infine Tristan. «E spero di
tornare tutto intero. Dipende dall’umore di Miranda.» Si scolò
la birra tutta d’un fiato.
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«Forza bello!» disse Scot in tono incoraggiante, sistemando
per bene la camicia all’amico.
«Grazie caro» rispose Tristan come se fossero marito e moglie. Lily li guardò scherzare tra loro, provando una piacevole
sensazione di appartenenza.
Quando Tristan se ne andò, Scot prese Lily per il gomito e
la condusse nella direzione opposta. «Sarà meglio che tu stia il
più lontano possibile da Miranda.»
«Non ha nessun motivo di avercela con me» fece Lily.
«Forse sì e forse no.» Scot si fermò per ammirarla. «Sei davvero splendida stasera.» Lily abbassò lo sguardo, sentendo le
guance incendiarsi. «Grazie.»
«Attenta.» Improvvisamente Scot l’afferrò per un braccio e
la tirò a sé, facendole cadere di mano la bottiglia d’acqua. Alle
spalle di Lily passarono, barcollando, due ragazze sbronze che
discutevano di quale fosse la strada migliore per incontrare i
ragazzi più carini e allo stesso tempo trovare il bagno.
«Mi dispiace» disse Scot quando le ragazze si furono allontanate. «Te ne prendo un’altra.»
«Non importa, davvero» cominciò Lily, ma Scot aveva già
raccolto la bottiglia e si stava dirigendo verso la cucina. Mentre
aspettava, Lily prese dei tovaglioli da un tavolino e cercò di
asciugare meglio che poté l’acqua che aveva versato a terra. Il
ragazzo tornò qualche secondo dopo con un bicchiere colmo
di succo rosso spumeggiante.
«L’ acqua è finita. Mi dispiace. L’ unica cosa che ho trovato in
frigo è succo di mirtilli rossi e selz. Li ho mischiati. Va bene?»
«Benissimo» ringraziò Lily bevendo un sorso del suo succo
di mirtillo frizzante. Era un po’ aspro, come se fosse andato a
male, ma lo mando giù ugualmente con un sorriso. «Non devi
restare con me se non vuoi, sai.»
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«Lo so.» Adesso fu Scot ad arrossire. «Però mi va. Avrei sempre voluto conoscerti meglio. Lo sapevi?»
«No, non lo sapevo.»
Un’altra ondata di ragazzotti sbronzi attraversò il soggiorno
affollato costringendo Lily e Scot a spostarsi.
«Ti va di andare in un posto più fresco?» le chiese. «So che
soffri molto il caldo. Me l’ha detto Tristan.»
Lily rimase talmente sorpresa che si limitò ad annuire. Era
convinta che Scot conoscesse a stento il suo nome.
«Com’è il succo?» le domandò mentre la conduceva di sopra.
«Buono.» Lily bevve un’altra sorsata per essere gentile, anche
se quel mix di mirtillo e selz le faceva bruciare un po’ la lingua.
«Si soffoca, qui.»
«C’è un balcone nella mia stanza.» Scot aprì la porta della
sua camera ed entrò. Lily si fermò sulla soglia, improvvisamente
allarmata.
«Non devi preoccuparti» rise alzando le mani in un gesto di
resa e corse a spalancare le porte del balcone per lei. Una folata di
aria fresca e pulita la investì, strappandole un sospiro di piacere.
«È solo che stanno fumando tutti nel patio sul davanti e la
mia stanza dà sul retro. Possiamo lasciare la porta aperta se ti
senti più a tuo agio.»
Lei si sentì una stupida per aver dubitato di lui.
«Non c’è problema. E poi hai ragione. Farò meglio a stare
da questa parte della casa, dove il fumo non arriva.» Sentì che
stava per scoppiare a ridere, ma si trattenne. Era accaldata e
stranamente emotiva. Attraversò la stanza e raggiunse Scot sul
balcone, respirando l’aria frizzante nella speranza che le schiarisse le idee. «Non riesco a respirare.»
«Sei accaldata. Siediti» la invitò Scot e Lily si lasciò cadere
accanto a lui nel divanetto a due posti.
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«È molto bello qui. Non ho mai visto un balcone nella stanza di un ragazzo. Ma non posso certo dire di aver visto molte
stanze di ragazzi.» Non aveva idea del perché avesse detto una
cosa del genere. Per qualche motivo si sentiva come se volesse
raccontargli la storia della sua vita e chiuse la bocca per evitare
di lasciarsi sfuggire troppo.
«Sei stata nella stanza di Tristan» la contraddisse Scot con
aria pacifica.
«Certo. Migliaia di volte» Scot la guardò con aria interrogativa che poi si tramutò in disappunto. «Oh… ma non in quel
senso.»
«Davvero?» Scot la scrutò incredulo. «Mai? Non è il tuo ragazzo?»
«Abbiamo appena cominciato a frequentarci, in quel senso.» A Lily sfuggì una risatina. Non riusciva a capire cosa ci
trovasse di divertente, ma non poteva trattenersi. Bevve ancora
un po’ di succo, cercando di calmarsi, ma si sentì ancora più
accaldata, con il viso in fiamme. Poggiò il bicchiere ghiacciato
sulla guancia.
Scot la fissò per un po’, con un’espressione impenetrabile.
«Lo sapevo.»
«Cosa?»
«Che eri l’unica ragazza della città a non essere ancora andata a letto con lui.» Scot le tolse il bicchiere di mano e scivolò
verso di lei. Lei si ritrasse e appoggiò la schiena contro il bracciolo del divanetto. Cercò di alzarsi ma Scot si chinò su di lei,
mettendo una mano sul bracciolo e intrappolandola contro i cuscini. La vista di Lily ondeggiò in modo allarmante e lei rimase
immobile, cercando di tener fermo l’orizzonte che continuava
a venire avanti e indietro.
Il pavimento prese a girare vorticosamente e Lily stava an37
cora cercando un modo per fermarlo quando sentì la lingua di
Scot in bocca. Si divincolò, ma si sentiva stordita, come se un
qualunque movimento improvviso potesse farla precipitare in
un abisso. La pelle pizzicava, accaldata. Voltò la testa e chiuse la
bocca, tentando di spingerlo via, mentre cominciava a sentirsi
scottare per la febbre.
«Fermati. Scot, adesso basta.» Lampi di luce bianca e blu
danzavano davanti ai suoi occhi.
