Prima Settimana: il peccato

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Prima Settimana: il peccato
Esercizi spirituali nella quotidianità a Milano
3 aprile 2014
decimo incontro
Prima Settimana:
il peccato
La preghiera iniziale:
Salmo 36 (35)
1 Al maestro del coro. Di Davide servo del
Signore.
2 Nel cuore dell'empio parla il peccato,
davanti ai suoi occhi non c'è timor di Dio.
3 Poiché egli si illude con se stesso
nel ricercare la sua colpa e detestarla.
4 Inique e fallaci sono le sue parole,
rifiuta di capire, di compiere il bene.
5 Iniquità trama sul suo giaciglio,
si ostina su vie non buone,
via da sé non respinge il male.
6 Signore, la tua grazia è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi;
7 la tua giustizia è come i monti più alti,
il tuo giudizio come il grande abisso:
uomini e bestie tu salvi, Signore.
8 Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali,
9 si saziano dell'abbondanza della tua casa
e li disseti al torrente delle tue delizie.
10 È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
11 Concedi la tua grazia a chi ti conosce,
la tua giustizia ai retti di cuore.
12 Non mi raggiunga il piede dei superbi,
non mi disperda la mano degli empi.
13 Ecco, sono caduti i malfattori,
abbattuti, non possono rialzarsi.
Istruzione:
CONSOLAZIONE e DESOLAZIONE SPIRITUALE = il linguaggio di Dio
Per capire a cosa Dio ci chiama occorre esaminare le mozioni spirituali (stati d'animo che hanno per oggetto Dio,
il suo Regno...) che nascono in noi quando dobbiamo prendere una decisione, o meditiamo su un brano della
scrittura. (v. Esercizi n. 313-336). Ignazio ne fece esperienza, fino a ricavarne delle "leggi" del comportamento
dello Spirito buono e dello spirito del male. Dio comunica con noi passando attraverso il nostro vissuto: cioè
suscitando in noi delle mozioni. Il nostro vissuto è anche il terreno dove agisce il Maligno. Mozione spirituale è
quindi uno stato d’animo, un desiderio, sia positivo che negativo, che si fa presente in noi e ci invita o spinge ad
assumere un atteggiamento, a prendere una decisione, a compiere un'azione – oppure rallenta e disturba
questo stesso processo. La mozione può presentarsi sotto la forma di consolazione o di desolazione.
La consolazione (n.316) è un insieme di sentimenti spirituali positivi, soprattutto di pace, che porta ad un
aumento di fiducia, abbandono ed amore nei confronti di Dio. Si esprime in sentimenti di gioia, gratitudine,
meraviglia, ammirazione, speranza, gusto spirituale. Anche dispiacere, dolore (es. per i propri peccati), ma senza
inquietudine e scoraggiamento.
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Ecco alcune modalità con cui si fa presente la consolazione:
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Gioia spirituale: non gioia psicologica, o euforia fisica, o piacere estetico, ma gusto di Dio. Si è felici di
essere con Lui, di servirlo, di spendere la nostra vita per i fratelli e per il Regno.
 Fiducia: non ingenuo ottimismo, ma certezza di fede che Dio ama ogni uomo e tutta l'umanità, e
costruisce, con affetto e intelligenza rispettosa della libertà, il bene di ciascuno;
 Pace profonda: non assenza di disagio o di lotta interiore (tipo il "Nirvana" buddista); ma pace attiva,
quella donata da Cristo; è l'espressione di un accordo profondo tra i piani di Dio ed i nostri desideri e
aspirazioni.
 Gratitudine: Si è grati, meravigliati, ammirati di quanto Dio, nel suo amore, fa per noi e per il
mondo. Stupore per essere tanto amati da Dio.
 Commozione: Si sente l'anima infiammata, attirata dal bene, alle volte ci si commuove (anche fino alle
lacrime – ma da solo questo non è segno di consolazione) gustando l'amore del Signore o la sua
misericordia.
 Tutto questo genera dinamismo interiore e la certezza che neppure la sofferenza o la difficoltà possono
spegnere vita e speranza.
♥ Consolazione è dunque ogni presenza e crescita di fede, speranza e amore in tutte le loro espressioni.
