A proposito del gruppo interno, del gruppo, del

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A proposito del gruppo interno, del gruppo, del
A proposito del gruppo interno, del gruppo, del soggetto, del
legame e del portavoce nell'opera di Pichon-Rivière
Rene Kaès*
Questi concetti si ritrovano sia nei lavori di Pichon-Rivière, che nelle mie ricerche. L'interesse
di metterli a confronto è legato da una parte al fatto che essi si sono sviluppati in contesti
diversi e secondo differenti evoluzioni. Abbiamo operato indipendentemente l'uno dall'altro e
nelle nostre rispettive evoluzioni abbiamo sentito il bisogno di crearli o di prenderli in
considerazione perché sono apparsi ad entrambi indispensabili all'intelligibilità dei processi e
delle formazioni psichiche di cui cerchiamo di render conto. Ho già chiarito di aver conosciuto
alcuni testi di Pichon-Rivière nel 1980 grazie ad Ana de Quiroga che me li segnalò al
Congresso internazionale di psicoterapia di gruppo di Copenaghen1. Facendo una dedica al
«continuatore del pensiero di Pichon-Rivière» ella pensava al mio lavoro sui gruppi. Questo
evento mi portò l'anno seguente ad approfondire la conoscenza dello spagnolo per leggere
Pichon, come lo chiamano i suoi collaboratori.
Devo dire che ho avuto bisogno di tempo, il tempo necessario per comprendere ciò che ci
avvicinava a mia insaputa e che era stato rivelato da questa affiliazione putativa. Come
potevo considerarmi continuatore di un pensiero che non aveva fatto parte della mia
formazione? Come ripensare il proprio pensiero quando vi si offre di metterlo in relazione con
quello di un altro, scoprendo nel medesimo tempo di esserne l'erede, all'insaputa di entrambi
i protagonisti? È una esperienza molto forte, gratificante, ma allo stesso tempo
estremamente inquietante, nella misura in cui risveglia fantasmi edipici.
Facevo, quindi, progressivamente conoscenza del pensiero di Pichon-Rivière. Ne ammiravo
l'agilità dialettica, l'erudizione, la forza innovativa. Tuttavia avevo sempre più l'impressione
che le letture più recenti per preparare questo articolo hanno precisato: avevo a che fare con
dei Pichon multipli. Incontravo così lo psichiatra geniale che inventava la psichiatria sociale e
rinnovava la comprensione dell'epilessia e della psicosi, il clini-co eccezionale rivelato dalle
trascrizioni dei suoi seminari e dalle testimonianze dei suoi discepoli e dei suoi colleghi,
l'inventore ed il frequentatore dei percorsi spesso folli della creazione, il teorico del legame,
del soggetto, del gruppo. Tra questi Pichon potevo cogliere dei percorsi necessari ma, con
maggiore difficoltà, individuavo delle cadute di tono, di riferimenti, di stile. Il Pichon che
leggevo negli scritti degli ultimi anni, più incline a ricorrere ai concetti della psicologia sociale
sistemica ed alle categorie del materialismo dialettico che rapporto aveva con quello che
aveva lavorato con i concetti della psicoanalisi? Solo i contemporanei di Pichon potrebbero
aiutarmi a chiarire questa impressione.
Mi incontravo così con una sorta di doppio che utilizzava delle nozioni che io forgiavo da
parte mia , credendo di apportare delle innovazioni, un doppio che però non coincideva
completamente con il mio universo mentale, ma che anzi in certi punti mi faceva pensare di
essere su posizioni opposte alle sue. Io sono partito dalla psicologia sociale, per andare verso
la psicoanalisi, lui ha seguito il percorso inverso. Queste differenze mi ponevano degli
interrogativi: ero soprattutto colpito e interessato dall'emergenza stessa di alcune di queste
nozioni che avevamo in comune e che mi sembravano simili e differenti, quasi che
attestassero una necessità interna a ciascuna delle nostre ricerche. Consideravo questa
concomitanza come una sorta di validazione delle problematiche che avevamo messo in luce,
se non dei concetti attraverso i quali tentavamo di formulare un pensiero intorno ad esse.
Questa sorta di convergenza non poteva avere un valore probatorio maggiore, che faceva
anche emergere le differenze o le divergenze di questi due processi? Stavo dunque attento
anche alle nostre differenze seguendo l'idea che la vicinanza di certi concetti non significava
necessariamente che fossero sovrapponibili o convergenti. Ciò che continuava a porsi, ciò in
cui potevo riconoscermi se non come un continuatore, almeno come un interlocutore del
pensiero di Pichon, era l'insistenza sui fenomeni dell'intersoggettivita come processo di
*
Psicoanalista, professore di psicologia presso l'Università Lumière-Lyon 2, direttore del Centro di ricerca
in psicologia e psicopatologia clinica.
1
El proceso grupal. Del psicoànalisis a la psicologia social (I), poi più tardi, Teoria del vinculo.
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
formazione del soggetto e il desiderio di trovarvi una risposta. Proverò quindi a chiarire in
che termini le questioni e le soluzioni proposte da Pichon Rivière e quelle che io ho elaborato
si sviluppano in elaborazioni teoriche differenti.
I gruppi interni
L'accesso a questa nozione si realizza, per Pichon-Rivière, attraverso la psicopatologia: il
trattamento dei pazienti psicotici gli impone l'evidenza de «l'esistenza di oggetti interni, di
molteplici "imago" che si articolano in un mondo costruito secondo un processo progressivo
di interiorizzazione»2. Questo mondo interno per lui, come per me, si configura come una
scena, ma per Pichon Rivière è su questa scena che è «possibile riconoscere la dinamica
dell'interiorizzazione degli oggetti e dei loro rapporti»3.
Ciò che Pichon chiama mondo interno o gruppo interno è la ricostituzione della trama
relazionale, del sistema dei rapporti intersoggettivi e sociali da cui emerge il soggetto: egli
descrive così «le relazioni intrasoggettive, o strutture di legame interiorizzate e articolate in
un mondo interno»4. Esse sono prodotte da un processo di interiorizzazione attraverso il
passaggio fantasmatico da un sistema di rapporti esterni (intersoggettivi e sociali) ad una
interrelazione «intrasistemica». I gruppi interni sono dei modelli interni che orientano
l'azione nei confronti degli altri nei rapporti intersoggettivi: su questo punto mi sento vicino a
lui, ma me ne differenzio perché penso che i gruppi interni siano anche degli organizzatori dì
azioni intra-psichiche.
Una tale concezione di gruppi interni è molto dipendente da una problematica psicosociale.
Per Pichon-Rivière l'intrapsichico è in definitiva un effetto psicosociale. Arriva a dire che «il
gruppo costituisce [dunque] il campo operazionale privilegiato di questa disciplina [la
psicologia sociale]» e precisa, ciò che ci interessa a riguardo, che questa proprietà gli viene
«dal fatto che permette la ricerca del gioco tra lo psicosociale [gruppo interno] e il
sociodinamico [gruppo esterno]»5. Ma scrive anche qualche riga dopo: «Come disciplina che
ricerca l'interazione sotto questi due aspetti, intersoggettivo [gruppo esterno] e
intrasoggettivo [gruppo interno], la psicologia sociale [...]». Il punto è che per Pichon-Rivière
il campo dello psicosociale è anche, in certe definizioni, quello dell'intrapsichico e l'uno e
l'altro sono opposti ed articolati al campo del sociodinamico (gruppi esterni che si sviluppano
dall'intersoggettivo).
