Pilota-in-comando
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Pilota-in-comando
Pilota-in-comando oppure Computer-in-comando ? Osservazioni sul conflitto tra progresso tecnologico e responsabilità giuridica del Pilota-in-comando del Prof. Ronald Schmid Elaborazione del Com.te Renzo Dentesano di un articolo dell’Avv. Ronald Schmid, professore di diritto aeronautico all’Università di Darmstadt, pubblicato su AIR & Space LAW n. 6/2002. I. Il problema. Una battuta alquanto sarcastica, che circola ormai da tempo tra i Piloti professionisti, inquadra il problema come segue: «quali sono le prime e le ultime parole di un Pilota di Airbus ?». Le prime:«Cosa sta facendo ora ?». E le ultime:«… non l’ha mai fatto prima d’ora!». Questo è umorismo nella forma più macabra. Ma l’umorismo di tal fatta spesso è un modo di nascondere l’ansia e perciò questa battuta rimane indicativa di un antico e forse inveterato problema psicologico legato all’interrelazione tra l’uomo e la macchina. Il particolare rapporto tra l’uomo e la macchina è tanto antico quanto la stessa invenzione della macchina stessa ed è stato relativamente senza complicazioni fino a quando l’uomo si è sentito al comando della macchina o, almeno, fino a quando ha avuto la percezione di poter fare ciò. Invece è diventato un problema nel momento in cui l'uomo ha incominciato a sostituire se stesso con la macchina. Questo fatto non è stato sempre una ragione di preoccupazione, ma lo è certamente divenuto nei casi nei quali la “safety” ha incominciato a giocare un ruolo vitale per la sopravvivenza: e questo è precisamente quanto avviene nel campo dell’aviazione. L’essere umano che progetta una macchina e la mette in servizio deve occuparsi personalmente della macchina stessa. Wilbur Wright, il pioniere del volo, riferendosi alla “macchina volante” si dice che si sia espresso come segue: «Se cerchi la sicurezza assoluta, allora è consigliabile che siedi su un albero ad osservare gli uccelli. Ma se vuoi realmente imparare, allora devi salire su una macchina ed acquistare dimestichezza con le sue peculiarità attraverso la pratica». Sin dall’inizio dell’aviazione si può osservare il seguente schema comportamentale: dapprima la tecnologia ha solamente assistito l’essere umano, ma ben presto ha incominciato a rimpiazzarlo in modo sempre più ampio. La storica “involuzione” della composizione dell’equipaggio di condotta sugli aeromobili civili riporta alla mente una significativa somiglianza con la filastrocca conosciuta da tutti i bambini, quella dei “Dieci piccoli indiani”. Ai tempi dei primi aerei pressurizzati (DC 6, Constellation, ecc.) oltre ai due piloti ai comandi, spalleggiati da un pilota di ricambio (relief pilot) sui voli a lungo raggio, v’erano a bordo anche un motorista (flight engineer), un navigatore (navigator) ed un marconista (radio operator). Quest’ultimo divenne presto superfluo e quindi sbarcato. Subito dopo l’entrata in servizio dei B. 707 e dei DC 8, agli inizi dell’era dei motori a getto negli anni ’60, anche il navigatore divenne superfluo dappertutto, salvo poche 1 rotte quali la polare e le transatlantiche, cioè dove la navigazione basata sui VOR non era possibile e dunque il navigatore rimaneva ancora necessario. Con l’introduzione dei sistemi di navigazione inerziale i computer di navigazione presero il posto del navigatore e così anche questa categoria fu eliminata. All’inizio degli anni ’80 la battaglia incentrata sull’abolizione del “terzo uomo” in cabina di pilotaggio incominciò sul serio, in quanto il “cockpit” di un sempre maggior numero di aeromobili di costruzione occidentale a corto e medio raggio d’azione non contemplavano più un posto per il motorista (oramai divenuto system operator), il cui impiego rimaneva necessario solo sui più grossi aeromobili commerciali usati prevalentemente sui voli a lungo raggio. Poi, ormai nell’era dei “glass cockpit”, con l’introduzione della nuova generazione di aeromobili a lungo raggio come il B. 747/400 e l’A. 340, anche questa figura non fu più contemplata [a torto, a parere del redattore di questa nota – n.d.r.] neppure su questo genere di voli [infatti sarebbe stata molto utile nella successiva era dei dirottatori kamikaze –n.d.r.]. Così, come nel caso del navigatore, i computers installati a bordo sostituirono i compiti e le funzioni operative e di sorveglianza prima assegnati al “terzo uomo” [che non sarà mai tanto rimpianto quanto dopo la data del 11 settembre 2001 – n.d.r.]. Dal punto di vista psico-tecnico, chiunque abbia avuto modo di seguire l’involuzione da un equipaggio di condotta a sei membri, indi a cinque ed a quattro e poi ancora a tre, per finire a quello composto da soli due membri, può legittimamente porre la seguente domanda: come sarà in futuro l’equipaggio di condotta a bordo degli aerei commerciali di prossima generazione? Ebbene, i professionisti più pessimisti già affermano di conoscere la risposta: un pilota ed un cane! Già, perché il solo compito del “pilota” sarà quello di dar da mangiare al cane e di tenerlo sveglio; il cane invece avrà il compito di impedire al “pilota” di toccare qualsiasi cosa! Questa seconda facezia che circolava tra i piloti fin dai primi studi per la costruzione della seconda e terza generazione degli aeromobili prodotti da Airbus Industries (A320/330/340) è senz’altro una grossolana esagerazione, però rivela la non completamente infondata preoccupazione che i piloti nutrono nei confronti dei progettisti aeronautici, i quali hanno da sempre sognato di risolvere il problema dell’errore commesso dagli esseri umani intesi quali operatori di prima linea [errori dai quali essi si sentono ingiustificatamente immuni – n.d.r.], reprimendo per prima cosa ed in secondo luogo eliminando idealmente la “causa originale”, cioè l’uomo operatore con tutti i suoi punti deboli! Al consorzio di costruttori denominato Airbus Industries – in antitesi con i costruttori nord-americani Boeing, McDonnell-Douglas e Lockheed – gli esseri umani sono stati a lungo considerati poco più di un “antiquato software” di bordo, però un software sopravvissuto per oltre cinquantamila anni. I piloti erano considerati quali mali necessari, cioè semplici accessori dei quali tecnicamente si sarebbe potuto fare a meno, se non fosse stato da dover tener conto della psicologia dei passeggeri paganti. La configurazione di un solo uomo nel cockpit, che in verità è fattibile, come può esser dimostrato dagli aerei militari da combattimento, [anche se con non poche eccezioni.- n.d.r.], era vista come il logico passo intermedio verso lo scopo finale dell’aereo a controllo remoto. 2 Pertanto, nel progettare i propri aeromobili, il consorzio Airbus Industries si concentrava soprattutto sull’essere umano quale massima fonte possibile di errore. Così l’obiettivo divenne quello di eliminare questa perenne fonte di errore – se non proprio completamente – almeno nella maggior misura possibile. Ogni sforzo venne indirizzato a progettare apparati ed impianti che fossero in grado di escludere la possibilità di qualsiasi errore umano o di impedirgli di influire sulla sicurezza delle operazioni di volo. Questo genere di concetti era ben espresso nel commento del febbraio del 1990 da un membro del consiglio direttivo di Airbus Industries a seguito del disastro di un A. 320 della Compagnia aerea Indian Airlines:«Se solo i piloti avessero tenuto le loro scellerate dita lontano dai bottoni di comando …». In ogni modo i problemi legati alla totale fiducia nella tecnologia divennero ben presto evidenti. I cinque esempi che seguono stanno a dimostrare ciò: a) Su di un A 310 di nuova introduzione in servizio, un aereo che negli anni ’80 era considerato altamente tecnologico ma oggi appare già antiquato, durante l’ultima fase di un avvicinamento finale, un fulmine colpì il musone dell’aereo danneggiando le apparecchiature elettroniche dell’aereo in corso d’opera, con la conseguenza che lo stranito computer di bordo ebbe ancora la forza di lanciare un ultimo suggerimento ai piloti, facendo illuminare sull’apposito visore la seguente dicitura: «Spegnere i motori»! Ora nessun per quanto ligio pilota al mondo avrebbe, in volo, eseguito questo comando e così il suggerimento del “Collega Computer” rimase ignorato. Però un incidente del genere ti fa