«Perché?» disse lui irritato. «Credi che Tristan non stia facendo esattamente la stessa cosa in questo momento?»
«Che vuoi dire?» chiese Lily.
«Proprio non ci arrivi, eh?» Scot si alzò e tirò su anche Lily.
«Okay. Andiamo a cercare il tuo nuovo ragazzo» fece lui con
un ghigno. «Vediamo cosa sta facendo.»
Lui la trascinò fuori quasi di peso. Sentiva le gambe pesanti
e malferme. Mentre scendeva le scale barcollando, udì i ragazzi
sul pianerottolo pronunciare la parola «sbronza» e qualcosa si
accese nella sua mente confusa. Lily si fermò di botto e tirò Scot
per un braccio, costringendolo a guardarla.
«Hai messo dell’alcol nel mio drink?» chiese. Doveva averlo
detto più forte di quanto non volesse perché di colpo nella stanza calò il silenzio. «È così?» ripeté, alzando la voce di proposito,
stavolta.
«Solo un po’ di vodka» ammise Scot scrollando le spalle
indifferente.
«Come hai potuto?» fece lei. L’ unica volta che Lily aveva provato a bere dell’alcol aveva trascorso la notte in terapia intensiva
con la febbre che toccava i 46 gradi. Si passò la mano sulla fronte
e si accorse che grondava di sudore. «Oh, no.»
Quando Scot si accorse delle condizioni di Lily, pallidissima
e in un bagno di sudore, sgranò gli occhi spaventato. «Era solo
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mezzo bicchierino. Giuro» si scusò supplichevole, cercando il
consenso della folla che si era radunata.
«Stai bene?» le disse Breakfast in un orecchio.
La vista offuscata, Lily non lo vide, ma sentì che la stava
sostenendo per un braccio e si appoggiò a lui. Le girava la testa,
gli occhi le trasmettevano immagini deformate, facendole salire
la nausea.
«Tristan. Voglio Tristan» sussurrò disperatamente Lily. Sentiva la sensazione di malessere crescere dentro di sé, come se
fosse sulle montagne russe e stesse raggiungendo pian piano il
punto più alto. Sapeva che da un momento all’altro non avrebbe
potuto più fermare la discesa.
«Non so se è una buona idea» disse con dolcezza Breakfast.
«Ho bisogno di Tristan, adesso!» insisté Lily urlandogli contro.
«È lì dentro» disse Breakfast indicando una porta a pochi
passi da loro. Era la porta del bagno.
Lily bussò, ancora appoggiata a Breakfast. Tristan non rispose ma lo sentì parlottare con qualcuno. La sua voce era bassa
e concitata. Lily ebbe un brutto presentimento. Aprì la porta.
All’inizio non capì. Che ci faceva Tristan mezzo nudo nel
bagno di Scot? Poi, alle sue spalle, vide Miranda. Dava la schiena
nuda alla porta ma Lily non aveva bisogno di vederla in faccia
per riconoscere i suoi capelli lunghi e ossigenati.
«Cosa?» iniziò Lily ma non riuscì a continuare. Sapeva cosa
stava accadendo, ma non poteva crederci.
Finalmente Tristan s’infilò la camicia e si accorse delle condizioni della ragazza. «Lily» disse facendo un passo verso di lei.
Lily si ritrasse, disgustata, e andò a sbattere contro Breakfast.
Le sue gambe cedettero e si aggrappò all’amico. Di colpo ebbe
la sensazione che i vestiti la stessero soffocando. I suoi muscoli cominciarono a contrarsi quando la tempesta elettrica nel
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suo cervello surriscaldato ebbe inizio. Le gambe e le braccia
divennero rigide e tutto il suo corpo venne scosso da violente
convulsioni, vinto dalla forza sovrumana della crisi.
Voci atterrite si alzarono dalla folla che si era raccolta per
assistere a quella scena umiliante. «Che accidenti le prende?
Una crisi epilettica?» mormoravano quelle voci.
Breakfast adagiò delicatamente a terra Lily mentre l’attacco
raggiungeva il culmine. Abbagliata da lampi di luce e stordita dal
frastuono che sentiva nelle orecchie, non riusciva più a percepire gli altri sensi. Non sentiva nulla. Era stesa sul pavimento, la
febbre la divorava dall’interno e poi, di colpo, accadde qualcosa.
Si vide dall’esterno, stesa a terra, i denti che battevano, la
schiena che si curvava e si inarcava mentre i suoi muscoli tendevano ossa e articolazioni fino allo spasimo. Si era librata in
aria, e guardava il suo corpo che si contraeva come se volesse
farsi a pezzi. Poi le sembrò di sentire la voce di una ragazza, ma
non ne era sicura. Era una voce molto debole, come se venisse
da molto lontano, ma le parole erano solo dentro la sua testa.
Sei malata in questo mondo.
Lily si chiese se fosse la sua stessa voce.
Vieni da me e diventerai la persona più potente del mondo.
Ma non voglio andare via, pensò Lily. La debole voce sparì
e Lily ricadde dentro il suo corpo.
Vide la faccia di Tristan, disperata, urlare sopra la sua, ma
l’unico suono che riusciva a percepire era lo scorrere furioso del
sangue nelle vene. In bocca sentì sapore di cuoio e sangue. Delle
mani la bloccavano a terra. Qualcuno la sollevò e la trasportò
via. Facce pallide, spaventate, scorrevano davanti ai suoi occhi.
«Tristan?» farfugliò. Aveva qualcosa in bocca. Ordinò alle
sue dita di muoversi e con grande fatica riuscì a tirarla fuori.
Era una striscia di cuoio. Una cintura.
40
«Va tutto bene, Lily» disse Tristan, la voce stridula e spaventata. «Ti porto in ospedale.»
«Non ce la posso fare» sussurrò lei. La lingua era talmente
gonfia da riempirle tutta la bocca. «Troppo caldo.»
«Okay» capì al volo. «Ti porto da Juliet.»
Lily vide Breakfast correre avanti a loro. Aprì la porta della
macchina e aiutò Tristan a sistemare Lily nel posto davanti e
ad allacciarle la cintura.
«Oh, Dio, scotta» disse Breakfast con voce tremula.
«Lascia stare. Non c’è tempo» ringhiò l’altro. «Chiudi la
portiera.»
Breakfast obbedì e salì dietro. Tristan partì a razzo verso casa
di Lily e una volta arrivati la portarono dentro.