I riferimenti di Pichon alla psicologia di Lewin, a quella di G.H. Mead, alla Critica della ragione
dialettica di Sartre, al marxismo di Henry Lefèbvre sembrano aver prevalso sull'invenzione di
una problematica fondata sulle proposizioni fondamentali della psicoanalisi. Provo tuttavia
difficoltà a spiegarmi se questo predominio si sia fondato per lui su una reale critica della
psicoanalisi - secondo le mie conoscenze, non l'ha mai portata avanti6 - o su delle scelte e
dei postulati ideologici personali, che gli sembravano vantaggiosi proprio ad aprire lo spazio
di un'azione terapeutica, mettendo in cantiere tutta la questione dei rapporti del sociale,
dell'inter-soggettività, e dello spazio intrapsichico7. È vero che numerosi psichiatri in Europa,
particolarmente in Francia, fanno coesistere l'ipotesi della psicoanalisi con gli statuti principali
di altri universi di pensiero: in particolar modo la corrente della psicoterapia istituzionale.
L'accesso alla nozione di gruppo interno si determinerà per me in maniera diversa da quella
di Pichon-Rivière: attraverso lo studio (1965-1968) delle rappresentazioni del gruppo come
oggetto nel senso che da a questa problematica J.B. Pontalis. Ho portato avanti queste
ricerche in due tempi: sulle rappresentazioni dei gruppi di cui ho cercato di scoprire gli
organizzatori inconsci e culturali. Ho descritto i primi come «gruppi interni» organizzati
2
Il lettore potrà riportarsi in questo numero della rivista alla "Prefazione" per il suo libro Il processo gruppale.
Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale.
3
Ibid.
4
Ibid.
5
Cfr. il suo articolo Contributions a la didactique de la psychologie sociale nel numero 23, 1994, della
Revue de Psychothérapie Psychanalytique de Groupe.
6
Anche se alcuni testi si cimentano nella critica dell'innatismo e del determinismo puramente psichico.
7
Provo qualche difficoltà a seguire Pichon quando afferma che pensiero e conoscenza non vanno trattati come
fatti individuali, ma come produzioni sociali, nel senso del materialismo storico e dialettico.
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
secondo leggi di composizione che obbediscono nello spazio intrapsichico ai processi primari
dell'associazione e della permutazione. In un secondo tempo (1968) ho iniziato a studiare gli
effetti della gruppalità psichica nell'organizzazione dei processi di gruppo ed a mettere a
punto il modello dell'apparato psichico gruppale distinguendo due modalità principali
(isomorfica ed omomorfica) di accoppiamento. Ho, dunque, esteso il concetto fino a
considerare i gruppi interni e la gruppalità psichica delle formazioni a partire dalle quali la
realtà psichica interna poteva essere articolata con la realtà propria del gruppo8. Precisiamo
questi concetti. Dal mio punto di vista il concetto teorico di gruppo interno può descrivere
formazioni e processi intrapsichici nella prospettiva secondo la quale le relazioni tra gli
elementi che le costituiscono sono ordinati da una struttura di gruppo. Un gruppo interno è
una configurazione di legami tra pulsioni e oggetti, le loro rappresentazioni di parola o di
cosa, legami tra istanze, imago o personaggi. In tali configurazioni di legami, il soggetto
stesso si manifesta direttamente o attraverso le sue rappresentazioni. Questo approccio
strutturale ai gruppi interni, mette l'accento sui sistemi delle relazioni tra elementi definiti
per il loro valore di posizione correlativa, riuniti e ordinati da una legge di composizione: lo
scarto differenziale tra gli elementi genera la tensione dinamica della struttura. Un tale
sistema è dotato di principi di trasformazione che mobilizzano diversi meccanismi legati ai
processi primari: condensazione, spostamento, permutazione, negazione, inversione,
diffrazione. Una proprietà funzionale dei gruppi interni è la loro disposizione scenica e
sintagmatica, disposizione atta a drammatizzare la collocazione degli oggetti ed i loro
spostamenti, secondo gli scopi dell'azione psichica da realizzare, secondo le necessità della
dinamica e dell'economia psichica.
Secondo questa definizione, la struttura fondamentale dei gruppi interni definisce altrettanto
bene i fantasmi originari, i sistemi di relazione ogget-tuale, l'Io, la struttura delle
identificazioni, i complessi e le imago, compresa quella della psiche, l'immagine del corpo. Ho
distinto il fantasma dai gruppi interni paradigmatici, per un duplice motivo: il suo approccio
strutturale descrive perfettamente il concetto di gruppo interno ed anche perché la relazione
oggettuale prende consistenza in relazione alla fantasmatica che la sostiene.
Avevo proposto alla fine degli anni '60, la formula «l'inconscio strutturato come un gruppo»
fin da allora mi sembrava necessario pensare la gruppalità psichica nel suo rapporto con
l'Inconscio. Sia la clinica, che la lettura dei testi di Freud, mi ha confermato nell'importanza
di trasformare la formula in ipotesi di lavoro. Più in generale, sono le istanze ed i sistemi9
dell'apparato psichico che vanno concepiti come gruppi psichici differenziati all'interno dei
quali operano degli sdoppiamenti, delle diffrazioni o delle condensazioni: le identificazioni
multiple (o polivalenti) dell'Io.
In altre parole, i gruppi interni sono sottomessi all'ordine proprio delle formazioni e dei
processi psichici, e in rapporto ad essi svolgono funzioni specifiche. Proponendo questa
ipotesi sostengo un punto di vista diverso da quello di Pichon-Rivière sulla modalità di
formazione o di produzione dei gruppi interni e sulle loro funzioni. Per quello che mi riguarda,
i gruppi interni sono forme della gruppalità psichica. Non sono il prodotto esclusivo
dell'interiorizzazione o dell'internalizzazione dei processi intersogget-tivi o sociali: le forme
della gruppalità psichica fanno parte della struttura della materia psichica. Sono, in parte,
strutture intrapsichiche fondamentali, primarie o primordiali, che già esistono. Secondo
questa prospettiva, la gruppalità psichica è un organizzazione ed un funzionamento specifico
della psiche, essa la caratterizza immediatamente. Se do così una consistenza alla
formazione ed alla logica endopsichica, non dimentico però i processi intersoggettivi legati
alla formazione ed alla funzione di certi gruppi interni. Preferisco sostenere in questo caso la
8
Ho esposto queste ricerche in diverse pubblicazioni, tra le quali la mia tesi di laurea nel 1974, prima di
pubblicarle nel 1976, L'appareil psychique grupal. Construction du groupe, Paris, Dunod (trad. it. L'apparato
pluripsichico. Costruzioni del gruppo, Armando, Roma, 1983). Dopo queste ricerche iniziali ho tentato di
mettere alla prova queste ipotesi nell'analisi dei sogni, delle identificazioni e dei sintomi, nell'analisi della
creazione artistica e nell'organizzazione del processo associativo.
9
Le groupe et le sujet du groupe, 1993 e La parole et le lien, 1994, Paris, Dunod (trad. it. Il gruppo e il
soggetto del gruppo, e La parola e il legame, Borla, Roma, 1994).