soffermare e pensare: «Ma in futuro, ad un certo punto, non v’è il pericolo che un computer di bordo non si limiterà ad emettere un suggerimento ma proseguirà agendo di propria (programmata o no) iniziativa? Forse non è che esista anche il pericolo che un giorno, proseguendo in questa filosofia progettuale, al pilota sarà permesso di intervenire soltanto fino al livello permesso dal computer?» b) Il 26 giugno 1988 un A. 320 dell’Air France, nuovo di zecca, che veniva presentato in volo ad una esibizione aeronautica sopra l’aeroporto della cittadina alsaziana di Absheim (vicino a Mulhouse) precipitò (o meglio entrò) in un bosco mentre eseguiva un passaggio estremamente basso e lento appunto sulla pista di quell’aeroporto. Quando il pilota raggiunse la fine della piccola pista, sede di un aeroclub, e volle dar potenza ai motori dal minimo della spinta richiesta per il sorvolo a quella richiesta per iniziare a risalire, l’aeromobile non reagì al suo comando di salire. Dato che l’aereo era stato fatto volare sopra la pista alla velocità minima (VLs) sulla soglia dello stallo di velocità, il “Collega Computer” di bordo si rifiutò di obbedire al comando di alzare il muso in quanto se la spinta minima ai motori fosse rimasta tale, sollevare il muso avrebbe comportato lo stallo di velocità e quindi la caduta dell’aereo. In effetti l’aereo non aveva ancora raggiunta la maggior velocità necessaria per evitare lo stallo, in quanto i motori a getto in generale necessitano di vari secondi di tempo per accelerare. Così l’A. 320, controllato dalla logica progettata nel computer ed indifferente ai voleri del pilota, condusse l’aereo dentro il vicino bosco e … c) Il 14 settembre 1993 un A. 320 della Lufthansa, mentre sotto la pioggia stava atterrando sulla pista bagnata dell’aeroporto di Varsavia, si schiantò a fine pista. A causa del forte vento al traverso della pista, proveniente da destra, il pilota aveva (con tecnica irreprensibile – n.d.r.) inclinato leggermente controvento a 3 destra l’ala sopravento del suo aereo, appena prima di toccare la pista, così che il contatto avvenne prima con il carrello principale destro e poi con il sinistro. Ma in conseguenza del progetto costruttivo dell’A. 320 di allora, gli spoilers (diruttori aerodinamici – n.d.r.) non si attuarono perché i carrelli principali non risultavano completamente compressi e le ruote del velivolo, anche a causa di un non trascurabile effetto di aquaplaning, non stavano rotolando alla velocità minima programmata. In breve: secondo la logica inserita nel computer, l’aereo per lui non era ancora al suolo, bensì stava ancora volando. Così gli spoilers, che dovevano creare l’effetto di rompere la portanza delle ali, non potevano attivarsi. Inoltre, su di un A. 320 di allora, né il reverse ai motori né gli spoilers potevano venir attuati manualmente dal pilota, al contrario ad esempio del B.737. Il risultato finale fu che l’aereo poté esser frenato troppo tardi e troppo piano, raggiungendo la fine della pista dove rimase gravemente danneggiato. Come se ciò non fosse stato abbastanza, il pilota poté apprendere soltanto più tardi che il computer di bordo gli aveva anche impedito di comandare la potenza massima a reverse dei motori, perché così programmato in quanto le prestazioni erano state limitate al 71% del massimo della spinta, onde preservare la durata della vita dei motori stessi! d) Disquisire in materia di “lotta fra pilota ed aeroplano” richiama alla mente il tragico volo di un B. 757 della Compagnia tedesca Birgenair, precipitato in mare davanti alle costa della Repubblica Dominicana il 7 febbraio 1976 poco dopo esser decollato da Puerto Plata. A causa di un imprevisto bloccaggio del tubo di Pitot dell’omonimo impianto di bordo, il computer dei dati di velocità (air data computer) di quest’aereo veniva fornito di informazioni non veritiere. Così dal punto di vista del computer l’aereo stava volando troppo veloce e di conseguenza l’autopilota che era stato inserito subito dopo il decollo cercava di ridurre la velocità fittizia aumentando l’angolo di salita, mentre il sistema di autoregolazione delle manette dei motori a sua volta provvedeva a ridurre la spinta erogata dai motori. Ma, dato che l’aereo in realtà stava volando più lento della velocità erroneamente indicata dagli anemometri a disposizione dei piloti, queste auto correzioni scorrette finirono fatalmente per portare l’aereo verso lo stallo. A questo punto, un sistema di sicurezza installato sui B. 757 operava il contemporaneo distacco dell’autopilota, in quanto, secondo le informazioni ad esso pervenute, i valori di assetto longitudinale e di inclinazione laterale erano stati superati. Ancora, la stessa cosa avveniva anche al sistema di autoregolazione della spinta dei motori. Infine, in presenza di tutte queste informazioni fallaci e contraddittorie, i computers di bordo, progettati per salvaguardare la sicurezza dell’aereo, finirono per perderlo definitivamente, assieme ai suoi poco smaliziati piloti e) Un ultimo esempio della tendenza dei computers di accentrare tutte le decisioni nelle proprie memorie pre-programmate: su di un altro A. 321 tedesco il computer di riferimento per i dati all’aria (air data reference computer), entrando in azione in base ad un momentaneo falso segnale, provvedeva di propria iniziativa a comandare la retrazione delle alule ipersostentatrici (slats) e degli ipersostentatori alari (flaps), che erano estesi in posizione di decollo in quanto l’aereo era ancora in fase di corsa in pista per l’involo. Grazie alla propria perizia e ad una buona dose di fortuna, rappresentata dalla presenza di una pista molto lunga, l’equipaggio riuscì ad evitare la catastrofe. 4 Conclusione. Il princìpio di proteggere l’essere umano da se stesso e dai propri errori per mezzo di macchine altamente automatizzate potrebbe, in linea di massima, essere una soluzione accettabile. Rimane invece fortemente contestabile la soluzione di lasciare il pilota senza alcuna possibilità d’intervenire su programmi di “prudenza eccessiva”, progettati nei computers, che poi si rivelano non essere tali. [Ed a proposito di paragoni con i piloti di aerei militari da combattimento, è meglio lasciar perdere, perché costoro infine si possono sempre affidare al seggiolino eiettabile ed al benedetto paracadute, ma per i piloti commerciali e per i loro passeggeri non c’è alternativa di scampo – n.d.r.]. II. L’interrelazione Uomo-Macchina. L’uomo e la macchina (ed in particolare il computer) [che può anche compendiare i difetti dei due, non lo si dimentichi mai, in quanto anche il computer è un prodotto di altri uomini fallibili –n.d.r.] possono teoricamente lavorare bene insieme se lavorano in perfetta armonia. Comunque essi sono – e continueranno ad essere – sodali disuguali a causa dei loro differenti punti di forza e punti di debolezza. Un computer può accogliere un maggior numero di dati e può compararli molto più celermente di qualsiasi cervello umano. Però può richiamare e comparare solo operazioni programmate e concepite anteriormente da altri per esso; infatti esso non può “intellegere” (pensare) in maniera veramente indipendente. Solo l’uomo è capace di trovare nuove soluzioni ai problemi e di reagire a situazioni impreviste, sebbene egli può raccogliere, comparare e processare le informazioni ad un ritmo inadeguatamente più lento. Se queste differenti capacità sono correttamente conosciute e soprattutto riconosciute, allora l’uomo e la macchina possono raggiungere una simbiosi e costituire “un sistema”. Se però l’elemento umano di questo sodalizio viene continuamente indebolito, tale “sistema” diverrà vulnerabile; l’uomo e la macchina diverranno sempre più estranei l’un l’altro. Questa è esattamente l’involuzione alla quale è stato possibile assistere negli ultimi periodi nel settore della progettazione degli aeromobili commerciali: i piloti sono stati progressivamente degradati ad operatori di sistemi e di impianti (o “pushbutton pilots”, ovvero “piloti-pigia-tasti”), i quali, molto spesso, non riescono ad aver chiaro il quadro del procedimento tecnico che sta avendo luogo nel computer dell’aereo che essi stanno impiegando! [Sarà dunque bene che si rendano conto di ciò prima che gli aeroplani commerciali della prossima generazione, gli A. 380 di Airbus ed i Dream Liners di Boeing vengano dotati di automazioni ancora più spinte ed esclusive. Lo stesso discorso dovrebbe preoccupare anche le organizzazione per la protezione dei consumatori, se mai arriveranno a tali livelli di conoscenza per la prevenzione della sicurezza dei passeggeri del futuro – n.d.r.]