La desolazione (Esercizi n. 317) è, al contrario della consolazione, un insieme di sentimenti spirituali negativi, di
pesantezza spirituale, chiusura in se stessi, sensazione di non senso della vita dal cui orizzonte Dio scompare, o
risulta sempre più lontano. Sintomi della desolazione:
 Oscurità: smarrimento; non è chiaro dove si vuole andare; decisioni e scelte fatte diventano incerte.
Dubbi di fede, dubbi che Dio ci ami…
 Tristezza spirituale: si prova un'insoddisfazione diffusa, senza riuscire ad individuarne le cause. Si sente
indifferenza nei confronti di Dio.
 Fascino del sensibile: si è portati a dare valore solo, o soprattutto, ai mezzi umani, come se la
Provvidenza e la Grazia non esistessero più.
 Tormenti e inquietudini: scrupoli, paura di sbagliare sempre, paura di cedere alla tentazione, paura di
non saper rispondere adeguatamente.
 Aridità del cuore: si ha l'impressione che Dio sia assente, che ci abbia abbandonato; sembra inutile
pregare; viene voglia di lasciar perdere tutto…
♥ Desolazione è dunque ogni assenza o diminuzione di fede, speranza e amore in tutte le loro
espressioni. Elemento comune a tutte le forme di desolazione è la mancanza di pace spirituale profonda.
Due attenzioni:
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Non confondere desolazione con la depressione: questa è uno stato psicologico, quella è uno stato
spirituale.
Non confondere le mozioni affettive con le reazioni istintuali (es.: pulsioni, paure...).
Ignazio chiama “spiriti” le mozioni spirituali. Discernere gli spiriti, imparare a distinguerli, diventa una via
maestra per capire gli appelli del Signore nella nostra vita. Due esempi:
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se una persona va di male in peggio nella sua vita spirituale, il cattivo spirito suggerisce idee e azioni che
accelerano la discesa; lo spirito buono suggerisce una inversione di rotta;
se una persona inizia un cammino di cambiamento, lo spirito cattivo deprime mostrando difficoltà,
inutilità degli sforzi, ecc.; mentre lo spirito buono mostra che un cammino positivo è possibile.
Consolazione e desolazione sono sempre vissute in rapporto a Dio: una consolazione che prescinda da Dio è solo
allegria e buon umore; una desolazione senza Dio è malumore e depressione.
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Ragioni della desolazione:
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alcune dipendono da noi: siamo pigri o negligenti, come il servo che ha ricevuto un solo talento e non lo
sfrutta; non ci impegniamo nella relazione con Dio; siamo tiepidi;
il Signore permette la desolazione perché avvertiamo quanto poco riusciamo ad andare avanti senza di
Lui: scopriamo così i nostri limiti – e la tenacia della sua misericordia;
il Signore vuole farci scoprire la gratuità di ogni suo dono e desiderare la sua luce (siamo fatti per la luce,
non per le tenebre).
Qualche regola per il tempo della consolazione....
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Chi è in consolazione pensi che prima o poi giungerà la desolazione e accumuli nuove forze [di fede, fiducia,
umiltà...] per quell'occasione (Esercizi 323),
Chi è consolato pensi a quanto poco vale quando non è consolato… (324 a): cresca nell'umiltà;
Si presti attenzione a non fare, in tempo di consolazione, propositi eccessivi, per non fare il passo più lungo
della gamba… (14): le decisioni siano sempre prese dopo opportuno discernimento.
Il sentire non è per sé criterio di discernimento per giudicare il livello della propria vita spirituale, perché non
chi dice Signore! Signore! entrerà nel Regno, ma chi fa la Volontà di Dio! (Cfr. Mt 7,21).
… e per il tempo della desolazione:
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si tenga presente che nella desolazione il rapporto con Dio non è interrotto: semplicemente non se ne
sentono gli effetti; il primo atteggiamento da assumere è la pazienza; l'esperienza insegna che consolazione
e desolazione si avvicendano;
si cerchi quale può essere la probabile radice della desolazione;
in uno stato di desolazione non si cambino le risoluzioni prese nei momenti di consolazione e sereneità;
invece di cambiare si reagisca (“agere contra”): se la tendenza per es. è di accorciare la preghiera perché
“non si sente niente”, la si allunghi di qualche minuto...
si tenga presente che nei momenti di desolazione si ha tendenza a rinchiudersi su se stessi, a non rivelarsi:
sarà allora opportuno aprirsi con la propria guida spirituale.