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tesi epigenetica perché accetta un'efficienza dell'internalizzazione a condizione di postulare
strutture preliminari che si attivano e si auto-organizzano nel momento stesso in cui sono
sollecitate. È in queste condizioni che i gruppi interni mi appaiono secondariamente come
acquisizioni e creazioni per incorporazione o introiezione degli oggetti perduti e ricostruiti.
Ho precisato questa prospettiva nei miei due ultimi lavori tentando di mostrare che l'analisi
dei gruppi interni è quella del processo associativo/dissociativo attraverso il quale il soggetto
organizza la sua attività psichica e la rappresenta a se stesso ed agli altri. Questi «altri» non
sono solamente figure o rappresentanti delle pulsioni, degli oggetti parziali, delle
rappresentazioni di cosa o di parola del soggetto stesso, nei loro rapporti in quanto sono
correlati e coerenti nello spazio psichico o associati e dissociati dal lavoro dell'inconscio. Sono
anche degli altri non riducibili a quello che essi rappresentano per più di un altro.
Costituiscono i termini delle correlazioni di soggettività secondo la felice formula di
Benveniste.
I gruppi psichici, la psicoanalisi e l'inconscio
Come iscrivere la concezione dei gruppi interni nella psicoanalisi? Anche in questo il mio
approccio differisce da quello di Pichon. Per concepire la nozione di gruppi interni io non sono
partito dalla psicologia sociale. Per ragioni legate in larga parte al contesto francese e alla
diffidenza che suscita ancora oggi negli ambienti psicoanalitici la ricerca sui gruppi, molto
spesso etichettata come deriva verso la psicologia sociale, ma anche per motivi personali, ho
avuto cura di confrontare le mie ipotesi con gli enunciati clinici e speculativi di Freud, non
privilegiando nessuna parte della sua opera, particolarmente quella detta di psicoanalisi
applicata. È così che nel dibattito epistemologico che apre l'approccio psicoanalitico di
gruppo, ho accordato una particolare attenzione alle formulazioni freudiane concernenti la
rappresentazione
della
psiche
come
gruppo
e
come
attività
di
raggruppamento/disarticolazione. Dal Progetto fino alla fine della sua opera - e
particolarmente al momento della costruzione della seconda topica - quello del gruppo, come
modello di relazioni logiche e come modello antropomorfico di relazioni intersoggettive, non
cesserà di costituire per Freud uno dei modelli più costanti dell'apparato psichico. È a partire
da queste ricerche e da ciò che mi ha insegnato la cura individuale che ho potuto sostenere
che la gruppalità psichica è una nozione originaria della psicoanalisi. Nello sviluppo dell'opera
di Pichon-Rivière, come nella logica delle mie ricerche la necessità del concetto di gruppo
interno si è imposta per rendere conto dell'articolazione piena di interrogativi tra
l'intrapsichico e l'interpsichico, tra il soggettivo e l'intersoggettivo. Ma le nostre rispettive
proposizioni riflettono differenti problematiche e i nostri concetti producono degli effetti di
lavoro differenti.
Legame e intersoggettività
Nella prefazione del suo libro Il processo gruppale. Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale10,
Pichon-Rivière precisa che la ricerca psiconalitica sul mondo interno l'ha condotto ad
«allargare il concetto di relazione oggettuale, arrivando a proporre la nozione di legame».
Definisce quest'ultimo «come una struttura complessa, che comprende un soggetto, un
oggetto e le loro mutuali relazioni con dei processi di comunicazione e di apprendimento». La
questione del legame è centrale nell'opera di Pichon. Un opera intitolata dai suoi discepoli
Teoria del vinculo [Teoria del legame] è stata pubblicata a cura di Fernando Terragano nel
1980. L'opera mette insieme i materiali raccolti in un corso sulla metodologia del colloquio
nella cornice dell'Apa dall'ottobre 1956 al gennaio 1957. La raccolta è composta di dodici
corti capitoli nei quali Pichon affronta, dopo aver esposto alcune considerazioni generali sul
legame, la patologia del legame, la relazione tra legame comunicazione e apprendimento
10
Cfr. questo testo nel numero 23, 1994, della Revue de Psychothérapie Psychanalytique de Groupe.
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(soprattutto dialettica dell'apprendimento), le differenze tra legami razionali e legami
irrazionali, il legame come campo d'interazione (unità dialettica d'interazione) e di condotta, i
rapporti tra legame, identificazione introiettiva e proiettiva, legame e interpretazione, lo
Scro, il legame e la «teoria delle tre D» (deponente depositario e depositato) e infine il
legame e la teoria psicoanalitica.
Anche qui la sua riflessione prende avvio dai problemi posti dal trattamento della follia dal
punto di vista della psichiatria sociale alla quale egli lavora per fornire gli strumenti
concettuali. Un gran numero di questi sono improntati alla psicosociologia della
comunicazione ed alla teoria dei ruoli. Un approccio di questo tipo considera una concezione
del soggetto non come essere isolato, ma incluso in un gruppo il cui fondamento è la
famiglia: la concettualizzazione che ne risulta è dunque, secondo Pichon, essenzialmente
psicosociale, sociodinamica e istituzionale poiché il gruppo familiare è inserito nel campo
sociale che gli conferisce la sua significazione. È così che la comparsa della psicosi in un
membro della famiglia è un «emergente» originale che esprime e prende in carico la malattia
mentale di tutta la famiglia: il delirio costruito da un membro della famiglia deve dunque
intendersi come un tentativo di risoluzione di un determinato conflitto e, allo stesso tempo,
come un tentativo di ricostruire non soltanto il proprio mondo individuale, ma principalmente
quello del suo gruppo familiare e, secondariamente, il sociale stesso.
Questo è il retroterra del suo approccio al legame che egli differenzia dalla relazione
oggettuale. «Perché utilizziamo il termine legame? In realtà siamo abituati a utilizzare la
nozione di relazione oggettuale nella teoria psicoanalitica, ma la nozione di legame è molto
più concreta. La relazione oggettuale è una struttura interna del legame che a sua volta è un
tipo particolare di relazione oggettuale; la relazione oggettuale è costituita da una struttura
che funziona in una maniera determinata. È una struttura dinamica in continuo movimento,
azionata e spinta da fattori istintuali e motivazioni psicologiche. Potremmo dire che la
nozione di relazione oggettuale è ereditata dalla psicologia atomistica, mentre il legame è
una cosa differente che include la condotta. Possiamo definire il legame come un tipo
particolare di relazione con un oggetto; da questa particolare relazione risulta una condotta
più o meno fissa con questo oggetto, la quale forma un pattern, un modello di
comportamento che tende a ripetersi automaticamente sia nella relazione interna che nella
relazione esterna con l'oggetto. Abbiamo così a che fare con due campi psicologici nel
legame: un campo interno ed un campo esterno. Sappiamo che ci sono oggetti esterni ed
oggetti interni. È possibile stabilire un legame, una relazione oggettuale con un oggetto
interno e nondimeno con un oggetto esterno. Possiamo dire che ciò che ci interessa di più dal
punto di vista psicosociale è il legame esterno, mentre dal punto di vista della psichiatria e
della psicoanalisi quello che ci interessa di più è il legame interno e, cioè, la forma particolare
che l'Io assume legandosi con l'immagine di un oggetto localizzato dentro di sé [...]11».