. In uno studio condotto nel 1996, il Prof. H. Erbert dell’Università di Norimberga, è giunto alla seguente conclusione:«Più la cabina di pilotaggio diviene evoluta, sempre meno ai piloti è dato di conoscere degli impianti di bordo». [In questa frase, forse sarebbe stato più corretto affermare che «molti piloti» meno conoscono «la concezione costruttiva degli impianti di bordo» - n.d.r.] Tra i piloti quelli probabilmente più esposti a questo tipo di sindrome sono coloro che stanno ancora volando su jet di prima o seconda generazione (come B. 727, 5 DC-9, Fokker 28, ecc.) e che domani potranno essere assegnati a volare un velivolo della “famiglia” Airbus. Questo sarebbe un salto come passare di colpo dall’età della pietra all’era tecnologica attuale. Il notissimo prof. J. Reason ha magistralmente ricapitolato la situazione di questo problema in un’unica frase: «Non possiamo mutare la condizione umana, ma possiamo cambiare le condizioni nelle quali la gente lavora»! III. Automazione e responsabilità. Stiamo vivendo in un mondo nel quale la vita senza automazione è virtualmente inconcepibile. Automazione significa delegare le attività umane alle macchine; cioè l’uomo lascia che le macchine lavorino per lui. E questo ha avuto un grande impatto anche sul mondo dell’aviazione. Ed ancora, automazione per qualcuno è un prodotto del diavolo, per altri è una benedizione. Niki Lauda, che tutti conoscono non solo come corridore automobilista di Formula 1, è anche abilitato a pilotare i differenti tipi di aeromobile della flotta della sua Compagnia Lauda Air. Una volta ha confidato, ad un giornalista che lo intervistava, come è arrivato a governare il suo ultramoderno B. 777:«Veda, io decollo ancora manualmente, ma poi inserisco gli automatismi e non li stacco più fino a dopo l’atterraggio a Los Angeles». Però questa mentalità, a mio parere [ed anche a quello del traduttore – n.d.r.], rivela un atteggiamento che non è proprio molto orientato verso la sicurezza, come si può evincere dalla relazione d’inchiesta sul disastro del B. 757 della Birgenair ed in base alle successive modifiche apportate al Manuale Operativo del velivolo! [Evidentemente l’ex-corridore o si avvale di un bravo co-pilota oppure è molto più fortunato di quel suo capo-equipaggio che a causa dell’improvviso malfunzionamento del reverse del motore destro di un B. 767 della sua flotta che stava salendo verso la quota di crociera con i motori governati dall’automanetta alla spinta di salita, l’aereo subì uno stress strutturale tale da rompersi e precipitare con tutto il suo carico umano al confine tra la Thailandia e la Birmania – n.d.r.]. Altre persone hanno ancora una maggior riserva da avanzare in merito alla tecnologia più moderna. Costoro sono preoccupati soprattutto del fatto che gli esseri umani possano essere non più in grado di controllare completamente la tecnologia e con ciò che non possano essere più in grado di assumere la relativa responsabilità in merito ad essa. Esempio: «Con l’introduzione della tecnologia “fly-by-wire” agli equipaggi viene posto un limite d’intervento che è calcolato da un computer. Per la prima volta il concetto dell’autorità finale attribuita all’essere umano a bordo viene posta in discussione». Ciò, a mio parere, è stato messo in risalto dai precitati incidenti mortali che hanno coinvolto gli aerei A. 320 di Varsavia e di Molhouse ed il B. 757 di Puerto Plata. Ritengo che essi siano i primi inconfutabili esempi di ciò che può accadere quando i computers, pur funzionando correttamente dal punto di vista tecnico, però possono ignorare o sostituirsi ai voleri dell’uomo. [E questo senza scordare il caso in cui il computer “impazzisce” per un colpo di fulmine meteorico – n.d.r.] Una diversa potenziale fonte di pericolo è insita nella nuova configurazione delle cabine di pilotaggio dei velivoli più moderni. Infatti: 6 a) Le cabine di pilotaggio dei moderni aeromobili commerciali sono oggi più ordinate che mai: la tecnologia basata su schermi e visori a tubi catodici o “a cristalli liquidi” lo rende possibile in quanto il gran numero di manometri e quadranti che costituivano la vecchia strumentazione dei cruscotti degli anni '50 si è ridotto a pochi visori elettronici. Di contro v’è il pericolo che – intenzionalmente o inintenzionalmente – le informazioni necessarie a far comprendere la sequenza delle operazioni in atto da parte del processore vengano soppresse nel corso del procedimento elaborativo. Il concetto alla base del tipo di impostazione è quello che il pilota non dev’essere gravato da troppe informazioni e di troppe conoscenze e con ciò distratto dai propri compiti. In teoria il concetto potrebbe anche essere accettabile, ma in materia dev’essere tracciato un limite ben netto oltre il punto in cui l’essere umano verrebbe confuso o invece privato della propria capacità di assumere decisioni. b) La stessa impostazione dev’essere adottata anche per i sistemi di visione sintetica (generatori grafici d’immagini ad alta definizione). Questo tipo di sistemi genera su di un visore (schermo) un’immagine tridimensionale del terreno circostante l’aeromobile per permettere al pilota di volare l’aereo come se la visibilità fosse buona anche quando in effetti, invece, è ridotta. Questa tecnologia potrebbe essere indiscutibilmente un grande aiuto per i piloti e quindi sarebbe benvenuta. Però non dovrebbe mai consentire che il pilota possa essere privato della sua autorità di assumere decisioni. Questo, ad esempio, potrebbe essere il caso nel quale il computer di bordo permetta di guidare l’aeroplano solamente all’interno del contesto di condizioni topografiche generate dal computer stesso oppure definito da un programma inserito in esso. c) Inoltre la configurazione della cabina di pilotaggio non dovrebbe discostarsi senza necessità da quelli che sono da sempre i segnali condizionati di attivazione, nella fattispecie intesi quali assegnazione dei colori di avviso, vale a dire arancione o rosso per indicare rispettivamente attenzione e proibizione o pericolo, verde per libertà d’azione o autorizzazione a procedere, ecc.; questo perché gli esseri umani tornano repentinamente a questo tipo di associazioni mentali in tutte le condizioni di stress e soprattutto di pericolo. Ciò è dovuto al fatto che il cervello umano non può esser riprogrammato immediatamente a scordare i modelli condizionati di comportamento radicati da lungo tempo. Pertanto i progettisti, nel concepire qualsiasi tipo di macchina volante, devono tenere in considerazione anche gli atavici modelli di comportamento degli esseri umani. Un’altra area nella quale si può porre il quesito se il pilota possa sempre esser caricato della responsabilità dell’esecuzione di un volo è quella degli avvicinamenti strumentali in condizioni effettive di CAT III c (la più estrema delle categorie strumentali di atterraggio), cioè quella di condizioni d’atterraggio con portata visiva di pista (R.V.R.) uguale a visibilità zero. Anche se tale tipo di avvicinamento strumentale (pur contemplato dalla norme) non è ancora né praticato né autorizzato, gli atterraggi su piste attrezzate per avvicinamenti di precisione da parte di aeromobili commerciali dotati di adeguate dotazioni di bordo sono tecnicamente possibili. [Ciò in quanto l’unica limitazione attuale consiste nell’impreparazione degli aeroporti a consentire il percorso senza visibilità dalla pista d’atterraggio alla posizione di parcheggio dell’aeromobile – n.d.r.] Quanto sopra affermato significa che per l’aereo la R.V.R. (Runway Visual Range) potrebbe essere zero anziché di 75 metri attualmente richiesti per operazioni in CAT 7 III b, con un’altezza di decisione (DH) parimenti di zero metri, anziché i 30 metri richiesti attualmente. In altre parole gli atterraggi strumentali di precisione possono esser effettuati in condizioni nelle quali la visibilità è così ridotta che i mezzi di salvataggio e soccorso potrebbero trovare difficile se non impossibile individuare il luogo in cui un aeromobile si sia incidentato. [in Italia il caso di Linate, in presenza di visibilità tra 100 e 200 metri, dovrebbe insegnare – n.d.r.] Ma consideriamo più precisamente quest’evenienza. Il pilota di un B. 747 che ha una velocità d’atterraggio di circa 270 km/h e cioè una velocità d’avvicinamento di circa 76 metri al secondo, effettuando un avvicinamento di CAT II (DH 100 ft.