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Anno L n.4 - ottobre-dicembre 2012 - Spedito nel mese di novembre 2012 - Poste Italiane s.p.a.- Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) - art. 1, comma 2, CDM BG
IL SOSTEGNO A DISTANZA
UN NUOVO AMICO
PER
NATALE
Sommario
1
EDITORIALE
Il cappuccino è colui che va
dove nessuno vuole andare
35
2
A Roma è stato riconfermato
fra Mauro Jöhri
J
come Ministro Generale
dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini
38
2
50º DI FRA MARCANTONIO PIROVANO
EMMECINOTIZIE
Da Ministro Provinciale a Definitore Generale
dell’Ordine dei cappuccini
Benvenuto a fra Giuseppe
al Centro Missionario di Milano
Le omelie di Mons. Luigi Padovese
raccolte in un volume
Il nostro impegno
p g di aiuto
nelle zone colpite dal terremoto
2
Non avrei mai p
potuto immaginare
una vita più felice
3
RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI
Un frate fatto orazione
42
I missionari, speranza per il futuro
4
Lotta alla “piaga di Buruli”
Sostegno alle famiglie
Scuole di formazione femminile
Foyer “San Francesco d’Assisi”
Formazione dei seminaristi Cappuccini
Il calendario 2013:
dalla Costa d’Avorio arriva la speranza
6
8
10
11
12
I “piedi”del missionario
frei Elia Baldelli
46
PROGETTI IN COSTA D'AVORIO
13
FRA GIANLUCA LAZZARONI
Un seme di vocazione
che è germogliato
TRENT'ANNI IN CAMERUN
Una missione ormai matura
14
17
22
Il diritto di lamentarsi…
26
Dal Camerun per il Papa
28
Un nuovo amico per Natale
Oddio cosa ci faccio qui?
48
Semplicemente tieni aperto il cuore
49
Hanno fabbricato sorrisi
52
Il nostro piccolo e costante aiuto
54
Fra i poveri con la fiducia in Dio
56
Incontri formativi
volontari in missione
58
SPIRITUALITÀ
La Missione: dare se stessi
per il Vangelo
IL SOSTEGNO A DISTANZA
VOLONTARI IN MISSIONE
40
31
Frei Alberto Beretta dalle sue foto
“Jesus
J
autem, intuitus eum,
dilexit eum...
eum...”
60
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Editore: MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS
P.le Cimitero Maggiore, 5 - 20151 Milano
Aut. Trib. di Milano n. 6113 del 30-11-62
Direttore editoriale: Mauro Miselli
Caporedattore: Alberto Cipelli
Redattori: Marino Pacchioni, Agostino Valsecchi,
Paoletta Bonaiuto, Matteo Circosta, Madalin Galliani,
Lorenzo Mucchetti, Marina Renna, Elisabetta Viganò
Direttore responsabile: Giulio Dubini
Grafica: Anna Mauri
Realizzazione e stampa a cura della Editrice Velar, Gorle (BG)
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7
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Editoriale
Cari fratelli,
che cosa sarebbe la nostra vita senza speranza? Possiamo dire che la
speranza è come il motore che ci permette di muoverci e di andare
avanti. Eppure, se guardiamo alla nostra vita, vediamo che sono
diversi i modi del nostro sperare. C’è chi spera di vivere meglio, di
avere più denaro; c’è chi spera di avere più tempo libero; chi spera
di stare bene. Tutti sperano in qualcosa. Per noi cristiani, accanto a
queste giuste speranze umane, ce n’è una che è più importante di
tutte: è la speranza che viene dalla nascita di Cristo. Gli uomini hanno sempre sperato in
un profeta, in un salvatore che annuncia la salvezza. Noi riconosciamo che questo Salvatore
ci è stato dato in Gesù. Per la fede cristiana egli non soltanto annuncia la salvezza, ma ce
la offre nella sua persona. I nostri fratelli musulmani credono che Gesù sia profeta; noi
crediamo che sia figlio di Dio, non nel senso carnale, ma nel senso che appartiene alla
sua essenza e da Lui proviene. Eppure, sia per i musulmani che per i cristiani una cosa
è chiara: se Dio ha mandato a noi Gesù, vuol dire che s’interessa di noi. E se ha questo
interesse, significa che non gli siamo indifferenti, ma che anche, anzi, egli ci ama. Cosa è
allora il Natale se non la celebrazione dell’amore di Dio per ogni uomo? È un amore che
si è fatto carne e che ci ricorda che Dio è con noi, Dio è per noi. Egli continua ad essere
l’onnipotente, ma nella nascita di Gesù ci mostra che è anche onnipotente nell’amore.
Cari fratelli, la tentazione che abbiamo spesso, è quella di misurare Dio con un metro
umano, rinchiuderlo nei confini del nostro pensiero. Guardiamo alla storia: ancora oggi
ci sono terroristi che uccidono nel nome di Dio e altri che li combattono nel suo nome.
Tutti invocano Dio e questo mostra quali implicazioni pratiche contradditorie si dicano
nel riferirsi a Lui. Dove sta Dio se ciascuno usa il Suo nome per sostenere la sua idea o,
addirittura, la sua ideologia? Nella legge che Mosè ha ricevuto sul Monte Sinai c’è anche
un comandamento che dice “Non nominare invano il nome di Dio”. Questo significa: “non
usare il mio nome per i tuoi fini; non fare di me uno strumento per ottenere quello che
vuoi”. Certo, per noi cristiani la nascita di Gesù è, e rimane, un segno chiaro che Dio ama
ogni uomo, anche il più piccolo ed insignificante. Questa è la verità che siamo invitati a
riconoscere ed a praticare nella nostra vita. Come scriveva il mistico Yunus Emre in una
sua poesia: “è necessario guardare con mille occhi chi il Signore Iddio ha colmato del Suo
sguardo. Quando penso a chi da Lui è stimato, come posso disprezzarlo io?”.
Viviamo dunque questa festa del Natale come un’occasione per fare pace tra noi perché
questa è la volontà di Dio. Gli angeli, alla nascita di Cristo, hanno cantato “Gloria a Dio
nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Che questa sia anche la
nostra preghiera di questa notte (giorno): “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra
agli uomini di buona volontà”.
Mons. Luigi Padovese
Omelia per il Natale 2006 tratta da “La verità nell’amore. Omelie e scritti pastorali
di Mons. Luigi Padovese” a cura di fra Paolo Martinelli, ETS 2012
1
EMMECINOTIZIE
Da Ministro Provinciale
a Definitore Generale
dell’Ordine
dei cappuccini
Assistente federale della
Federazione S. Chiara delle
Clarisse Cappuccine della
Thailandia (oltre 100 sorelle
residenti in 7 monasteri).
Rientra in Italia per
accudire i genitori entrambi
30 agosto 2012, durante
ammalati, ed è assegnato al
la celebrazione a Roma
convento di Cerro Maggiore
dell’84° Capitolo ordinario
(MI). Eletto Definitore
dei Frati Minori Cappuccini,
provinciale viene destinato
il nostro Ministro Provinciale,
allo Studentato teologico di
fra Raffaele Della Torre,
Milano come Maestro degli
è stato eletto come Definitore
studenti. Dal 2005 al 2011
(Consigliere) generale
è Vicario provinciale; nel
dell’Ordine. Fra Raffaele
febbraio 2011 diventa Ministro
è nato e cresciuto a Busto
provinciale dei Cappuccini di
Arsizio (VA) nel 1955, e dopo
Milano. Ora, dopo poco più
essere entrato nell’Ordine dei
Cappuccini ha emesso la prima di un anno e mezzo, è stato
chiamato a svolgere
professione nel 1978 e la
professione perpetua nel 1981. un servizio non più solo per
i Cappuccini di Milano, ma
Terminati gli studi di teologia
per i frati di tutto il mondo.
è stato ordinato presbitero
A lui i nostri complimenti ed i
nel 1982, e destinato alla
migliori auguri perché continui
parrocchia di S. Maria Assunta
a svolgere con passione il
alla Certosa (MI), in qualità di
suo servizio a favore di tutto
vicario parrocchiale. Nel 1983
l’Ordine cappuccino. Q
con altri tre confratelli fonda
la Comunità terapeutica
il Molino per il recupero di
giovani tossicodipendenti,
situata a Noviglio (MI) di cui
sarà responsabile e direttore.
Dal 1988 al 1991 è Guardiano
e Maestro del post-noviziato
a Cremona. In seguito, per
rispondere alla vocazione
missionaria, parte per la
Thailandia, dove rimane
fino al 1999 svolgendo vari
servizi: delegato del Ministro
provinciale, Guardiano e
Maestro di formazione,
Il
2
Benvenuto a
fra Giuseppe
al Centro
Missionario
di Milano
Il nostro impegno di aiuto
nelle zone colpite dal terremoto
A
bbiamo preso contatti
con il Parroco di Cavezzo,
Don Giancarlo Dallari,
conosciuto da tanti anni, e
dopo una visita in cui ci siamo
resi conto della drammatica
situazione provocata dal
terremoto, abbiamo fatto una
promessa di aiuto.
Il nostro contributo sarà unito
a quello di altri – Caritas
Italiana e gemellaggio con
Diocesi – in quanto la spesa
generale da sostenere è molto
elevata – il Parroco parla di
1.000 euro al m2 più i costi
per le infrastrutture per una
superficie di circa 250m2 –
e servirà:
1. Alla costruzione di una
sala polivalente in legno
perché i tempi saranno lunghi
per il recupero della Chiesa:
è crollato tutto il tetto e
dovranno verificare anche
la tenuta della struttura in
generale. La Diocesi di Modena
sta coordinando le direttive su
come procedere.
La nuova sala polivalente
dovrebbe essere costruita
adiacente al teatro, pure
gravemente lesionato, e vi
troveranno posto la Chiesa,
le aule per il catechismo, per
D
a settembre
fra Giuseppe
Lecchi è entrato
a far parte della
grande famiglia
del Centro
Missionario di
Milano Musocco.
Missionario
da circa 25
anni in Costa d’Avorio e
innamorato della missione
ora che è rientrato in Italia
può continuare il suo lavoro
a sostegno dell’Africa e delle
altre missioni mettendo le
sue doti di organizzazione,
accoglienza e simpatia al
servizio dell’animazione
missionaria della Provincia
lombarda. A lui i nostri più
cari auguri e una preghiera
perché il suo nuovo incarico
missionario sia ricco di
soddisfazioni e di bene.
I frati del centro
missionario
Le omelie
di Mons. Luigi
Padovese
raccolte
in un volume
A
due anni dalla barbara
uccisione in Turchia, esce la
raccolta “La verità nell’amore.
Omelie e scritti pastorali di
Mons. Luigi Padovese” (Edizioni
Terra Santa, 2012) con il preciso
fine di mantenere viva la
memoria del Vescovo cappuccino
e a testimonianza della sua
profonda opera di apostolato
in terra musulmana. Il volume
curato da fra Paolo Martinelli
permette di approfondire e
divulgare l’eredità spirituale
e culturale di questo grande
“uomo di comunione”; non
solo singolare figura di teologo
sapiente esperto di Padri della
Chiesa e delle origini cristiane,
gli incontri di gruppi giovanili
legati alla Parrocchia e per le
varie attività parrocchiali.
2. Alla ricostruzione della
scuola materna parrocchiale
dedicata a San Vincenzo de’
Paoli, gravemente lesionata e
inagibile. Anche in questo caso
è urgentissimo trovare una
soluzione provvisoria affinché
i bimbi possano continuare
l’attività scolastica.
Abbiamo già spedito 20.000
euro grazie alla pronta
sensibilità di tante persone.
Confidiamo in voi amici e
benefattori affinché con
il vostro aiuto possiamo
continuare ad aiutare questi
nostri fratelli così provati
dalla terribile esperienza del
terremoto.
Desideriamo ringraziare chi
ci ha donato 2 container che
sono stati sistemati nella
Parrocchia di Motta di Cavezzo
per accogliere documenti e
materiali parrocchiali.
Abbiamo aiutato anche il
Caseificio ‘La Cappelletta’
attraverso la vendita del loro
parmigiano reggiano in varie
nostre manifestazioni.
Grazie di cuore dai
Missionari Cappuccini
ma anche pastore appassionato
e sollecito nella cura del suo
gregge, chiamato a svolgere
il suo ministero nella terra
che ha dato i natali a San
Paolo. Con testi introduttivi
di alte personalità religiose
quali l’Arcivescovo di Milano
Angelo Scola, il Ministro
Generale dell’Odine dei Frati
Minori Cappuccini Mauro Jöhri
(recentemente rieletto in carica)
e fra Raffaele Della Torre (da poco
Consigliere generale dell’Ordine)
il libro offre davvero una raccolta
completa e approfondita degli
scritti di Luigi Padovese; scritti
che se da una parte appaiono
immediati e vanno direttamente
al cuore, dall’altra sono nutriti
da citazioni dei Padri della
Chiesa testimoniando un
profondo radicamento nella
grande tradizione della fede
cristiana e un’intelligente
apertura alle questioni che
coinvolgono la Chiesa e la società
contemporanee. Q
3
PROGETTI IN COSTA D’AVORIO
Un viaggio nella missione africana,
ma soprattutto un viaggio nei tanti
progetti di evangelizzazione e
promozione umana che i missionari
cappuccini hanno creato
e gestiscono in Costa d’Avorio.
Il loro impegno costante permette
a tante persone sfortunate di
recuperare la fiducia e la speranza
per un futuro più dignitoso
ed umano.
di Matteo Circosta
Q
uando nel 1976 i nostri Frati Cappuccini
hanno iniziato la missione in Costa
d’Avorio, non potevano immaginare
che quel legame, nel tempo, sarebbe
risultato indissolubile, qualunque cosa fosse
accaduta. E in 35 anni, di eventi che hanno
scosso la storia ivoriana, ce ne sono stati tanti,
forse troppi.
Infatti, dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla
Francia nel 1960, la Costa d’Avorio ha vissuto
vent’anni di prosperità economica, tanto da
venir soprannominata “la Svizzera d’Africa”,
soprattutto per la produzione di cacao e di caffè,
che ha raggiunto i massimi livelli mondiali.
Ma purtroppo agli inizi degli anni ’90, una
profonda crisi economica ha dato origine ad una
serie di sventure, culminate nel 1999 con i primi
colpi di stato, che si sono protratti fino
alle elezioni avvenute l’anno successivo,
in un contesto di continui scontri tra l’esercito
ed i civili scesi in piazza.
Nel novembre 2001, per sigillare un apparente
accordo di pace, si è celebrato il Forum della
riconciliazione, la cui facciata è durata solo
pochi mesi… e nel 2002 c’è stato un altro
colpo di stato, tristemente degenerato in
guerra civile, che ha spezzato il paese in due
parti: il nord ed il sud.
Durante l’ultimo decennio, si sono susseguiti
tanti accordi di pace, tutti inesorabilmente
falliti, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando le
recenti elezioni, svoltesi in un clima surreale di
guerra civile sotto i bombardamenti nazionali
ed internazionali, hanno sconvolto la città di
Abidjan, ma hanno anche dato luce ad un
nuovo mandato presidenziale che si è prefissato
di portare finalmente la pace in questa terra
e di far vivere in serenità questo popolo, che
amiamo profondamente da più di 35 anni.
Nulla, di tutto quello che è successo,
ci ha fatto desistere.
Nemmeno le rapine a mano armata avvenute
in convento; nemmeno la salvezza arrivata
provvidenzialmente perché riconosciuti come
“quelli che aiutano i bambini malati” e come
“quelli che fanno giocare tutti i nostri ragazzi”…
anche se chi pronunciava queste frasi, mentre
decideva il da farsi, ci puntava una pistola in
faccia; nemmeno gli spari che hanno colpito
il nostro ospedale di fianco al convento;
nemmeno la fuga di notte nella foresta,
tenendo per mano malati, donne e bambini,
per decine di chilometri.
Nulla di tutto questo ci ha fatto
desistere.
I missionari,
Ed ora è finalmente giunto il momento di
risorgere, di riprendere la normalità in tutte
quelle situazioni che, pur non essendo mai
state abbandonate, hanno sofferto le ansie
della guerra.
Attualmente in Costa d’Avorio siamo presenti
a Abidjan, Alépé e Zouan-Hounien, e
ricominceremo a parlare delle nostre opere
missionarie: contro la “piaga di Buruli” e
la malnutrizione infantile; a favore della
formazione femminile e dell’accoglienza
dei giovani più bisognosi; fino ad arrivare al
sostegno, mai interrotto, rivolto a tutte
quelle famiglie, specialmente dell’ovest,
che dal 2002 hanno vissuto in prima
persona il dramma della guerra.
speranza per il futuro
5
PROGETTI IN COSTA D’AVORIO
L
a piaga di Buruli, simile alla lebbra, è
una malattia endemica causata da un
batterio che provoca necrosi e piaghe
sempre più ampie e profonde, che
iniziando dalla pelle raggiungono le ossa.
La regione di Zouan-Hounien, nell’estremo
ovest della Costa d’Avorio, è ritenuta dal
Ministero della Salute una zona endemica
per questa malattia, che nella maggior
parte dei casi attacca proprio i bambini,
che contraggono il tremendo morbo
semplicemente giocando nell’acqua.
Per far fronte a questa emergenza, abbiamo
iniziato una stretta collaborazione con
l’ospedale statale di Zouan-Hounien, che
grazie ad un nostro intervento, ha potuto
riaprire un intero padiglione e adibirlo
totalmente alla cura ed all’assistenza dei
malati di quest’ulcera, che vengono seguiti
quotidianamente dal personale sanitario
del “Programma nazionale di lotta contro la
piaga di Buruli”.
I responsabili dell’ospedale ci hanno
anche pregato di estendere la nostra
collaborazione alla fornitura dei medicinali,
al trasporto dei pazienti più gravi e alla
sensibilizzazione dei villaggi.
Infatti, stiamo fornendo in modo continuativo
gli “stock” di materiale sanitario e di farmaci,
indispensabili all’ospedale statale per
assicurare la lotta alla piaga di Buruli.
Il valore di queste medicine è di 2.500.000
F CFA, pari a 3.800,00 euro; tale importo ci
permette di evitare la “rottura dello stock”,
come purtroppo si sente spesso dire nelle
regioni ivoriane dove siamo presenti… ed
ogni volta che un ambulatorio vive questa
triste realtà, i malati vengono lasciati a loro
stessi, destinati al peggioramento della loro
situazione. Il nostro impegno è perché questo
non accada; i medicinali vengono stoccati
direttamente all’interno della nostra missione,
per poi essere prelevati da un’infermiera
designata ufficialmente dal medico del
Distretto sanitario: Suor Blandine, che la
Provvidenza ha inviato nella comunità di suore
che risiede in parrocchia a Zouan-Hounien.
Il vantaggio che deriva dalla presenza di
questa Sorella, infermiera professionale
all’interno dell’ospedale statale, è enorme!
Suor Blandine non solo è ivoriana, ma è
proprio originaria di questa regione ed oltre
al francese, parla anche la lingua “yacouba”,
che viene usata in molti villaggi.
Lotta alla “piaga di Buruli”
Tra i malati di questa regione, alcuni
vengono curati e ricoverati direttamente
all’interno dell’ospedale statale di ZouanHounien, mentre quelli che necessitano di
accurate operazioni chirurgiche, vengono
trasferiti nei centri specializzati di Adzopé
o di Zoukougbeu, gestiti da religioseinfermiere e nei quali è presente del
personale sanitario altamente specializzato,
soprattutto per quanto riguarda i chirurghi
che effettuano gli interventi di trapianto
della pelle.