Il concetto di legame proposto da Pichon-Rivière è il risultato di un'altra sorta di
determinazione: non nasconde il suo progetto di arrivare a sostituire la struttura del legame
al concetto di istinto, considerando la struttura di legame come effetto di un protoapprendimento, come il veicolo delle prime esperienze sociali che costituiscono il soggetto
stesso, sulla negazione del narcisismo primario. Nella prefazione a Il processo gruppale.
Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale, Pichon-Rivière ha precisato che questa posizione
significava una rottura con il pensiero psicoanalitico «ortodosso» e che egli in questo modo
ha potuto superare un ostacolo epistemologico importante. Come ho già sottolineato una
costante della sua teoria del legame è in effetti di sostenere che è nell'interazione che si
produce l'interiorizzazione della struttura della relazione: quest'ultima diventa intrasoggettiva
sotto l'effetto dell'identificazione introiettiva e proiettiva, ma Pichon la descrive anche in
termini di interazione e di comunicazione (emittente-recettore).
lì destino toccato alle pulsioni nel legame non conduceva forzatamente Pichon a tracciare un
cammino che va dalla psicoanalisi alla psicologia sociale? Un percorso del genere non si
propone inevitabilmente in ogni progetto che intenda trattare dell'intersoggettivita e del
legame se non procediamo ad una critica dei postulati epistemologia che sottendono a questi
concetti?
11
E. Pichon-Rivière, Teoria del vinculo, Buenos Aires, Ediciones Nueva Visòn, 1980 pp 35-36.
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
Anche se ho seguito un percorso inverso a quello di Pichon, ci accomuna una questione:
proponendoci di introdurre una problematica del legame associata a quella dell'intersoggetti
vita, è importante innanzitutto sottolineare come questi non siano né problematiche né
concetti originari della psicoanalisi. Il nostro compito è proprio quello di dar loro un
fondamento a partire da due fonti principali: quella della clinica psicoanalitica comparata
della cura individuale e dei dispositivi di gruppo e quella della critica della teoria
psicoanalitica. La ragione potrebbe essere che la questione del legame come quella
dell'intersoggettivita sono questioni paradossali in psicoanalisi: sono clinicamente
indispensabili, ma malgrado esse affiorino costantemente nei modelli teorici dell'apparato
psichico proposto dalle due topiche, non vengono elaborate in oggetti del pensiero teorico.
Bisogna venire a patti con l'origine del concetto nella fenomenologia e nella linguistica
pragmatica. Il concetto di intersoggettività ha ugualmente uno statuto in psicologia sociale e
in sociologia. Proporne la costruzione nel campo psicoanalitico implica certe condizioni, in
particolare quella di liberarsi da una serie di malintesi contenuti nei significati acquisiti da
questi concetti. Il senso che potrebbe acquistare obbliga ad una costruzione che mantiene
aperta al centro della ricerca la questione dell'inconscio.
Io inscrivo la questione del legame nel quadro più generale di una teoria psicoanalitica
dell'intersoggetti vita. Il progetto di costituire l'intersoggettività come oggetto teorico e come
dispositivo metodologico nella psicoanalisi non può evitare una doppia metapsicologia: quella
del soggetto delF inconscio in quanto è «soggetto del gruppo» e quella degli insiemi
intersoggettivi dal momento che formano e regolano una parte specifica della realtà psichica.
Il mettere in prospettiva reciproca questi due spazi parzialmente eterogenei, dotati di logiche
e di formazioni specifiche definisce il campo di una nuova clinica psicoanalitica reperibile
altrettanto bene sia nella pratica della cura individuale che nella pratica del lavoro
psicoanalitico nel gruppo.
Il campo teorico da costituire è organizzato attraverso la ricerca delle strutture e dei processi
psichici che si costituiscono nei punti di snodo delle formazioni inconsce tra il singolo e gli
insiemi intersoggettivi, attraverso i loro scarti e i limiti delle loro trasformazioni. La
metapsicologia di questo campo richiede l'ipotesi di una topica doppiamente determinata, di
una economia mista di investimenti e di scambi, di una dinamica di interferenza e se
ammettiamo questo punto di vista, di una co-genesi (o di una co-epigenesi) di queste
formazioni e di queste processi.
Come Pichon-Rivière io includo il concetto di relazione oggettuale nella definizione di legame
e mantengo anche la distinzione tra oggetti interni ed oggetti esterni. Ma credo di porre
differentemente i rapporti tra questi termini perché sono subordinati a degli obbiettivi teorici
e pratici differenti dai suoi, come hanno già messo in evidenza le nostre concezioni differenti
dei gruppi interni.
La nozione post-freudiana di relazione oggettuale ha assunto una importanza crescente dal
1930 e si inscrive in un movimento di idee più vasto: l'organismo non è più considerato
isolato, ma in interazione con l'ambiente. Questo punto di vista è stato discusso da Freud sin
dal 1905, nei Tre saggi al centro della teoria della pulsione ed era stato precisato nelle note
aggiunte da lui nel 1915. L'oggetto è si ciò a cui mira la pulsione, ma è tenuto in una
relazione di appoggio con gli oggetti della madre.
Le teorie delle relazioni oggettuali si distinguono l'una dall'altra per molteplici tratti. Alcune
mettono l'accento sull'oggetto piuttosto che sulla relazione o viceversa, altre sulla cattura
«più o meno» fantasmatica dell'oggetto; esse accordano una determinazione decisiva o al
peso dell'ambiente (Spitz, Balint, Ròheim...) o alla sola realtà psichica (M. Klein, J. Rivière)
ed allo statuto puramente fantasmatico degli oggetti interni, sia al ruolo strutturante delle
relazioni d'oggetto di soggetti mutuali in interrelazione (Bion, Winnicott...).
Questo punto di vista è stato particolarmente sviluppato da A. Green che scrive: «Quando la
teoria delle relazioni oggettuali cominciò a svilupparsi, si fu dapprima portati a descrivere le
azioni reciproche (in termini di processi interni) dell'Io e dell'oggetto. Non si prestò
sufficiente attenzione al fatto che nella relazione oggettuale è la parola relazione che è la più
importante. In altre parole il nostro interesse avrebbe dovuto orientarsi su ciò che è tra gli
elementi che queste azioni uniscono o tra gli effetti delle diverse azioni. In altri termini lo
studio delle relazioni è quello dei legami e non quello degli elementi uniti attraverso di essi. È
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
la natura del legame che conferisce al materiale la sua caratteristica propriamente psichica,
responsabile dello sviluppo intellettuale» (1974, pp. 240-241).
Ne Il gruppo e il soggetto del gruppo, ho sottolineato che il concetto di relazione oggettuale
permette un approccio privilegiato alla gruppalità psichica12: s'interroga immediatamente
sulla relazione del soggetto con i suoi oggetti interni nella misura in cui essi stessi sono in
relazione con altri oggetti. Questo sistema di relazione definisce una modalità di esistenza del
soggetto qualificabile attraverso i suoi investimenti, le sue rappresentazioni, la sua
conflittualità, le sue identificazioni e i suoi meccanismi di difesa, nei confronti degli oggetti
che lo costituiscono. Il gruppo come Oggetto è una figura peculiare della relazione
oggettuale, specialmente per gli effetti di forma e di struttura che si articolano tra lo spazio
intrapsichi-co e quello intersoggettivo. Ma le teorie della relazione oggettuale non sono le
teorie dell'intersoggettività; esse mirano a descrivere la relazione Oggettuale in quanto
costitutiva del soggetto (dell'Io, del Sé), non considerando invece che l'oggetto della
relazione oggettuale è il termine di un processo di scambio psichico, e quindi che egli è come
soggetto altro, un altro soggetto che insiste e che resiste in quanto altro. «L'altro è altro»,
scrive E. Levinas.