= 30 m., RVR 300 metri) ha solo 2 o 3 secondi per assumere la decisione di atterrare o di riattaccare. Quando effettua un avvicinamento di CAT III b (No DH oppure DH 17 ft.= 4,5 m., RVR 75 metri), operazione che è ormai pratica comune ai nostri giorni, ha ancora metà del tempo precedente per prendere la decisione di riattaccare. Nel caso di avvicinamento di CAT III c è contemplato che l’aereo abbia comunque preso contatto con il suolo – correttamente in pista o incorrettamente – al momento in cui sia assunta dal pilota la “decisione” di riattaccare. E se tale decisione dev’essere assunta dal pilota perché l’automatismo non ha portato l’aereo correttamente in pista, un aereo come il B. 747/400 che può pesare fino a 285 tonnellate al momento dell’atterraggio, potrebbe necessitare di molto più tempo per reagire all’ordine di riattaccata. Ognuno può immaginare per proprio conto quali catastrofiche conseguenze potrebbero esserci se un tale aeromobile dovesse toccare terra solo pochissimi metri prima oppure lateralmente alla pista. Le principali domande in materia a cui rispondere sono, a mio parere, le seguenti: - La tecnologia che viene provvedimenti responsabili? sviluppata permette ancora di prendere - E nel caso in cui la configurazione su questo punto sia un pericolo reale che dimostrerà definitivamente l’impossibilità di poter ancora assumere disposizioni responsabili? Un altro pericolo che ancora non si è manifestato, ma che potrebbe esistere in un non lontano futuro nel contesto dello sviluppo del cosidetto “princìpio del volo libero” (free-flight concept), è quello rappresentato dall’importanza che viene attualmente attribuita alla possibilità che il Controllo del Traffico Aereo (ATC) non trasmetta più istruzioni verbali via radio ai piloti, ma che invece le istruzioni siano trasmesse tramite un segnale radio ad un ricevitore a bordo dell'aeromobile collegato al Flight Management System (FMS) di bordo; le istruzioni verrebbero pertanto ricevute dai piloti sotto forma di un messaggio scritto presentato direttamente (senza ritardo alcuno) su di un visore elettronico. A quel punto – quale primo passo del sistema data-link – l’idea è sempre quella che il pilota riceva, verifichi e confermi le istruzioni [e/o autorizzazioni ATC – n.d.r.] prima che il computer di bordo [leggi:- FMS – n.d.r.] le metta in pratica. Ma è lecito chiedersi: «Quanto durerà questa prima fase che contempla l’accettazione da parte del pilota prima che l’istruzione stessa venga eseguita direttamente dal computer di bordo?» Questo genere di dubbio non pare totalmente ingiustificato. Ma v’è di più: dato che questo accesso diretto dall’esterno al computer di bordo [FMS – n.d.r.] è contemplato, prima o poi e quando non sarà più necessario che il 8 pilota verifichi e confermi [alcune se non tutte – n.d.r.] le istruzioni in arrivo, prima che esse vengano eseguite dal computer di bordo, chi può esser in grado di escludere che un qualsiasi pazzoide o criminale pirata informatico sia tentato dal provar ad impadronirsi a distanza di un aereo? [come del resto già visto accadere in diverse pellicole cinematografiche o proiezioni televisive – n.d.r.] Altro passo successivo, programmato all’interno dello stesso progetto di “freeflight” , è l’idea che i computers di tutti gli aeromobili in volo possano costituire una specie di rete informatica mobile che permetta a ciascuno di localizzarsi nello spazio e di comunicare l’un l’altro, concordando e coordinando automaticamente i loro piani di volo, limitatamente alla direzione, quota e velocità, in modo da autosepararsi. Allora al pilota, seppure ancora ne sarà capace, non sarà più consentito di intervenire personalmente in questo procedimento. E questo sarebbe il distacco finale del principio che esista ancora un pilota-incomando. [ma forse anche che vi siano ancora passeggeri desiderosi di volare per via aerea – n.d.r.] IV. Aspetti legali. Come abbiamo visto, la tecnologia aeronautica è ben avviata sul percorso di privare i piloti degli aeromobili commerciali della loro prerogativa di assumere decisioni e con ciò, conseguentemente, di quella di esercitare il comando. Da un punto di vista legale, questo è fonte di considerevole preoccupazione e pertanto il problema non può non essere trattato sotto tale aspetto. La Convenzione di Chicago del 1944, la cosiddetta “madre di tutte le regolamentazioni sull’aviazione civile internazionale”, nell’Annesso tecnico n. 6 – Operation of Aircraft – al paragrafo 4.5.1 stabilisce: «Il pilota-in-comando sarà responsabile per l’impiego e la sicurezza dell’aeroplano e per la sicurezza di tutte le persone a bordo durante tutto il tempo di volo». [In verità, quanto citato dal Prof. Schmid è un compendio del citato paragrafo dell’Annesso 6, il quale in effetti è ancora molto più esatto ed articolato di quanto non sia la citazione fattane – n.d.r.] Questa disposizione internazionale è stata inserita negli ordinamenti nazionali di tutti gli Stati membri dell’ICAO e quindi anche nel Regolamento del Traffico Aereo della Germania. La sezione 3, para 1, del Regolamento LuftVO stabilisce: «Il pilota-in-comando dovrà avere il diritto di decisione riguardante l’impiego dell’aereo. Egli dovrà assumere le misure necessarie per garantire la sicurezza durante tutte le fasi di volo, di decollo, di atterraggio e di rullaggio». La sezione 1 dello stesso Regolamento impone al pilota-in-comando di essere un partecipe attivo nel controllo del traffico per comportarsi in modo tale che sia garantito un sicuro ed ordinato flusso di traffico e perché nessun’altra persona possa esser messa in pericolo o possa subire danno. Dunque, la legge tedesca in materia di Traffico Aereo stabilisce esplicitamente che – nonostante l’automazione di bordo – non è il computer di bordo bensì l’essere umano preposto colui il quale si assume l’onere della responsabilità finale per il compimento in sicurezza del volo affidatogli. - Ma può costui effettivamente fare ciò ? 9 Il concetto che il legislatore aveva in mente quando ha stabilito le predette disposizioni, ancor’oggi in vigore, è stato però profondamente alterato e in realtà surrettiziamente modificato dall’introduzione sugli aerei di più moderna generazione delle nuove tecnologie. Per motivi tecnici (fattibilità) e per favorire i contenimenti economici (riduzione dei costi), l’industria ora costruisce sistemi il cui controllo e la cui sorveglianza necessitano di complicati sistemi ausiliari che sono passibili di malfunzionamenti non resi evidenti all’operatore di prima linea. Infatti molto spesso tali sistemi sono così complicati da poter esser controllati con grosse difficoltà. In questi casi le possibilità di adottare azioni correttive responsabili sono quanto meno molto limitate se non nulle. Un esempio calzante in materia è quello che è stato illustrato in merito agli atterraggi automatico con valori di visibilità prossimi allo zero. Infatti, se il pilota ha soltanto due secondi a disposizione per correggere un errore dell’automatismo che debba essere da lui corretto e se l’impianto necessario alla manovra correttiva (nel caso: i motori) richiedono altri, seppur pochi, minuti-secondi per rispondere ai suoi comandi, non sarà possibile per nessun essere umano reagire realmente in modo da poter essere ritenuto responsabile. La capacità d’esser ritenuto in grado di esercitare una responsabilità presuppone la libertà e la possibilità di adottare un’azione correttiva. Ma se il pilota, nei casi come quelli precedentemente descritti, è di fatto umanamente impossibilitato ad esercitare questo tipo di responsabilità oggettiva, allora non può esser gravato della responsabilità “de iure”. Ma questo è proprio il punto che alcuni costruttori aeronautici sembrano non voler comprendere, forse perché intenti al conseguimento della realizzazione dell’obiettivo finale: l’aereo tecnologico senza pilota a bordo. [Però con pilota a