Come frati cappuccini sosteniamo le spese
di trasporto dei malati più gravi, sempre
accompagnati da almeno un parente; è
importante evidenziare che nella catena
della solidarietà della quale facciamo parte,
ogni soggetto offre le proprie competenze
per giungere al risultato che tutti vogliamo:
la guarigione dei pazienti, il ritorno del
sorriso ai bimbi, che finalmente possono
tornare ad una vita normale.
Per completare la nostra opera nella lotta
alla piaga di Buruli, stiamo anche attuando
una campagna di sensibilizzazione, passando
di villaggio in villaggio, percorrendo piste
sterrate e sentieri nella foresta, per poter
incontrare tutte le genti, anche le più isolate.
Secondo lo studio ed il programma tracciato
dal direttore del Distretto sanitario, bisogna
percorrere ben 1.415 chilometri per
raggiungere tutti i villaggi!
Ma senza una prevenzione seria e
scrupolosa, non riusciremo mai a sconfiggere
questa pandemia; la cura del malato è
necessaria e doverosa, ma la vera lotta
inizia con l’istruzione e la sensibilizzazione,
che prima di ogni altro accorgimento,
prevengono la formazione delle piaghe,
altrimenti destinate a diventare grosse ulcere
che possono segnare per sempre il corpo…
che spesso è il corpicino di un bimbo… con
conseguenti cicatrici ed handicap invalidanti.
La prevenzione è inoltre l’unico deterrente
veramente efficace per interrompere
l’espansione della piaga; infatti se si
riconoscono in tempo i sintomi caratteristici
(noduli, placche, edemi, ulcerazioni della
pelle), è possibile debellare la malattia in
poco tempo e con brevi cure non invasive.
Per far fronte a questa nuova sfida,
abbiamo voluto iniziare dando una risposta
molto concreta: grazie alle donazioni dei
benefattori, abbiamo raggiunto l’importo
necessario per l’acquisto di due moto! Una
delle quali, guidata da un infermiere, ha già
iniziato a scorrazzare per le strade impervie
ed infangate della regione di Zouan-Hounien;
il desiderio di acquistare una seconda
moto invece… anch’essa indispensabile e
sostenuta dal cuore enorme di un gruppo
di amici delle nostre missioni… è ancora
temporaneamente bloccato a causa degli
ultimi strascichi che la guerra ha lasciato…
ma è nostra premura smuovere le acque al
più presto e comunicare tutte le novità.
7
PROGETTI IN COSTA D’AVORIO
G
li scontri militari avvenuti
nell’ultimo decennio, hanno
avuto un impatto terribile sulla
popolazione di Zouan-Hounien,
che in questa regione ha sperimentato
anche l’isolamento; infatti solo una pista
sterrata, quasi impraticabile durante il
periodo delle piogge, permetteva di
accedere al resto del paese.
L’isolamento geografico, unito alle
tensioni derivanti dalla continua guerriglia,
accresceva anche l’isolamento psicologico,
e sentendosi abbandonati quasi da tutti,
gli abitanti stavano maturando l’idea di
lasciare le proprie terre per andare altrove,
sperando in un futuro migliore; ma la fuga
li avrebbe spinti solo all’interno di campi
profughi stranieri, oppure ad ingrandire
le periferie degradate delle grandi città…
conducendo una vita di stenti, sorretti solo
da una flebile speranza… che presto si
sarebbe rivelata vana.
Come Missionari Cappuccini non potevamo
rimanere indifferenti di fronte a questa
drammatica situazione, ed è proprio
respirando questo clima che è maturata
l’idea di dar vita a diverse attività sociali,
tutte con lo scopo principale di aiutare il
maggior numero possibile di famiglie!
“Cooperativa Agricola Famiglia
di Nazaret” (Coopafan)
Attraverso la “Coopafan” forniamo sementi
di riso e di mais, permettendo così alle
persone più bisognose di ricominciare a
vivere del proprio lavoro nei campi.
Orti ed Allevamenti
Gruppi di donne vengono istruite sulle
tecniche botaniche, fino al raggiungimento
della piena autonomia, ossia quando
riusciranno a svolgere tutte le attività con
i propri mezzi e le proprie conoscenze.
Inoltre vengono donati degli ovini a gruppi
di giovani, che a loro volta, nelle stagioni
seguenti, ne doneranno a persone ancor
più bisognose.
“Fabbrica del Sapone”
Sostegno alle famiglie
Un grande contributo sociale deriva
dalla saponeria, dove 60 donne sono le
protagoniste della produzione e della
vendita di sapone.
Grazie agli introiti che vengono conseguiti
durante le esperienze iniziali, le ragazze
riescono ad integrare il proprio bilancio
familiare, per poi dar vita a vere e proprie
attività private, con le quali apportano
benefici a tutta la loro famiglia, e
soprattutto… riescono a raggiungere
una totale autonomia: traguardo molto
importante per una giovane donna ivoriana.
Accompagnamento Sanitario
Il supporto che offriamo alle famiglie
abbraccia anche l’assistenza ai neonati
malnutriti e in difficoltà, ai bimbi e agli
adulti disabili, alle persone affette da
malattie croniche, e quando possibile…
sosteniamo varie operazioni chirurgiche:
parti cesarei, appendiciti, ernie e
anche interventi agli arti infermi e alle
malformazioni ai piedini e alle ginocchia.
Tutti i nostri sforzi, per costruire assieme
agli abitanti di Zouan-Hounien un futuro
sereno e fiducioso, sono stati premiati
anche dall’amministrazione comunale,
che ha deciso di ricominciare ad investire
in tutti i principali servizi: sanità, scuola,
posta, energia elettrica, acqua potabile…
motivata dalla numerosa presenza di
abitanti, che hanno deciso assieme a noi
di non abbandonare le proprie terre.
9
PROGETTI IN COSTA D’AVORIO
S
empre a Zouan-Hounien,
un’importante opera scolastica
“Saintes Marthe et Marie”, fornisce
l’istruzione a più di 80 ragazze
che non sono mai potute andare a scuola,
oppure che hanno dovuto abbandonarla per
motivi economici, o culturali: frequente è
infatti la gravidanza precoce, e spesso sono
le famiglie stesse che danno la priorità alla
scolarizzazione dei figli maschi.
La nostra scuola si pone l’obiettivo di
istruire le ragazze attraverso corsi triennali
di alfabetizzazione, formazione umana e
spirituale.
L’obiettivo di tale progetto è quello di
mettere le ragazze al riparo dai rischi,
offrendo le conoscenze essenziali per poter
iniziare un lavoro, che possa permetter loro
una dignitosa opportunità di vita, nella
coscienza dell’importanza del valore
della donna.
Attraversando gran parte del paese, ci
lasciamo alle spalle l’estremo ovest… e
dopo molte ore di distanza (il “tempo” è
infatti l’unità di misura degli spostamenti)…
giungiamo nella Regione delle Lagune, in
modo particolare nella città di Alépé, situata
a 45 chilometri dalla capitale economica
Abidjan.
L
Anche ad Alépé abbiamo un importante
centro di formazione: “La Paix”, che forma
decine di ragazze tra i 13 ed i 25 anni
con corsi di taglio e cucito, tintura di stoffe,
uncinetto e ricamo, cucina ed attività
domestiche, ma anche alfabetizzazione,
formazione umana e religiosa.
Al termine della scuola, le ragazze ricevono
in dotazione la macchina da cucire con
la quale hanno lavorato: un gesto che
vuol proseguire l’accompagnamento,
facilitandone l’entrata nel mondo del lavoro.
Scuole di
formazione femminile
a città di Alépé, già in espansione come
polo scolastico, dopo i recenti disordini
militari ha visto incrementare ancor di più
l’immigrazione di studenti, provenienti
dai numerosi villaggi dell’interno della Costa
d’Avorio. Agli inizi degli anni ‘80, i nostri
Missionari Cappuccini che erano presenti
nell’area di Alépé, incontravano molti giovani
che avevano lasciato le rispettive famiglie per
poter frequentare la scuola; tutti arrivavano
da soli, in balia dei pericoli della città, che
per loro rappresentava un mondo nuovo e
completamente sconosciuto.
Siccome non esistevano luoghi adeguati per
accogliere e seguire tutti questi studenti, che
si apprestavano a vivere gli anni più importanti
della loro formazione scolastica e soprattutto
umana, bisognava fare qualcosa per aiutarli:
nacque così il Foyer “San Francesco d’Assisi”!
Oggigiorno, il Foyer accoglie 111 giovani
(di età compresa tra gli 11 e i 19 anni)
delle scuole superiori ivoriane, ed è dotato
di stanze-dormitorio, sale studio e una
biblioteca con libri scolastici e di ricerca; questi
testi sono importantissimi perché la maggior
parte dei ragazzi non può permetterseli, e
sarebbe quindi obbligata a seguire le lezioni
senza i sussidi necessari.
Per rispondere anche alle esigenze sportive, ci
sono due campi da calcio, che permettono ai
nostri giovani di potersi divertire in compagnia,
durante i momenti liberi e di svago.
La struttura svolge, al limite delle proprie
possibilità, un’ammirevole opera di
accoglienza: mai in passato abbiamo raggiunto
il numero massimo di 111 ragazzi!
Ma obbedendo all’originaria vocazione sociale,
anche questa è la risposta che
vogliamo dare ad una vera e
propria “emergenza alloggi”,
già cronica ad Alépé, ma ancor
più grave ed evidente negli
ultimi due anni.
Nella nostra gestione del Foyer,
che garantisce alloggi
dignitosi e le migliori
condizioni per poter studiare, è sempre
presente l’intenzione di mantenerci da soli,
attuando un’economia di autofinanziamento;
ma le molteplici difficoltà che incontriamo ogni
anno, sia di natura ordinaria che straordinaria,
ci impediscono di raggiungere tale obiettivo,
anche perché il contributo che riceviamo da
parte delle famiglie dei giovani che accogliamo,
rappresenta solo un importo simbolico, che
serve più che altro a responsabilizzare i genitori
nei confronti dei propri figli.
In un futuro prossimo, abbiamo anche il
desiderio di proporre un’offerta formativa
integrativa, che possa colmare almeno in parte
le lacune del sistema scolastico ivoriano.
Comunque, il nostro obiettivo principale rimane
quello di dare la possibilità ai giovani studenti
di sviluppare in modo equilibrato la propria
personalità, crescere insieme e ricreare
un clima familiare, indispensabile
per costruire serenamente
un futuro.
Foyer
“San Francesco
d’Assisi”
Il calendario 2013:
dalla Costa d’Avorio
arriva la speranza
PROGETTI IN COSTA D’AVORIO
Il nuovo calendario realizzato dai Missionari Cappuccini
è un viaggio nella missione della Costa d’Avorio,
ma è prima di tutto un viaggio nella speranza.
La speranza della povera gente, ma anche la speranza
di tutti noi che possiamo, nonostante tutto, ancora
testimoniare, lottare e credere in un futuro fatto di
solidarietà e di fiducia in Dio.
di Alberto Cipelli
R
imanendo nella Regione delle
Lagune, siamo presenti anche
ad Abidjan, la città più popolosa
della Costa d’Avorio (5,6 milioni
di abitanti); all’interno di questa nostra
fraternità, come ad Alépé, affianchiamo alle
opere di evangelizzazione e di promozione
umana, la formazione dei seminaristi
cappuccini, che con il loro entusiasmo e la
loro vitalità, interpretano un cristianesimo
e un francescanesimo-cappuccino nuovi,
radicati nella tradizione ma con lo sguardo
verso il futuro… quando la maturità cristiana
di questo popolo, già profondamente
spirituale, sosterrà anche le nostre realtà
europee, troppo sicure dei traguardi già
Sulle ali della speranza
raggiunti in passato, e cristianamente
intorpidite da una Lieta Notizia che
purtroppo non è più sentita come quella
Novità che deve sconvolgere positivamente
la vita di ognuno di noi, ogni giorno.
Per concludere, riconoscenti a tutti i
nostri Missionari Cappuccini che svolgono
la propria opera in Costa d’Avorio,
vogliamo esprimere un ringraziamento
particolare anche ai loro scritti, grazie ai
quali è stato possibile redigere questo
articolo, che vuol essere solo l’inizio
di quel processo che ci permetterà
di conoscere sempre meglio questa
importante e bellissima missione. Q
Formazione dei
seminaristi Cappuccini
“Voi non seminate e non
mietete, e Iddio vi pasce
e davvi li fiumi e le fonti
per vostro bere, e davvi li
monti e le valli per vostro
refugio. Onde molto v’ama
il vostro Creatore”.
C
osì san Francesco nella
predica agli uccelli,
parafrasando le parole del
Vangelo, sottolinea il concetto
di speranza che la libertà del
volo sembra evocare. Chi di
noi non ha mai desiderato di
volare via, lontano da tutto
ciò che gli sta intorno e lo fa
soffrire sognando qualcosa
di migliore? Il missionario
ha scelto invece di offrire
speranza proprio recandosi in
quei luoghi dove c’è davvero
bisogno di aiuto. Il suo lavoro
fra le persone povere non
le incoraggia a fuggire alla
ricerca di qualcosa di più
bello, ma le sprona perché
il volo avvenga dentro
il loro mondo. Le azioni
principali – evangelizzazione
e promozione umana –
sottintendono un grande
valore anche perché si
realizzano in quegli stessi
luoghi e nella fiducia in Dio.
E la speranza è, oggi più che
mai, una necessità anche per
tutti noi cittadini di un mondo
occidentale fortunato che
attualmente vacilla, faticando
a nascondere ampie sacche
di crisi, sofferenza, povertà
e degrado. È uno stimolo ad
impegnarci, con la certezza
che possiamo invece
alzare di nuovo la testa.
In quest’ottica le persone
immortalate nel calendario
da Elena Bellini durante il
suo viaggio nella povera e
dilaniata missione della Costa
d’Avorio, possono davvero
offrirci qualcosa. È un viaggio
dentro la missione con scatti
rubati nei quartieri poveri,
fra la gente, nei luoghi dove
i missionari hanno davvero
fatto qualcosa per un popolo
che ha tanto bisogno. Il
viso di un bimbo, il sorriso
rubato, un gesto... ci fanno
percepire che la speranza
esiste e che ancora la si può
sognare. Se qualche volta
sale in noi il desiderio di
essere leggeri come uccelli,
forse possiamo sentirci vicini
a tutte queste persone che,
nonostante le differenti
circostanze di vita, hanno le
nostre stesse aspirazioni e in
fondo in fondo la medesima
speranza: liberarsi dalle ansie
del quotidiano per volare nel
cielo con le ali spiegate che
danzano nel vento. Q
Calendario 2013
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ioo 2013
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Fotografi
Fotografie
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dii Elena
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sulle ali della speranza
Disponibile nel formato
da parete (cm 35x24)
e nel formato da scrivania
(cm 15x10,5)
13
FRA GIANLUCA LAZZARONI
Un seme di vocazione
che è germogliato
Fra Gianluca Lazzaroni 25 anni fa diceva sì alla vita fraterna, e oggi ricorda
le tappe che lo hanno condotto a questa sua importantissima scelta
vocazionale. Missionario in Costa d’Avorio, racconta inoltre com’è vivere
in missione e il bene che può conoscere ogni giorno nonostante le guerre,
grazie alla semplicità e alla gioia di chi lo circonda.
Fra Gianluca… ci racconti come
ha conosciuto la realtà dei missionari
Cappuccini…
Il primo ottobre del 1972 era una domenica
di inizio autunno... una data che certo non
troveremo mai in un libro di storia, ma che ha
lasciato in me una traccia indelebile. Avvenne
un fatto che ricordo con nitidezza: il trasloco
della mia famiglia da Averara (BG), paesello
natio, a Mozzo, un paese molto più grande,
là dove la Valle Brembana lascia spazio alla
pianura.
Certo, fino a qualche decennio prima
l’emigrazione aveva portato un gran numero
14
di miei compaesani molto più lontano...
noi invece ci fermammo nella periferia di
Bergamo, un po’ come fanno i sassi del
Brembo che rotolano a valle in occasione delle
piene periodiche! In realtà questo fu soltanto
il primo di una lunga serie di “traslochi”, che
hanno poi costellato il trascorrere dei miei
anni fino ad oggi. Non è stata un’“avventura”
pianificata e organizzata da un’agenzia di
viaggi, ma sicuramente Qualcuno aveva ben
fatto il programma. Quel primo trasferimento
fu per me un piccolo shock, perché nella nuova
città non conoscevo nessuno. Verso la quarta
elementare però, andai in colonia sulla riviera
Ricordi e
riflessioni
nel 25°di
professione
religiosa
adriatica, e proprio su quelle spiagge ho
incontrato due simpatici frati “pescatori” e...
sono rimasto impigliato nella rete! Dopo
questo primo incontro mi hanno invitato ad
andare a trovarli nel seminario di Albino,
dove sono appunto entrato per frequentare le
medie nel settembre del 1977. Certamente
un “seme di VOCAZIONE” era a questo punto
stato seminato! Bisognava dargli il suo
tempo perché germogliasse, crescesse, si
irrobustisse. Non mi sento di dire che a 11
anni avessi una vocazione, o che sapessi già
quale sarebbe stato il mio destino, ma quegli
anni nel seminario durante le medie, mi
avevano forse un po’ riportato a quel clima
famigliare, paesano, che mi era venuto a
mancare con il trasferimento in città. Sono
poi andato a Varese per frequentare il liceo.
Proprio lì ho vissuto un incontro casuale con
fra Cornelio, venuto per fare catechesi per
la Quaresima. Proprio durante uno dei suoi
incontri, ha detto una frase, un’altra molla
che mi ha porto a decidere di intraprendere
in modo più deciso il cammino della
consacrazione: “Qui tra noi ci sono dei giovani
che sotto degli abiti normali celano il mistero
della vocazione”. Era una provocazione,
che mi ha portato a riflettere molto… non
potevo fino in fondo spiegarmi il desiderio
di consacrarmi, se non lanciandomi in modo
più convinto in questa avventura. Alla fine
del liceo ho così chiesto di poter entrare
nel noviziato dei frati cappuccini, sulle rive
del lago di Iseo, a Lovere. È stato un anno
molto intenso, uno degli anni migliori della
vita, perché si è tranquilli, si ha il tempo di
riflettere, si prega e si vivono attività insieme
con totale serenità. Alla fine del noviziato, nel
settembre del 1986, si è compiuto per me un
passo decisivo, quello della prima professione.
Sono dunque passati 25 anni
da allora…
Nel mese di maggio 2012, sebbene con un
po’ di ritardo a causa della guerra in Costa
d’Avorio, ho ricordato in Italia i 25 anni dalla
mia prima Professione religiosa, che ebbe
luogo appunto nella Basilica di S. Maria di
Lovere il 7 settembre 1986. Rendo grazie al
Signore e a tutti… è stata una bella occasione
questa per rendermi ancora una volta conto di
quanta Grazia e quanta Misericordia siano state
“riversate” con abbondanza sul mio cammino...
quanto spreco! Mi verrebbe da dire se considero
i limiti e la pochezza della mia risposta a tanta
generosità!
La prima professione è stata una tappa, un
primo punto di arrivo ma anche di partenza.