Termine di scambio vuol dire: oggetti di desiderio, di raffigurazione, di meccanismi di difesa,
l'uno garantendo quelli degli altri per garantire i propri. Questo termine implica una legge
che regola i rapporti tra i soggetti e rende possibile la scoperta della verità della loro storia
nella misura in cui essa è legame. Sono queste le modalità della legge che regolano i legami
che ho iniziato ad esplorare con le alleanze inconsce.
Questo modo di concepire il legame intersoggettivo come il legame tra le relazioni oggettuali
di soggetti distinti permette di articolare questo rapporto. L'ipotesi che io propongo di
esplorare più precisamente è che in questo legame ci sia dell'inconscio. Corrispettivamente
esiste un inconscio che sostiene questo legame.
Ciò che differenzia il legame dalla relazione oggettuale è che nel legame abbiamo a che fare
con dei soggetti ai quali si pone in una maniera cruciale la questione di che posto dare
all'altro nella relazione oggettuale. Abbiamo a che fare con un insieme di soggetti legati tra di
loro nello scarto o nella coincidenza in quanto alla relazione oggettuale propria a ciascuno.
Quando sono nel legame intersoggettivo mi scontro con l'altro che non posso ridurre alla mia
rappresentazione più o meno colorata ! dall'immaginario: l'oggetto della relazione oggettuale
non coincide esattamente con l'altro, nella misura in cui è un oggetto irriducibile all'oggetto
della relazione oggettuale.
La questione del legame e dell'intersoggettivita non si riduce sicuramente a prendere in
considerazione il posto e la funzione dell'Altro e degli altri (più di un altro) nello spazio
intrapsichico. Questa questione definisce un campo specifico della realtà psichica, un campo
nel quale possono essere individuati e descritti processi e formazioni psichiche costituite dai
rapporti inconsci dei molteplici soggetti dell'inconscio.
Per precisare le differenze d'orientamento tra le problematiche di Pichon-Riviere e le mie,
sottolineerò solamente due aree di ricerca che mantengono le problematiche dalla parte
dell'ipotesi dell'inconscio. Tuttavia non si tratta solamente di preoccupazioni teoriche: queste
ricerche hanno un'incidenza importante sulla clinica, nella misura in cui esse permettono di
definire meglio pratiche terapeutiche, formative o specificamente psicanalitiche.
La nozione di lavoro psichico dell’intersoggettività: a partire dalle mie ricerche sul processo
associativo e le funzioni (forica del porta-parola e del porta-sintomo), ho chiamato lavoro
dell'intersoggetti vita l'esigenza del lavoro psichico dell'Altro o di più di un altro nella psiche
dell'inconscio del soggetto. Questa proposizione ha per corollario che la costituzione
intersoggettiva del soggetto impone alla psiche certe esigenze di lavoro pischico; essa
imprime alla formazione, ai sistemi, alle istanze e ai processi dell'apparato psichico, e di
conseguenza all'inconscio, dei contenuti e delle modalità di funzionamento specifici. Il
risultato del lavoro dell'intersoggettività è doppio: determina un effetto nello spazio
intrapsichico e nella formazione del legame intersoggettivo, la cui realtà psichica e
12
Op. cit., capitolo 4.
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
consistenza logica sono irriducibili a quelle dei suoi elementi costituenti. La nozione di lavoro
psichico dell'intersoggettività non suppone solamente una determinazione extra-individuale
nella formazione e nel funzionamento di certi contenuti dell'apparato psichico: essa riguarda
le condizioni nelle (juali il soggetto dell'inconscio si costituisce. Eccoci di nuovo rinviati a
questa nozione del soggetto, sulla quale anche Pichon Rivière si è cipresso. Vediamo
rapidamente come.
Le alleanze inconsce (alleanze, patti e contratti): non è questo il luogo per precisare come io
sia arrivato a pensare che le alleanze inconsce assicurino funzioni specifiche nello spazio
intrapsichico e, come, nello stesso tempo, esse sostengano la formazione e i processi dei
legami intersoggettivi che a loro volta confermano formazioni e processi intrapsichici.
Riguardo alle alleanze inconsce ho affermato che non si costituiscono solamente per
mantenere inconsce delle rappresentazioni, secondo l'interesse congiunto e mutuamente
garantito di molteplici soggetti suggellando così il loro legame; ho sottolineato invece che
l'alleanza stessa permane inconscia tanto quanto il legame che si ritrova fondato su di essa.
Uno degli obbiettivi del lavoro psicoanalitico con i gruppi è quello di sciogliere attraverso
l'analisi queste alleanze prodotte per e dal legame intersoggettivo gruppale.
La produzione di sintomi condivisi ha anche questa funzione e questa finalità: assoggettare
ogni soggetto al proprio sintomo in rapporto alla funzione che esso svolge nel e per il
legame. Il sintomo ne riceve un rinforzo amplificato. Le alleanze inconsce intersoggettive
svolgono in effetti al massimo grado la funzione di misconoscimento che si lega al sintomo.
Se prendessimo in considerazione solo la funzione economica e dinamica che il sintomo
svolge per il soggetto che lo produce iscrivendolo nella propria storia individuale e la sua
propria struttura, lasceremmo da parte il suo valore nell'economia dei legami intersoggetti
vi: non potremmo valutare gli investimenti che il sintomo riceve da parte dei soggetti per
tenere Insieme il legame ad un prezzo che ripaga la rimozione mantenuta attraverso l'altro e
in ciascuno nella cornice dell'alleanza.
Le posizioni che sostengo possono sovrapporsi a quelle di Pichon-Rivière? Sicuramente se ci
si attiene alla descrizione dei fenomeni del legame: in realtà io penso che le nostre ipotesi
esplicative siano diversamente orientate. Le mie mirano a rendere intelligibile, a partire dalla
questione delle alleanze, la formazione del soggetto dell'inconscio. Come Pichon io penso che
noi non possiamo non essere nell'intersoggettività: è la nostra condizione di soggetto, ci
formiamo attraverso di essa. Il mio problema è quello di comprendere come ci costituiamo
come soggetto dell'inconscio, in rapporto all'altro.
Il soggetto
La concezione di soggetto che Pichon-Rivière propone è essenzialmente psicosociale: essa si
inscrive in una problematica che non è fondamentalmente quella della psicoanalisi, poiché
l'inconscio che fonderebbe ed organizzerebbe questo soggetto non è in nessun momento
basato come tale sugli effetti della soggettività. «Soggetto del bisogno» come lo definisce A.
De Quiroga in numerosi lavori, il soggetto è essenzialmente il risultato delle tensioni e delle
contraddizioni tra il bisogno nascente dalle esigenze materiali dell'organismo e le qualità
dell'ambiente. «L'uomo è un essere di necessità che non possono essere soddisfatte che
socialmente nelle relazioni che le determinano», scrive Pichon Rivière.