terra forse sì e comunque gravato delle stesse responsabilità oggi attribuite al pilota che sta a bordo, come l’introduzione degli UAV – Unmanned Aerial Vehicles – sta dimostrando – n.d.r.] Nell’aprile del 1999, durante il Simposio sui fattori umani tenutosi a Santiago del Cile, un rappresentante della Ditta Boeing ha affermato: «In circa il 50% dei disastri dovuti a perdita di controllo dell’aeromobile … per l’equipaggio rimaneva disponibile la completa disponibilità dell’aereo». E ciò può anche esser vero. Ma costui, intenzionalmente, ha omesso di menzionare il rimanente 50% dei casi! E, per chi voglia leggersi la prima dichiarazione rilasciata dalla Boeing sul crash del velivolo della Birgenair, non potrà che ritrovare la stessa dichiarazione fatta dal rappresentante della Boeing in Cile. Però il fatto che in seguito i Manuali Operativi dei B. 757 e 767 siano stati, dalla Casa, modificati furtivamente, non si adatta onestamente al precedente modo di fare. Ma v’è di più: durante la stessa Conferenza, un rappresentante di Airbus Industries ha voluto paragonare il ruolo del pilota-in-comando alla funzione in squadra del portiere di calcio, dichiarando testualmente che «come il portiere di calcio è l’ultimo difensore, il pilota è il responsabile finale per l’impiego in sicurezza dell’aeromobile in tutte le circostanze»! Ebbene, proprio grazie a questo infelicissimo paragone [sarebbe inoltre interessante vedere costui come portiere di una squadra con una difesa colabrodo – n.d.r.] che del resto rivela chiaramente la confusione psichica di alcuni progettisti di Costruttori aeronautici, si può facilmente contestare quanto segue: «Non si può non far notare 10 che il portiere di calcio non è colui che dirige e controlla la partita, in quanto è colui che viene chiamato in causa solo quando la sua squadra e la difesa in particolare (nel paragone:- il computer) ha fallito il proprio compito. Allora costui diventa “l’uomo più solo sul campo”. Se la partita viene persa, perché lui non è riuscito a parare il tiro degli avversari, allora sarebbe il colmo che nessuno avesse a ridire sulla misera prestazione della sua squadra, della sua difesa e perfino dell’allenatore. Il pilota è tanto solo quanto il portiere, quando il computer non sa cosa fare oppure non sa esibire cosa sta facendo o qual è il suo malfunzionamento. Ma vi ancora un’altra gran differenza:- per il pilota non esiste un intervallo nella partita, né esiste alcuna possibilità di esser sostituito. Egli deve assumere una decisione ed intraprendere un’azione. Se le cose vanno male, il suo intervento verrà semplicemente tacciato con il famoso titolo di “errore del pilota” – in quanto le cause effettive verranno scordate oppure occultate molto volentieri». Ancora una considerazione molto interessante: le dichiarazioni dei rappresentanti dei costruttori non contengono mai indicazioni di una qualsiasi valutazione autocritica in merito al fatto che un possibile difetto di progettazione potrebbe essere forse la causa di certi disastri aerei! [Ed allora bisogna solo aspettare e sperare che l’inchiesta tecnica eseguita da investigatori esperti e non condizionabili faccia luce sulle vere cause dei disastri – n.d.r.] Per riassumere: se il concetto legale di “pilota-in-comando” dev’essere salvaguardato dal degenerare in quello di “pilota-parzialmente-in-comando” si devono intraprendere urgentemente idonee iniziative – subito e per il futuro – per garantire che nei sistemi complessi di gestione del volo il pilota sia sempre in grado di intervenire sull’altamente automatizzata sequenza di operazioni, in qualsiasi momento sia necessario per correggerla e modificarla. Altrimenti si dovrà assistere ad una nuova dizione del pilota-una-volta-in-comando con la più realistica di “pilota-facente-del-proprio-meglio”! Nelle future progettazioni di aeromobili di nuova generazione, se si vorrà ridurre lo “zoccolo duro di certi tipi di disastri, il pilota-in-comando dovrà essere sempre in grado di disinserire in qualsiasi momento l’autopilota e di stabilizzare l’aeromobile sotto il proprio comando nell’assetto e sulla traiettoria da lui voluti, adeguando manualmente, cioè pilotando, l’aereo sugli assi di beccheggio e di rollìo oltre che della regolazione della spinta desiderata! Sfortunatamente invece i progettisti di alcuni degli attuali aeromobili supertecnologici non hanno sempre prestato sufficiente attenzione all’idea di fornire un completo sistema ausiliario (back-up system) in grado di escludere l’autorità del computer sui principali impianti di volo. Qualora però si insista nel continuare a privare l’essere umano in questione della sua libertà di prendere decisioni, allora si dovrà anche, quale logica conseguenza, sollevarlo dalla sua responsabilità oggettiva. V. Riepilogo e conclusioni. In argomento desidero essere molto esplicito. L’automazione in cabina di pilotaggio – come in altre aree – può essere fondamentalmente una benedizione. Nell’aviazione civile ciò è assolutamente vero per i risultati ottenuti dall’impiego dell’autopilota o da diversi sistemi di allarme, quali ad esempio il GPWS ed il T-CAS. 11 [La collisione sul Lago di Costanza, ed altri eventi di pericolo in cui il T-CAS ha accentuato la criticità, non vanno attribuiti a questo dispositivo di avviso ma al non corretto uso da parte dei piloti dovuto a non corretta programmazione in fase di addestramento. N.d.r.] Dunque le argomentazioni fin qui addotte non devono esser intese come preconcette ostilità nei confronti di certi automatismi tecnologici oppure contro la tecnologia in generale, ma solo da un sano scetticismo nei confronti dei sogni dei progettisti nei riguardi di una tecnologia perfettamente funzionante: solo pensare ciò è tanto illusorio quanto lo può essere la convinzione nell’infallibilità degli esseri umani [genere del quale, del resto, e vale sempre la pena di ricordarlo, fanno parte anche i progettisti! – n.d.r.]. L’uomo e la macchina sono cioè ugualmente imperfetti. Però vi è una decisiva differenza fra i due: una macchina, o, per essere più precisi, un computer che controlli una macchina non è in grado di pensare (di “intellegere”). E’ in grado solo di processare ed eseguire pre-programmate e preprogettate funzioni attive – almeno al presente. L’essere umano invece è in grado di pensare ed è fondamentalmente in grado di discostarsi da modi condizionati di agire e quindi di escogitare nuove e diverse soluzioni. Questa peculiarità umana non può in alcun modo essere seriamente contestata e non dovrebbe mai essere dimenticata! Se un pilota è chiamato a risolvere in volo un problema tecnico, il successo dei suoi tentativi dipenderà dalla sua creatività e dalla sua ottima conoscenza del sistema. Egli dunque deve conoscere e comprendere ciò che sta avvenendo nel sistema che sta impiegando e quali fenomeni stanno determinando una certa sequenza di eventi. Egli dev’essere in grado di capire cosa sta accadendo anche se non può analizzare internamente il sistema stesso. In presenza di questa situazione il ruolo della tecnologia dev’essere quello – e deve continuare ad essere quello – di un fornitore di servizi [vale a dire disponibile a richiesta dell’utilizzatore – n.d.r.]. Ovvero essa dev’essere limitata a fornire le risorse e le informazioni necessarie ad una utilizzazione flessibile ed efficace dei sistemi oltre che avvisare il pilota di qualsiasi sviluppo pericoloso. I progettisti di aeromobili devono pertanto, qualora necessario, perfino fare a meno di avanzare ulteriori passi tecnologici onde garantire che gli aeromobili rimangano manovrabili, comprensibili e comandabili dagli esseri umani adibiti, nelle vesti di operatori di prima linea, a tali compiti. In nessun caso dev’essere consentito che la tecnologia possa filtrare o nascondere alcuna informazione e tanto meno che possa assumere iniziative unilaterali. La conclusione: «Alla forza dell’essere umano, che si fonda principalmente sulla sua capacità analitica, dev’essere accordata una maggiore considerazione nella fase progettuale di nuovi aeromobili commerciali». Ed inoltre: questo princìpio dev’essere impresso a mo’ di concetto fondamentale nel cervello dei progettisti e tenuto in considerazione fin dal principio dello sviluppo di un nuovo aeroplano commerciale e dei suoi impianti di bordo. Fino a quando la tecnologia sia incapace di riuscir a rimpiazzare completamente l’essere umano, solo le capacità di quest’ultimo, assieme alle note limitazioni, devono esser utilizzate per dettare le norme parametriche del nuovo progetto. «Gli aeromobili devono esser adattati a servire, quali utili e controllabili strumenti, gli esseri umani e mai viceversa». Oppure, per dirla in maniera 12 differente: «L’uomo deve continuare a comandare la macchina; la macchina non deve esser mai autorizzata a comandare l’uomo». Solo rispettando questi criteri il pilota-in-comando potrà continuare ad esercitare il suo ruolo e ad addossarsi la relativa responsabilità. Il mio scopo dunque è stato e sempre sarà quello di portare questo problema all’attenzione di coloro i quali non avvertono alcun senso di responsabilità quando avviene un disastro aereo, ma del quale sono veramente responsabili, quanto meno indirettamente [e moralmente, a nostro parere – n.d.r.]