Si distingua la desolazione dalla depressione. Il depresso sente se stesso e la propria vita come vuoti di
significato e di interesse; il passato pesa e demotiva ad agire; la nostalgia è dolorosa; non c'è progettualità
gioiosa. Il soggetto si sottovaluta, vive sensi di colpa, è tutto centrato su se stesso... Spesso si associano
sintomi psicosomatici, come inappetenza, diminuzione di forze, ecc. Il desolato, invece, è portato a dire, con
s. Teresina di Lisieux: «il mio Signore c'è, ma dorme».
p. Mario Danieli
La grazia da chiedere per i testi presentati questa sera:
Sentire in quale modo io e tutta l’umanità siamo coinvolti in un disordine più grande di noi
e in quale modo, consapevolmente o inconsapevolmente, partecipo e contribuisco a quel disordine.
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I testi:
Genesi 3,1-24
1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna:
«È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al
serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell'albero che sta
in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti
morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne
mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6 Allora
la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare
saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne
mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di
fico e se ne fecero cinture.8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del
giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Ma il
Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho
avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?
Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12 Rispose l'uomo: «La
donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». 13 Il Signore Dio disse
alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
14 Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il
bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i
giorni della tua vita. 15 Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti
schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». 16 Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le
tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà».
17 All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo
comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. 19 Con il
sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere tornerai!».20 L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i
viventi. 21 Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì. 22 Il Signore Dio disse
allora: «Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non
stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!». 23 Il Signore
Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. 24 Scacciò l'uomo
e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via
all'albero della vita.
Genesi 4,1-16
1 Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal
Signore». 2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del
suolo. 3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì
primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino
e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino:
«Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma
se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu
dòminalo». 8 Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino
alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9 Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo
fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». 10 Riprese: «Che hai
fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11 Ora sii maledetto lungi da quel suolo
che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. 12 Quando lavorerai il suolo, esso non ti
darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». 13 Disse Caino al Signore: «Troppo
4
grande è la mia colpa per ottenere perdono! 14 Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò
nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà
uccidere». 15 Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il
Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato. 16 Caino si
allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.
Giovanni 8,1-11
1 Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il
popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. 3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una
donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in
flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne
dici?». 6 Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si
mise a scrivere col dito per terra. 7 E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro:
«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». 8 E chinatosi di nuovo, scriveva per
terra. 9 Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono?
Nessuno ti ha condannata?». 11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti
condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
Osea 2,1-25
1 Il numero degli Israeliti sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. Invece di
sentirsi dire: «Non siete mio popolo», saranno chiamati figli del Dio vivente. 2 I figli di Giuda e i figli
d'Israele si riuniranno insieme, si daranno un unico capo e saliranno dal proprio territorio, perché grande
sarà il giorno di Izreèl! 3 Dite ai vostri fratelli: «Popolo mio» e alle vostre sorelle: «Amata». 4 Accusate
vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito! Si tolga dalla
faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio dal suo petto; 5 altrimenti la spoglierò
tutta nuda e la renderò come quando nacque e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò
morire di sete. 6 I suoi figli non li amerò, perché sono figli di prostituzione. 7 La loro madre si è
prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna. Essa ha detto: «Seguirò i miei amanti, che mi
danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande». 8 Perciò ecco, ti
sbarrerò la strada di spine e ne cingerò il recinto di barriere e non ritroverà i suoi sentieri. 9 Inseguirà i
suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: «Ritornerò al mio marito di
prima perché ero più felice di ora». 10 Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio e le prodigavo
l'argento e l'oro che hanno usato per Baal. 11 Perciò anch'io tornerò a riprendere il mio grano, a suo
tempo, il mio vino nuovo nella sua stagione; ritirerò la lana e il lino che dovevan coprire le sue nudità.