La nozione di bisogno è centrale nella sua definizione di soggetto: il bisogno è percepito
come una tensione interna che sviluppa un comportamento di trasformazione che mira alla
soddisfazione. L'azione trasformatrice modifica il contesto dello scambio, essa è
apprendimento. Le formulazioni proposte da Pichon in termini di oggetti (interni ed esterni)
non modificano lo schema fondamentale: il soggetto è la risultante originale di una relazione
di interazione dialettica tra oggetti esterni e oggetti interni. Il soggetto è soggetto
dell'azione, situato tra l'assoggettamento al bisogna e il progetto attraverso il quale il mondo
esterno potrà essere trasformato: egli è attore.
A. de Quiroga conferma questa concezione scrivendo che il «fare», l'impegno occupano un
posto fondamentale nella concezione pichoniana del soggetto e dunque nell'elaborazione di
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
un criterio di sanità in termini di adattamento attivo alla realtà. Ella cita così Pichon (1970):
«II soggetto è sano nella misura in cui apprende la realtà in una prospettiva di integrazione,
nella misura in cui è capace di trasformare questa realtà trasformando se stesso [...]. Il
soggetto è attivamene adattato nella misura in cui intrattiene non relazioni rìgide passive
stereotipate, ma un rapporto dialettico con ll'ambiente. La sanità mentale è l'apprendimento
della realtà, una relazione che sintetizza e generalizza la risoluzione delle contraddizioni che
sopravvengono nella relazione soggetto-mondo».
La realtà di cui parliamo non è qui la realtà psichica così come l'organizzano il desiderio ed i
fantasmi inconsci, ma il mondo delle reti relazionali oggettive «da cui il soggetto emerge» e
nelle quali sviluppa la suaesperienza e i suoi comportamenti. Si dirà ancora che il soggetto è
interazione e sintesi attiva della molteplicità dei legami e dei rapporti di cui è un
«emergente»13.
In definitiva la sostanza che definisce il soggetto è data dall'interpenetrazione,
nell'esperienza di una relazione con un altro, di due coppie contraddittorie: la coppia
bisogno/soddisfazione e la coppia soggetto/contesto sociale del legame. Ritroviamo qui
naturalmente la nozione centrale di legame che Pichon (e senza dubbio ancora di più A. de
Qujroga) oppone in maniera polemica ad ogni concezione che privilegi l’instintualità e
l'innatismo.
L'ipotesi di base sulla quale ho intrapreso le mie ricerche sulla questione del soggetto è che
la psicoanalisi freudiana è in grado di sostenere una concezione intersoggettiva del soggetto
dell'inconscio. Ho tentato di mettere in rilievo nell'opera di Freud e in particolare in quella che
chiama la sua «psicologia sociale»14, le premesse di una concezione intersoggettiva del
s'oggetto dell'inconscio. La psicoanalisi considera l'intersoggettività come una condizione
costitutiva della vita psichica umana; questa concezione non può essere opposta all'esigenza
che essa si è inizialmente posta e di trattare cioè la vita psichica del soggetto considerato
nella sua individualità, a partire soltanto dalle sue determinazioni interne. Il soggetto con cui
si rapporta non è il soggetto sociale, ma il soggetto dell'inconscio. Tuttavia - ed è il punto in
cui insisto nella mia ricerca da parecchi anni - dobbiamo integrare nel campo della
psicoanalisi tutte le conseguenze teorico-metodologiche che derivano dalla considerazione
dell'esigenza di lavoro psichico che s'impone alla psiche e specialmente alle formazioni ed ai
processi dell'inconscio, la dimensione intersoggettiva dell’oggetto. È proprio questa esigenza
che mi ha portato a proporre il concetto di soggetto del gruppo.
La nozione di soggetto del gruppo mi è apparsa necessaria per qualificare certe dimensioni
del soggetto dell'inconscio. Penso che il soggetto del gruppo si costituisca come soggetto
dell'inconscio secondo due determinazioni convergenti: la prima fa riferimento al suo
assoggettamento all'insieme (famiglia, gruppo, istituzione, massa...). Alcune formazioni
inconsce si trasmettono attraverso la catena delle generazioni e dei contemporanei; una
parte della funzione di rimozione prende appoggio e struttura (nevrotica o psicotica) su certe
modalità di trasmissione psichica, per esempio attraverso le modalità fissate dalle alleanze,
dai patti e dai contratti inconsci; il processo di incriptamento, la funzione del Super Io e
alcune funzioni dell'Ideale dell'Io, seguono ugualmente questa determinazione
intersoggettiva.
La seconda dipende dal funzionamento proprio dell'inconscio nello spazio intrapsichico;
s'appoggia sui gruppi interni. Ho già sottolineato che questi ultimi non hanno soltanto una
13
Presentando il pensiero di Pichon-Rivière sulla questione del soggetto, Ana de Quiroga scrive che
«Nell'interazione di cui la motivazione è fondata da necessità reciproche, ogni soggetto emerge e si
costituisce intanto che tale. È unicamente in questo contesto di interrelazione, orizzonte dell'esperienza
che il comportamento riveste un significato ed una internazionalità»: 1980, «La formazione dei
coordinatori del gruppo alla Scuola di Psicologia Sociale di Buenos Aires. Dr. Enrique Pichon-Rivière»,
comunicazione al Congresso Internazionale di Psicoterapia di Gruppo, Copenaghen. Vedere anche «La
concezione del soggetto nel pensiero di Enrique Pichon-Rivière. Fondamenti di una psicologia definita
come sociale», 1978, pp.421-442. Leggere anche nel numero 23, 1994, della Revue de Psychothérapie
Psychanalytique de Groupe, l'articolo del 1985 che riprende e precisa questo testo del 1978.
14
Precisiamo che questa «psicologia sociale» è, per Freud, parte integrante della psicoanalisi; essa
mantiene l'ipotesi di inconscio ed inaugura due spazi psichici da articolare, quello di un soggetto in
relazione con «più di un altro», quello degli effetti dell'inconscio sul gruppo di «più di un altro». Riguardo
a questi sviluppi vedere Le groupe et le sujet du groupe, Paris, Dunod, 1983 (trad. it. Il gruppo e il
soggetto del gruppo, Borla, Roma, 1994).
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
formazione e una funzione di incorporazione o di introiezione degli oggetti e dei processi
costituiti attraverso i legami inter e transoggettivi e che sono sottoposti dall'identificazione e
dall'appoggio ad un lavoro di trasformazione nell'apparato psichico. La loro formazione risulta
anche dalle proprietà propriamente gruppali dei pensieri rimossi in quanto separati dalla
coscienza e raggruppati tra loro nell'inconscio, esercitano un'attrazione sugli elementi isolati
che si separano dal sistema Pcs-Cs.
Il soggetto del gruppo si costituisce come soggetto dell'inconscio secondo due
determinazioni: le une attingono alla sua apertura nei confronti dell'esigenza dell'oggetto,
generatrice di discontinuità, le altre all'esigenza narcisistica generatrice di continuità.
Il soggetto del gruppo è un soggetto strutturalmente diviso tra la sua realizzazione come
individuo e il suo statuto di nodo di congiunzione, beneficiario, servitore ed erede di una
catena intersoggettiva alla quale è assoggettato. Questa divisione duplica, conferma o
ricompone la divisione del soggetto dell'inconscio, queste parti si accoppiano l'una con l'altra.