«Tristan? Che c’è? Che cosa è successo?» urlò Juliet non appena vide lo stato della sorella.
«Qualche bastardo ha messo della vodka nel suo drink. Prendi del ghiaccio.»
Juliet corse al frigorifero mentre i ragazzi portavano Lily di
sopra, in bagno. Tristan la adagiò dentro la vasca e girò il rubinetto mettendole la testa sotto il getto d’acqua fredda che le
inondò la fronte infuocata, strappandole un sospiro di sollievo.
Juliet li raggiunse e versò il ghiaccio nell’acqua. Lily vide il viso
di Tristan fluttuare sopra il suo. Avrebbe voluto gridare e piangere e scacciarlo via, ma non riusciva a muoversi.
«Ti prego, dimmi che non sta per morire» gridò Breakfast in
tono vagamente isterico. «Non credo che riuscirei a sopportare
di veder morire qualcuno.»
«Com’è successo, Tristan?» chiese Juliet ignorando Break­
fast. «L’ hai lasciata da sola?»
Tristan aspettò un poco prima di rispondere. Versava acqua su
Lily, le mani intirizzite e pallide per il freddo. «Sì. L’ ho lasciata.»
41
Le gambe e le braccia inerti di Lily galleggiavano nella vasca
piena. Lei le guardava rompere la superficie dell’acqua. Guardava il modo in cui l’acqua aderiva al suo corpo, formando
ragnatele liquide tra le dita. Pian piano il fuoco che le bruciava
dentro sembrò estinguersi. Un attimo dopo l’assalì uno sfinimento tale da paralizzarla.
«La febbre sta scendendo» la voce di Tristan riecheggiò, lontanissima.
Lily chiuse gli occhi e scivolò nel sonno.
Avvertì il braccio di Tristan, pesante e morbido, cingerle la spalla. Era incollato alla sua schiena, con un mucchio di coperte
addosso per tenersi caldo, mentre Lily stava meglio al fresco.
La finestra era aperta. Lily guardò le tende bianche gonfiarsi e
ricadere nella fredda brezza di novembre. Fino al giorno prima
si sarebbe sentita al settimo cielo a starsene così abbracciata a lui,
ma adesso non sentiva più niente. Anzi, avrebbe voluto rimanere
da sola per riflettere sul perché si sentisse così svuotata. Stava
cercando un modo per sgusciare via dalla stretta del suo pesante
braccio quando il respiro di Tristan accelerò e lui si riscosse.
«Lily?» sussurrò ansioso, sollevandosi sul gomito.
«Sono sveglia» rispose lei.
«Stai bene? Come ti senti? Hai bisogno di qualcosa?»
«No, Tristan. Non ho bisogno di niente.»
Sentì che la stava guardando, scrutando, ma non se la sentiva
di incontrare il suo sguardo. Desiderò di nuovo che sparisse per
restare sola a riflettere.
«Mi dispiace tanto… non posso credere che Scot ti abbia
fatto una cosa del genere» aggiunse piano. Sentiva Tristan ribollire di rabbia e lo vide serrare i pugni. «Gli spacco la faccia
quando lo becco.»
42
«Perché?» chiese Lily. «Non è lui ad avermi abbandonato
per un’altra ragazza.»
Cadde un lungo, imbarazzato silenzio. Percepì la tensione di
Tristan crescere un secondo dopo l’altro. Si lasciò ricadere sulla
schiena con un gemito di frustrazione.
«Mi dispiace che tu mi abbia visto, okay?» Silenzio. Lily non
sapeva che cosa dirgli. Lui l’afferrò per le spalle e la fece girare.
«Potresti almeno guardarmi in faccia?»
Lily obbedì. Temeva che si sarebbe messa a piangere o a
urlare non appena avesse visto la sua faccia. Invece non sentì
nulla, a parte un crescente disgusto.
«Di’ qualcosa» la incalzò. Era spaventato.
Lily non era di quelle che si arrabbiano rimanendo fredde.
Era una che urlava, che batteva i piedi, tirava i cuscini. L’ indifferenza che sentiva nei suoi confronti era del tutto nuova per lei,
ma non poteva farci nulla. Adesso tutto ciò che vedeva quando
lo guardava era un tizio che si era portato una ragazza del secondo anno in bagno, durante una festa, per una sveltina. Era
una cosa orribile – al limite del nauseante – e desiderò non aver
mai assistito a quella scena. Le aveva rubato qualcosa, anche se
ancora non capiva cosa.
«Cosa?» rispose quando lo sguardo ansioso di lui divenne
più pressante. «Cosa vuoi che ti dica, Tristan?»
Lui la scrutò. «Stai cercando di punirmi. Va bene» disse laconico. «Ma ricordati che non ti ho mai fatto promesse. Non ti
ho mai mentito, Lily.»
«Fammi capire bene» disse lei sedendosi e voltandosi verso
di lui. «Finché tu non prometti verbalmente niente a nessuno,
sei libero di trattare di merda le ragazze? Tecnicamente, non
stai facendo nulla di male. Quindi non ti prenderai nessuna
responsabilità per quanto è successo?»
43
Lui distolse lo sguardo. Non riusciva a sostenere quello di
lei. «Ti sto solamente facendo notare che non ho mai detto che
eravamo una coppia fissa.»
«E questa è la tua giustificazione? La stessa che hai rifilato
ieri a Miranda?» Lily si sentì presa in giro. Come se un imbroglione le avesse venduto dell’olio di serpente e poi le avesse detto
che, se si era sentita male, la colpa era sua che non aveva letto le
avvertenze sull’etichetta. «Pensavo di contare un po’ più delle
altre, ma evidentemente mi sbagliavo.»
«Lo sai che tengo a te più che a chiunque altro.» Tristan stava
urlando adesso, come se ciò lo facesse sentire sollevato, come
se litigare furiosamente potesse servire a ripulire l’aria. «Non
hai idea di cosa ho sopportato per te. Ci sono stato sempre, ti
ho difesa, ti ho protetto. Avrei potuto fare l’amore con te l’altra
notte sul divano, ma non l’ho fatto. Mi sono fermato prima
che andassimo troppo oltre perché sapevo che non ero pronto
a esserti fedele e non volevo farti soffrire.»
«E pensi che questo ti renda una brava persona?» Lily non
era più arrabbiata. Voleva soltanto chiudere quella storia. «Non
è così, Tristan.»