12 Scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani.
13 Farò cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue solennità. 14 Devasterò le sue
viti e i suoi fichi, di cui essa diceva: «Ecco il dono che mi han dato i miei amanti». La ridurrò a una
sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici. 15 Le farò scontare i giorni dei Baal, quando bruciava loro
i profumi, si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi amanti mentre dimenticava me! - Oracolo
del Signore.
16 Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. 17 Le renderò le sue
vigne e trasformerò la valle di Acòr in porta di speranza. Là canterà come nei giorni della sua
giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. 18 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi
chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. 19 Le toglierò dalla bocca i nomi dei
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Baal, che non saranno più ricordati. 20 In quel tempo farò per loro un'alleanza con le bestie della terra e
gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare
tranquilli. 21 Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella
benevolenza e nell'amore, 22 ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. 23 E avverrà in
quel giorno - oracolo del Signore - io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; 24 la terra
risponderà con il grano, il vino nuovo e l'olio e questi risponderanno a Izreèl. 25 Io li seminerò di nuovo
per me nel paese e amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio.
Colloquio. Immagina Cristo nostro Signore davanti a te sulla croce, e parla con Lui, chiedigli come
mai Lui che è Creatore ha deciso di farsi uomo, e di passare dalla vita eterna alla morte temporale, e così
di morire per i nostri peccati. Allo stesso modo rifletterò su me stesso e mi chiederò: “Cosa ho fatto per
Cristo?”, “Cosa sto facendo per Cristo?”, “Cosa devo fare per Cristo?”. Vedendolo poi in quello stato,
così appeso alla croce, esprimerò quanto mi suggerisce la mente e l’affetto.
[Es.Sp. # 53]
La preghiera conclusiva:
Salmo 143 (142)
1 Salmo. Di Davide.
Signore, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio alla mia supplica,
tu che sei fedele,
e per la tua giustizia rispondimi.
2 Non chiamare in giudizio il tuo servo:
nessun vivente davanti a te è giusto.
3 Il nemico mi perseguita,
calpesta a terra la mia vita,
mi ha relegato nelle tenebre
come i morti da gran tempo.
4 In me languisce il mio spirito,
si agghiaccia il mio cuore.
5 Ricordo i giorni antichi,
ripenso a tutte le tue opere,
medito sui tuoi prodigi.
6 A te protendo le mie mani,
sono davanti a te come terra riarsa.
7 Rispondimi presto, Signore,
viene meno il mio spirito.
Non nascondermi il tuo volto,
perché non sia come chi scende nella fossa.
8 Al mattino fammi sentire la tua grazia,
poiché in te confido.
Fammi conoscere la strada da percorrere,
perché a te si innalza l'anima mia.
9 Salvami dai miei nemici, Signore,
a te mi affido.
10 Insegnami a compiere il tuo volere,
perché sei tu il mio Dio.
Il tuo spirito buono
mi guidi in terra piana.
11 Per il tuo nome, Signore, fammi vivere,
liberami dall'angoscia, per la tua giustizia.
12 Per la tua fedeltà disperdi i miei nemici,
fa' perire chi mi opprime,
poiché io sono tuo servo.
I testi degli “spunti per la preghiera” di questa sera saranno pubblicati nei prossimi giorni insieme alla
registrazione dell’incontro sui siti:
www.centrosanfedele.net > temi e percorsi > esercizi spirituali nella quotidianità – Itinerario B
www.gesuiti-villapizzone.it > attività > esercizi spirituali nella quotidianità – Itinerario B
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Giovanni 8, 1-11
Osea 2, 14-23
La Prima settimana degli Esercizi presenta una serie di meditazioni sul peccato e una domanda fondamentale: che
cosa ha impedito, che cosa impedisce al progetto di amore che Dio ha per la sua creazione di realizzarsi?
Il dono più grande che Dio ha fatto alle sue creature è la libertà – la libertà di mantenerci fedeli al suo amore e al
suo progetto, oppure al contrario di tradire l’amore e il progetto di Dio nell’illusione di poterci sostituire a Lui, di
poter fare a meno di Lui, preferendogli altri dei, altri idoli, e a proiezioni di noi stessi che ci separano dalla
possibilità di essere in relazione con Lui.