I successivi anni della formazione mi hanno
portato prima a Cremona, poi a Milano e a
Roma. L’esperienza che ricordo con più intensità
è quella vissuta come incaricato dell’accoglienza
alla portineria del nostro grande Convento del
S. Cuore in pieno centro di Milano. Era quello
un luogo dove passava moltissima gente e che
permetteva l’incontro con tantissime persone
bisognose ogni giorno, e molti immigrati, che
hanno fatto maturare in me un desiderio e un
“sogno” che vengono in realtà da lontano...
la MISSIONE! Devo qui evocare ancora ricordi
d’infanzia di due persone speciali che mi
hanno fatto conoscere da bambino il senso
della missione: padre Attilio Busi, originario di
Valtorta e cugino della mamma, missionario
comboniano in Mozambico, e padre Evasio
Grigis missionario saveriano in Zaire, incontrato
più volte ad Averara. Senza dimenticare tutti
i missionari cappuccini conosciuti negli anni
del seminario e della formazione tra i quali
vi è anche un altro nostro confratello, fra
Bartolomeo Milesi da Valtorta, missionario
per moltissimi anni nel nord-est del Brasile.
15
FRA GIANLUCA LAZZARONI
1982-2012: Trent’anni di presenza
in Camerun per i missionari cappuccini
Questi incontri avvenuti nella mia vita sono
stati posti quasi come segnali indicatori, che
mi hanno condotto alle scelte successive.
La prima domanda scritta per partire come
missionario la consegnai il primo settembre
del 1990, molti anni prima della partenza
effettiva.
Quando è dunque partito
per la missione?
Il mio “turno” è finalmente arrivato
nell’agosto del 2002: destinazione COSTA
D’AVORIO dove ancora mi trovo. Dieci anni
dunque sono passati da allora, tre dei quali
vissuti nell’altra nostra missione africana
del CAMERUN. Desiderio di avventura,
ricerca di emozioni forti, gusto dell’esotico...
in molti pensano oggi che la missione
sia soprattutto questo! E forse anche noi
missionari, che non siamo più come “quelli
di una volta”, prestiamo spesso il fianco a
questa interpretazione. Ma, grazie a Dio,
vi è soprattutto quel genuino desiderio di
condividere la propria FEDE (magari povera
e zoppicante) con i fratelli e le sorelle
lontani, per farli partecipi di un ANNUNCIO
“rivoluzionario”, quello che Gesù ha portato
in questo mondo. È stata questa la molla
decisiva che mi ha fatto desiderare di partire
missionario: il condividere la Fede che ci è
stata donata! Non mancano poi le azioni
sociali e di promozione umana, in situazioni
e paesi dove i bisogni sono immensi e
debordanti. Sono dunque queste le due
facce della missione: la testimonianza e la
condivisione da un lato, e le attività sociali e
di sostegno dall’altro, sempre e comunque
mai dissociate.
In Costa d’Avorio qual è la sua
missione? È il suo compito?
Sono responsabile di una struttura che
accoglie più di 100 studenti delle scuole
superiori in una cittadina a 50 km dalla
capitale, Alépé. Laggiù le due facce della
16
missione di cui vi parlavo sono ben presenti:
c’è attività di evangelizzazione, ma anche
un intervento sociale, con il foyer appunto,
dove aiutiamo questi ragazzi che provengono
da villaggi, anche molto lontani, offrendogli
alloggio e un ambiente adatto allo studio e
soprattutto alla loro crescita umana.
C’è inoltre un centro di educazione per
ragazze e il progetto di sostegno a distanza,
un aiuto fondamentale per le nostre missioni.
Quali sono le sue sensazioni oggi,
dopo aver vissuto 10 anni in missione?
Quando si va in missione si cerca sempre di
dare, ma è molto più quello che si riceve perché
la semplicità delle persone che si incontrano,
la loro gioia, la loro capacità di vivere e di
sopportare situazioni di disagio molto grande,
sono un elemento di arricchimento e di
insegnamento anche per noi frati.
Ci si immaginano molte cose prima di una
partenza, ma è il passare del tempo che
modella le esperienze dandogli una forma
diversa da quella che ci si aspettava.
In Africa si vedono disastri (l’ultimo decennio
della Costa d’Avorio è stato molto tormentato,
con periodi di vera e propria guerra come nel
2002-2004 e ancora nel 2011) ma siamo anche
testimoni ogni giorno del “miracolo” di come
con poco si possa a volte fare molto!
E soprattutto si vede la pazienza e la resistenza
delle persone, che ti aiutano a loro volta
a resistere alle difficoltà e alla paura della
guerra. Desidero concludere RINGRAZIANDO
di cuore tutti coloro che in questi 25 anni di
vita consacrata e 10 di missione mi hanno
accompagnato, sostenuto e aiutato. Q
Una missione
ormai matura
Il resoconto della visita alla missione del Camerun
da parte del Padre Provinciale, accompagnato da fra
Marino Pacchioni e fra Angelo Borghino, in occasione dei
trent’anni di presenza missionaria in un Paese dove il
seme gettato dai frati ha portato oggi grandi frutti.
di fra Angelo Borghino
1982-2012. Trent’anni non
costituiscono un periodo eccessivamente
lungo, se confrontato con il corso della
storia umana. Ma, come nell’esperienza
di ogni uomo i primi decenni sono decisivi
per delineare il volto di un’esistenza e
il cammino ulteriore fatto di scelte e di
impegno costruttivo (è forse un caso che
Gesù di Nazareth abbia iniziato la sua
missione all’incirca intorno ai trent’anni?),
così anche per i frati Cappuccini del
Camerun i primi trent’anni di vita hanno
costituito quel fecondo tempo di semina
e di iniziale crescita che si sta affacciando
TRENT’ANNI IN CAMERUN
ormai, in modo consapevole e con
una certa ‘giovanile’ baldanza, al
tempo della prima maturità.
Da quando nella primavera del 1982 il
primo frate (della terra di Lombardia),
fra Umberto Paris, è giunto in terra
camerunense per dare inizio ad una
presenza cappuccina nella zona anglofona,
di acqua ne è passata sotto i ponti (e non si
tratta solo di una metafora, viste le continue
piogge che pressoché giornalmente hanno
accompagnato il viaggio di cui si dà qui
resoconto). Il seme iniziale, posto nel nordovest del paese africano a circa 1700 metri
di altezza nella località di Shisong, nei pressi
di Kumbo, è diventato ormai albero che
allunga le sue radici fin quasi alle sponde
dell’Atlantico, a Buea, a 450 km di distanza.
Cinque case, con un numero di 33 frati
professi perpetui, cui vanno aggiunti i frati in
formazione iniziale: 15 studenti di teologia
e filosofia, 9 novizi, senza dimenticare i 6
attuali postulanti, più una decina di giovani
che inizieranno il cammino formativo a
settembre. Un numero apprezzabile (se
ha un senso dare peso ai numeri), che
suscita una qualche ‘santa gelosia’ qui
da noi in Europa. Otto sono attualmente
i missionari (6 italiani e 2 eritrei), tutti gli
altri camerunensi. Il seme ha dato i suoi
primi frutti, e non solo a livello di frati, ma
18
anche di opere e attività: case di formazione,
parrocchie, cura pastorale di comunità
religiose, negli ospedali e nelle carceri, attività
caritative e sociali, formazione spirituale, etc.
La visita.
Nel contesto di
questa ricorrenza trentennale si è svolta,
dal 17 luglio al 3 agosto, l’annuale visita
del Ministro provinciale dei Cappuccini di
Lombardia, fra Raffaele Della Torre, alla
Custodia di san Francesco in Camerun, nata
appunto dalla Provincia cappuccina lombarda.
Lo hanno accompagnato fra Marino
Pacchioni, del Segretariato delle missioni, e
fra Angelo Borghino, definitore provinciale.
La visita si è snodata tra un convento
e l’altro, avendo come scopo prioritario
l’incontro con tutte le fraternità, specialmente
da parte del Ministro provinciale che ha
personalmente incontrato tutti i frati professi,
per concludersi poi con una Assemblea
generale che ha visto radunata la quasi
totalità dei frati della Custodia.
Non è mancata, durante l’itinerario,
l’opportunità di incontrare anche i vescovi
delle diocesi nelle quali operano i nostri
frati. Abbiamo ricevuto da parte loro una
significativa testimonianza del lavoro svolto
dai frati, oltre a suggerimenti circa nuove
piste di presenza e di attività.
Buea. Prima tappa del nostro
itinerario, dopo lo scalo e il pernottamento
in una Douala fortunatamente poco
afosa e umida, è stata la fraternità
che si trova a Buea, cittadina situata a
870 m. di altezza circa, alle pendici del
monte Camerun, un vulcano la cui cima
supera di poco i 4.000 metri e per nulla
‘addormentato’ – lo testimonia la pietra
lavica nella baia di Limbe scesa dal monte
pochi anni orsono. La fraternità di Buea
si dedica interamente alla pastorale nella
parrocchia di S. Antonio di Padova con tre
frati – tra cui il parroco fra Tobias, il primo
cappuccino camerunense, sempre cordiale
e sorridente – in un contesto cittadino che
offre buone possibilità di lavoro pastorale e
di testimonianza del carisma francescano.
Una presenza recente – l’ultima aperta da
circa 2 anni – ma che già si sta avviando
ad un ulteriore sviluppo, con l’acquisto
di un terreno nei sobborghi della città
per la costruzione di una nuova casa di
formazione nei prossimi anni.
Il terreno promette bene con la sua flora
lussureggiante e con due rivi d’acqua
che lo attraversano, meno la strada per
raggiungerlo (ne abbiamo fatto noi le
spese!).
Bafoussam. Lasciata Buea – non
senza aver mangiato sulla riva del mare pesce
fritto, con il solo aiuto delle nostre mani – ci
si è diretti alla volta di Bafoussam, città tra le
più densamente popolate del Camerun, unica
nostra presenza in zona francofona. Un certo
contrasto con Buea lo si nota subito, e non
solo per la diversità di condizione delle strade
cittadine. Infatti, la piccola parrocchia affidata
ai tre frati che qui operano, è situata in una
zona povera, con la chiesa di legno e lamiere
(quanto però è tenuta dignitosamente!);
ma san Francesco non ne sarebbe forse
‘orgoglioso’? e lo è anche fra Pino, parroco e
missionario di lungo corso in Costa d’Avorio,
Benin e ora in Camerun; tanto più che la
parrocchia è animata dalla vivacità dei
suoi cristiani e benedetta dal numero
alto di giovani e adulti catecumeni che si
preparano al battesimo.
Shisong. Da Bafoussam si
sale a Shisong, il ‘cuore’ della presenza
cappuccina in Camerun e sede centrale della
Custodia, nonché del custode, fra Angelo
Pagano. Da questa zona sono sorte le prime
vocazioni e continua a provenire buona
parte delle attuali, benché ormai il raggio di
provenienza si sia notevolmente ampliato.
19
TRENT’ANNI IN CAMERUN
Quello che troviamo qui è la ricchezza di
una presenza, in una molteplicità di impegni
portata avanti dagli otto frati residenti.
La variegata attività parrocchiale assorbe
parte delle energie, in un’area popolata e
fortemente religiosa (non capita spesso in
Italia di vedere decine di bambini e ragazzi
che alle 6.30 di mattino partecipano alla
messa feriale), cui si aggiunge la cura
spirituale dell’ospedale S. Elizabeth, delle
suore francescane terziarie, di cui fa parte
da circa tre anni il Cardiac Center, vero
fiore all’occhiello della sanità dell’Africa
subsahariana per quanto riguarda i malati di
cuore (come i lettori di Missionari Cappuccini
hanno avuto modo di venire a conoscenza).
A Shisong ci si dedica pure all’aspetto
formativo, fattore importante soprattutto
per una realtà in forte crescita, come ci
testimonia fra Francis, responsabile del
postulato, prima tappa per chi intraprende
il cammino per diventare frate cappuccino.
Porre radici profonde e ben ‘concimate’ è
decisivo per lo sviluppo ulteriore. Un onere
grande, dunque, per chi vi è preposto. La
stessa preoccupazione educativa ha portato
i frati ad assumersi la responsabilità diretta
di una nuova scuola a Mbotong, in cima
ad una collina che sovrasta Shisong, che
ospiterà circa 500 studenti delle scuole
secondarie. Investire nell’educazione è segno
di lungimiranza! (occorrerà peraltro investire
anche sulla strada per arrivare in cima alla
collina, se si vuole evitare l’esperienza
successa mentre vi scendevamo sotto una
pioggia torrenziale, nel tentativo di governare
l’automobile che scivolava da tutte le parti).
Se la scuola è importante in vista del futuro,
non da meno è il lavoro per l’oggi. Anche su
questo i nostri frati non sono rimasti inerti,
coinvolgendosi nella guida di una cooperativa,
la Comunità dell’Arca, che tra forno per il
pane, laboratorio per vestiti e ricamo, punto
vendita, offre lavoro a un cospicuo numero di
persone. Come a dire: la fede ‘è’, se opera!
20
Tra passato e futuro.
Sop. Lasciamo Shisong per Sop,
a mezz’ora circa di distanza, strade
permettendo (la copertura con asfalto è
promessa, ma realizzata per ora solo a
tratti). Qui incontriamo soprattutto la realtà
del noviziato, che per un anno intero vede
coinvolti non solo i novizi cappuccini del
Camerun, ma anche quelli della Costa
d’Avorio, del Benin e, da quest’anno, anche
quelli del Burkina Faso, all’interno di una
positiva collaborazione che da più anni è
portata avanti, e che continua a Bambui e
poi nel Benin per lo studio della filosofia.
Fra Felice, attuale maestro dei novizi, nonché
Superiore, quest’anno ha accompagnato
alla professione ben sedici novizi; senza
scomporsi più di tanto, da buon bergamasco
di montagna affronta ogni giorno con il suo
proverbiale: “there is no problem”. Accanto
al convento opera la parrocchia, che vede
impegnati due frati camerunensi a tempo
pieno.
per poi risalire e riscendere da un passo
montagnoso. Bambui è una casa di
formazione per i teologi (che frequentano
i corsi presso il seminario interdiocesano
della zona anglofona), come pure per
l’anno di postnoviziato, in attesa di trovare
una sistemazione alternativa. Unica
eccezione tra tutte le presenze conventuali,
qui i frati non hanno una parrocchia o una
chiesa propria, ma si mettono a disposizione
del clero diocesano per l’aiuto nella
pastorale. Significativo, invece, è l’apostolato
in carcere da parte di fra Gioacchino e degli
studenti che con lui collaborano, un’opera
a dir poco encomiabile, se si considera
quello che è e implica il sistema carcerario
in queste zone; ma anche qui un segno di
speranza e di umanità è possibile. Di altro
tenore, ma sempre espressione della stessa
carità e passione per l’uomo, è il centro
Emmaus per i disabili mentali, operante da
circa tre anni.
È a partire dalla ricchezza di quanto
incontrato e visto – e di cui queste note non
rendono certo debitamente conto – che
abbiamo vissuto nei giorni dal 31 luglio al 2
agosto nel convento di Bambui l’Assemblea
generale annuale alla presenza di quasi
tutti i frati professi perpetui della Custodia
camerunense. L’occasione dei 30 anni di
presenza ha dato l’opportunità di fare una
verifica a tutto campo di questi anni, ma
soprattutto di interrogarsi sul futuro, sulle
scelte da operare in ragione dell’incremento
del numero dei frati, su quale tipo di
testimonianza cristiana e francescana può
essere più feconda e capace di rispondere
alle attese della gente, come pure della
Chiesa locale. Il tutto in un clima fraterno,
caratterizzato da un dialogo franco e sincero.
Per chi, come noi, viene dal vecchio
continente europeo, secolarizzato e in forte
crisi di identità cristiana, a volte stanco e
sfiduciato, tentato di battere in ritirata e
di salvare le proprie posizioni (lo dico in
riferimento anche al nostro essere frati),
confrontarsi con la vivacità e l’esuberanza
di questa giovane realtà non può che fare
bene e ridare fiato alla speranza.
E come un buon padre gode di un figlio che
inizia a camminare da sé, assumendosi le
proprie responsabilità, così pure noi; senza
nascondersi quel margine di rischio che, solo
se assunto, permette di fare il salto della
maturità. Q
Bambui. Ultima meta del
nostro itinerario è il convento di Bambui,
nelle vicinanze della città di Bamenda,
che raggiungiamo scendendo da Sop,
attraversando un’ampia zona pianeggiante
(un tempo la bocca di una grande vulcano)
21
TRENT’ANNI IN CAMERUN
Fra Peter Tar Fonyuy,
ex parroco di Sop in Camerun
La Missione:
dare se stessi
per il Vangelo
Fra Peter, giovane frate camerunense, per due anni è stato
Parroco nella missione di Sop e ora si trova in una casa di formazione.
Un’occasione per parlare del suo popolo, della sua vocazione
e del valore forte della missionarietà.
Quando è nata la tua vocazione?
È stata un’ispirazione improvvisa,
oppure frutto di graduale
discernimento?
Credo che per me sia stato qualcosa di
graduale, perché ho scoperto la chiamata
alla vita consacrata quando ero alla
scuola elementare, e ho cercato di nutrirla
crescendo.
Come ha reagito la tua famiglia alla
tua scelta di vita? Come sta vivendo
la tua vita attuale?
All’inizio non è stato facile perché i miei
genitori erano pagani, sebbene tutti i
figli fossero stati battezzati nella Chiesa
Cattolica. Un’altra ragione per cui erano
preoccupati era questa: essi non potevano
credere che una simile vocazione potesse
nascere nella propria famiglia; ebbero delle
obiezioni, ma con alcune spiegazioni circa
la vita religiosa, in un periodo di quasi
due anni, accettarono e furono contenti.
Quando entrai come postulante, un giorno
mia madre mi mandò a chiamare poiché
volle iniziare il catechismo per diventare
cristiana, e così in seguito mio padre.
Oggi mio padre è deceduto, mentre mia
madre è un membro attivo della locale
Associazione Donne Cattoliche - CWA.
A Sop sei stato Parroco per due
anni: qual è il ricordo più forte che
conservi? Come ti immaginavi la
vita missionaria e quali aspettative
attendevi dalla missione?
Credo di ricordare come prima cosa
che mi sentivo immeritevole del compito,
ma confidando in Dio ho iniziato a
camminare di lena.
La mia prima Messa nella nuova Parrocchia
di Sop, il 26 agosto del 2009, è stata
nella celebrazione di un funerale, il che
era come dare un sunto di quello che ero
chiamato a fare a Sop: salvare anime.
Nei due anni trascorsi qui ho sempre
cercato di ricordare a me stesso e ai
cristiani della mia missione di far crescere
la propria anima.
Come è stato il primo contatto
in questa nuova veste con il tuo
popolo? Cosa ti ha più colpito?
Le persone che ho incontrato come parroco
erano più o meno le stesse persone
che conoscevo prima di diventare frate,
tutto ciò che posso dire è che mi hanno
accettato quale loro pastore: collaborarono
con me in molti ambiti, il che mi rese
felice. Credo che la prima impressione sia
stata come aiutare un cristiano a seguire
un nuovo modo di essere Chiesa – vale
a dire, cristiani convinti, convertiti ed
impegnati.
22
23
TRENT’ANNI IN CAMERUN
In Missione e nella vita di
fraternità, cosa ritieni che sia
più facile, e che cosa più difficile
rispetto ad un genere di vita
differente?
è la gioia di portare il Vangelo alle genti,
essendo uno di loro, lavorando con loro
e guidandoli.
In una parola: che cos’è la
missione?
Non posso dire che esista uno stato di
vita che sia così facile, o così difficile: tutto
dipende da colui che è chiamato a tale
stato. Un religioso deve essere felice di
essere un religioso, e lo stesso vale per un
sacerdote diocesano e per un fedele laico.
Dare se stessi per la causa del Vangelo.
Nella tua Vita, hai scelto di essere
un Missionario: lo rifaresti? Perché?
Sì, lo farei ancora, e ancora come frate
itinerante, seguendo le orme di San
Francesco.
Hai mai avuto ripensamenti sulla
tua scelta? Che cosa ti ha persuaso
a mantenerla?