Non aveva mai mostrato quel lato di sé a Tristan – il suo lato
più duro, quello che l’aveva aiutata quando le ragazze, a scuola,
ridevano della sua famiglia alle sue spalle – e lui sembrava spiazzato. Superato lo shock iniziale, sul suo viso rimase solo amarezza. Poi la rabbia prese il sopravvento. La rabbia e l’orgoglio.
Tristan si infilò in fretta la camicia e uscì come una furia
dalla stanza, ma Lily, ancora troppo debole per mettere a fuoco,
vide tutta la scena offuscata come dietro una cortina. Non riuscì
a trovare un motivo per fermarlo. A che sarebbe servito? Non
sarebbe tornato da lei. E anche se fosse, niente sarebbe stato più
come prima. La loro amicizia era finita.
44
Continuava a ripetersi la frase Tristan non è più mio amico,
cercando di convincersi che era la realtà.
Lily rimase seduta sul letto, le gambe tirate al petto, il mento poggiato sulle ginocchia. Non vedeva nulla se non confuse
sagome colorate. Le cose non sarebbero mai più state le stesse.
Specialmente dopo che metà scuola aveva assistito a uno dei
suoi attacchi. Lily si era sentita in imbarazzo diverse volte nella
sua vita, ma nessuno prima di allora, a parte Tristan e la sua
famiglia, l’aveva mai vista con la schiuma alla bocca, . La sua
vita era già un disastro, ma adesso sarebbe peggiorata esponenzialmente. E questa volta avrebbe dovuto fronteggiare da sola
lo scherno e le risatine soffocate degli altri. Tristan non era più
suo amico e non sarebbe stato lì ad aiutarla. Non l’avrebbe difesa
o protetta, non l’avrebbe accompagnata a casa per consolarla.
Quando passava una giornata orribile a scuola, non aspettava
che di vederlo. Adesso non le era rimasto più neanche quello.
Lily si alzò e si vestì. Sentiva le gambe e le braccia deboli
per via dell’attacco, ma funzionavano ancora, e per adesso le
bastava. Jeans. Maglietta. Converse. Uscì e si diresse verso la
spiaggia. Sedette su uno scoglio e si mise a fissare l’acqua. Grigia. Fredda. Tempestosa. Lasciò vagare la sua mente insieme
alle onde, più lontano del solito, in completa libertà. Non aveva
più pensieri. Di solito, quando cercava di svuotare la mente, i
pensieri sembravano moltiplicarsi per dispetto, ma quella volta
no. Per una volta, avvertì il silenzio dentro di sé, uno spazio
vuoto che sembrava espandersi. Lacrime scivolarono sulle sue
guance. Desiderava soltanto scomparire.
Udì una debole voce provenire da molto lontano, una voce
che sembrava la sua.
Sei pronta ad andare adesso?
«Sì» rispose Lily, chiedendosi se non fosse un po’ pazza an45
che lei. Forse è così che si sente mia madre, pensò. Forse i folli
non si sentivano tali, ma credevano semplicemente di parlare
tra sé. «Non ho più niente qui.»
Guardo le fiamme levarsi intorno a me e sento il legno della pira
gemere e scoppiettare. Anche se ero preparata a questo, la paura
che provo è inevitabile. Puoi anche credere di essere forte, ma il
fuoco supera le barriere della razionalità. Parla direttamente alla
tua pelle. Il volere della tua mente è annichilito.
Il calore cresce intorno a me e il fuoco comincia ad affondare
i denti nella mia carne. Sì, il fuoco ha i denti e ti può mordere
come un animale. E come un leone, ruggisce. Quando sei tra le
sue fauci devi combattere per respirare. Il fuoco ama soffocare
le sue prede.
La fiamma si alza, io urlo e mi dimeno, cerco di fuggire, ma le
catene di ferro intorno ai polsi mi tengono legata al rogo.
Sono una strega. E le streghe bruciano.
Ci sono molti modi in cui una strega può scegliere di acquistare
potere, naturalmente, ma la pira è il migliore. Quando brucio
sono completamente concentrata. Ogni micro joule di energia
è convertito in forza. Neanche un secondo del mio dolore viene
sprecato. Come se l’agonia stessa ne fosse la fonte. Quando brucio
sulla pira mi ricordo di essere viva.
Ricordo anche che sono in debito per la mia vita e non dimentico ciò che ho fatto per preservarla. Ricordo cosa devo fare,
sebbene questo mi faccia apparire la cattiva della mia stessa storia. E soprattutto mi ricordo che il bene di molti ha davvero più
valore del bene di pochi. Benché io sia una di loro.
Mi ci sono voluti otto mesi per trovare la giusta candidata.
Ho osservato e aspettato e adesso è finalmente pronta a venire. È
forte. È indipendente. È una sopravvissuta. Ha i miei stessi po46
teri, ma nella sua realtà è impotente e per questo si è ammalata.
Dovevo essere certa di non rapire la salvatrice di un altro mondo
per poter salvare il mio. Ma soprattutto, dovevo assicurarmi che
nel suo mondo non ci fosse un Rowan. Se ci fosse stato, non sarei
mai riuscita a convincerla a partire. Non avrei nemmeno tentato.
So cosa significa amare Rowan e cosa si prova a perderlo. Non
avrei potuto chiedere a nessuno un sacrificio simile.
Mi sento come se stessi bruciando su questa pira da giorni,
ma so che in realtà sono passati solo pochi secondi. Non ho
neanche cominciato a trasformare l’energia della fiamma, per
trasportare il suo corpo dal suo al mio mondo. È strano quanto
può essere rapido il pensiero e quanto lento trascorra invece il
tempo mentre stai soffrendo. Quando soffro penso sempre a
Rowan, probabilmente perché il paragone mi conforta. Se sono
sopravvissuta al dolore di averlo perso, posso sopportare qualunque cosa.
Questo pensiero mi ha aiutata molto l’anno passato. Ogni
volta che mi sento debole e dubito delle mie scelte, non devo fare
altro che pensare a Rowan e a ciò che gli ho fatto. Se non ho
avuto misericordia per lui, perché dovrei averne per altri? La
crudeltà rende lucidi. Quando hai allontanato tutti quelli che
per te contavano e hai sacrificato il senso di te stessa, non hai
più niente da perdere.