Se nella Bibbia, come abbiamo visto all’inizio del percorso degli Esercizi, la relazione che unisce gli esseri umani
e Dio è descritta nel Cantico dei Cantici, e cioè tramite l’analogia con la forma più alta e appassionata che unisce
un uomo e una donna, la realtà del peccato è spesso paragonata a un adulterio, al tradimento di quell’amore per
inseguire Baal, Moloch, o Astarte e adorare idoli costruiti da mani umane. La storia del popolo di Israele si
potrebbe dunque definire come una sequenza di momenti di allontanamento e tradimento da parte di Israele e, da
parte di Dio, di momenti di richiamo, di offerte di perdono e di rinnovate promesse di amore, di pace e di gioia
quando Israele accetterà di ristabilire la relazione.
Se ricordate, pregando con i passi del Cantico dei Cantici all’inizio del percorso degli Esercizi, siamo stati colti da
un sentimento di incredulità, come se il tipo di amore al quale venivamo chiamati non corrispondesse alla nostra
realtà, ma a una realtà molto lontana da noi, inimmaginabile. La distanza tra noi e la possibilità di vivere quel tipo
di amore non dipende da nient’altro che dal peccato. E, sembra suggeririci sant’Ignazio, fino a quando non lo
avremo riconosciuto in tutte le sue sfumature – peccato immaginato, peccato agito e peccato subito; peccato
cosmico, peccato storico, peccato collettivo e peccato individuale – non ci sarà possibile riconoscere e accedere
all’amore di Dio, che è insieme la premessa e la promessa del nostro essere creature. Creature immerse nel
peccato, ma comunque e sempre amate da Dio con un amore assoluto e infinito.
Nel proporvi i due testi di questa sera, l’episodio evangelico della donna colta in adulterio e il brano di Osea –
uno dei primi profeti le cui profezie sono state tramandate dalla Bibbia, vissuto nell’ottavo secolo, al tempo della
imminente invasione assira che avrebbe decretato la fine del regno del nord e causato la deportazione di tutta la
sua popolazione – vi invito a tenere lo sguardo fisso contemporaneamente sulla realtà del peccato come rottura
della relazione con Dio da parte degli uomini e sul modo in cui Dio risponde ad essa.
Ovviamente, lo scopo di questo esercizio non è portarci a esprimere un giudizio morale sul peccato di adulterio in
sé e tanto meno sul tipo di punizione con il quale l’adulterio veniva punito in passato e ancora oggi è punito in
molti paesi del mondo, bensì di capire che alla radice di tutti i peccati che commettiamo contro noi stessi, contro
il nostro prossimo e contro Dio c’è il tradimento della relazione fondante della nostra vita. Inoltre, lo scopo di
questo esercizio è comprendere che ciascuno dei nostri peccati fa parte di una misteriosa catena che ci precede e
ci trascina, e dalla quale soltanto l’amore di Dio può liberarci, liberando insieme a noi tutti coloro che le nostre
mancanze, il nostro egoismo, la nostra cecità, la nostra presunzione di sostituirci a Dio coinvolgono.
Quando Sant’Ignazio ci chiede di provare confusione e orrore di fronte al mistero del male, si riferisce alla
confusione e all’orrore che nascono dalla consapevolezza della nostra vulnerabilità nei confronti del peccato. Solo
quando avremo provato fino in fondo quei sentimenti di ripugnanza saremo in grado di aprirci alla misericordia e
all’amore di Dio, di disporci con tutti noi stessi ad accogliere il suo abbraccio e il suo perdono e implorare che
Dio ci metta in condizione di ri-conoscere in che modo essergli fedeli in futuro per poter collaborare alla
costruzione del suo Regno, l’unica realtà in cui l’intera creazione troverà la felicità per la quale è stata ed è
continuamente creata.
Ora, il testo.