Sì. Nella vita uno sente sempre la necessità
di valutare se le scelte di tutti i giorni
siano sempre in linea con la vita che è
chiamato a vivere, sicché io rivaluto ogni
giorno la mia chiamata ad essere un frate
cappuccino. Non ho mai rinnegato la
mia vocazione ad essere un missionario,
anzitutto nel luogo dove mi trovo e poi nel
vasto mondo che è il campo di Dio.
Ti sei mai sentito sconfitto,
impotente di cambiare il corso
degli eventi della povertà e della
sofferenza? Cosa ti ha convinto ad
andare avanti?
Il primo incidente come parroco si
è verificato quando alcuni cristiani
preferirono andare al mercato, la
domenica, anziché ottemperare all’obbligo
domenicale di partecipare alla Messa.
Quando dissi ai cristiani che il mercato
in sé non è cattivo, e che tuttavia essi
avrebbero dovuto cambiare il proprio
atteggiamento nei riguardi del mercato, e
alcuni di loro dissero che volevo chiudere
il mercato e cominciarono a borbottare
il mio nome ovunque, mi sentii sconfitto
perché coloro che avrebbero dovuto
supportarmi mi avevano abbandonato;
tuttavia, non ho mai rallentato i miei sforzi
24
In certi contesti, viene facile
l’identificazione tra i Missionari e
l’opulenza. Come riesci a conciliare
questo con il Carisma Francescano?
per far loro presente quello che erano
chiamati a fare, e non quello che volevano
sentirsi dire.
Altre situazioni di disagio si verificano
quando incappo in famiglie disperate
e orfani: quando vedo come si trovano
in stato di necessità per alcuni bisogni
fondamentali della vita, e io non dispongo
di mezzi per aiutarli, mi sento sempre
triste, ma cerco di fare del mio meglio per
aiutarli spiritualmente, o con il minimo di
supporto finanziario di cui posso disporre.
In ogni caso, non posso rinunciare, perché
è quello che sono chiamato a fare.
Quali sono le maggiori
soddisfazioni e delusioni ricevute
in missione? Qual è la cosa più
importante che hai imparato in
missione?
Provo la maggiore soddisfazione quando
amministro i Sacramenti, in particolare il
Battesimo, l’Eucaristia e il Matrimonio. Per
quel che riguarda le delusioni, non ne ho!
La lezione più importante che ho appreso
L’unione fa la forza: quando mettiamo
assieme le nostre risorse, la gente ci
vede ricchi, ma in effetti non siamo ricchi
individualmente, bensì come comunità
in grado di soddisfare i bisogni primari
della vita, e che nulla possiede per sé ma
condivide con chi è nel bisogno.
Quali sono le richieste e le
necessità più forti della gente?
Le necessità più forti consistono nelle
richieste di preghiere, in quelle di
regolarizzarne la situazione familiare,
l’assistenza continua in termini di catechesi
e di consiglio.
Quali sono le principali prospettive
future delle opere sociali e dei
progetti missionari e quelle del
contesto politico economico della
tua terra?
Ora il mio incarico è in una casa di
formazione, ma per quanto riguarda il mio
incarico precedente, ci sono, praticamente,
progetti in ogni missione: sale di ritrovo
per il villaggio, chiese la cui costruzione
è incompleta, scuole elementari che
necessitano di adeguamento, etc.
Ci sono anche persone povere ed orfani
che necessitano di supporto materiale per
la frequenza della scuola elementare o per
l’avvio ad una professione.
La situazione politica in Camerun non è
particolarmente buona: i politici fanno in
modo di rendere le persone nemiche le
une delle altre anziché aiutarle a crescere
insieme.
Quali sono stati i momenti più
significativi dell’incontro con i frati
cappuccini?
Credo che la ricorrenza del 25° della
Missione ci abbia segnato in modo
particolare quale Custodia di San Francesco
in Camerun, dandoci modo di rivisitare la
nostra presenza e di darci obiettivi per il
futuro.
Quali sono i rapporti con le altre
confessioni religiose, sia cristiane
che non? Come si è sviluppata la
situazione interreligiosa e cosa ci si
aspetta dal futuro?
Abbiamo buone relazioni sia con le altre
religioni cristiane che con quelle non
cristiane, come i musulmani e le religioni
tradizionali: ciò è evidente nelle nostre
opere di carità, che sono aperte a tutti, così
come negli incontri con i capi tradizionali.
Dopo i missionari italiani, la
Provvidenza ci ha donato numerose
vocazioni locali, come la tua: quale
arricchimento e quali cambiamenti
comportano?
Credo che la novità dei frati locali può
apportare ricchezza circa gli aspetti culturali
perché, quando si è parte di una cultura,
allora la si conosce molto bene, si può
predicare calando il Vangelo nella vita reale,
e ciò costituisce un apporto prezioso per
l’opera missionaria. Q
25
TRENT’ANNI IN CAMERUN
Il diritto
Il compito di fra Gioacchino
Catanzaro, in qualità di cappellano,
è quello di ascoltare e portare
conforto ai detenuti di sei carceri
camerunesi. A Bafoussam sono
soprattutto i prigionieri anziani
che cercano compassione dal frate,
coloro che, per l’età avanzata e per
le disastrose condizioni delle celle,
soffrono più di chiunque
altro. Grazie ai benefattori
italiani i frati hanno
potuto rendere migliore
la struttura delle prigioni
e hanno organizzato
persino una “festa
dell’anziano”.
di lamentarsi…
Lettera
dalle carceri
del Camerun
di fra Gioacchino Catanzaro
“I vecchi e le vecchie si allieteranno
perché muterò il loro lutto in gioia,
li consolerò per i loro dolori”.
(Ger.33,13)
C
arissimi amici benefattori!
Avete mai pensato alle persone
della terza età in prigione?
Certamente chi ha questa età, come
me, sa che l’anzianità è realtà amara, e
capisce cosa vuol dire quando classicamente
“ce n’è una ogni mattina” e il risveglio è
come ritrovarsi in cocenti catene.
Quel lamentone e brontolone del profeta
Geremia – finalmente – ha detto qualcosa
di giusto. Che cioè tutti noi abbiamo il diritto
di lamentarci, specialmente coloro che sono
26
in età avanzata, dove l’insulto del tempo
si fa pesantemente sentire.
Perché ci sono persone attempate private
della libertà, in carcere? Si dice che la legge
è uguale per tutti, e non guarda in faccia
minori, giovani, adulti, donne e “avanzati”.
Questa è sì la legge, ma non si vede tutto
quello che sta dietro: istanze, rinvii, ingiustizie,
coinvolgimenti, sentenze e condanne ottenute
a forza di corruzione pecuniaria.
È penoso trovarsi davanti a un Papà (così
si chiamano da noi in Camerun gli anziani)
in catene, letteralmente dietro a sbarre,
spranghe, lucchetti con buio e umido, ma
soprattutto detenuto in catene psicologiche.
E che dire quando l’anziano detenuto si trova
in una cella angusta, sovraffollata – parlo di
un perimetro di 8 x 3 metri – con sessanta
detenuti all’interno, senza toilette (evviva
i gloriosi vasi e pitali da notte dei nostri
bisnonni! Qui sono in auge)? Questi anziani
sono costretti a consumare il misero pasto,
sempre lo stesso tutto l’anno, nel proprio
letto – si fa per dire – o per terra; condividere
i servizi, consistenti in un canale cementato,
maleodorante, mettendosi in fila con coloro
che hanno a malapena un terzo della loro età
ed essere guardati, osservati e magari derisi
e burlati. Ditemi se non hanno il diritto di
lamentarsi (Padre! È giusto che mostriamo
le nostre vergogne ai nostri figli?)!
Lamentarsi con chi? Certamente con le
persone che sanno compatire! Con voi cari
benefattori verso i quali siamo più che
riconoscenti! Con tutti i nostri lettori e con
tutti gli uomini di buona volontà.
Siete voi che ascoltate i nostri gemiti
e le nostre lamentele.
Ecco perché io, in qualità di cappellano –
vostro inviato – visito con entusiasmo le
prigioni, e preparo il cuore e le orecchie,
armandomi di pazienza per ascoltare,
e qualche volta piangere insieme ai detenuti.
Molte volte non posso intervenire,
assolutamente devo lasciare le cose così
dolorosamente come stanno, ma cerco di dare
un gran sollievo sia al singolo, sia al gruppo
che si lamenta.
Recita un salmo: Giunga a te il gemito del
prigioniero.
Ebbene! Vi diciamo che proprio il lamento
flebile e angoscioso è giunto a voi! E spero
continuerete ad aiutarci!
Con le vostre generose donazioni abbiamo
potuto migliorare le condizioni dei detenuti
della terza età. Dentro lo spazio delle carceri
abbiamo potuto costruire una toilette munita di
doccia e acqua corrente, pavimentato il suolo
con mattonelle di ceramica, abbiamo ricostruito
i letti a castello in legno, fissato mensole nel
27
TRENT’ANNI IN CAMERUN
muro per poter deporre effetti personali,
rifatto il sistema elettrico, posizionato
lavandini dotati di specchio per illudere e
deludere l’età irreversibilmente galoppante,
abbiamo comprato un televisore medio
per dimenticare le angosce (se si può).
Abbiamo inoltre rifatto il tetto dal quale
la pioggia equatoriale entrava a dirotto.
Molte sono le lamentele dei detenuti
confidate al cappellano.
Al primo posto… la fame! Quanto è
sviscerante vedere due o più vecchietti
seguirvi fino al dipartimento dei minori,
perché hanno visto che portate un sacco
di pane da donare ai più piccoli.
Furtivamente si intrufolano nello stretto
ambiente dei minori, rischiando e sfidando
sanzioni, e siedono sul ruvido pavimento
chiedendo pietà per un pezzo di pane.
Ottenutolo lo sbocconcellano in men che
non si dica, con avidità.
Altre lamentele sono legate alla mancanza
di medicinali, alla non assistenza medica.
Si lamentano della mancanza del sostegno
familiare… dell’abbandono da parte delle
autorità e delle proprie famiglie. Non
trovano pace per la lentezza dei processi
giudiziari, per i soprusi subiti in carcere e
per il rigetto sociale dopo la scarcerazione.
Con questa lettera voglio dirvi che, dopo
aver fatto alcuni interventi nell’angusta
cella della terza età, abbiamo deciso di dar
vita alla “festa dell’anziano”, organizzata
in agosto, per far danzare gli anziani e le
anziane! E che danze! Che abbracci!
Il tutto coronato da rappresentazioni teatrali
di ogni genere! Poesie scritte o sentite in
giovane età, rimembrate e recitate con
enfasi e quasi fanciullesca innocenza.
Canti da tenore e da soprano. Nessuno
badava alle dissonanze… i versi, i trilli
erano tutti cordiali e commuoventi. Anche
voi benefattori rallegratevi e, aiutandoci,
continuate a festeggiare con noi la giornata
dell’anziano in prigione! Q
28
Milano: Family Days 2012
Dal Camerun
In occasione del VII Congresso
Mondiale della Famiglia una
famiglia del Camerun dell’Ordine
Francescano Secolare, ha avuto la
possibilità di partecipare a questo
importante appuntamento che è
stato spunto di riflessioni profonde
e occasione per conoscere l’Italia.
per il Papa
a cura di Alberto Cipelli
“N
el periodo tra febbraio e maggio
la nostra fraternità ha ricevuto
una lettera – racconta Serophine
– nella quale si diceva che una
famiglia della Fraternità sarebbe stata invitata
a partecipare al VII Congresso internazionale
della Famiglia con il Papa Benedetto XVI, in
programma a Milano”.
La famiglia selezionata è proprio quella di
Serophine Fonlon, ministra della Fraternità
dell’Ordine Francescano Secolare di Shisong
che, insieme al marito Martin e ai tre figli,
Glory (membro della Gifra di Shisong)
Christian e Louis, è stata ospite a Milano dal
27 maggio al 6 giugno; il Consiglio Regionale,
in virtù del gemellaggio esistente con le
fraternità OFS del Camerun fin dal 2000, si
è fatto carico infatti di invitare una famiglia
dell’OFS di quel paese a partecipare al
Congresso.
“Con mia grandissima sorpresa e incredulità
– continua Serophine – è stata scelta la mia
famiglia. La prima domanda che ho rivolto
a Dio è stata “Chi sono io per ricevere un
così grande dono”? Ma a parte tutto sono
molto felice ed ho apprezzato lo sforzo di
tutte le persone per il loro sostegno e le
loro preghiere. Quando mi era stato chiesto di
pregare perché questo avvenisse, non ero in
grado di pregare ed ho potuto soltanto dire a
Dio che fosse fatta la sua volontà”.
Dopo aver ricevuto la lettera, a febbraio è
iniziata la preparazione, ma la preparazione
vera e propria è iniziata in maggio e il processo
per ottenere il Visto è stata una prova molto
difficile dato che ci è stato chiesto di andare
e venire dall’ambasciata italiana diverse volte
durante le quali ho dovuto imparare una cosa, e
cioè essere paziente in ogni circostanza.
“Il 25 maggio con grande gioia la Fraternità
di Shisong ha deciso di celebrare la Santa
Messa a casa nostra pregando per noi e questo
mostra lo spirito di unità che esiste nella nostra
In alto: da sin Serophine, Louis, Christian,
Glory e Martin in piazza Duomo a Milano.
In basso: l’incontro del Papa con le famiglie a Bresso.
IL SOSTEGNO A DISTANZA
TRENT’ANNI IN CAMERUN
fraternità e l’amore che unisce fratelli e
sorelle l’un l’altro. Quando Gesù ha visitato la
nostra casa mi sono sentita radiosa.
All’aeroporto di Milano abbiamo avuto
un affettuoso benvenuto da Attilio e Rosa
con cui, per tutto il periodo della nostra
permanenza, abbiamo condiviso il loro
appartamento che è molto confortevole.
Benché stanchi per il viaggio, dopo esserci
rinfrescati ed aver condiviso la cena siamo
stati a Messa.
Nei giorni successivi ci hanno portato a
visitare un lago e lì ho visto una famiglia di
cigni: il padre era davanti, i pulcini nel mezzo
e la madre chiudeva la fila. Una famiglia
protetta. Questo mi ha fatto riflettere se nella
mia famiglia io sono felice come lo erano loro.
La sera abbiamo avuto una cena offerta dalla
parrocchia. È stata una festa molto bella ed io
sono stata realmente molto grata per
la carità.
Il 30 maggio è finalmente iniziato il
Congresso dedicato alla famiglia.
Il pellegrinaggio a Milano mi ha influenzato in
molti modi e ha contribuito positivamente alla
mia religiosità e alla mia vita sociale. Tutto ciò
mi ha fatto riflettere di più sul mio Creatore
attraverso Gesù Cristo, nostro salvatore e re.
Dalle relazioni ho capito la ragione per cui
S. Francesco ha lavorato duramente e persino
in punto di morte: cominciamo a fare qualche
cosa perché fino ad ora non abbiamo fatto
nulla. Io devo iniziare e con la grazia di Dio
a essere un discepolo per gli altri in qualsiasi
posto mi trovi, specialmente nella mia
famiglia.
Il caldo spirito di accoglienza dei cristiani
di Milano e specialmente dei membri OFS
e dei religiosi mi ha meravigliato. Ringrazio
moltissimo Dio per questo e prego perché
Egli possa benedirli.
Anche la città di Milano mi ha molto
impressionato: le fontane, le strade, il Castello
Sforzesco e il Duomo. L’avevo vista soltanto
in televisione o in internet e non avrei mai
30
UN NUOVO AMICO
PER
NATALE
“Ogni volta che avete fatto queste cose
a uno dei miei fratelli più piccoli
l’avete fatta a me”
Serophine e Martin con il Card. Tettamanzi.
Serophine con Remo diPinto, Ministro Nazionale OFS.
pensato di poterla osservare dal vivo.
Il Camerun è profondamente diverso!
Grazie a questo viaggio ho imparato molto
circa le radici di molti usi delle donne di
un tempo e della storia di molte cose che
contribuiranno a fortificare la mia fede.
Il viaggio mi ha anche permesso di gettare
un’occhiata sulle culture politiche, sociali e
religiose dell’Italia e dell’Europa. Ho potuto
anche apprendere e confrontare le differenze
tra Italia e Camerun e questo è di grande
rilevanza per la mia fede. Mi ha fatto molto
piacere vedere uomini e donne molto anziani
in salute e contenti. Coppie di anziani andare
a spasso insieme. Ho avuto a che fare con
molte persone nel viaggio: alcune sono molto
accoglienti, altre molto aggressive, ma questa
è la vita e dobbiamo accettare tutti come
sono: alcuni bianchi persino discriminano i
neri; la distanza tra Africa e Italia è notevole.
In generale sono molto felice per aver potuto
partecipare a questo Congresso; posso solo
cantare il Magnificat e chiedermi chi io sia
per essere in questa magnifica condizione.
Ringrazio tutte le persone, il Consiglio
Regionale OFS, le fraternità e i frati cappuccini
che ci hanno permesso di vivere questa
esperienza meravigliosa”. Q
UN NUOVO AMICO PER
che i soliti regali
Sediritieni
Natale siano spesso un
po’ inutili e vadano a finire in
io,
un angolo nascosto dell’armadio,
perché non pensare a qualcosa di
profondamente diverso?
Un gesto di solidarietà, per
esempio, l’aiuto concreto a un
progetto che ha come protagonista
un bambino di un altro continente –
Africa, Asia, America Latina – figura
fragile e maggiormente bisognosa
di assistenza.
Il sostegno a distanza è una scelta
meravigliosa che grazie ad un
piccolo contributo economico (meno
di un caffè al giorno!) permette ad
un bambino che vive in condizioni
di povertà estrema di poter
andare a scuola, ricevere alimenti,
vestiario, cure mediche ed essere
accompagnato da un adulto nel suo
percorso educativo.
Ciò che lo rende davvero speciale
è che non si tratta semplicemente
di un sostegno personalizzato al
bambino, ma arriva a coinvolgere
anche la sua famiglia e la sua
comunità di appartenenza, non
sostituendosi alle responsabilità
proprie di ciascuno, ma
accompagnandoli verso una propria
autonomia diventando un elemento
attivo di cambiamento per la società
in cui vivono.
Il sostegno a distanza si presenta
infatti come un intervento che vuole
concretizzarsi sul posto, affinché
le nuove generazioni possano
avere l’opportunità di cambiare
la p
propria condizione senza
fu
fuggirne; offrendo loro dei
m
mezzi e delle occasioni per
cresc
c
crescere
significa renderle capaci
di vincere la povertà, rispettando
la propria cultura, tradizioni e la
dignità di esseri umani. All’aiuto
economico si affianca sempre il
diretto intervento dei Missionari
che, con gestione sapiente e oculata
cercano di coordinare gli interventi
di assistenza e farli funzionare nel
modo migliore possibile.
Un piccolo gesto, dunque, che può
mbia
mb
i re la
ia
la vita
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cambiare
tante
te persone
per
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gli è vicino,
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e se
anche
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ante
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te!!
te
distante!
Il sostegno a distanza non è uno
strumento a senso unico, ma si
fonda su un rapporto basato sulla
reciprocità.