L'ipotesi della gruppalità psichica aggiunge ancora delle particolarità alla situazione
conflittuale del soggetto singolare-plurale. Il soggetto singolare-plurale è simultaneamente
multiplo e uno, si forma nell'assemblaggio conflittuale dei suoi oggetti, delle sue pulsioni e
dei loro rappresentanti, si dissolve nell'indifferenziazione di un «si» anonimo e
desoggettivato, o invece acquisisce la capacità di potersi pensare come io separandosene. Il
soggetto si costituisce attraverso la negoziazione di questo iato attraverso il compromesso
che è capace di creare.
Il concetto di soggetto del gruppo definisce un'area, una dinamica, e un'economia della
conflittualità psichica nella quale si scrivono tutte le componenti del conflitto e della divisione
propria del soggetto dell'inconscio. Se la conflittualità che lo divide e gli fa cercare dei
compromessi è in parte iscritta nell'intersoggettività e nei giochi delle alleanze inconsce, è
anche sempre per delle poste in gioco che gli sono proprie che il soggetto dell'inconscio, allo
stesso tempo soggetto del gruppo e soggetto della gruppalità psichica è in conflitto, in
divisione, in scissione o in compromesso: tra le esigenze che gli impone il movimento che lo
spinge ad essere lui stesso il suo proprio fine e quelle che derivano dalla sua struttura e dalla
sua funzione di membro di una catena intersoggettiva di cui è insieme il servitore, la catena
di trasmissione, l'erede e l'attore. In questa prospettiva ho supposto che la rimozione e il
diniego determinati dalle esigenze intrapsichiche si strutturano sulle esigenze di rimozione, di
repressione e di diniego che impongono le alleanze, i patti e i contratti inconsci inerenti
all'intersoggettività. Attraverso ciò e secondo delle modalità didtinte, queste alleanze
partecipano alla funzione di rimozione e alla strutturazione dell'inconscio15. L'orientamento
generale sarebbe quello di cercare di definire la presenza e la funzione dell'altro o più
esattamente di più-di un-altro nella formazione del soggetto.
Il porta-voce e il porta-parola
Un'altra nozione ci è comune: quella che Pichon denomina porta-voce (in spagnolo portavoz)
e che io designo con il concetto di porta-parola. Se è vero che entrambi cerchiamo di
descrivere un fenomeno specifico del processo e dell'organizzazione gruppale, lo affrontiamo
però ancora una volta con delle problematiche differenti.
Per Pichon-Rivière, la nozione di porta-voce è storicamente e concettualmente legata al suo
lavoro sul gruppo familiare e alla sua concezione della malattia mentale. La trascrizione
letterale di un corso svoltosi nel 1970 alla Scuola di psicologia sociale ci apporta elementi più
precisi sulla sua concezione16: «II porta-voce è colui che nel gruppo, ad un certo momento,
dice qualcosa, enuncia qualcosa e questo qualcosa è il segno di un processo grippale che fino
15
Ho iniziato ad esaminare questa proposizione a partire dalla funzione di co-rimozione dell'altro, ma
anche a partire dalla funzione deH'altro nell'aprire delle strade di ritorno del rimosso. Queste proposizioni
formano il filo conduttore delle mie ricerche sul processo asso- dativo nei gruppi. Cfr. La parole et le lìen,
Paris, Dunod, 1994 (trad. it. La parola e il legame, Borla, Roma, 1994).
16
E. Pichon-Rivière, 1970, «El concepto de portavoz», Temas de Psicologia Social, 2, 1978, pp. 11-20.
Vedere anche l'articolo di R. Jatin nel numero 23, 1994, della revue de Psy-chothérapie psychanalytique
de Groupe.
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
a questo momento è rimasto latente o implicito, come nascosto all'interno della totalità del
gruppo. Come segnale ciò che rivela (denuncia) il portavoce deve essere decodificato,
bisogna cioè svelarne l'aspetto implicito. In questo modo è decodificato - particolarmente dal
conduttore17 - che indica il significato di questo aspetto [implicito]. Il porta-voce non ha
coscienza di enunciare qualcosa che ha un significato a livello di quello che si sta sviluppando
nel gruppo in quel momento, ma piuttosto enuncia o fa qualcosa che ritiene proprio».
Pichon-Rivière precisa allora ciò che egli considera il suo migliore apporto alla teoria dei
gruppi familiari: «II soggetto che si ammala è il portavoce dell'ansietà, delle difficoltà del suo
gruppo familiare. In che senso? Il malato, l'alienato è lui, ma la sua malattia, la sua condotta
deviante è la risultante dell'interazione familiare, della forma alienante di relazioni che si
stabiliscono tra i membri di questo gruppo: è per questo che la malattia di uno di loro
emerge come condotta deviante» (op. cit. p. 11). Nello stesso modo, mutatis mutandis, nei
gruppi operazionali di apprendimento, «il portavoce è il membro del gruppo che, in ragione
della sua storia personale, esprime qualcosa che permette di decifrare il processo latente».
Il suo ruolo è dunque fondamentale poiché rivela gli aspetti latenti del processo, egli è,
secondo l'espressione di Pichon, «l'indicatore» (o «intermediario»: alcahuete) egli indica la
malattia o la fantasia inconscia del gruppo18. Pichon-Rivière propone l'immagine della
verticalità per definire la storia, le esperienze di un membro del gruppo e l'orizzontalità per
designare ciò che, in un dato momento, costituisce «il denominatore comune della
situazione, ciò che è condiviso consciamente o inconsciamente da tutti» (ibid. p. 12).
Mi trovo d'accordo con Pichon su molteplici aspetti della sua definizione: come il portavoz di
cui parla, io colloco il porta-parola, da un punto di vista topico, nel luogo di articolazione del
processo individuale e del processo gruppale; nel loro punto nodale, entrambi svolgono una
funzione metaforica o metonimica di rappresentazione. Sono egualmente sensibile alla
funzione economica del portavoz e del porta-parola: l'uno e l'altro sono portatori di un carico
di cui si libera l'insieme del quale fanno parte.
Tuttavia la mia concezione differisce da quella di Pichon su alcuni punti che mi sembrano
importanti. Il fatto che io pensi in termini di porta-parola, là dove egli parla di portavoz, non
mi sembra privo di senso. Sono infatti ricorso a questa nozione per portare avanti l'analisi del
processo associativo negli insiemi intersoggettivi. Porta-parola è un concetto che serve a
trattare la questione della parola: del modo in cui essa è data al soggetto, del modo in cui
egli la delega e se ne scarica, del modo in cui ne è preso, ne prende e ne investe i propri
desideri, i propri divieti, e la propria rimozione. Il concetto che ho costruito si riferisce così in
maniera centrale a una concezione del soggetto dell'inconscio in rapporto alla parola, che
innanzitutto, gli viene dall'altro, dall'altro materno e da più di un altro. È in questa
prospettiva che ho incontrato il concetto proposto da P. Aulagnier (1975): ho anche insistito
più a lungo sulla relazione del soggetto che svolge per proprio conto questa funzione e sulla
determinazione intersoggettiva di questa funzione19.