Questa ragazza, che sto per rapire, non conosce il concetto di
perdita. Non capisce la differenza tra infatuazione e amore. È una
buona cosa. Non voglio che sia come me, annientata dal dolore.
Tuttavia è un bene che sia ferita, perché questo la renderà più
forte. Arriva un giorno in cui una ragazza perde la luce che ha
negli occhi. E allora riesce a vedere chiaramente.
Questo è il giorno di Lily.
47
La voce svanì per qualche istante e Lily pensò che fosse finita.
Non credeva che stesse davvero per accadere qualcosa. Poi la
voce tornò a parlare e lei perse la sensibilità del suo corpo.
Sarà terrificante. Anche per me è stato così.
Fu l’unico avvertimento.
All’inizio Lily era troppo sconvolta per essere spaventata,
ma poi la paura sopraggiunse, proprio come le era stato prean­
nunciato.
Si sentiva come intorpidita, non come quando prendeva la
Novocaina, che le provocava una sorta di gradevole formicolio.
Si trattava di una vera propria perdita della recettività sensoriale. Lily non riusciva più a sentire i vestiti sul corpo, la roccia
dura sotto le gambe o il peso dei muscoli sulle ossa. Non era
nemmeno più capace di avvertire il panico che era certa di star
provando; riusciva solo a pensarlo. Era come se avesse perduto
il proprio corpo e si chiese se ciò significasse la morte.
Poi percepì una vibrazione. Non sapeva se era un suono, una
sensazione o entrambi, ma un tamburellare costante divenne il
suo unico punto di riferimento in quel mare di vuoto. Seguiva
uno schema ben preciso, una combinazione unica di ritmo,
intensità, tono e durata, familiare come la voce di un amico.
Era una canzone senza note, complessa come una sinfonia e
incredibilmente bella. Terminò e ne cominciò un’altra. La seconda vibrazione era unica e infinitamente complicata come la
precedente e si interruppe nello stesso modo brusco.
Come se improvvisamente qualcuno avesse acceso la luce,
Lily riprese ad avvertire il suo corpo. Poteva sentire, vedere,
toccare e odorare di nuovo il mondo. Era ancora seduta sullo stesso scoglio, continuava a fissare l’Oceano Atlantico, ma
ormai diverse cose erano mutate. L’ aria sembrava più fresca e
pulita. La nube nerastra dello smog non offuscava più la linea
48
dell’orizzonte. Molluschi e stelle marine affollavano gli scogli e
le pozze salmastre lasciate dall’alta marea.
Avvertì uno strano formicolio sulla pelle e una sensazione
innaturale le disse che qualcosa non andava. Lily si voltò.
Si trovava ancora in una Salem. La forma della costa, familiare come i solchi delle sue impronte digitali, glielo confermò.
Solo che non era più nella sua Salem.
49
Tre
Lily rimase seduta a guardare il panorama assurdo che si estendeva davanti a lei.
Dove prima c’era la sua casa adesso sorgeva una struttura
imponente che ricordava le mura di un castello e, oltre le mura,
poteva scorgere il profilo di una città. Osservò la linea degli edifici in cerca di un punto di riferimento. Una città più grande di
Boston aveva sostituito la piccola Salem. Un città fatta di palazzi
incredibili come non ne aveva mai visti prima. Torri a spirale,
che sembravano ricoperte di vegetazione, svettavano attorcigliandosi in cielo, più alte del più alto dei grattacieli. Lily balzò
giù dallo scoglio e fece di corsa il ripido sentiero che risaliva la
spiaggia, sperando che, avvicinandosi, quella visione si sarebbe
dissolta come un miraggio nel deserto.
«Sto sognando. Mi sono addormentata sullo scoglio e adesso
sto sognando» borbottò sottovoce, ma sapeva che non era vero.
La sua pelle formicolava dandole la certezza dell’esistenza del
mondo che aveva intorno. Era perfettamente sveglia. Qualunque cosa le fosse successo era reale.
Giunse in cima alla salita e si ritrovò davanti le invalicabili mura del castello. Correndo lungo la fiancata, raggiunse
un torrione che le impediva di proseguire e si rese conto, ben
presto, che la fortificazione era impenetrabile. Quella struttura
50
era costruita per difendersi dagli invasori, che arrivassero per
terra o per mare.
Toccò la pietra con le mani; anche se sentiva i licheni che la
ricoprivano e inalava il loro odore pungente, ancora non riusciva a credere del tutto di trovarsi lì. Cominciò ad andare avanti
e indietro lungo la precaria sporgenza di roccia, voltandosi di
tanto in tanto per ritrovarsi davanti la costa immutata. Quel
panorama, quello che dava sull’oceano era esattamente quello
che ricordava. Aveva visto gli stessi scogli e le stesse inconfondibili insenature quasi ogni giorno della sua vita. Poi si voltò
di nuovo verso le mura che sembrava stessero lì da centinaia di
anni. Non serviva a nulla indugiare ancora.
«Che diavolo!» urlò Lily, sul punto di avere una crisi di nervi.
Udì un rumore di passi in cima al muro e si tappò la bocca
con la mano. Voci di uomini la raggiunsero da sopra una barricata alta trenta metri, voci ostili che sbraitavano ordini. Non
c’era dove nascondersi. Lily si guardò intorno disperata, sapeva
che mettersi a correre o rimanere immobile non avrebbe fatto
differenza. Era intrappolata tra un muro di pietra e l’oceano.
Un uomo vestito di scuro con in mano un’arma da fuoco
sconosciuta puntò Lily da sopra il muro. Lei sollevò le mani in
aria in segno di resa.
«Milady! Che ci fate laggiù? Quando…» il giovane soldato
cessò con le domande, ricordatosi che non avrebbe dovuto permettersi una tale libertà, e abbassò l’arma.
Un soldato più anziano lo raggiunse. Fissò Lily per qualche
secondo, la bocca spalancata, prima di ritrovare la voce e rivolgersi a lei in tono cordiale.
«Perdonate, milady. Volete fare una passeggiata sulla spiaggia? Vi mandiamo subito una scorta» disse tranquillamente il
soldato anziano.
51
«Una passeggiata? No, io… chi è lei?» chiese Lily. Aveva la
voce rotta e continuava a oscillare da un piede all’altro nello
sforzo di non piangere. «Voglio solo andare a casa.»
Una mezza dozzina di uomini si affacciarono insieme agli
altri due. Tutti fissarono Lily increduli. Il soldato anziano mise
tutti sull’attenti.