Come il sostenitore fornisce i mezzi
a una comunità in stato di bisogno,
così il beneficiario si impegna a
comprovare l’aiuto ricevuto e i
progressi avvenuti
NATALE
È un gesto che
TI COINVOLGE
Ti porta a riflettere sulla vita,
sul tuo stile di vita e sull’uso che fai
di tutto quello che ti circonda
È un gesto che
LASCIA UN SEGNO
È un gesto di
Perché oltre a chi riceve c’è sempre
una gioia per chi dona
SOLIDARIETA'À
È un gesto di
In un mondo che punta sull’apparire
sperimenta la gioia di scelte che
es
spr
prim
mon
o o la p
artte migliore
ar
mig
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stesso:
essere
nel
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isog
sogno
bisogno
È un gesto di
CONDIVISIONE
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un
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mondo
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che
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parla
a dii
glob
bal
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globalizzazione
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aiuta
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aiutare
a crescere
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on
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rendo l’educazione,
l’l’ed
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azio
one
n , la salute
sallutte
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l’alimen
ntaziion
one
e
e l’alimentazione
SPERANZA
Un futuro migliore per quel bambino,
la sua famiglia e anche per te che,
attraverso questi piccoli gesti,
sperimenti che un mondo migliore è
possibile e sta crescendo
È soprattutto un gesto che
dà la possibilità di stupirsi della felicità
di sentirsi profondamente amici, perché
davvero si possa dire: “La tua amicizia
è fra i regali più preziosi che io abbia
mai ricevuto e donato per Natale”
UN NUOVO AMICO PER
Il sostegno a distanza
con i Missionari Cappuccini
Al 31 dicembre 2011 sono ben 3193 i
bambini del progetto sostegno a distanza
dei Missionari Cappuccini suddivisi in
numerosi Paesi: Brasile, Costa d’Avorio,
Eritrea, Thailandia e Kenia.
Missioni Estere Cappuccini Onlus
aderisce alle linee guida dell’Agenzia per
il Terzo Settore del 25 ottobre 2010 che
rappresentano un quadro di riferimento
di principi e regole per le organizzazioni
che operano nell’ambito del sostegno
a distanza: “Il sostegno a distanza è una
forma di cooperazione internazionale e di
solidarietà umana finalizzata allo sviluppo
della persona e specialmente di bambini e
di giovani in condizioni di rischio, povertà ed
emarginazione, attraverso la promozione di
una relazione effettiva tra i protagonisti del
rapporto di solidarietà e la valorizzazione,
secondo il principio di sussidiarietà,
del contesto sociale e culturale del
beneficiario”.
Gli impegni assegnati alle organizzazioni
con tale documento non sono vincolanti,
ma rappresentano un importante
passo avanti rispetto ai precedenti
codici di autodisciplina garantendo a
chi si avvicina al sostegno a distanza
maggiore trasparenza, correttezza,
efficienza e serietà. Le linee guida
tutelano i tre p
principali
protagonisti del sostegno
distanza il bambino, il
a distanza:
sostenito e l’operato
sostenitore
dell’orga
dell’organizzazione
no
I Corriere della
profit. Il
Sera, p
pubblicando
l’elenco delle Onlus che
puntano alla chiarezza,
indica 33 Associazioni
l Lombardia fra
per la
le quali Missioni
E
Estere
Cappuccini
Onlus.
NATALE
Durata
Proponiamo 5 anni. Può accadere che il
bambino cambi villaggio o città e non sia
più possibile seguirlo: sarà nostra premura
avvertirvi affinché siate liberi di scegliere
se continuare con un altro bambino o
interrompere il programma. Al termine dei
5 anni vengono valutati insieme gli obiettivi
raggiunti
Quota
Proponiamo 312 euro all’anno ovvero 26
euro al mese; tratteniamo una piccola
quota per le spese di gestione.
Comunicazioni
I bambini aiutati sono scelti e conosciuti
personalmente dai Missionari che,
attraverso Missioni Estere Cappuccini
Onlus, inviano ai sostenitori, almeno una
volta all’anno, foto, notizie aggiornate
e compilano le schede del bambino. Il
missionario gestisce le donazioni ricevute,
segue i progressi dei bambini e mantiene
i contatti con Missioni Estere Cappuccini
Onlus che coordina le attività ed invia al
missionario i fondi destinati al progetto.
MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS
Sostegno a Distanza
P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano
Tel. 02.38000272 – Fax: 02.334930444
[email protected]
Conto corrente postale n. 37382769
MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS
P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano
Bonifico bancario
Banca di Legnano agenzia di Viale Certosa
IBAN: IT 66 L 03204 01601 000000062554
MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS
P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano
Assegno bancario
intestato a MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI
ONLUS
Le donazioni a “Missioni Estere Cappuccini Onlus”
godono delle agevolazioni fiscali.
Al fine della detrazione fiscale non è possibile
effettuare versamenti in contanti.
FRA MAURO JÖHRI, MINISTRO GENERALE
A tu per tu con fra Mauro Jöhri, Ministro
Generale dei frati cappuccini dal 2006
Il cappuccino
è colui che va
nessuno
vuole andare
dove
Fra Mauro Miselli, Segretario delle missioni cappuccine della Lombardia,
intervista il Ministro Generale, recentemente rieletto,
che offre un panorama dell’attuale situazione dell’Ordine cappuccino.
Mai come oggi ai frati giovani è richiesta missionarietà
e voglia di spendersi totalmente per Dio e per gli uomini.
a cura di fra Mauro Miselli
FRA MAURO JÖHRI, MINISTRO GENERALE
Padre Mauro, puoi dirci chi è un frate
cappuccino oggi?
Un frate oggi è una persona che cerca di
rispondere, spero ancora, a una chiamata.
Il giovane che bussa alla nostra porta per
diventare frate è un giovane che cerca
una vita di preghiera, una relazione con
Dio che forse ha intuito ma non ha ancora
approfondito; è qualcuno che cerca una
vita fraterna, qualcuno che desidera stare
accanto ai poveri. La nostra capacità di frati
adulti deve essere quella di accogliere questi
desideri e di aiutare a realizzarli, poi la
risposta di ciascuno sarà personale.
Nel cuore della vocazione dei frati
cappuccini c’è la missionarietà…
oggi come è vissuta?
È vissuta ancora molto bene, perché ci sono
delle presenze stupende e meravigliose…
penso a chi sta in Africa o in Turchia. Sono
da poco tornato da un viaggio in Siria dove ci
sono alcuni dei nostri frati, pochi ma ci sono,
che vivono praticamente al fronte. Quando
ho chiesto loro se non fosse il caso di ritirarsi,
dato che la situazione si sta facendo tragica,
mi hanno risposto: “Neanche per sogno, noi
vogliamo stare vicino alla nostra gente, non
vogliamo che rimanga senza pastore”. Poi
ci sono anche le sfide: il giovane che vive
magari in quei paesi dove la fede è arrivata
100 anni fa o meno, non ha la stessa volontà
di partire, di impegnarsi, ma il cappuccino è
colui che va dove nessuno vuole andare, che
non ha paura delle difficoltà.
Per cui possiamo dire che all’interno
della nostra fraternità cappuccina
è ancora forte il desiderio di essere
missionario?
Grazie al cielo incontro ancora fratelli che
mi dicono: “Ministro, mandami dove vuoi,
sono disponibile!”. La dimensione della
missionarietà è fondamentale nella nostra
vita. La disponibilità a partire diventa anche
36
Il Ministro Generale fra Mauro Jöhri a
“Missionari Cappuccini in festa” 2012
una scoperta di te stesso, perché tu vedi che
sei capace di farlo, vedi che il Signore ti ha
messo nel cuore una capacità di amare, che
diventa capacità di solidarietà che da un senso
alla tua vita.
Nel 2009 hai scritto una lettera a
tutto l’Ordine “Nel cuore dell’Ordine
la missione”… tra noi frati c’è
ancora il desiderio di andare dove
nessuno vuole andare, per una prima
evangelizzazione?
Diciamo che non è una cosa ovvia, ma esige
di essere alimentata, esige una profonda
esperienza propria di Gesù Cristo, un’esperienza
di Fede per scoprire tutto il valore della fede
e la bellezza di poterla portare a chi non la
conosce. C’è quindi tutto un lavoro da fare a
monte, che è la formazione, che è la coerenza
di noi adulti nei confronti dei nostri giovani,
che vedendoci impegnati scoprono di avere
un tesoro da portare avanti. Per questo dico
che non è cosa ovvia e che va alimentata.
L’evangelizzazione è ciò che ha fatto forte il
nostro ordine. Porto un esempio che mi ha
colpito tantissimo: due anni fa, di quattro
province spagnole ne abbiamo creata una
sola. Per l’occasione, ripensando alla storia
dei frati spagnoli abbiamo visto che agli inizi
del 1800 i frati sono stati soppressi… e che
hanno fatto? Sono venuti in Italia ma non si
sono fermati, sono andati in Mesopotamia e
per farsi accogliere laggiù, in zone musulmane,
hanno imparato la medicina! Il cappuccino che
fa il medico per farsi accogliere… è questa
una capacità di invenzione, di farsi vicino alla
persona per rendersi utile.
Nei viaggi che hai vissuto per
incontrare le nostre realtà, hai trovato
nuove forme di missionarietà e di
evangelizzazione?
Ho trovato la fedeltà dei nostri frati… penso in
particolare alla zona del centro Africa dove,
nonostante ci siano continuamente momenti
di rivolte, i frati sono rimasti fedeli alla gente.
Non si tratta solo di andare dove nessuno
vuole andare, ma soprattutto di rimanere.
Hanno salvato la vita a un sacco di persone.
Un luogo dove le truppe hanno distrutto un
villaggio di 30.000 persone nel giro di pochi
minuti, è stato abbandonato da tutti, ma i
frati sono rimasti, e solo grazie alla nostra
presenza la gente è ritornata e ha ricostruito.
Questi sono gesti di solidarietà, sapendo di
mettere in pericolo la propria vita, ma con la
consapevolezza del perché lo si fa e per chi
lo si fa.
Nella tua lettera si parla anche
di un nuovo slancio missionario
riguardante l’Europa, che ha
abbandonato un po’ la fede, che si
è dimenticata un po’ di Gesù Cristo.
In questo contesto come si muovono
i frati cappuccini e quali esperienze
possono portare avanti?
Alcune esperienze che cominciano a prendere
corpo sono soprattutto di accoglienza,
garantendo dei luoghi dove si cura la
liturgia, la catechesi. Si dà così alle persone
la possibilità di riscoprirsi nel silenzio,
attraverso questo trovare la presenza di
Dio, cercando dei linguaggi anche semplici
per far vivere momenti di fraternità. Vedo
poi altre esperienze di frati che desiderano
vivere una vita molto più semplice… con meno
macchine, meno aggeggi e disposti anche a
partire perché più esigenti dal punto di vista
evangelico. L’anno scorso mi è capitato di
essere a Cracovia… con 150 frati siamo andati
a due a due nella città e così, con delicatezza,
parlavamo con la gente, avvicinandoci con
il saio e con la purezza e la serenità del
nostro essere. Non dobbiamo pensare la
nuova evangelizzazione dell’Europa come un
recuperare ciò che abbiamo perso! Deve essere
nuova, dobbiamo accettare la bellissima parola
del Signore in Isaia: “Io faccio delle cose nuove,
non vi siete ancora accorti”. Bisogna dunque
mettere fuori le antenne perché la tendenza
nostra è di voler ripetere quello che è già stato.
Ora ci è richiesto di andare tra la gente con una
posizione di pieno servizio e disponibilità.
Nella tua lettera usi un’espressione
molto accattivante ma che è
fondamentale. Parli di relazioni
fraterne, di relazioni redente, di
fraternità trasformate dall’incontro
con Cristo. Questo credo che sia un
suggerimento che deve attraversare
ogni metodologia che noi possiamo
scegliere…
Mi è piaciuta la riflessione di un filosofo
francese che diceva: “La rivoluzione francese
aveva proposto la libertà, l’uguaglianza e la
37
FRA MAURO JÖHRI, MINISTRO GENERALE
fraternità. Le prime due sono state in gran
parte realizzate in Europa, ma la fraternità per
nulla”. Quindi in questo senso noi abbiamo
qualcosa da dare anche se ci impegna, perché
sappiamo che alle volte le differenze tra
di noi sono tante, ma forte deve essere la
volontà di superarle, la forza di dire che la
relazione è più importante delle cose e delle
contrapposizioni. Generalmente lo scopriamo
quando muore qualcuno: la perdita dell’altro
è la cosa peggiore che ci può capitare perché
interrompe una relazione. Se io sono capace
di una relazione, da questo si apriranno reti
nuove di relazione, per cui le persone si
sentono a loro agio e ti chiedono: “dov’è la
sorgente di questa tua vitalità?”.
San Francesco desiderava andare
in mezzo ai Saraceni. Si parla molto
di dialogo interreligioso: può
essere valida anche oggi la pista
di incontrare altre culture?
Penso sia valida più che mai. Ci sono stati
diversi vescovi venuti a bussare alla porta
della curia generalizia, provenienti soprattutto
da ambiti dove la stragrande maggioranza
della popolazione è musulmana, che
chiedono la nostra presenza di frati per
Alcune immagini di Fra Mauro Jöhri
durante il Capitolo Generale 2012 nel quale
è stato rieletto Ministro Generale.
www.capitulum2012.info
garantire la continuità di altre presenze. Non ci
chiedono di andare a fare proseliti, ma di essere
testimoni di fede, con totale umanità, umiltà
e capacità di ascolto, proprio come il lievito
della pasta, che permette dei tempi lunghi di
cambiamento. Anche nella società di oggi, se
noi aggrediamo la gente, probabilmente non
raggiungeremo un gran che. Il rischio è dare
risposte a delle domande che non sono ancora
sorte… dobbiamo quindi far in modo che le
persone si pongano dei dubbi e potremo farlo
solo con un atteggiamento fraterno.
L’animazione missionaria può essere
ancora, come nel passato, un valido
mezzo di proposta vocazionale?
Certamente, anche se con uno spostamento
di accento. Io vedo nelle nostre missioni
molte opere realizzate, e mi chiedo se le
persone del luogo sarebbero effettivamente
in grado di portare avanti queste strutture.
Abbiamo abbinato molto la missione all’aiuto
allo sviluppo. Credo però che sia giunto il
momento di dare la massima importanza
all’evangelizzazione. Io ti porto il vangelo.
Il vangelo è liberante… insegna che il
tuo prossimo è colui che sta nel bisogno,
indipendentemente dall’etnia e dal colore
della sua pelle. Questa è l’universalità del
vangelo! Se noi sappiamo portare questi
valori trasformeremo delle società, e saranno
loro capaci di un genere nuovo di incontro.
In alcuni momenti abbiamo creduto più
nelle opere che in questo lavoro paziente,
di trasmissione del Vangelo.
In questi anni hai visitato tutte le
circoscrizioni dell’Ordine. C’è qualche
figura dei nostri missionari che ha
A Roma è stato riconfermato fra Mauro Jöhri co me Ministro Generale
Gambaro, della Prov. di
Conferma che in 106
dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini
Genova (4), Hugo Mejía
paesi del mondo ci sono
I
l 27 agosto scorso,
presso il Collegio
internazionale S.
Lorenzo da Brindisi, il
Capitolo generale dei
Frati Minori Cappuccini,
con 147 voti su 169, ha
scelto il suo Ministro
Generale riconfermando
fra Mauro Jöhri alla
guida dell’Ordine per
il sessennio a venire.
Fra Mauro, eletto per
la prima volta Ministro
generale nel 2006, si
appresta a governare
la grande famiglia dei
Cappuccini per altri
sei anni con slancio
e determinazione.
L’esito della votazione
ha rispecchiato in toto
Il Ministro Generale
con i definitori.
A destra l’abside della Chiesa
del Collegio San Lorenzo da
Brindisi dove si è svolto
il Capitolo, opera del gesuita
Marko Ivan Rupnik.
le proiezioni di voto
emerse dal sondaggio
in cui erano emerse le
seguenti preferenze:
Mauro Jöhri, infatti, è
risultato il fratello che ha
ricevuto più voti (136), a
seguire John Celichowski,
della Prov. di Detroit
(24), Rocco Timpano, non
capitolare, della Prov. di
Calabria (15), Ephrem
Bucher, della Prov.
Svizzera (8), Raffaele
Della Torre, della Prov.
Lombarda (4), Giampiero
Morales, della Prov. del
Perù (3), Carlos Novoa
De Agustini, della Prov.
Rio de La Plata (3). Fra
Raffaele Della Torre è
stato in seguito scelto
come uno dei nove
Definitori generali con
109 voti.
Al 31 dicembre 2011
è stata pubblicata
una statistica
dell’ordine
dei frati
cappuccini.
10.364 frati: 1321 in
Africa, 1720 in America
Latina, 662 frati in
America settentrionale,
in Asia e Oceania 2283,
in Europa 4378 frati. Q
vissuto in maniera eroica che vale
la pena essere ricordata o che ti ha
colpito particolarmente?
Sicuramente il carissimo amico Luigi Padovese.
Lui era consapevole che gli sarebbe potuto
succedere qualcosa in Turchia, ma non si è mai
tirato indietro. Ha portato la sua presenza, ha
giocato tutte le sue relazioni per migliorare la
chiesa locale. È una figura meravigliosa.
Lui ha fatto molto, non per sé, ma per la gente.
La missionarietà non è solo partire per chissà
quale paese, è anche la capacità di capire che
nella mia società ci sono dei bisogni urgenti ai
quali nessuno fa fronte.
Per concludere: un tuo auspicio, per
tutto l’ordine, sulla missionarietà…
Il mio desiderio è di avere dei frati che credano
profondamente che Dio ha messo dentro di
loro dei doni bellissimi e che questi doni li
accompagnano. Vedo che si ha molta paura
di lasciare la propria terra, dove si è bravi
nell’espletare i propri servizi. Bisogna avere
più fiducia in se stessi: quello che sappiamo
fare qui, lo sappiamo sicuramente fare in un
altro luogo. Cambiano sicuramente le modalità,
l’ambiente, ma c’è bisogno di portare questa
nostra capacità di essere fratelli anche
laggiù. Questo mi auguro… dei
frati che non hanno paura del
cambiamento! Q
39
50º DI FRA MARCANTONIO PIROVANO
Non avrei mai potuto
immaginare una vita più felice
Cinquant’anni di ordinazione sacerdotale
di fra Marcantonio Pirovano
Fra Marcantonio già da bambino
voleva essere un missionario.
Cinquant’anni fa divenne sacerdote e
da ben 28 anni vive in Costa d’Avorio.
Della sua meravigliosa vita non può
che ringraziare Dio, e la gente che ha
incontrato nel suo cammino.
L
di Elisabetta Viganò
a mia vocazione nasce all’interno di una
famiglia molto cristiana. Sono nato in
Val Seriana nel 1938 e con me c’erano
tre fratelli, quattro sorelle e, dato che
gli zii erano morti, quattro cugini. Quando ero
ancora piccolino ricordo che mio papà preparò
il presepe in occasione del Natale, e mise i
tre re magi. Tra loro ce n’era uno nero e io gli
chiesi: “Ma papà perché quello è nero?
È bruciato?”. E lui mi rispose: “Ma va!
Lui arriva dall’Africa, un posto molto lontano,
dove la gente non conosce ancora Gesù!
I missionari vanno laggiù proprio per farglielo
conoscere!”. “Papà… voglio andare anch’io
in Africa!”. Avevo solo cinque anni e già
risposi così!
Fin dalla Prima Comunione l’ispirazione
dentro di me era molto chiara. Poi… in quinta
elementare ho deciso definitivamente di voler
diventare frate cappuccino, per il carisma
missionario. C’era un convento a 5 chilometri
dal mio paese e ho detto a mia mamma con
fare deciso: “o mi lasci andare o scappo”. Mia
mamma non voleva saperne ma mio padre la
convinse.
Ricevetti l’ordinazione sacerdotale il 16
giugno del 1962, esattamente 50 anni fa!