Questa pericope, questo episodio della vita pubblica di Gesù, ha una storia anomala nel Nuovo Testamento. Non
compare nei manoscritti più antichi, e fino al XVI secolo la Chiesa si è interrogata sull’opportunità di inserirlo nel
Canone. Gli esegeti contemporanei concordano nel ritenere che non sia stata scritta dall’autore del vangelo di
Giovanni (forse piuttosto da Luca?) e sia stata inclusa in quel vangelo in epoca molto tarda, forse nel IV o V
secolo. Paradossalmente, questa circostanza, ci consente di sentirci liberi di leggere l’episodio prescindendo dal
contesto e senza il timore di tradire le intenzioni dell’evangelista.
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Come di consueto, ci affidiamo al metodo della contemplazione ignaziana invitando lo Spirito Santo a guidare la
nostra preghiera, poi leggiamo con attenzione il testo.
Giovanni 8, 1-11
1
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava
da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. 3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio
e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella
Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6 Questo dicevano per metterlo alla
prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. 7 E siccome
insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra
contro di lei». 8 E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9 Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno,
cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha
condannata?». 11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi
non peccare più».
Parafrasando il testo di sant’Ignazio, la grazia da chiedere per questo primo esercizio della Prima settimana, è
quella di sentire in quale modo io e tutta l’umanità siamo coinvolti in un disordine più grande di noi, e in quale
modo, consapevolmente o inconsapevolmente, io stesso partecipo e contribuisco a quel disordine.
La scena descritta dal testo evangelico si svolge nel Tempio di Gerusalemme e vede Gesù seduto a istruire la
folla. All’improvviso, viene interrotto dall’arrivo di un gruppo di scribi e di farisei, che portano una donna
sorpresa in flagrante adulterio. In verità si tratta di un pretesto per condannare lui. Se Gesù risponde confermando
la validità della pena di morte prevista dalla Legge mosaica (Levitico 20,10) contraddice se stesso e la sua pratica
di non esclusione nei confronti di persone che trasgrediscono la Legge, quali prostitute e noti peccatori. Se invece
Gesù nega validità alla pena e la contraddice sostenendo che la donna debba essere risparmiata, dimostra di porsi
all’esterno della tradizione e dunque è colpevole di blasfemia.
Per gli accusatori, la realtà della donna e del suo tradimento, il peccato e il peccatore, si inscrivono in un disegno
molto più ampio, che trascende entrambi.
Possiamo chiederci come si senta la donna in tutto questo. Non solo è stata colta in flagrante adulterio, non solo è
stata abbandonata dal suo compagno (a differenza delle legge greca e di quella romana, la legge mosaica riteneva
colpevoli di adulterio e soggetti alla pena capitale sia l’uomo che la donna), non solo ora è esposta alla pubblica
vergogna, non solo è condannata alla morte per lapidazione: viene usata, manipolata per un fine che con lei e
l’errore commesso non ha niente a che vedere.
L’azione degli scribi e dei farisei occupa il centro della scena, ci viene detto, dunque i discepoli e la folla che
all’inizio dell’episodio circondavano Gesù si sono allontanati. Possiamo chiederci, perché? Quali sentimenti li
hanno spinti ad abbandanare la mutata situazione?
Come prima risposta alla provocatoria domanda degli scribi, Gesù, che era seduto, si china, o forse si inginocchia,
per scrivere nella polvere. In un certo senso, rende visibile il proprio prendere le distanze e il proprio riconoscere
la pretestuosità di quella circostanza, ma anche il proprio fare appello al Padre per trovare la risposta. Solo il
Padre, solo nel Padre e nella sua relazione con il Padre Gesù può trovare la risposta che gli consentirà di risolvere
quel dilemma apparentemente senza via d’uscita e, soprattutto, di trasformare il livello di consapevolezza di tutte
le persone presenti. La consapevolezza dell’adultera, certo, ma anche quella degli scribi e dei farisei che la stanno
usando nel nome della Legge.
Infine, Gesù li esorta, “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”, e a uno a uno tutti se
ne vanno.
Vi invito a concentrare l’attenzione sulla reazione interiore che l’inattesa esortazione di Gesù provoca negli scribi
e nei farisei. Ciascuno, a casa, potrà scoprire se è chiamato/a a identificarsi anche con la donna, e quale
sentimento quella posizione e poi la risposta di Gesù alla donna provoca dentro di sé.