«Scendete e scortate la Lady di Salem fino alla Cittadella»
disse con fermezza. Due soldati fecero il saluto e scattarono
all’istante.
Lily fissava gli uomini sopra il muro, cercando di tenere a
freno la lingua. In silenzio, osservava i loro vestiti che sembravano fatti di un materiale sconosciuto, molto simile alla pelle,
ma più morbido e versatile. Anche le armi erano singolari. Da
quanto riusciva a vedere, la maggior parte dei soldati era armata di balestre, ma non di quelle vecchia maniera. Queste
erano armi high-tech e avevano tutto l’aspetto di essere letali.
In real­tà quel luogo aveva ben poco di medievale. Pareva antico
e moderno allo stesso tempo.
E a giudicare dal tono deferente che tutti le riservavano, lei
doveva somigliare alla loro sovrana. Prima di poter risolvere il
mistero, i due soldati, che sembravano poco più grandi di lei,
la chiamarono dalla spiaggia.
«Volete che vi raggiungiamo e vi aiutiamo a scendere, milady?» chiese uno di loro, ancora senza fiato per la corsa.
«Certo che no» rispose Lily diffidente. «Posso farcela da sola.»
Non aveva idea di cosa si aspettassero da lei a quel punto, o
meglio, cosa si aspettassero da quella Lady di Salem per cui, a
quanto pareva, l’avevano scambiata. Malgrado tutto, Lily non
voleva che due soldati armati la scortassero da nessuna parte.
In breve li raggiunse, procedendo un po’ a scivoloni. I due le si
piazzarono a fianco, aspettando che facesse strada.
52
«Da che parte?» chiese nel tono di voce più neutrale possibile.
I soldati si scambiarono uno sguardo confuso, ma si ricomposero immediatamente e condussero Lily lungo il perimetro
della Cittadella, attraverso un sentiero che non esisteva nella
sua versione di quella spiaggia. Cercò di comportarsi in modo
naturale, anche se non aveva idea di quale fosse il concetto di
naturalezza da quelle parti. I suoi occhi corsero alle strani armi
dall’aspetto minaccioso che i soldati portavano allacciate alla
cintura. Pensò che il modo migliore per uscire sana e salva da
quella situazione era stare al gioco.
Camminarono a lungo. La Cittadella era un castello in cima alla collina più alta, protetto da mura circolari che davano
direttamente sull’oceano. Dal muro a strapiombo sul mare che
Lily aveva fiancheggiato si dipartiva un altro ancora più grande
che sembrava proseguire all’infinito. Lily non riuscì a vederne
la fine e pensò che si trattasse del muro di cinta che circondava
l’intera città. Perlustrò il paesaggio in cerca di qualcosa che le
fosse familiare, ma non vide punti di riferimento riconoscibili.
Gli edifici più alti di una bizzarra città svettavano oltre l’imponente muro. Mentre guardava quelle spirali slanciate, Lily cercò
di calmarsi e rallentare il respiro, per non rischiare di andare in
iperventilazione. Una metropoli affollata era spuntata dal nulla
a rimpiazzare il suo paese.
Dall’alto della collina della Cittadella, Lily fu in grado di
scorgere una parte della città. Era densa di edifici e aveva un
aspetto maestoso, ma i palazzi non erano come i moderni
grattacieli in acciaio e vetro del suo mondo. Non c’erano rigidi pilastri di cemento che si innalzavano come un dito medio
puntato verso il cielo. Al loro posto vide ariosi alveari e nidi che
salivano a spirale e si attorcigliavano in volute, grondando di
piante che ne ricoprivano i lati costruiti su vari livelli. Quella
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città straripava di vegetazione, che cresceva su ogni superficie
disponibile. Sembrava un bouquet costruito su tralicci che si
slanciavano verso il cielo.
«Milady? Vi dispiacerebbe aprire il cancello?» le chiese il
soldato alla sua sinistra. Mentre Lily guardava sbalordita quello
spettacolo, i soldati si erano fermati e adesso sembravano in
attesa. Lei guardò l’imponente saracinesca che le stava di fronte
e di colpo si sentì scoperta e vulnerabile. Si aspettavano che lo
sollevasse a mani nude?
«N-non posso» balbettò. La sua scorta la guardò a bocca
aperta, sbalordita. Il soldato alla sua destra le guardò il collo
e trasalì.
«La vostra pietra della volontà. Ve l’hanno rubata, milady?
Vi hanno aggredita?» chiese lui concitato.
Lily si toccò la gola nuda. Notò che entrambi i soldati portavano al collo pietre simili color argento e intuì, dagli sguardi
allarmati dei due uomini, che non averla doveva essere una cosa
molto grave. Doveva inventarsi qualcosa e in fretta. L’ ansia dei
soldati si stava rapidamente trasformando in paura e sapeva
per esperienza che le persone, quando hanno paura, fanno cose
strane, persino irrazionali.
«Non posso discuterne con voi» rispose facendo pesare la
sua autorità per la prima volta in vita sua. L’ u nica cosa che
andava a favore di Lily era la loro deferenza nei confronti della
Lady per cui l’avevano scambiata. «Devo andare a casa. Adesso.»
I soldati reagirono immediatamente al suo tono imperioso
e urlarono che venissero aperti i cancelli. La saracinesca, un
muro di reticolato metallico alto trenta metri e spesso uno, slittò
lateralmente come se fosse priva di peso, lasciandoli passare.
Lily non udì stridore di ingranaggi o sferragliare di catene, ma
solo un sibilo simile a un soffio di vento. Anche se ciò che aveva
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appena visto sfidava tutte le leggi della fisica, Lily decise di non
badarci e avanzò senza paura, cercando di recitare il ruolo della
Lady al meglio delle sue possibilità.
Cercando di mantenere il passo più tranquillo possibile,
mentre il suo cuore batteva come un tamburo, passò davanti
agli sguardi stupiti di altri soldati e si ritrovò in un ampio cortile.
Oltre, si ergeva il mastio di un castello enorme. Lily ricordò che
uno dei soldati l’aveva chiamato la sua Cittadella. Pregando che
le gambe tremanti la sostenessero, strinse i denti e avanzò verso
l’entrata come se fosse la padrona.
Il mastio somigliava a un edificio antico con un tocco futuristico. Aveva finestre ampie e fabbricati annessi progettati in stile
open space, come se qualche brillante architetto minimalista
avesse messo le mani su un antico castello e l’avesse ristrutturato
da cima a fondo.