40
Fra Marcantonio con malati di ulcera di Burulì
e attualmente ad Alépé.
Per quattro anni sono stato a Varese, e per
cinque sono stato assistente dei ragazzi nel
seminario di Albino. Poi sono stato trasferito
in una parrocchia della periferia di Roma,
dove sono rimasto per 12 anni… era quello
un contesto difficile, peggio dell’Africa, per via
delle lotte tra zingari. Io andavo a trovarli, a
chiacchierare con loro, cercando di far sì che
i loro figli andassero a scuola. Nel frattempo
continuavo a chiedere di poter partire perché
nel cuore serbavo sempre il desiderio di
essere missionario fuori dall’Italia. All’età di
45 anni sono finalmente stato chiamato per la
missione. La mia destinazione è stata subito
la Costa d’Avorio, a Zouan-Hounien. Dopo
qualche tempo si è presentato il problema
dell’”Ulcera di Buruli”, una malattia cronica,
necrotizzante, tipica del luogo, causata da un
batterio che si insidia nella pelle. Per poterla
curare aprimmo a Zouan-Hounien nel 1997 un
ospedale per la cura di questa grave malattia
che colpisce soprattutto i bambini. Nel 2002
scoppiò però la guerra civile: nel novembre
fummo attaccati dai ribelli, e fino a Pasqua del
2003 rimanemmo praticamente prigionieri
senza poter uscire di casa. A ottobre, prima
che iniziassero gli attacchi, l’ambasciatore ci
aveva effettivamente mandato degli elicotteri
per soccorrerci. Noi però firmammo la
rinuncia a questo soccorso, perché volevamo
stare accanto ai nostri bambini malati. Non
potevamo andarcene. In Italia per mesi non
hanno saputo se eravamo vivi o morti, fino
a quando, durante la Quaresima, è arrivata
la Croce Rossa internazionale e ci ha dato la
possibilità di telefonare. Durante quel periodo
la gente del posto arrivava a casa nostra
con sacchetti di riso dicendo: “fino ad ora ci
avete aiutati voi, ora vi aiutiamo noi”. È stata
un’esperienza molto forte. Più o meno alla
domenica delle Palme, sono arrivate però dal
sud le forze del governo per cacciare i ribelli.
Non che gli interessasse di noi, volevano solo
recuperare quella zona poiché era ricca di
miniere d’oro. A quel punto noi ci trovammo
tra due fuochi. Abbiamo passato un’intera
notte sotto le bombe. Allora io sono partito
per cercare i francesi, affinché venissero a
prendere i bambini per portarli via. Mentre io
non c’ero i ribelli ripresero però il potere, così il
governo, in risposta, ha mandato degli elicotteri
a bombardare. Hanno bombardato soprattutto
la missione e il convento ma, nonostante
questo, in quella circostanza accadde un fatto
inspiegabile: ci furono un sacco di feriti, ma
neanche un graffio ai bambini e ai frati della
missione.
Io intanto non sapevo nulla di tutto ciò, fino
alla mattina in cui, con i francesi, dovevo salire
a prendere i bambini. Ci dissero che non era
possibile passare poiché avevano bombardato.
Seppi poco più tardi che i frati e i bambini erano
riusciti a scappare per andare nella capitale.
Nel frattempo avevano incontrato i focolarini
che li avevano soccorsi, e i ribelli stessi che
avevano poi organizzato delle corriere per
Abidjan. Lì abbiamo riallestito l’ospedale.
Purtroppo però ora il centro è stato chiuso.
Il nostro chirurgo ci ha voltato le spalle,
raccontando al governo ivoriano molte bugie.
Da allora siamo stati obbligati a chiudere, a
malincuore, questo Centro Medico. Sono stato
quindi trasferito al convento di Alépé dove sono
attualmente vicario parrocchiale, vice-maestro
dei postulanti, e vice-superiore del convento.
Sono tanti vice! Ormai sono 28 anni che vivo
in Costa d’Avorio... un paese dove la guerra
ha praticamente distrutto tutto, ma che ora
vuole rialzarsi. Di questi 50 anni di ordinazione
sacerdotale devo ringraziare il Signore perché
ho vissuto con tanta, tanta grazia e amore della
gente. Ho avuto una vita talmente felice che
non avrei potuto nemmeno immaginarla! Q
41
RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI
All’età di 92 anni frei Elia Baldelli è morto nella sua missione in Brasile
Un frate fatto orazione
A parlarci di lui con accorato affetto è frei Aquilino che ha condiviso diversi
anni e gli è stato vicino nella malattia fino al giorno della morte.
Lo ricorda come missionario dal 1946 che ha dedicato la vita
al popolo del Brasile, come confratello di fede profonda, umile, silenzioso,
devoto alla Vergine e che ha lasciato molti diari e un vuoto
nelle molte persone che lo hanno amato.
di frei Aquilino Apassiti
O
ggi 13 giugno 2012 festa
di Sant’Antonio di Padova,
abbiamo celebrato il
“sétimo dia da morte”
del nostro frei Elia, con grande
concorso di popolo. Chi pensava
che il Signore chiamasse in Paradiso frei Elia,
proprio durante la novena di Sant’Antonio...
Ogni giorno si celebrano cinque S. Messe con
grande concorso di popolo. Frei Elia, aveva
celebrato l’ultima sua messa, domenica 3
giugno, come al solito. Lunedì alle 14,30
comincerà il suo calvario che completerà la
sua lunga giornata terrena. A dicembre scorso
aveva compiuto 92 anni. Era stanco, debole,
ma né io, né i confratelli che convivevano con
noi sospettavamo prossima la sua fine. La sua
refezione era sempre sobria e monotona, ma
regolare. Assumeva con fedeltà le medicine
prescritte, dormiva abbastanza bene, i dolori
sempre lo accompagnavano, era sereno,
anche se a volte sembrava preoccupato di
qualcosa che pure lui non sapeva spiegare.
Sarebbero stati tre anni a novembre che
l´accompagnavo e servivo con vero amore:
era un ammalato dolce, sereno, affabile, un
ammalato ideale, un frate fatto orazione,
sempre con la sua corona in movimento di
42
giorno e di notte...La sua voce si era
fatta flebile e stanca, e da giorni
facevo fatica a comprendere i suoi
bisogni, a volte gli facevo ripetere
le sue necessità... Frei Elia amava
il silenzio, il suo raccoglimento
era continuo, la sua stanzetta non
doveva essere né troppo illuminata
né con troppa aria corrente.
Chi lo visitava, subito percepiva il suo stile
e si adeguava, sempre disponibile alle
confessioni, in Belém non mancano persone
bisognose nello spirito.
La sua vita la trascorse quasi tutta accanto
a chi soffre, aveva una sensibilità tutta
particolare, aveva formato un gruppo di
persone che l´accompagnavano nel ministero
degli infermi... ora continuano la visita
periodica agli ammalati nelle case e negli
ospedali, come ministri dell’Eucarestia.
Ogni domenica mattina vanno a celebrare la
S.Messa all’ospedale della città. Frei Elia era
felice di sapere che altri stavano assumendo
e continuando la sua missione. Quando poi
rientravano e si fermavano qualche tempo
nella sua stanza, chiedeva come era la
partecipazione, se c’erano gli animatori...
i cantori. Frei Elia da tempo non partecipava
più agli atti comuni della comunità, preghiera,
refettorio, riunioni capitolari, non ce la faceva
più. Prima era sempre il primo in tutto, non
di meno voleva sempre che lo tenessero
informato. Quando veniva a sapere che
qualche frate studente di teologia, lasciava la
sua vocazione e se ne andava si faceva muto
e un velo di tristezza scendeva sul suo volto e
pregava, perché il Signore l´accompagnasse e
continuasse la strada del bene.
La sua giornata scorreva tra stanza, cappella,
e lunghe camminate. Non leggeva più, né
scriveva più come un tempo, perché le sue
mani e il suo occhio (da tempo ne aveva
perso uno) non collaboravano, non ce la
faceva più. Ogni giorno era fedele alla recita
dell’“Ufficio Divino” e con che devozione
e puntualità lo recitava; dopo la preghiera
aveva le sue devozioni particolari, era
fedelissimo ogni giorno. Bisognava vederlo
alla celebrazione della S. Messa, quanta fede,
quanta devozione, quanto impegno. Aveva un
libretto in cui segnava ogni giorno le SS. Messe
celebrate. Domenica 3 giugno, festa della
SS.Trinità, celebrava la sua ultima Messa con
43
RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI
l’inseparabile Frei Angelo Olginati. Nei tempi
vuoti, recitava Rosari e Rosari. Gli leggevo
notizie della Provincia, e quanto riguardava
la chiesa, il Papa: era attento e interessato.
Frei Elia a 92 anni possedeva tutte le sue
facoltà mentali, ricordava tutti i frati, il nome
dei suoi ex ammalati che da tempo non
visitava più, chiedeva della loro salute, della
famiglia. Non lasciava di chiedere preghiere,
dava la sua benedizione e assicurava un
ricordo nella preghiera. Era una persona che
coltivava l’amicizia e la sua sofferenza era di
non poter più essere lui a visitare, ma essere
visitato. Quando le forze glielo permettevano,
lo portavo in chiesa, dove esiste un ossario
dei nostri antichi frati che ci hanno preceduti,
soprattutto non mancava l’incontro il giorno
dell’anniversario della morte. Lui li conosceva
quasi tutti, sostava pregando profondamente
ricordando il frate, le sue qualità e questo
dopo la visita al SS.Sacramento. Si fermava
a lungo davanti alla tomba del nostro servo
di Dio Frei Daniele da Samarate e pregava
e pregava e sempre mi faceva leggere la
sua meravigliosa preghiera di fede e di
rassegnazione alla volontà di Dio... e poi
commentava... come fu lunga e dolorosa
la sua agonia, 12 lunghi anni, trascorsi nel
lebbrosario di Tucuntuba (Belém) lontano
dal suo convento e dai confratelli, che tanto
stimava e amava.
Frei Elia era di un’umiltà straordinaria,
pensate; io ero ultimo del convento e
l’obbedienza mi aveva messo al suo
44
servizio... eppure mi obbediva come un
bambino, un giorno non voleva mangiare, io,
per ricattarlo, gli dissi: se non pulisci il piatto che
ti ho portato non ti dò più nessuna medicina...
pensate al mio ritorno mi mostra il piatto
vuoto, come ordinato. Aveva fiducia senza limiti
nei medici che con tanto amore e dedizione
l’accompagnavano, Dr. Josè Maria, Dr. Agostino,
i loro consigli erano per lui veri precetti, amava
la vita, dono del Signore, non aveva paura
della morte... sempre con il suo volto sereno,
anche se era difficile vedere un sorriso, era
sempre pronto a ricevere qualunque sentenza
e adeguarsi alla volontà di Dio. Alla vigilia della
sua morte, alla richiesta del medico di essere
trasferito in ospedale per accertamenti, visto
il peggioramento della sua salute, per esami
e controlli vari, con un fil di voce chiede di
lasciarlo nel suo letto, non se la sentiva più di
obbedire... Frei Elia voleva incontrare sorella
morte nel suo letto.
Voleva spesso che si mettesse il dvd, appena
regalato, del cantico di San Francesco. Beati
quelli che morranno in pace che la morte
seconda non farà male. Il giorno precedente
la sua morte accompagnava più con il cuore
che con le labbra il Rosario registrato da Papa
Giovanni Paolo II: era commovente vederlo
tentare il segno della croce per ricevere la
benedizione che alla fine di ogni Rosario il Papa
impartiva.
Frei Elia mi voleva un bene straordinario, aveva
una grande paura che l’abbandonassi; a volte
con sofferenza mi faceva partecipe del suo
dolore; si chiedeva come mai non aveva
deciso prima di ritornare in Italia per non
darmi tanto lavoro, quante preoccupazioni
ti dò, e tu vai in Italia? Quando vai al Prata?
Dove sei stato? Stai bene? Hai mangiato? Vai
a riposare, sarai stanco... erano domande che
lo tormentavano non poco. A volte penso che
non sono stato sempre attento e senza forse,
gli causai dolore. Aveva una gran paura che
mi ammalassi. Era un frate di fede profonda,
di certezze sicure; non mi nascondeva niente,
era diventato un vero bambino del Vangelo,
e grazie a Dio, gli fui vicino fino all’ultimo
stringendo la sua mano stanca, fin quando
la febbre (41 gradi) lo stava bruciando,
quell’ultima sua notte terrena.
Frei Elia era un’anima eletta, mi par di vederlo
con frei Angelo Olginati che chiedeva di
confessarsi da lui, poi era lui che chiedeva
di confessarsi da frei Angelo e dopo la
riconciliazione pregavano e stavano in silenzio
con il loro Signore. Accompagnava con tanta
umiltà le preghiere che suggerivo ad andare
in chiesa, al ringraziamento dopo la S.Messa,
quando cominciava la giornata, quando
andava a letto, quanti segni di croce! Era
devotissimo della Madonna del Carmine. Sono
sue le parole sotto la statua della Madonna
del Carmine qui nel chiostro del convento di
Belém “REGINA DECOR CARMELI”. Quando era
giovane, a Cologno Monzese era catechista,
animatore della parrocchia, già portava il
suo scapolare messo dal suo santo Parroco
Don Cirillo Pizio, che non lo lascerà mai; mi
confidava che lo ha accompagnato in guerra,
in prigionia, lungo tutta la sua vita da frate
cappuccino.
Quando gli chiedevo come e dove aveva
trovato le forze per vivere e perseverare nella
vocazione per tanti anni, provata da tante
peripezie, la attribuiva a Lei, alla Mamma del
cielo, N.S. del Carmelo, e al Beato Innocenzo
da Berzo. Spero che qualcuno presto prenda
in mano carta e penna e sfogli i suoi tanti
diari, quaderni, dove scriveva appunti, tappe
di lavoro, incontri con malati, tante esperienze
vive: sono certo che troveranno una vera
miniera di pensieri spirituali che faranno
tanto bene a molti. Oggi soprattutto che tutti
abbiamo bisogno di testimoni autentici, veri,
santi dentro e fuori. Frei Elia si fermò dalla
sua attività apostolica causa la malattia, i
dolori alla colonna vertebrale, problemi ai
reni. La sua grande avventura missionaria era
cominciata nel maggio del 1946, in Brasile,
la sua meta, e qui ha dato tutto per il Signore
e per i suoi tanto amati ammalati. Belém e
Imperatriz (Maranhão) si sono disputati la sua
presenza non una volta sola, ma per decenni.
La sua celletta era un andar e venire di suore,
sacerdoti e fedeli, anime che chiedevano
confessione dei peccati, conforto, luce,
perdono. Frei Elia era sempre disponibile, e la
sua benedizione non mancava mai. Quante
persone mi chiedevano di visitarlo, era solito
chiedere preghiere per compiere la volontà di
Dio, assicurando poi benedizione e un ricordo
particolare. Quando ho annunciato a Frei
Angelo Olginati che Frei Elia ci aveva lasciati,
mi disse “Un nuovo santo oggi è entrato in
Cielo”... e io lo penso tra gli Angeli e i suoi
confratelli che tanto ha amato e assieme ai
quali ha lavorato e sudato nella vigna del
Signore. Quante anime accompagnate nel
dolore, in tanti ospedali, in tante case private,
a confortare, a confessare, a dare l´Olio Santo
per l’ultima battaglia della vita. In questi giorni
successivi alla sua scomparsa si è creato in me
un grande vuoto nel cuore, lo penso giorno e
notte, mi sento un vero privilegiato ad averlo
accompagnato così tanto. Sono sicuro che
ora non ha più bisogno delle mie attenzioni,
dei miei servizi, ma sono io che ho bisogno
delle sue, ora che è al sicuro nel Regno del
suo Signore, che tanto sperava di incontrare
e al Quale tanto si dedicò, perché altri lo
incontrassero nella loro vita. Dal cielo mi e ci
protegga, avvocato sicuro e potente, visto che
fu sempre un vero e autentico Servo fedele
del suo Signore. Q
45
RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI
I “piedi”del missionario
Struggente e
commosso è il ricordo
di Frei Elia, messo
dal Padre dei Cieli
sulle strade degli
uomini: quelli poveri,
quelli ammalati
immobili in un letto
o su una carrozzella...
camminando leggero
e povero, cristoforo e
cireneo, samaritano
buono e silenzioso,
portando sempre a
tutti GESÙ Eucaristico:
quello Crocifisso.
di frei
Apollonio Troesi
46
frei
F
Elia Baldelli
rei Elia è morto. È volato via nel giorno
santo del “Corpus Domini”. Ha smesso
di camminare su queste nostre strade.
Sono in molti a piangerlo, moltissimi
adesso lo attenderanno invano e io qui
voglio ricordare con struggente nostalgia
quei suoi “passi” per portare GESÙ a Gesù
Ammalato e Povero. Ricordare è poco
– anche se è solo quello che posso fare –
ma vorrei tanto “sentirli” questi Passi per
dare ad essi consistenza e valutarne il senso
completo. “Quanto sono belli i piedi di
coloro che recano un lieto annuncio”(Isaia
52,7): Frei Elia recava addirittura Gesù. Da
qui il Titolo che ho scelto. Non vi sembri
strano, carissimi, è che così posso vedere
Frei Elia in movimento; posso vederlo
camminare con gioia e venerazione, tanta
devozione perché non andava solo, andava
con Gesù! Ah, quanto erano belli i piedi
di Frei Elia! Ma proseguiamo con ordine e
vediamo se riusciamo a “confondere” i passi.
Domandiamoci attenti e curiosi: “Era Frei Elia
o Gesù in Persona che
camminava?”
È un quesito che mi porto dentro da tempo,
di tanto in tanto si fa urgente ed esige
risposta. Oh, quanto mi piace rispondere
adesso: “Certo, certo, era Gesù! Quei
“passi” erano di Gesù!” Diventa così tutto
più autentico perché è semplicemente
meraviglioso! La vita di Frei Elia spesa
giorno dopo giorno andando con quella sua
“maleta” (borsa-borsetta), “Tabernacolo
ambulante” perché ci metteva con cura e
attenzione la Santa Eucaristia, ricalca, per
così dire, l’andare di Gesù di modo che
gli Avvenimenti narrati dagli Evangelisti si
“attualizzano” in questo fraticello schivo,
umile, silenzioso. Sto riempiendo questo
mio ricordo di oh e di ah: accettateli!
Non saprei come esprimere diversamente
quello che sto provando mentre scrivo!
Troppi anni l’ho visto uscire e ritornare in
convento, varie volte l’ho incontrato per
strada, io comodamente in macchina e
lui a piedi, difendendosi dal sole cocente
con quella sua famosa “maleta” tenuta
in alto per proteggere la testa dal forte
calore e non accettava affatto l’invito di
salire in macchina: voleva continuare così.
Forse pregava, senz’altro raccomandava
a Gesù che ancora caricava, quelli che
avevano visitato “assieme”. La commozione
che mi nasce dentro nel ripensare e
“rivedere” quei suoi quotidiani passi, mi
porta automaticamente sulle strade della
Palestina e “vedo” – “vediamoLo” assieme!