. Costoro sono i progettisti che ideano e costruiscono macchine che sono tanto dipendenti dai computers da esser a mala pena o per nulla controllabili dagli esseri umani e con essi tutta quella gente responsabile delle decisioni commerciali dell’acquisto e della messa in servizio di tali aeroplani. Anche se costoro possono non essere legalmente responsabili di un singolo evento, in quanto non devono – dopo tutto – esser biasimati per aver introdotto in servizio un aeromobile regolarmente omologato dalle competenti Autorità di certificazione, comunque la loro responsabilità morale può benissimo esser indicata, allorquando costoro per puro interesse economico, decidono di assumersi dei rischi ormai noti. Da “AIR & Space” n. 6/2002. Traduzione e commenti a cura del Com.te Renzo Dentesano 13 Uomo e Macchina nel Sistema L’articolo pazientemente tradotto da Renzo Dentesano è una nuova occasione per riproporre le liste comparative che seguono. Sono in Appendice al nostro libro “La Strategia del Margine”. Esse sono una efficace sintesi concettuale ed un utilissimo quadro di riferimento per l’assegnazione delle funzioni nei sistema a tecnologia avanzata composti di uomini e macchine. Questo elenco comparativo è parte della congrua documentazione che portai “in patria” quando partecipai, per la Commissione Tecnica dell’ANPAC ad un corso di formazione sul Fattore Umano in Aviazione presso l’Institute of Safety and System Management della University of Southern California (ISSM-USC). In tutto questo tempo il progresso fatto nel campo dell’intelligenza artificiale ha ridotto in alcuni casi le limitazioni delle macchine migliorandone le “capabilities” mentre le limitazioni (e le capabilities) dell’uomo sono sempre le stesse dei “primi prototipi” (homo sapiens - mark 1) di qualche milione di anni fa. Ciò nonostante il progetto di sistemi può e deve beneficiare di quelle human capabilities che ancora non è possibile trasferire alle macchine. Una lettura accurata della lista che segue consente di capire come non sia possibile fare a meno, nel sistema aviazione, della migliore integrazione delle funzioni di elaborazione e decisione dell’uomo con le funzioni di presentazione delle informazioni e attuazione delle azioni di comando dei dispositivi high tech. ALDO PEZZOPANE (p.s.: sorry, no translation for this) COMPARISON OF HUMAN CAPABILITIES WITH MACHINE ALTERNATIVES BASIS FOR MAN VS MACHINE FUNCTION ALLOCATION Man can recognize and use information redundance (pattern) in the real world to simplify complex situations. Machines have limited perceptual constancy and are very expensive. Man has high tolerance for ambiguity, uncertainty and vagueness. Machines are highly limited by ambiguity and uncertainty in input. Man can interpret an input signal even when subject to distraction, high noise or message gap. Machines perform well only in a generally clean, noise-free environment. Man is a selecting mechanism and can adjust to sense specific inputs. Machines are fixed sensing mechanisms, operating only on that which has been programmed for them. Man has very low absolute thresholds for sensing (e.g.,vision, audition, tactile). Machines, to have the same capability become extremely expensive. Man has excellent long term memory for related events. Machines, to have the same capability become extremely expensive. Man can become highly flexible in terms of task performance. Machines are relatively inflexible. 14 Man can improvise and exercise judgment based on long term memory recall. Machines cannot; they are best at routine, repetitive functions. Man can perform under transient overload, his performance gracefully. Machines stop under overload; generally fail all at once. Man can make inductive decisions in novel situations; can generalize. Machines have little or no capability for induction or generalization. Man can modify his performance as function of experience;he can learn “to learn”. Trial and error behavior is not characteristic of machines. Man can override his own actions should the need arise. Machines can only do what they are built to do. Man is reasonably reliable; can add reliability to system performance by selection of alternatives. Machines are reliable only at the expense of increased complexity and cost; then only for routine functions. Man complements the machine in the sense that he can use it in spite of design failures, for a different task, or use it more efficiently than it was designed for. Machines have no such capability. Man complements the machine by aiding in sensing, extrapolating, decision making, goal setting, monitoring and evaluating. Machines have no capacity for different performance than originally designed. Man can acquire and report information incidental to the primary mission. Machines cannot do this. Man can perform time contingency analyses and predict event in unusual situations Corresponding machines do very poorly. Man is relatively inexpensive for corresponding complexity, is generally in good supply, but must be trained. Machines are more limited in terms of complexity and supply by cost and time. Man is light in weight and small in size for function achieved for most situations Machines with functional equivalence of man require more weight, power and cooling facilities. Man is relatively easy to maintain; demands a minimum of “in task” extras. Maintenance problems become disproportionately serious as complexity increases. 15 and degrades COMPARISON OF HUMAN LIMITATIONS WITH MACHINE ALTERNATIVES BASIS FOR MAN VS MACHINE FUNCTION ALLOCATION Men are poor monitors of infrequent events or of events which occur frequently over a long period of time. Machines can be constructed to detect reliably, infrequent events or events which occur frequently over a long period of time. The human has a limited channel capacity. Machines may have as much channel capacity as can be afforded. Humans are subject to coriolis (physiological) effects, motion sickness, disorientation, etc. Machines are not subject to these effects. Man has extremely limited short term memory for factual material. Machines may have as much short-term (buffer) memory as can be afforded. Man is not well suited to data coding, amplification or transformation tasks. Machines are well suited to this kind of tasks. Human performance is degraded by fatigue and boredom. Machine performance is degraded only by wearing out or by lack of calibration. Human performance is degraded by long duty periods, repetitive tasks and cramped or unchanged positions. Machines are less affected by long duty periods, perform repetitive tasks well; some may be restricted by position. Man saturates quickly in terms of the number of things he can do and the duration of his effort. Machines can do one thing at a time so fast that they seem to do many things at once, for a long period of time. Man may introduce errors by mis-identification, re-integration or closure. Machines do utilize these processes. Expectation or cognitive set may lead an operator to “see what he expects, or want to see”. Machines do not exercise these processes. Much of human mobility is predicated and based on gravity relationships. Machines may be built which perform independent of gravity. Human are adversely affected by high g-forces. Machines are unaffected by g-force. Man can generate only relatively small forces, and cannot exert large forces for very long or very smoothly. Machines can generate and exert forces as needed. 