L’ interno mostrava la stessa mescolanza di vecchio e nuovo.
Lily notò le enormi lastre di pietra del pavimento e gli ariosi
lucernari sul soffitto. Dappertutto c’erano ambienti ampi e aperti, ma nonostante trovasse il posto bellissimo, sentì un nodo
serrarle la gola per la frustrazione. Una parte di lei si aspettava
di entrare nel mastio e di cadere nella tana del coniglio per poi
ritrovarsi a casa. Quando Lily si rese conto che a lei non era
successa la stessa cosa di Alice nel paese delle meraviglie e che
non aveva idea di come tornare a casa, si voltò verso la scorta
e scrollò le spalle.
«Non so cosa fare» disse scoraggiata.
«Lillian?» chiamò la voce di Juliet dall’alto di una grandiosa
scalinata. Lily si voltò verso la voce e sospirò di sollievo.
«Juliet! Anche tu sei qui?» Lily corse su per le scale, sentendo di colpo che tutto si sarebbe aggiustato. Sua sorella era con
lei e insieme avrebbero risolto questo pasticcio come avevano
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fatto centinaia di altre volte. Ma quando Lily giunse in cima
alle scale, il suo sollievo svanì e rallentò il passo fino a fermarsi
del tutto.
La donna che l’aspettava con espressione impaurita somigliava in tutto e per tutto alla sorella, dagli occhi grandi e scuri
alle labbra rosse e al viso pallido, entrambi a forma di cuore. Ma
il vestito riccamente ornato che portava e i lunghissimi capelli
raccolti in una treccia che dalla spalla scendeva fino alla vita,
non erano di Juliet. La sorella non aveva mai indossato abiti
così sofisticati e non aveva mai lasciato crescere i capelli oltre
le spalle in vita sua. Lily fissò quell’altra donna, quell’altra Juliet
e udì dentro di sé la voce della madre.
Non c’è una Juliet che non ti ami.
Aveva un bisogno talmente disperato di crederci che gettò
le braccia al collo di quella donna sbalordita.
«Mi sono persa» le sussurrò in un orecchio.
«Va tutto bene» le rispose, anche lei in un sussurro abbracciandola e tenendola stretta. Lily infilò il viso nell’incavo del
suo collo e si rilassò. Chiunque fosse quell’altra Juliet, aveva il
suo stesso odore e nel suo abbraccio c’era un misto di preoccupazione e tenerezza che riconobbe subito. «Ti riporto nelle
tue stanze.»
Juliet la condusse lungo il corridoio fino a una scala a chiocciola in pietra che sembrava portare in cima alla torre. Lily si
aggrappò alla sua mano, spingendola a camminare più in fretta.
Voleva restare da sola con lei prima di parlare di ciò che le era
successo… sempre che avesse trovato le parole per spiegarglielo.
Erano a metà del corridoio dell’ultimo piano quando Juliet
si fermò e sfiorò con il palmo una porta imponente. La piccola
pietra rosata che portava al collo si illuminò, in un baluginio
di luci, e la porta, che era alta quasi quattro metri e spessa al56
meno trenta centimetri, si aprì senza sforzo. Proprio come era
successo con la saracinesca. È una magia, pensò.
«Come hai fatto?» chiese Lily. Le parole le sfuggirono di bocca prima che lei potesse ricacciarle indietro. Juliet si accigliò e
la strattonò per un braccio.
«Chi sei tu?» chiese a bassa voce.
«Lei è me» gracchiò una voce esausta ma ancora incredibilmente familiare.
«C-cosa?» balbettò Juliet. Non riusciva a capire cosa stesse
accadendo, almeno quanto Lily.
«È tutto a posto. Sono stata io a portarla qui. Con il suo
consenso, naturalmente. Non avrei potuto farlo altrimenti.» La
voce si affievolì fino a spegnersi e Lily vide una figura snella
alzarsi dal bordo di un enorme camino, che senza dubbio era
più grande dell’entrata del suo garage. Il fuoco si era spento
da tempo e la stanza era fredda. Lily si fermò sulla soglia. Non
aveva voglia di entrare.
«Che cosa hai fatto?» sussurrò Juliet. Scrutò Lily a bocca
aperta mentre con gli occhi percorreva ogni particolare del suo
viso e del suo corpo.
«Non ci crederai mai» rispose la ragazza afferrando una vestaglia di seta che si avvolse sul corpo nudo. C’era un odore nauseante nella stanza, come di fiori marciti, lasciati troppo a lungo
nella stessa acqua stagnante. «Ho portato un’altra versione di
me in questo mondo» fece in tempo a dire prima di svenire.
«Lillian!» esclamò la sorella. Si precipitò dall’altra parte della
stanza, raccolse la ragazza e la portò quasi di peso sull’ampio
letto di quell’immensa suite. Lily si accorse che sotto la vestaglia
la ragazza era ricoperta di fuliggine come se si fosse sdraiata
dentro il camino. «È una follia. Sei troppo debole per andare
sul rogo. Avrebbe potuto ucciderti.»
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«Come se potessi scegliere, ormai. È per questo che l’ho
portata qui.»
«Hai perso la ragione?» gridò Juliet con voce strozzata.
Un momento di tensione passò tra le due sorelle. La ragazza
stesa a letto guardò Lily e le fece segno di avvicinarsi.
«Coraggio, Lily. È così che preferisci essere chiamata, vero?
Io preferisco Lillian.»
Lily entrò nella stanza come pilotata da mani invisibili. Un
brivido le percorse la schiena facendole rizzare la peluria fine
del collo. Lillian aveva la voce di Lily, i suoi capelli, il suo corpo, persino lo stesso modo di muoversi. I vestiti erano diversi,
come anche quel luccichio cinico negli occhi che Lily sperava
vivamente di non avere. Ma a parte questi irrilevanti particolari,
non ci si poteva sbagliare. Lily stava guardando se stessa. Non il
suo opposto nello specchio, ma il suo doppio, identico fino alla
curva del sopracciglio sinistro, dove i peli ribelli si inclinavano
nella direzione sbagliata.
Lillian si soffermò sulla maglietta di Lily NO AL NUCLEARE
e sorrise stancamente. «Ti ho osservata abbastanza a lungo da
essere certa che la pensiamo allo stesso modo, almeno sulle
cose fondamentali.»