– GESÙ che ad un certo punto della Sua Vita,
decide di iniziare quel Suo lungo viaggio
verso Gerusalemme! Deve andare! Andrà
a piedi, giorno dopo giorno e là, arrivato,
accetterà serenamente di essere ucciso
per la salvezza di tutti. Ascoltate bene: in
questo Racconto di Giovanni – 9,51ss – c’è un
particolare che merita di essere conosciuto
in questo nostro contesto. Eccolo: il latino
della “Volgata” che rende alla lettera il
greco dell’Originale, proclama che Gesù
“indurisce la Sua faccia” (stringe i denti)
per iniziare questo Suo cammino decisivo,
ma i Samaritani, nemici dei Giudei, non
accettano che passi sul loro territorio perché
“la sua faccia era di uno deciso ad andare a
Gerusalemme” (gliela si leggeva in volto
la decisione). Nessuna traduzione della
Bibbia in italiano si preoccupa di utilizzare
queste stupende “metafore”, se la cavano
con qualche avverbio in più. Ora, quanto
diventano preziose in questo mio tentativo
di rendere omaggio alla memoria di Frei
Elia. Il Volto di Gesù – ho detto – tradiva la
volontà di andare, era fin troppo lampante!
Questa stessa volontà la si leggeva, meglio
ancora, la si toccava con mano: ogni giorno,
piovesse a dirotto o tirasse vento o l’asfalto
su cui camminare fosse addirittura bollente,
ogni giorno voleva andare, andava con Gesù
verso Gesù. Il camminare di Gesù verso
la Città Santa occupa la parte centrale del
Vangelo di Luca, si protrae per 10 capitoli...
Comincia con quella risoluzione – 9,51 – e
termina in pianto: “Videns Jesus civitatem,
flevit super illlam” (Quando fu vicino, alla
vista della città pianse su di essa) – 19,41 –
Sono 420 i Versetti che danno vita a questi
“passi” del Signore e Luca si preoccupa di
tanto in tanto di ricordare al lettore che Gesù
è in cammino. Ci sono almeno sette “riprese”
per questo motivo. Carissimi, potrò io mai
dimenticare questo andare e venire di Frei
Elia? Dimenticare questi suoi “passi” modesti,
insistenti, continui per anni e anni? Ho scritto
nel corso di questo mio ricordo: – Ah, quanto
erano belli i piedi di Frei Elia! Adesso che
sono arrivato alla fine, ma è solo la Prima
Puntata perché avrei ancora tanto da dire… Q
47
VOLONTARI IN MISSIONE
Oddio cosa
Volontarie
in Brasile
ci faccio qui?
L’esperienza di due
giovani volontarie
che hanno deciso di
dedicare un periodo
nella missione di Anil
in Brasile. Fra i piccoli
bambini della scuola
hanno trovato gioia ed
affetto ed hanno capito il senso
vero della loro esperienza.
È
di Lucia Iannaccone
la sera di venerdì 5 agosto, la sera
della partenza, della tanto attesa
partenza, preceduta da un’infinità
di telefonate ed sms: “Cosa metti in
valigia?” “Ma lo portiamo il costume da
bagno?” “Le medicine le hai prese tutte?”
48
“Oh mamma, mancano pochissimi
giorni!!!” …3, 2, 1: ciao a tutti, ci
sentiamo, ci vediamo tra un mese.
Due aerei, lo scalo a São Paulo, un
totale di quasi 12 ore di viaggio e,
finalmente, l’arrivo. All’aeroporto
ci vengono a prendere Manuel e
Andrea, che ormai sono a São Luis da
un po’ e parlano quasi più il portoghese che
l’italiano… chissà se io almeno due parole
riuscirò a impararle! Arriviamo in convento,
ci sistemiamo, è subito sera e siamo già
invitati alla festa delle suore cappuccine
di Villa Litoranea che dopo la Messa ci
invitano a cena. Domenica mattina, Messa
nella “chiesa azzurra” di Anil e poi il primo
incontro con la “vida na praia” brasiliana:
oceano, spiaggia immensa e acqua di
cocco…
Quindi lunedì: comincia l’asilo, il cuore
della nostra missione. Al mattino il nostro
compito consiste nell’aiutare le maestre a
fare lezione, quando i bambini sono nelle
rispettive classi; a mezzogiorno dobbiamo
far fare la doccia ai bimbi, cambiarli e farli
pranzare; nel pomeriggio giochiamo tutti
insieme. Alla Creche (asilo) “Divino Mestre”
ci sono bambini dai due ai cinque anni,
provenienti dalle famiglie più povere della
città: i più piccoli giocano, dei più grandi
alcuni hanno già frequentato lo scorso anno
e sanno già scrivere e far di conto, altri
non hanno nemmeno molta voglia di stare
seduti sulla sedia ad ascoltare quello che
dice la maestra… inutile negarlo, all’inizio
Semplicemente tieni aperto
il cuore
di Roberta Pisoni
Q
uando ripenso alla mia
partenza, la mia mente
torna ad aprile quando il Brasile
mi ha scelto. È la mia prima
esperienza in missione, non ho
una meta in mente e Thomas
e Lucia seduti vicino a me mi
suggeriscono di aggregarmi a
loro; ad Anil c’è un asilo, non
sono richieste doti particolari:
mi sembra un ottimo
compromesso, la scelta “meno
impegnativa”.
Del Brasile ad Anil mi ricordo
tutti i momenti vissuti, la
ricerca sull’atlante della città
di São Luis per mostrare ai
miei genitori dove andavo,
gli amici e i colleghi increduli:
dove vai? nel Maranhao? E
poi sono arrivata, Anil - Igreja
Azul è stata la mia casa per 3
settimane, la nostra casa perché
vivere la missione significa
anche condividerla ed io ho
avuto la fortuna di condividerla
con dei compagni fantastici:
Thomas, Anna, Lucia e Manuel
che ci ha fatto da apripista.
Il primo ricordo all’arrivo è
l’odore acre
e il caldo
e vedere
la faccia
amica
VOLONTARI IN MISSIONE
non è facile ambientarmi, capire qual è il
mio posto, la solita fase dell’“Oddio cosa
ci faccio qui?” …ma poi tutto comincia a
scorrere e in un attimo il nostro mese vola,
facendo lezione con i bambini impariamo
l’alfabeto, i numeri e le favole e il mio
portoghese migliora anche grazie a loro…
dopo i primi giorni impariamo quasi tutti
i nomi ed entrando nelle classi al mattino
e nella mensa, dove si fa merenda, al
pomeriggio, veniamo accolti da decine
di “Tia” e “Tio” (maestra-zia e maestrozio): mi fai la barca di carta? Mi fai un
disegno? Mi dai un palloncino? Le bambine
si innamorano del mio burro cacao e dei
nostri capelli lunghi, i maschi invece delle
macchine fotografiche, in più inventano un
gioco divertentissimo in cui loro fanno le
scimmie e noi… gli alberi! La sera torniamo
a casa sempre stanchi morti, prepariamo
la cena e commentiamo le nostre giornate
guardando le fotografie… quelle fatte da
noi e quelle fatte da loro, ovviamente. Le
settimane passano, tra di noi impariamo a
di Manuel che ci aspettava.
Nonostante le informazioni
ricevute la realtà è ben
diversa. Mi sono resa conto
che ho sempre viaggiato da
turista: in ogni posto dove
andavo cercavo di conoscere
la gente ma lo facevo in modo
superficiale. Lì ci dovevo vivere,
camminare sulle stesse strade
sporcandomi i piedi, mangiare
alla stessa tavola; mi ci sono
conoscerci un po’ di più, in modo diverso
dal solito, e ci sosteniamo a vicenda quando
il contatto con una realtà nuova si rivela
difficile e triste, perché abituarsi a vedere
la ricchezza e la povertà così vicine come
sono a São Luis a volte è proprio difficile
e triste… per fortuna nei weekend del
Brasile possiamo vedere anche le bellezze
naturali, le meraviglie del parco dei Lençois
Maranhenses e il villaggio di Raposa,
voluti giorni per capire cosa
fare, dove mettermi.
E poi lunedì siamo andati alla
creche; lì ci aspettavano un
centinaio di bambini dai 3 ai
6 anni, ci hanno mostrato le
aule e presentato le maestre
poi ognuno di noi si è recato
in un’aula. La mia porta si
è aperta nella classe dei
piccoli, bambini di 3-4 anni
che mi guardavano incuriositi,
non sapevo una parola di
portoghese la maestra per
aiutarmi ha fatto l’appello.
Alcuni si sono avvicinati per
chiedermi il nome, era strano:
ero seduta su una seggiola blu
dall’altra parte della terra e mi
sono chiesta cosa ci facevo lì.
Con loro ho disegnato, ho
giocato a girotondo, ho
cantato a squarciagola “Fra
Martino” e ho scoperto che è
paesaggi che riempiono il cuore quasi
quanto i sorrisi dei nostri bambini.
In una città di cui, nonostante tutto, ho
spesso nostalgia, un mese che mi ha fatto
crescere e per il quale sento di dovere degli
enormi “GRAZIE”: ai frati che, qui in Italia
come nelle terre di missione, ci guidano e
ci danno con l’esempio di San Francesco la
più bella testimonianza dell’amore di Dio; a
quelli che dall’Italia ci sono stati vicini con
internazionale, ho raccontato
favole, ho pensato ai giochi
che facevo da piccola come
suggerito da mia madre, ho
riscoperto l’importanza della
famiglia, la grande fortuna che
abbiamo e che molto spesso
diamo per scontata.
Ero partita credendo di vedere
bimbi denutriti o senza vestiti
e ho visto che la povertà più
grande è non avere nessuno
le preghiere o coi pensieri semplicemente;
ai volontari Giovanna, Andrea e Manuel
che, per tanto o per poco, hanno fatto parte
del “mio Brasile”. Ai “miei” bambini, a cui
penso ogni giorno e che ogni giorno mi
mancano.
Ma soprattutto, il grazie più grande ad
Anna, Thomas e Roberta miei compagni di
missione, che per quel mese sono stati la
mia famiglia. Q
che ti ama, non sapere chi
è tuo padre, aspettare ore
all’asilo sperando che qualcuno
venga a riprenderti.
Mi sono dovuta mettere in
gioco, tante volte mi sono
sentita inadeguata.
Prima di partire un’amica
che mi ha preceduto in
quest’esperienza mi ha scritto:
“tieni il cuore aperto e il resto
ti verrà dato come dono”.
Ho ricevuto vagonate di amore,
molti “grazie” e altrettanti
abbracci, molte volte mi sono
sentita in imbarazzo perché
stavo ricevendo molto più
di quello che davo. Quante
volte l’ho sentito ripetere dai
volontari prima di partire….
ma viverlo fa un altro effetto.
Mi basta guardare le foto dei
miei bimbi, il sorriso rubato
a Isabella (la mia bimba
preferita) o pensare alle sere
passate a chiacchierare coi
ragazzi per ritrovarmi il sorriso
sulle labbra e gli occhi lucidi.
Chi ringraziare per tutto
questo? Voi frati del centro
missionario che mi avete
offerto questa opportunità,
i miei parenti e i miei amici
che mi hanno sostenuto, Frei
Pinto, Gilson e Gildo che ci
hanno accolto in convento
ad Anil, Fatima che ci faceva
trovare sempre un pasto caldo,
i bambini della creche (asilo)
che mi hanno rubato il cuore,
le maestre e Fidelia, i ragazzi
della “Paroquia” con cui
abbiamo condiviso l’esperienza
missionaria, Aurelio che ci ha
fatto da traduttore… e quanti
sono e quanti ne ho saltati; ma
fondamentale è LUI, il Signore,
che ho sempre sentito vicino. Q
VOLONTARI IN MISSIONE
Due volontarie nel Pantanal in Brasile
Hanno fabbricato sorrisi
L’esperienza
missionaria di Paola
ed Angela raccontata
dall’entusiasmo di
frei Apollonio che ha
condiviso con loro
momenti intensi e di
lavoro soprattutto per
la realizzazione di un
ambulatorio medico
in una delle zone più
povere del Brasile.
di frei Apollonio Troesi
P
roprio così: sorrisi a non
finire. È vera, è bellissima
e coinvolgente la “storia” che
sono in obbligo di narrare.
Eccola, venite con me: Vi porto
in Brasile, più propriamente
al Nord e esattamente nella
superaffollata periferia di
Belém do Pará, la Capitale
dello Stato. Lì ai tempi che
sono durati dal 1815 al 1935 –
qualcosa come 120 anni – era
“alloggiato” alla mal-e-peggio
il Lebbrosario di Stato. Tutti
i colpiti da questa terribile
malattia dovevano abitare
lì: enorme spazio occupato
da una palude estesa in una
foresta intatta per via della
“paura” e attraversato da
un fiumiciattolo chiamato
“Tucunduba” che dava il
nome – nome lugubre –
al “Lazzaretto dos doentes”.
Nell’aprile del 1914 entra
come “morador” (abitante
fisso perché lebbroso) un
personaggio conosciutissimo
52
in tutta Belém, stimato
soprattutto dal Vescovo e dal
Governatore dello Stato: è un
frate, sacerdote cappuccino,
giovane di 38 anni. Entra
come ammalato – fuori
non può rimanere – ma si
trasforma per impeto divino
in Cappellano e riesce a dare
in poco tempo un volto più
umano a tutti quei poveracci
abbandonati e temuti. Muore
consunto dalla lebbra 10 anni
dopo, nel maggio del 1924,
compianto da tutti, amici e
nemici. Il Lebbrosario vive
lungo il Tucunduba ancora
una decina di anni e poi,
crescendo la città, è trasferito
a più di 100 km da Belém. Il
terreno “maledetto” rimane
deserto (ho incontrato persone
che negli anni 1950-1960
erano state calorosamente
sconsigliate di andare ad
abitare nei paraggi – neanche
tanto vicini – del Lebbrosario).
La paura ha sempre fatto 90...
ma con un’eccezione. Non
ricordo quando è incominciata
l’INVASIONE che tra l’altro
non è ancora terminata.
A poco a poco, prima alla
chetichella i più coraggiosi o
più disperati, poi in numero
sempre maggiore sono arrivati
dai paesi limitrofi i POVERI
attirati dal miraggio della città
e – contagio o non contagio,
paura o non paura – si sono
insediati su quel terreno,
costruendo un abbozzo di
case o capanne palafittate
per via della palude e delle
alte maree del “riacho”
(fiumicello). Un’”orda di
barbari” – passi l’espressione
negativa – abbattendo alberi
per fare case e passarelle e
inquinando l’acqua fino allora
limpida del Tucunduba e di
altre sorgenti. Ma tant’è: la
povertà, peggio, la miseria e
di questa dobbiamo parlare,
è sempre stata nera nerissima!
Da allora il luogo ha assunto
vari nomi. Lo chiamano a
tutt’oggi: Pantanal – Riacho
doce – Marinho – Terra firme.
Così l’abbiamo trovato noi,
frati, quando ce l’hanno
indicato e ci siamo subito
insediati alla bell-e-meglio
per onorare la memoria di Frei
Daniele Rossini da Samarate, il
frate citato sopra. Così l’hanno
trovato Paola e Angela: la
prima dottoressa pediatra e
la seconda infermiera dello
stesso ramo.
Eccoci arrivati alla “FABBRICA
del SORRISO” che continuerà.
Più che necessaria era questa
nostra lunga premessa per
far comprendere tutto il peso
e il valore di quanto sono
riuscite a fare queste Due
Meravigliose Missionarie del
Buon Dio! È bastato loro poco
più di un mese per rendersi
conto della situazione e
incominciare a dirsi e a
ripetersi – Dài, qui dobbiamo
fare qualcosa per tutta
‘sta povera gente. Hanno
incominciato davvero in tutti
i sensi – siate benedette e
ringraziate, carissime Paola e
Angela! – hanno incominciato
piene di entusiasmo, solidali
con tutta questa nostra povera
gente.
Lascio volentieri la parola
a loro: vale decisamente di
più: “Le iniziative promosse
sono state tante…. la
realizzazione e la vendita di
un calendario, una mostra
fotografica, bomboniere
di Battesimi e Comunioni,
un coro di bambini, alcuni
spettacoli teatrali, pesche
di beneficenza e piccoli
mercatini di beneficienza
nel contesto di fiere di
paese, ma soprattutto tante
tantissime donazioni frutto
del sacrificio di persone vicine
e lontane che hanno creduto
in noi e nel nostro progetto,
non vogliamo dilungarci
descrivendole tutte, ma sono
state tutte registrate nella
nostra memoria e nel nostro
cuore”. L’inaugurazione
dell’Ambulatorio è avvenuta
con tutta la gioia possibile e
immaginabile il 15 maggio
scorso: che festa, che
festa! Che gioia nel cuore
di Paola e Angela e Gina di
Mediaset: trio santissimo,
benefico, soddisfatto.
“È stata una bellissima
esperienza – concludono le
Due – inizialmente sembrava
solo un sogno, ma ora
che è diventata una realtà
visibile tangibile, vogliamo
ringraziare tutti coloro che
ci hanno sostenuto e che ci
sono stati affianco durante
questi due anni credendo
in noi e nella possibilità di
realizzazione del progetto.
Tutti quelli che ci hanno
aiutati, dal più piccolo al
più grande, sono i veri eroi
di questa storia e a loro va
la nostra gratitudine, ma
soprattutto tutti coloro che
trarranno beneficio da questa
iniziativa. A tutti coloro che
ci hanno aiutato è stato
dedicato il centro di salute,
non potendo scrivere tutti i
loro nomi, abbiamo deciso
di intitolarlo… ITALIANOS
AMIGOS DO PANTANAL”.
“Grazie di cuore a tutti”, solo
le ultime loro parole e noi
frati con i poveri che numerosi
già affluiscono al nuovo
Ambulatorio ringraziamo
“do fundo do nosso coração”
loro Due, la Paola con
Angela e anche con Gina che
ultimamente si è unita a loro
per completare l’opera. Dio
Vi benedica, Vi ricompensi e
Vi mantenga sempre questo
ardore infuocato e intelligente
per continuare a fare del bene
con la stessissima intensità...
“A Deus louvado” Dio sia
lodato. Q
53
VOLONTARI IN MISSIONE
A Barra do Corda in Brasile
Il nostro
piccolo e costante aiuto
Giuliano ha vissuto più volte
l’esperienza missionaria in
particolare con le suore cappuccine.
Nel suo ultimo viaggio a
Barra Do Corda e São Luis ancora
una volta ha sperimentato con mano
i tanti problemi che affliggono
la missione brasiliana.
C
di Giuliano Moroni
ome consuetudine da diversi
anni, accompagnato da
Fulvio, ritorniamo nello Stato
del Maranhao, nel nord-est
del Brasile, dove siamo impegnati
nel volontariato, per aiutare le
missioni delle Suore Cappuccine di
Madre Rubatto. Suor Fausta Milesi
ha impegnato quasi tutta la sua
vita religiosa e missionaria in questa zona.
In questo nuovo viaggio siamo rimasti per
33 lunghi giorni in Barra do Corda, una piccola
cittadina al confine con la foresta Amazzonica.
La missione è situata in una conca caldissima
e invasa da nuvole di zanzare e mosquitos,
con temperature umide sempre vicine ai
40 gradi. Di ritorno a São Luis (capitale dello
Stato) si è lavorato nella casa Regionale
delle Suore fino al nostro rientro in Italia.
Nei pressi della casa Regionale, ad
una distanza di circa 12 km sorge
il berçário, (asilo nido) ove il 12
gennaio 2011 c’è stata un’alluvione
che ha messo a soqquadro
i pavimenti e reso pericolanti
i muri. Ora si stanno preparando
i progetti (si spera molto rapidamente) per
la ricostruzione. Nel periodo di permanenza
a São Luis, abbiamo fatto diversi sopralluoghi
arrivando alla conclusione che sarebbe un
“suicidio” ricostruire il “berçário” nello stesso
posto, in quanto la valletta con l’acqua passa
addirittura sotto i pavimenti.