Mi sembra inoltre che la concezione di Pichon del portavoz condensi molteplici funzioni che
da parte mia ho cercato di distinguere, specificare e raggruppare nel concetto generale di
funzione forica. Questa funzione spiega gli aspetti attraverso i quali un soggetto può portare
e trasportare per un altro o per un insieme di altri, segni, affetti, oggetti buoni e cattivi, Idee
e Ideali che svolgono non soltanto una funzione di indicatore (topico e semiotico) del
processo intersoggettivo gruppale, ma anche una funzione economica e dinamica per
ciascuno dei soggetti implicati nella realizzazione di questa funzione. È qui in gioco una
concezione del soggetto e abbiamo visto che il mio punto di vista differisce da quello di
Pichon. Il mio porta-parola, il porta-sintomo o il porta-sogno, non è come il portavoz, la
risultante dell'interazione tra i membri del gruppo, perché io non adotto le conseguenze di un
postulato interazionista che arriva - come nel caso della prospettiva sistemica - fino a
cancellare la soggettività dell'individuo, che non è solo l’indicatore o l’analizzatore delle
17
Si tratta del conduttore operazionale (R. K.).
I teorici francesi di analisi istituzionale parleranno in questo caso di analizzatore (analyseur).
19
Queste ricerche sono state illustrate attraverso numerosi casi clinici ne La parole et le lien, Paris,
Dunod, 1994 (trad. it. La parola e il legame, Borla, Roma, 1994), la mia teoria del porta-parola ne Le
groupe et le sujet du groupe, Paris, Dunod, 1993 (trad. it. Il gruppo e il soggetto del gruppo, Borla,
Roma, 1994).
18
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
perturbazioni del gruppo, o il rivelatore del denominatore comune della situazione. Pichon mi
sembra troppo vicino alla nozione di paziente designato, anche se egli sostiene che dopotutto
è il portavoz che è il malato (e non è la stessa cosa che dire che egli è malato) ed anche se
mantiene la dialettica latente/manifesto.
La problematica nella quale si inscrive la posizione e la funzione di porta-parola è per me
quella del soggetto del gruppo, in quanto soggetto dell'inconscio. Se ho fatto ricorso al
concetto di funzione forica è essenzialmente per rendere intelligibili certi effetti
dell'intersoggettività nella formazione e nei processi dell'inconscio: nei meccanismi che lo
producono, nelle alleanze, patti e contratti che lo sostengono, ma anche nelle facilitazioni
associative che contribuiscono ad aprire le vie del ritorno del rimosso.
La psicologia sociale di Pichon-Rivière
Pichon-Rivière ha svolto il ruolo di pioniere che ha dato il via e nutrito le ricerche portate
avanti dai suoi successori in Argentina, in numerosi paesi dell'America latina e nella diaspora
conseguente all'esilio di fronte alla dittatura. Certe dimensioni politiche possono far luce sulla
sua opera: il suo interesse per la psichiatria sociale, per la formazione degli adulti, la
didattica20, esprime l'uomo, il contesto sociale- politico di questa regione dell'America latina.
È indicativo che lo sviluppo del suo pensiero si riferisca progressivamente e prevalentemente
alla psicologia sociale, troviamo testimonianza di ciò che scrive nel 197221 e che ricapitola
molto bene le ipotesi della sua ricerca: «La psicologia sociale a cui ci rivolgiamo si inscrive in
una critica della vita quotidiana. Chi trattiamo è l'uomo immerso nelle sue relazioni
quotidiane. La nostra coscienza di queste relazioni perde il suo carattere banale nella misura
in cui lo strumento teorico e la sua metodologia ci permettono di ricercare la genesi dei fatti
sociali. Noi condividiamo dunque la linea di pensiero a cui ha dato inizio H. Lefèbvre secondo
il quale le scienze sociali trovano la loro realtà nella "profondità senza misteri della vita
quotidiana". La psicologia sociale che noi ipotizziamo ha come oggetto di studio lo sviluppo e
la trasformazione di una relazione dialettica che si stabilisce tra la struttura sociale e la
fantasia inconscia del soggetto, e che poggia su relazioni fondate sui bisogni del soggetto. In
altre parole si tratta della relazione tra la struttura sociale e la configurazione del mondo
interno del soggetto, relazione che è affrontata attraverso la nozione di legame.
Nella nostra concezione Tessere umano è un essere di necessità che non possono che essere
soddisfatte che socialmente, nelle relazioni che le determinano. Il soggetto non è soltanto un
soggetto in relazione, ma anche un soggetto prodotto in una prassi: non c'è niente in lui che
non sia la risultante dell'interazione tra individuo gruppo e classi.
Essendo questa relazione l'oggetto della psicologia sociale, il gruppo costituisce dunque il
campo operazionale privilegiato di questa disciplina e ciò in relazione al fatto che permette la
ricerca tra lo psicosociale (gruppo interno) ed il sociodinamico (gruppo esterno) attraverso
l'osservazione delle forme d'interazione, dei meccanismi attraverso i quali i ruoli vengono
aggiudicati ed assunti. Ed è l'analisi delle forme d'interazione che ci permette di formulare le
ipotesi sui processi che le determinano.
In quanto disciplina che studia l'interazione secondo questi due aspetti, intersoggettivo
(gruppo esterno) e intrasoggettivo (gruppo interno), la psicologia sociale è significativa,
direzionale ed operazionale. Essa è orientata verso una prassi da qui il suo carattere
strumentale e il suo punto di partenza: la pratica. La concettualizzazione dell'esperienza di
questa pratica realizzata con l'aiuto di critica e di autocritica offre la possibilità di feed-back e
di correzione della teoria e tutto questo per mezzo di meccanismi di rettificazione e di
ratificazione che permettono di raggiungere un'obiettività crescente. Ne risulta un
20
Le idee ed il modello di gruppo operazionale d'apprendimento di Pichon-Rivière sono state confrontate
ed associate al modello pedagogico di Paolo Freire nella cornice delle ricerche sulla «pedagogia degli
oppressi». Cfr. P. Freire e A. de Quiroga (dir. Pubi.), El proceso educativo segun Paolo Freire y Enrique
Pichon-Rivière, Buenos Aires, Ediciones Cinco, 1985.
21
Pichon-Rivière in collaborazione con A. de Qiroga «Controbutions à la didactique de la psychologie
sociale», estratti dell'articolo pubblicato nel numero 23, 1994, della Revue de Psychothérapie
psychanalytique de Groupe. Ho fatto alcune citazioni alla fine di quest'articolo.
Interazioni, 1, 7, 1996, pp. 18-38
andamento a spirale che permette di elaborare una logica e di costruire una strategia.
Servendosi della tattica e della tecnica, questa strategia renderà operative le differenti
pianificazioni e ciò affinché il cambiamento sperato, che suppone il pieno sviluppo
dell'esistenza umana attraverso la modificazione mutuale dell'uomo e della natura, possa
realizzarsi».
Risulta più chiaro attraverso questo testo, come certe parole semanticamente identiche
descrivano approcci e concetti molto differenti secondo l'orientamento delle nostre rispettive
ricerche. Ma come non essere nuovamente sensibile, al termine di questo breve percorso, al
tentativo comune di proporre dei modelli destinati a rendere intelligibile questo problema
ancora così oscuro e troppo vagamente formulato: quello dei rapporti che intrattiene il
singolo individuo e l'insieme intersoggettivo che egli forma con gli altri e che, in parte, lo
costituisce.
Traduzione di Francesco Borgia.
Tratto da Revue de Psychothérapie Psychanalytique de Groupe, n. 23, 1994.
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