«Non puoi essere me» ribatté Lily scuotendo la testa come se
in quel modo potesse cambiare ciò che i suoi occhi le stavano
dicendo. «Io sono me.»
«Tu sei me e io sono te… siamo due diverse versioni l’una
dell’altra.» Sollevò una mano e avvicinò pollice e indice. «In
mondi che sono vicini così, eppure non si toccano mai.»
Fu la parola «versioni» a far suonare un campanello nella
testa di Lily. Pensò a sua madre. «No. Sono pazza. Deve essere
stata l’ultima crisi. Alla fine sono diventata pazza come mia
madre.»
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«La tua Samantha non è pazza» obiettò Lillian amaramente.
«È maledetta. Vede e sente un infinito numero di universi senza
riuscire a respingerli. È una cosa terribile. La versione di nostra
madre non è riuscita a sopportarlo. Nemmeno con la guida di
quello che voi chiamate un esperto.»
«Quindi è vero?» la interruppe Juliet con voce roca. «Lo sciamano non diceva sciocchezze?»
Lillian guardò la sorella e, per un attimo, un’espressione tenera comparve sul suo volto ostile. «La mamma non era pazza.
Altri universi esistono, Juliet.» Indicò Lily. «Eccone la prova.»
«Allora perché lei…?»
«Era troppo tardi per la mamma» spiegò bruscamente Lillian. «Anche con l’aiuto dello sciamano.»
Lily non aveva molte certezze in quel momento, ma anche in
un universo differente era sicura di saper leggere nel viso della
sorella. Quella versione di Samantha era morta e Lily intuì che
doveva essersi uccisa. Sentì crescere dentro di sé la paura che
un giorno anche la sua Samantha avrebbe potuto fare la stessa
cosa in una situazione di grave prostrazione. Come nel caso in
cui una delle sue figlie svanisse nel nulla.
«Devo tornare indietro» sussurrò Lily. «Per favore, non è
questo il mio posto.»
«Invece sì, Lily. Il tuo posto è qui. E qui rimarrai» insistette
Lillian imperturbabile.
«Non possiamo tenerla qui» sibilò incredula Juliet. «Questo
è troppo. Non so cosa ti abbia insegnato lo sciamano durante
quegli incontri segreti… sì, ne sono a conoscenza» disse rispondendo allo sguardo sorpreso della sorella. «Non preoccuparti, sono l’unica a saperlo. Ho pensato che avessi i tuoi motivi
per fuggire di nascosto, perciò non ne ho parlato con nessuno.
Nemmeno con Rowan. Ma abbiamo portato lo sciamano qui
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perché aiutasse la mamma, non perché tu facessi qualunque
cosa tu stia facendo.» Juliet sollevò le mani di scatto indicando
Lily. «Questo è sbagliato. Devi rimandarla nel suo mondo.» Si
lasciò sfuggire una risatina isterica. «Non posso neanche credere d’averlo detto.»
«Juliet. So che è uno shock per te» disse Lillian lentamente.
«Ma io l’ho portata qui per una ragione. E quando supererà la
paura, si renderà conto che preferirà restare.» Concluse con
tono glaciale e perentorio.
«Ma io non voglio!» esclamò Lily. Si sentiva soffocare. «Voglio tornare a casa!»
«Perché?» Lillian la canzonò, le guance sudate rosse di rabbia. «Perché vuoi tornare in un mondo che ti rende malata?
Dove dottori e scienziati scellerati non hanno la minima idea
di cosa fare con te perché sanno solo tagliare e distruggere?»
Lillian pronunciò le parole «dottori» e «scienziati» in un tono
sarcastico e carico di odio, ma la sua breve e appassionata invettiva fu interrotta da colpi di tosse squassanti.
Juliet cercò di calmare la sorella, ma Lillian respinse le sue
mani. Lily, impietrita, la guardò annaspare per l’accesso violento. Solo dopo alcuni, atroci momenti di sofferenza, riuscì di
nuovo a parlare.
«Vuoi forse tornare dal tuo Tristan? Quel ragazzino incostante che non ti vuole? O dalla tua famiglia che starebbe molto
meglio senza di te?»
«Mia madre» disse Lily con la voce strozzata «lei…»
«Lei soffrirebbe di più con una figlia malata che senza. Credimi.» Gli occhi di Lillian puntarono quelli di Lily, freddi e
spietati. «Sei inutile nel tuo mondo. Peggio. Sei un peso. Ma qui,
che è il luogo a cui appartieni veramente, potresti diventare la
donna più potente in assoluto.»
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Lily non aveva molta dimestichezza con l’odio. Non odiava
neppure suo padre per averla abbandonata, anche se nessuno
avrebbe potuto biasimarla se l’avesse fatto. Tuttavia, mentre
osservava Lillian concludere il suo atroce discorso e ricadere
sui cuscini, si rese conto di odiarla. Aveva un aspetto talmente
patetico, eppure Lily non poteva fare a meno di odiarla. Non
aveva mai odiato niente e nessuno quanto quella versione malvagia di se stessa distesa in quel grande letto bianco.
«E cosa farai per tenermi qui? Mi legherai? Mi rinchiuderai
in un sotterraneo?» chiese Lily, sforzandosi di non pensare a
quanto il suo tono maligno, persino la cadenza delle frasi, fosse
simile a quello di Lillian. Un pensiero si affacciò alla sua mente.
«Hai detto che mi hai portato qui per un motivo. Quindi hai
bisogno di me, non è vero? Hai bisogno di me, ma non puoi
neanche impedirmi di andarmene.»
«Allora, vai» replicò Lillian con un sorriso calcolatore.
«Scappa, se vuoi.»
Lily girò i tacchi e se ne andò, meravigliandosi della sua
stessa audacia. Non aveva idea di dove andare. Si sentiva strana,
stordita, come se il sangue le si fosse gelato nelle vene e al posto
delle viscere avesse una corda attorcigliata. Il suo campo visivo
cominciò a restringersi fino a quando non riuscì a vedere altro
che la porta. Lily voleva raggiungerla a ogni costo e pregò di
non svenire prima.
«Lillian!» urlò Juliet.
«Lasciala andare. Deve andare.»
«Potrebbe cacciarsi nei guai. È troppo pericoloso là fuori.»
«Tornerà.»
«Come fai a dirlo?»
«Perché non si può scappare da se stessi per sempre.»
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