Vi sono quindi elevate possibilità che in
futuro possa verificarsi un disastro simile,
vista l’abbondanza delle piogge in alcuni
periodi dell’anno. Quindi si sta pensando
di adattare l’attuale casa delle suore, con
diverse modifiche, ad uso “berçário”, e nel
terreno confinante, già di proprietà, costruire
una nuova casetta per loro. Infatti questa
zona non è soggetta a rischio di allagamento.
Durante la nostra permanenza abbiamo avuto
la possibilità di visitare diverse famiglie, i cui
figli frequentavano il berçário danneggiato.
È apparso evidente come queste famiglie,
e i piccoli in particolare, patiscano la fame:
i genitori non hanno lavoro o sono occupati
solo saltuariamente. Quindi è urgente
ricostruire questa struttura in modo che questi
poveri piccoli ricevano assistenza e nutrimento.
Speriamo che per fine anno si riesca ad
ultimare la struttura. Se poi la salute ci
accompagnerà ancora, ritorneremo ad aiutare,
per fare le finiture. “Suor Fausta ci aiuterà
anche in questo nuovo progetto in quanto lei
a questi bambini teneva molto”. Ringrazio di
cuore anche da parte delle suore che lavorano
in questa missione. Q
VOLONTARI IN MISSIONE
Brasile: volontari a Macapà e Belem
Fra i poveri
Per Mino e Gianni l’esperienza
missionaria è stata l’incontro con i
poveri che frequentano le mense
gestite dai frati, gli ospedali ed il
lebbrosario. Un’esperienza
toccante ed intensa che ha
lasciato segni di speranza
nella testimonianza
dell’amore del Signore.
di fra Mino Baretti
N
el mese di agosto dello
scorso anno io e Gianni siamo
partiti come volontari per 20
giorni nel nord-est del Brasile in
due stati diversi: quello dell’Amapà con
capitale Macapà e quello del Parà con
capitale Belem.
A Macapà i frati cappuccini hanno un
convento di noviziato nella periferia della
città.
Il servizio ai poveri è concretizzato con la
Casa del Pane che ogni giorno offre
150-200 pasti e con il Poliambulatorio
medico che nel nome di frei
con la fiducia in Dio
Daniele da Samarate assiste giornalmente
circa 250 persone.
Io e Gianni la mattina eravamo impegnati
nella preparazione dei vassoi e nella
distribuzione dei pasti ai poveri,
mentre nel pomeriggio andavamo
con l’assistente sociale nei
quartieri periferici della città
per conoscere i bisognosi che
richiedevano l’assistenza sanitaria
presso il nostro centro medico.
In questi quartieri ho toccato
con mano la povertà: case più
simili a baracche di legno e
lamiera costruite su palafitte e soggette
all’alta marea e all’esondazione del fiume.
Nell’unica stanza arredata con 2 o 3
amache vivono 5-6 persone in condizioni
igieniche precarie.
Il resto della giornata lo passavamo in
convento aiutando i frati nelle faccende
quotidiane e condividendo con loro la
preghiera.
Dopo dieci giorni siamo volati a Belem
accompagnati da Fra Apollonio che in
questa città, capitale dello stato del Parà,
coordina un asilo con 250 bambini di
famiglie povere.
I frati cappuccini hanno da anni a Belem
una parrocchia molto viva e attiva sia
pastoralmente sia spiritualmente. Accanto
alla parrocchia ci sono diverse attività
caritative come la mensa dei poveri,
l’ambulatorio medico e la scuola di prima
alfabetizzazione che è l’opera caritativa
più grande nella città. Ogni giorno ci siamo
resi disponibili per la pulizia dei locali e per
la distribuzione dei pasti (300 circa) nella
mensa dei poveri.
A Belem c’erano altri volontari del Centro
Missionario di Milano: Manuel, Ludovica,
Marta e Chiara e con loro ci siamo incontrati
alcune volte. In un’occasione fra Aquilino,
responsabile dell’infermeria dei frati di
Belem, ci ha portati a visitare il Lebbrosario
del Prata a 150 Km dalla città che ospita
una trentina di malati di lebbra assistiti dal
governo. Qui visse e morì da lebbroso Frei
Daniele da Samarate, nostro missionario
cappuccino. Un suo monumento posto al
lato della piccola chiesa tiene vivo il suo
ricordo.
Due cose fondamentali mi ha lasciato
questa esperienza in Brasile: il volto dei
bambini e della gente semplice sempre
sorridente e piena di fiducia in Dio e la
certezza che donare un poco del nostro
tempo per gli altri arricchisce noi e dà
testimonianza dell’amore del Signore. Q
57
VOLONTARI IN MISSIONE
Incontri formativi
volontari in missione
“Il
modo di essere missionari, la
testimonianza di vita evangelica,
l’amore ai poveri, la povertà vissuta,
compiono continui miracoli di beneficenza.
E finché ci saranno tali uomini, il mondo
non dovrà perdere la speranza di salvarsi”
(B. Papa Giovanni XXIII).
Forte di tale certezza e consapevole
dell’importanza di una formazione, il Centro
Missionario dei frati cappuccini di Milano
anche per il nuovo anno propone un ciclo di
incontri per coloro che vogliono prepararsi
a fare un’esperienza di volontariato estivo
nelle missioni di Brasile, Guatemala,
Etiopia, Camerun, Costa d’Avorio, Kenia
e Thailandia. Si tratta di un percorso di
discernimento e formazione dedicato a tutti
coloro che stanno pensando di trascorrere
un periodo estivo di volontariato nelle
missioni, che avrebbero intenzione di farlo,
o che semplicemente sono interessati
ad una formazione di base sui temi della
missionarietà.
Le testimonianze dei volontari che hanno
già vissuto un’esperienza in missione,
aiuteranno a capire meglio cosa significa
vivere un periodo in luoghi di missione,
accanto ai missionari e ad altri amici che
condividono il desiderio di rendersi utili
ai fratelli più poveri in una realtà molto
diversa dalla nostra.
58
Il corso si svolge in diverse tappe:
Un primo incontro servirà per conoscere
la variegata realtà in cui i missionari
cappuccini lombardi operano, le attività
che svolgono e le necessità alle quali noi
potremo rispondere con il nostro operato e
la nostra professionalità. L’attività missionaria
si esprime infatti in una diversità di servizi
e opere a favore di poveri, ammalati,
parrocchie, bambini... cui ciascuno di noi può
rispondere secondo le sue capacità.
In un secondo incontro cercheremo di
conoscere ed approfondire le motivazioni del
nostro desiderio; il lavoro di gruppo aiuterà
a scoprire che è il Signore stesso che in
diversi modi ci smuove dal nostro torpore
per indicarci nuovi sentieri di amore gratuito
verso i fratelli meno fortunati, e a purificare
le nostre aspettative per non rischiare
cocenti delusioni nel momento dell’incontro
concreto con la realtà missionaria.
Saremo poi aiutati direttamente da frati
missionari a riconoscere le aspettative che
essi ripongono nei volontari.
È necessario conoscere in questo percorso
gli usi, i costumi la lingua e la cultura
delle persone con cui condivideremo un
periodo della nostra vita. L’atteggiamento
che ci verrà proposto è quello dell’ascolto,
dell’accoglienza, della disponibilità a
collaborare accettando le indicazioni di coloro
che si trovano in missione da molto tempo.
Concluderemo il percorso formativo con
un incontro di sintesi che ci farà scoprire la
fede in Cristo come forza che dilata i nostri
orizzonti e ci apre ad una fraternità che non
conosce confini.
Anche quest’anno, quindi, l’augurio
di un buon cammino missionario. Q
I frati del Centro missionario
8UhY]bWcbhf]ZcfaUh]j]˜Jc`cbhUf]]ba]gg]cbY&$%'
sabato 12 gennaio 2013 ore 16,00
INTRODUZIONE:
un cammino di scoperta delle missioni
da compiere insieme.
Presentazione del corso.
sabato 23 febbraio 2013 ore 16,00
VIVERE L’ESPERIENZA DA INVIATI:
la fede in Cristo come forza per andare verso l’altro.
Testimonianza e contributo dei volontari in CAMERUN.
sabato 26 gennaio 2013 ore 16,00
VERIFICA DELLE MOTIVAZIONI E DEL VOLONTARIO:
per guardare nel mio cuore con verità.
Testimonianza e contributo dei volontari in ETIOPIA.
Sabato 2 marzo 2013 ore 15,30
SANTA MESSA PER GRUPPI MISSIONARI
E AMICI DELLE MISSIONI:
segue la testimonianza dei volontari in
COSTA D’AVORIO, KENIA e THAILANDIA.
sabato 9 febbraio 2013 ore 16,00
INCONTRO CON I MISSIONARI
E CON LE ALTRE CULTURE:
per scoprire cosa si attende da noi chi ci accoglie.
Testimonianza e contributo dei volontari in BRASILE.
sabato 16 marzo 2013 ore 16,00
FORMAZIONE DEI GRUPPI DI PARTENZA:
un’esperienza di disponibilità da condividere
con altri.
Consigli pratici per il viaggio.
domenica 14 aprile 2013 tutto il giorno
RITIRO CONCLUSIVO.
Sabato 8 giugno 2013 ore 18,00
Festa dei missionari cappuccini.
CONSEGNA DEL TAU con invio missionario.
I corsi sono gratuiti e aperti a tutti e non obbligano
alla partenza. Iscrizioni al primo incontro.
Per info chiedere di fra Agostino Valsecchi
o fra Marino Pacchioni.
I corsi si tengono presso il
Centro Missionario
Piazzale Cimitero Maggiore 5 - Milano
tel. 02.30.88.042
SPIRITUALITÀ
Alberto Beretta dalle sue foto
“Jesus autem, intuitus eum,
dilexit eum...”
Frei
Frei Apollonio ci dona un’ultima
riflessione su frei Alberto Beretta e
così si congeda, per il 2012, il nostro
fedele scrittore frate cappuccino
che ha compiuto 80 anni nel giugno
scorso ed ha dedicato la maggior
parte della sua vita ai poveri, ai
lebbrosi ed ai bambini del Brasile.
A lui tutti i nostri auguri perché
possa compiere ancora per molti
anni il suo fedele mandato
missionario con la freschezza,
l’entusiasmo, la fede e l’amore che
da sempre lo caratterizzano.
Che Dio lo protegga.
di frei Apollonio Troesi
E
ccomi a Voi per l’ultima volta!
La crisi imperversante travolge
anche i Servi-di-Dio: invece di 10
numeri della Rivista, solo quattro,
ma sufficienti per almeno intuire che
grande stoffa di Santo si nascondeva
e adesso risplende in questo nostro
carissimo FREI ALBERTO, vissuto 85 anni
con Dio a completo servizio dei fratelli!
Siamo alla sintesi: dobbiamo lasciarci e
io mi accomiato, contemplando con Voi la
foto che hanno scelto per annunciare la
sua morte. Qui la chiamano: “santinholembrança” (immagine-ricordo).
Letteralmente suona: piccolo santo, santo
in miniatura stampato e distribuito per
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ricordare. Interessante e significativo
questo chiamare “santinho”
l’immagine-ricordo di un Defunto.
Significativo e verissimo per Frei Alberto!
Cosí vero che ho pensato d’istinto in quel
latino – stupendo – che ancora una volta
Vi ho servito! Ora Ve lo ambiento perché
anche Voi lo gustiate!
L’Evangelista Marco con maggior
freschezza e profondità di Matteo e di
Luca che pure ricordano il fatto, narra
che mentre Gesù usciva per mettersi
in viaggio, un tale Gli corse incontro e,
gettandosi in ginocchio, Gli chiese cosa
doveva fare per salvarsi... Gesù risponde:
“Osserva i comandamenti” e ne cita
alcuni. Quello risponde: “Maestro, tutte
queste cose le ho osservate fin dalla mia
giovinezza...”. ALLORA GESÙ, FISSATOLO,
LO AMÒ” (Marco 10,17-22). Ecco la
traduzione di quel latino bellissimo, ma
quanto povera e banale! Non hanno colpa
i traduttori: è che la nostra lingua è molta
povera. In quell’INTUITUS c’è qualche cosa
di più di quel “fissatolo”, c’è tutto l’affetto
che Gesù mette in quello sguardo, la sua
gioia, la sua contentezza, la predilezione...
ecco, proprio questa che tra l’altro carica
e impreziosisce quel generico “lo amò”.
Il verbo usato in latino e soprattutto
nell’originale, in greco, è ben più
completo e profondo: contiene e riflette
l’Amore di un Dio, il massimo dell’AMORE!
Badate bene: queste mie precisazioni
non sono eruditi appunti filologici: non
è il luogo. Servono per proclamare
l’intensità di quello sguardo che produce
amore e notate un particolare: Gesù
sapeva benissimo che quel tale, neanche
un minuto dopo, se ne sarebbe andato
triste e contristato – un “flop” autentico –
eppure...
QUI, nella foto che ho scelto per l’”addio”,
vediamo un frate che il 10 agosto del
2001 è corso incontro a Gesù. Corso
e erano vent’anni che si trascinava
sulle gambe, bisognoso di aiuto! Corso,
per gettarsi nelle braccia di Gesù. Ah,
quell’amplesso con le due braccia: la
sinistra e anche la destra, inerte da
tempo... Ah, quell’abbraccio sognato e
sospirato. Non gli ha domandato niente.
Gli ha detto solo, parlando speditamente:
“Gesù, Maestro Buono, sono arrivato
anch’io, eccomi. Grazie!”
Qui sta tutta la forza contenuta
mirabilmente in Quelle Parole latine e
quel “Dilexit eum”? Lasciatemi esclamare
ancora: Ah, quanto se l’è meritato Alberto
nostro: attivo e insonne prima come Gesù
durante la Vita pubblica e crocefisso dopo
con Lui e come Lui per quasi vent’anni.
Quel “tale” con il fiatone per aver corso
e forse ancora in ginocchio, al sentirsi
proporre una vita di donazione e di
altruismo, accompagnandosi con Gesù,
si rialza rattristato e, afflitto, si allontana
grondon grondoni. Gesù non manca
di sottolineare, “volgendo lo sguardo
attorno”(v.23), la sua delusione. Forse
segue con lo sguardo amareggiato quello
che se ne va lentamente, ma qui nel
nostro caso il “Vieni e seguimi” che è
stato accettato pienamente, gioiosamente
dal nostro Frate, diventa per sempre:
“Vieni, benedetto del Padre mio, vieni,
accompagnami che ti mostro il posto che
ha preparato per te fin dalla fondazione
del mondo...” (cf Giovanni 14,2-3 e
Matteo 25,34). È così che il “giusto”
Alberto – sorridente – se n’è andato alla
vita eterna! (cf Matteo 25,46).
Carissimi avete notato che ho introdotto e
sottolineato l’elemento che, a mio modo
di vedere, caratterizza la fotografia da me
scelta per parlarvi ancora una volta di Frei
Alberto Beretta? Osservatela bene anche
voi, fissate con amore e curiosità quel
volto sereno che ci guarda e ci... sorride!
Proprio così: ci sorride! È soddisfatto
l’uomo! È contento! Ma non è paralizzato?,
inceppato nella parola, incapace di
scrivere? Certo! Sono anni e anni, ma
sorride... Quanto bene hanno fatto quelli
che hanno scelto fra le tantissime, questa
fotografia per annunciare a tutti il “dies
natalis” (il giorno natalizio, della morte) di
Frei Alberto. Sorride a tutti, naturalmente,
ma io sento che è al Signore Gesù che
sta sorridendo e Gli parla con quel sorriso
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SPIRITUALITÀ
pacato: – Missione compiuta! Mi hai
consegnato due talenti: la mia professione
di medico a servizio dei poveri, e il
mio stare con Te sulla croce per farTi
compagnia: eccoteli! Ecco qui, fruttificato,
quello che è Tuo. E il sorriso si carica di
tanta riconoscenza perché ha appena
ascoltato la risposta di Gesù: “Bene, servo
buono e fedele, prendi parte alla gioia del
tuo Signore... Prendi parte alla mia gioia”
(cf Matteo 25,22 ss).
Carissimi, vi lascio con questo sorriso di
Frei Alberto. A me dice tantissimo, anche
perché mi ricorda quello di Frei Daniele,
appoggiato all’altare dei suoi 25 anni di
sacerdozio celebrati nella cappellina della
sua casa di lebbroso, dato che ormai non
cammina più, gli occhi sono quasi spenti
e le mani, inservibili... Eppure sorride,
meglio – la lebbra gli ha deturpato anche
la faccia! – tenta, ma si vede che il suo
volto riconoscente è luminoso. I DUE si
sentono già a “Casa”, immersi per sempre
in quella Realtà che è solo bellezza e
gioia, tranquillità e pace. Ringraziano,
perciò, ma senza parole. Parla l’eloquenza
vivace e sorridente dei loro volti.
Ascoltiamola! I Due, ringraziano e
sorridono eppure “sono passati attraverso
la grande tribolazione” (Apocalisse, 7,11),
hanno sofferto una grave, gravissima
menomazione fisica e psichica: non saprei
dire Chi più e Chi meno.
Carissimi, facciamo una bella cosa qui in
chiusura: un proverbio proclama da secoli
“Non c’è due senza tre”. Costruiamo
allora per la nostra edificazione un TRIO di
santi sorridenti proprio perché diventati
altrettanti Cirenei gioiosi sulla strada
insanguinata del Calvario. Un TERZETTO
risplendente adesso di luce propria
per aver accettato fino alle estreme
conseguenze il “Vieni e seguimi”
del brano scelto. Ascoltate: in questi
giorni mi è capitato di leggere la
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deposizione di un frate chiamato a
testimoniare nel Processo diocesano sulla
santità di P. Innocenzo da Berzo, adesso
Beato di Santa Madre Chiesa. Ecco le sue
parole: “Due volte ho visto con i miei occhi
il volto di P. Innocenzo circonfuso di una
luce superna: una volta quando fu gettato
a terra, anzi giù per le scale per l’ira di
P. Eusebio” (l’altra volta pure splendida
e intensa non la cito, dato che esula nel
nostro discorso). Proprio così: buttato
giù dalla scala che dal coretto mette in
sacrestia! Il Teste parla di “ira”. Altri, più
concilianti, parlano, sì, di “persecuzione”
da parte di questo padre, tra l’altro
superiore e confessore del Beato, ma non
era per “rabbia”. Egli si sentiva incaricato –
una specie di missione – di provare la virtù
del Frate suo suddito, voleva capire se era
o non era un ipocrita con quella sua vita
così devota. Sia come sia, a noi interessa
quel volto circonfuso di luce superna, volto
sorridente, aggiungo io. Si rialza forse con
il corpo un po’ ammaccato, ma con il volto
luminoso: parola del Testimone presente,
forza della “luce superna”. Si rialza, si
riassetta e... ringrazia il superiore rimasto
in alto a guardare. Ora se l’Eusebio era in
alto (corrucciato o meno: non ci interessa
proprio), l’Innocenzo dal basso ha alzato
gli occhi verso l’Alto e chi potrebbe
dubitare che ha guardato riconoscente
e contento molto più in Alto, ben oltre il
confratello?
A noi imitarli questi TRE sorridenti e felici!
Arrivederci il prossimo anno; a rileggerci:
ci accompagnerà un altro Servo-di-Dio,
un Altro, sempre di “Casa nostra!”
“Queira Deus”, lo voglia il Signore!
Io lo voglio con tutto il cuore. Q
Incontri mensili
di preghiera
per le missioni
2012-2013
martedì 2 ottobre 2012
martedì 6 novembre 2012
martedì 4 dicembre 2012
martedì 8 gennaio 2013
martedì 5 febbraio 2013
martedì 5 marzo 2013
martedì 9 aprile 2013
martedì 7 maggio 2013
martedì 1 ottobre 2013
martedì 5 novembre 2013
martedì 3 dicembre 2013
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