16 Man generally requires a review or rehearsal period before making decisions based on items in memory. Machines go directly to stored information for decision. When performing a tracking task, man requires frequent reprogramming; he does best when changes are under 3 radians / second. Machines do not have such limitations. Man has a built-in response latency of about 200 microseconds in a go / no-go situation. Machines need have no response latency. Man is not well adapted to high speed, accurate search of large volumes of information. Computers are designed to do just this. Man does not always follow an optimum strategy. Machines will always follow the strategy designed into them. Man has physiological, psychological and ecological needs. Machines have only ecological needs. Men are subject to anxiety which may affect their performance efficiency. Machines are not subject to this factor. Man is dependent upon his social environment both present and remembered.. Machines have no social environment. Man’s diurnal cycle imposes cyclic degradation of behavior. The machine cycle may be whatever is desired. Interpersonal problems develop among humans. There are no such problems among machines. Unselected individuals differ greatly among themselves. There are no unselected machines. 17 Note di commento al documento “Pilota in comando oppure Computer in comando” di Giovanni Riparbelli Ho letto con interesse l’articolo del Prof. Schmid, ma mi trovo per molti aspetti in disaccordo con il suo contenuto. Mi spiego meglio: ne condivido l’obbiettivo, che è ben riassunto nelle conclusioni “Alla forza dell’essere umano, che si fonda principalmente sulla sua capacità analitica, dev’essere accordata una maggior considerazione nella fase progettuale di nuovi aeromobili commerciali” e “Gli aeromobili devono essere adattati a servire, quali utili e controllabili strumenti, gli esseri umani e non viceversa”, ma non condivido la maggior parte degli esempi e dei ragionamenti che hanno portato l’autore a tali (giuste) conclusioni. Non c’è dubbio che forse il principale problema dell’aviazione moderna è costituito dall’interfaccia uomo-macchina, e si possono identificare innumerevoli aree nelle quali possono, e debbono venire fatti passi avanti significativi. Ma non c’è nemmeno dubbio che tutti gli sforzi dei costruttori siano da sempre stati intesi proprio a fornire ai piloti aiuti migliori per eseguire il loro compito, e mai si sia posta in alcun dubbio la completa autorità dell’uomo sulla macchina. Veniamo allo studio in esame I. Il problema La lista di incidenti riportata all’inizio dell’articolo con l’intento di avvalorare la tesi contraria, dimostra solo una lacunosa conoscenza in materia di chi li ha scritti, e le loro sintesi contengono una serie di inesattezze sostanziali che poco hanno a che vedere con i fatti realmente accaduti. Da sempre ci sono nell’aviazione commerciale dei concetti fondamentali dai quali non sono ammesse deviazioni, primo fra tutti quello che nessun intervento automatico è consentito su impianti vitali, quali motori o i superfici di volo, che possano compromettere la sicurezza. Pertanto è ben possibile che un fulmine attivi gli avvisi incendio di tutti i motori, o qualsiasi altro avviso di avaria il cui ck. list richieda lo spegnimento dei motori, ma nessun aeromobile occidentale può essere costruito con l’autorità data al computer di effettuare lo spegnimento, né lo sarà mai. L’incidente di Absheim del A-320 è descritto in maniera del tutto irreale; la protezione dell’inviluppo di volo insita nella legge di controllo degli aeromobili Airbus non ha impedito all’a/m di alzare il muso, ma gli ha impedito di stallare, il che avrebbe comportato una perdita di vite assai maggiore. Si può discutere la filosofia di controllo degli aeromobili di Airbus, ma una cosa è certa: dal punto di vista della capacità di manovra essi sono di gran lunga superiori a tutti gli altri aeromobili commerciali. Considerare le protezioni all’inviluppo di volo come una limitazione del pilota, anziché un aiuto in molti casi vitale, significa non aver capito di cosa si stia parlando, o di non conoscere il sistema. Venendo all’incidente di Varsavia, le protezioni all’uscita dei ground spoilers, o dei reverse, sono state introdotte dopo che era successo un notevole numero di incidenti dovuto all’uso improprio in volo di tali sistemi, o per loro avaria. Basti ricordare il DC 8-62 Alitalia che, per aver usato il reverse durante la flare, si spaccò in due pezzi sulla pista di New york. 18 Se poi si considera che né i ground spoilers né i reverse sono essenziali in un atterraggio normale, si può ben comprendere il motivo per cui il costruttore ha optato per delle protezioni. Quanto al fatto che alcune protezioni non siano by-passabili dal pilota, basta ricordare l’incidente del Trident della BEA, il cui equipaggio rimosse la protezione dallo stallo (disattivando lo stick-pusher), con conseguente perdita dell’a/m e di tutti gli occupanti. La filosofia costruttiva cui facevo riferimento prima, dà autorità all’equipaggio su ogni azione vitale, mentre gli impedisce di rimuovere protezioni a impianti che non sono essenziali per la sicurezza del volo se non rimosse, mentre possono causare, ed hanno storicamente causato, seri danni se rimosse inopportunamente. Nel caso dell’incidente in esame, la causa prima è stata la velocità di atterraggio spropositatamente al di sopra di quella richiesta, e non c’è soluzione tecnica costruttiva che possa sopperire ad un uso improprio dell’a/m. Se l’a/m fosse atterrato alla velocità giusta, non avrebbe avuto problemi a fermarsi, anche senza spoilers e reverse. L’incidente del B-757 della Birgenair è anch’esso citato alquanto a sproposito: il cockpit voice recorder evidenzia bene come già in corsa di decollo a terra fosse chiaro ai due piloti che l’anemometro del comandante non funzionasse; l’a/m non avrebbe dovuto proseguire il decollo. Ma quello che rimane incomprensibile è come sia stato possibile, con la chiara conoscenza di una avaria ad un indicatore di velocità, affidarsi all’autopilota e perdere il controllo dell’a/m, ignorando anche l’intervento dello stick shaker. E qui vorrei ricordare che se quel tipo di a/m avesse avuto le protezioni di inviluppo di volo dell’Airbus A 320 di Habsheim, l’incidente non sarebbe avvenuto. Questo per chiarire il perché di certe scelte. Nell’incidente della Birgenair nulla è attribuibile all’aeromobile in sé, ma c’è da domandarsi il motivo per cui un equipaggio si sia affidato in maniera acritica ad un automatismo, per di più in condizioni di evidente e nota avaria strumentale. Ma su questo discorso tornerò in seguito. Quanto all’ultimo incidente, quello secondo il quale un computer “provvedeva di propria iniziativa a comandare la retrazione degli slats e dei flaps, che erano estesi in posizione di decollo in quanto l’aereo era ancora in fase di corsa in pista per l’involo”, la descrizione è alquanto differente dalla realtà. Se così fosse stato, si sarebbe trattato di una grossa deviazione dal principio base di sicurezza cui ho fatto riferimento prima: nessun impianto di bordo può effettuare autonomamente interventi che possano compromettere la sicurezza del volo. Non conosco l’episodio particolare, ma ovviamente si fa riferimento all’impianto del A-321 che attiva, a velocità eccessiva, la retrazione del solo flap dalla posizione minima di decollo a quella di completo rientro. Questa protezione, che non riguarda posizioni maggiori di flap, il cui rientro accidentale potrebbe causare problemi, né quella degli slats, è ininfluente ai fini della sicurezza del volo in un decollo normale, con particolare riferimento al sistema di protezione dell’inviluppo di volo; in compenso è assai utile a preservare i flaps da carichi aerodinamici eccessivi. Non posso pertanto condividere la conclusione del primo punto : “Rimane invece fortemente contestabile la soluzione di lasciare il pilota senza alcuna possibilità di intervenire su programmi di prudenza eccessiva progettati dai computers, che poi si rivelano non essere tali”. 19 Non la posso condividere nel senso che in nessuno degli incidenti descritti il pilota era stato messo nella impossibilità di intervenire. II. L’interrelazione uomo-macchina Questo è un grande problema, e c’è al proposito un ottimo documento della FSF, che propone moltissime migliorie al sistema di interfaccia uomo macchina. Ma gli studi abbondano in materia. Qui concordo in particolare su due punti: la scarsa conoscenza che si fornisce oggi ai piloti della loro sempre più complessa macchina, ma ancor più concordo con la nota di Dentesano, che fa riferimento alla necessità dei piloti di conoscere “la concezione costruttiva degli impianti di bordo”. Nella mia veste di incaricato degli Standads Operativi di Alitalia, ho discusso a fondo proprio queste filosofie con MD-Douglas, durante lo sviluppo dell’ MD 11, con Airbus, prima dell’acquisto degli A-321, e con Boeing, durante la valutazione del B777. Purtroppo questo genere di conoscenze difficilmente arrivano poi alla maggioranza dei piloti. Non concordo invece del tutto con la dichiarazione che i piloti sono stati progressivamente degradati ad operatori di sistemi e di impianti. O almeno non concordo con il fatto che ciò sia avvenuto senza il loro esplicito consenso. Mi spiego: i costruttori ci hanno fornito aeromobili sempre più sofisticati e facili da operare. Gli automatismi possono fare (quasi) qualsiasi cosa, ma sono stati i piloti ad esasperarne l’uso, fino a diventarne schiavi inconsapevoli. I piloti stessi si sono voluti degradare, e sta agli psicologi trovare il perché. Cosa può spingere un pilota a inserire l’autopilota a 200 ft. dopo il decollo e disinserirlo solo, quando va bene, in corto finale? In particolare quando dispone di un a/m, quali tutti gli Airbus attual, il cui pilotaggio manuale è completamente protetto? E come si spiega la sudditanza di molti piloti nei confronti degli autopiloti, che sono riluttanti a disinserirli anche quando diviene evidente che non stanno agendo correttamente, fino al punto da farsi portare contro le montagne, o a perdere il controllo aerodinamico dell’a/m? Qui non si tratta di aver disegnato il pilota fuori dal loop di controllo; fuori dal loop ci si è messo lui di sua spontanea volontà. E di questo credo che le Compagnie aeree portino le colpe maggiori, quando hanno continuato ad insistere, al di là di ogni logica necessità, sulla necessità dell’uso di tutti gli automatismi disponibili. Ricordo Compagnie che prescrivevano, con il DC 10 solo l’atterraggio automatico, o, in mancanza di ILS, con autopilota in CWS (Control Wheel Steering). Ci sono voluti molti anni, dopo l’avvento di sistemi automatici sempre più complessi, per modificare quella disposizione nella raccomandazione di adoperare il livello di automatismi più adeguato alla situazione. Ma ormai il danno era fatto, e la maggior parte dei piloti non ha neppure capito il significato della nuova raccomandazione. 20 III. Automazione e responsabilità Ripeto, per questo item, quanto ho già detto: nulla impedisce ai piloti di disconnettere qualsiasi automatismo che possa essere rilevante ai fini della sicurezza del volo. Se vogliamo gli stessi Airbus possono escludere anche le protezioni dell’inviluppo di volo, escludendo i computer che le attivano. Per cui non concordo con la dichiarazione “con l’introduzione della tecnologia fly by wire agli equipaggi viene posto un limite d’intervanto che è calcolato da un computer. Per la prima volta il concetto dell’autorità finale attribuita all’essere umano a bordo viene posta in discussione.” Quando poi si arriva a parlare di atterraggi in CAT IIIc, l’autore arriva un po’ in ritardo. Da parecchi anni il pilota ha perso il controllo diretto sulle operazioni di atterraggio in bassa visibilità: una gran parte di operatori (tutti gli americani, la British Airways, KLM, etc) effettuano le operazioni di atterraggio in CAT III “Head Down”, cioè con entrambi i piloti sul panello strumenti, e non c’è più decision height, né decisioni da prendere se non quella di verificare (Head Down) il corretto funzionamento dell’autopilota. Ma siccome a dispetto dell’estensore dell’articolo in questione il mondo aeronautico non è costituito solo da pazzi, il futuro in quest’area restituirà al pilota il suo ruolo e le sue responsabilità, attraverso l’uso degli Head Up Displays e delle tecnologie associate (Enhanced Vision Systems, Synthetic Vision Systems). Ricordo che dal prossimo anno tutti gli aeromobili Airbus saranno dotati di HUD come dotazione standard. Se si arriva al concetto di Free Flight, ho anche qui alcune osservazioni da fare. Ho condotto esperimenti di Free Flight con il simulatore di ricerca del laboratorio olandese (NLR), e nessuna autorità sulle manovre era data al sistema, che presentava solo la soluzione del conflitto di traffico, peraltro in maniera assai semplice e chiara. Debbo dire che la mia sensazione era stata quella che si sarebbe potuto benissimo dare autorità al sistema di effettuare variazioni di rotta (non di quota, che peraltro non sono previste dalla logica del sistema stesso), che dal punto di vista del piota non sarebbero state diverse dalle leggere accostate che l’autopilota compie normalmente per mantenere una track prefissata. L’importante è che il pilota abbia sempre l’autorità di prevalere sul sistema, in maniera facile e diretta. Ma questo non è mai stato messo in dubbio da nessuno. IV. Aspetti legali Ho anch’io un amico ingegnere aeronautico che non perde l’occasione per dirmi che si possono far volare gli aeroplani senza pilota. Ma questo fa parte delle battute che storicamente si fanno tra piloti e ingegneri. Non ci dimentichiamo che se è vero che i primi aeroplani furono costruiti da piloti che erano ingegneri, o per meglio dire, secondo il mio amico ingegnere, da ingegneri che erano anche piloti, adesso gli aeromobili sono costruiti da team di ottimi ingegneri ed ottimi piloti. Alcuni tra i migliori sul mercato. 21 A mio parere, molti dei timori espressi in questo articolo sono, pertanto, del tutto infondati. V. Riepilogo e conclusioni Il problema principale non risiede nelle macchine, ma nell’uomo e nel suo modo di operarle. Le macchine attuali lasciano all’uomo piena libertà di azione, ma si è visto che l’uomo è riluttante ad esercitarla. Si assiste spesso a riprogrammazioni lunghe e difficili in volo del FMS (Flight Management System), invece di ricorrere alle funzioni dirette dell’autopilota, o addirittura al pilotaggio manuale che in molte situazioni costituisce la soluzione migliore. E’ vero, molti piloti sembrano assumere un atteggiamento passivo nei confronti del volo; soffrono di sudditanza psicologica nei confronti degli automatismi. Sembra che si sentano realizzati solo se riescono ad operare bene il sistema, e a questo dedicano tutti gli sforzi, anche quando ciò diventa controproducente. Non voglio sembrare paladino dell’ignoranza a bordo; voglio solo ricordare che il continuo controllo critico del profilo di volo distingue un buon pilota più che non la sua capacità di programmare in maniera infallibile (?) i sistemi di bordo. E se si evidenzia una deviazione dal profilo desiderato, il pilota dovrebbe intervenire sulla traiettoria, e non sul sistema. E questo senza sensi di colpa. Gli aeromobili dovrebbero essere curati meglio nell’interfaccia con i piloti, e su questo c’è molta letteratura e proposte. I piloti dovrebbero capire le filosofie costruttive degli aeromobili. Le Compagnie dovrebbero investire in addestramento più approfondito, e con più riguardo del fattore umano. E per fattore umano intendo anche alludere alla necessità di restituire al pilota l’interesse per un volo ben condotto, che gli dia una soddisfazione diversa da quella di un programmatore. I costruttori dovrebbero fornire al pilota tutti quegli strumenti, oggi disponibili, che presentando la traiettoria di volo, l’orografia, la pista, etc., su idonei schermi Head Up ed Head Down gli consentano una più appropriata consapevolezza della situazione operativa, e gli restituiscano le sue piene prerogative di controllo. E per concludere voglio tornare al titolo dell’articolo: Pilota-in-comando o Computer-in-comando? La mia risposta è semplice: il pilota è così tanto in comando da scegliere egli stesso di farsi spesso comandare dal computer. Sta a lui rimuovere le cause. Com.te Giovanni Riparbelli 22