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Verosimilmente, prima di recarsi al Tempio, gli scribi e i farisei hanno discusso e concordato tra loro quale fosse
fosse l’espediente più efficace per incastrare Gesù. Ci deve essere sicuramente stata una riunione, con la
valutazione di tutti i pro e i contro e la prefigurazione di quello che sarebbe successo nel caso in cui Gesù avesse
confermato la sentenza di morte e nel caso in cui invece l’avesse contraddetta. Da quella riunione sono senz’altro
usciti con un piano preciso su come procedere in seguito alla sua risposta. Avevano l’autorità per arrestare Gesù?
Avrebbero dovuto chiamare altri per farlo arrestare?
Ma ora la domanda con cui Gesù risponde alla loro domanda li costringe a fare i conti ciascuno con la propria
coscienza. Non possono più nascondersi dietro al potere e all’autorità del gruppo al quale appartengono.
Proviamo a calarci nei panni di qualcuno di loro, a seguire il corso dei pensieri che lo portano a desistere
dall’intenzione di scagliare contro la donna la pietra che ha in mano. Verosimilmente, quando poi affianchiamo i
suoi pensieri a quelli di ciascuno dei suoi compagni, scopriamo che a fermarli non può essere solo il ricordo di un
segreto adulterio, ma una gamma di peccati ben più ampia... Magari soltanto per un secondo, per il secondo che
impedisce che al primo lancio segua una pioggia di pietre assassine, ciascuno di loro prova confusione e orrore
per i propri peccati. È la confusione e l’orrore di cui parla sant’Ignazio, da cui neppure noi riusciamo a sfuggire,
se siamo davvero onesti con noi stessi.
La risposta conclusiva di Gesù alla donna, da solo a sola, “Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare
più”, forse ci consente di identificare il significato dei segni che Gesù traccia sulla polvere nella promessa che
tramite il profeta Osea Dio fa a Israele, colpevole di adulterio, di tradimento dell’alleanza d’amore stipulata con
l’unico e vero Dio – un Dio misericordioso, un Dio fedele, un Dio sempre pronto al perdono, e sì, un Dio geloso,
perché appassionatamente innamorato.
“... Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. 17 Le renderò le sue vigne e
trasformerò la valle di Acòr in porta di speranza. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando
uscì dal paese d'Egitto. 18 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi
chiamerai più: Mio padrone. 19 Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal, che non saranno più ricordati. 20 In quel
tempo farò per loro un'alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada
e guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli. 21 Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella
giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, 22 ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il
Signore. 23 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; 24 la
terra risponderà con il grano, il vino nuovo e l'olio e questi risponderanno a Izreèl. 25 Io li seminerò di nuovo per
me nel paese e amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio. (Osea, 2, 1423)
Il primo esercizio della Prima settimana si conclude con l’invito di sant’Ignazio a fare un colloquio ai piedi della
croce: “Immagina Cristo nostro Signore davanti a te sulla croce, e parla con Lui, chiedigli come mai Lui che è
Creatore ha deciso di farsi uomo, e di passare dalla vita eterna alla morte temporale, e così di morire per i nostri
peccati. Allo stesso modo rifletterò su me stesso e mi chiederò: “Cosa ho fatto per Cristo?”, “Cosa sto facendo per
Cristo?”, “Cosa devo fare per Cristo?”. Vedendolo poi in quello stato, così appeso alla croce, esprimerò quanto mi
suggerisce la mente e l’affetto”. [Es.Sp. # 53]. Per chi fa gli Esercizi, questa è una delle esperienze più
commoventi, più profonde dell’intero percorso.
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Genesi 3
1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero
che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei
frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio
ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna:
«Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste
come Dio, conoscendo il bene e il male». 6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli
occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che
era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si
nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse:
«Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono
nascosto».
11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di
non mangiare?».
12 Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13 Il
Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
14 Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo
ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. 15 Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra
la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». 16 Alla donna disse:
«Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma
egli ti dominerà». 17 All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di
cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. 19 Con il sudore del
tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere
tornerai!».
20 L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.
21 Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì.
22 Il Signore Dio disse allora: «Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del
male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!». 23 Il
Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. 24 Scacciò l’uomo
e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via
all’albero della vita.
È un brano lungo, che può essere anche diviso in due o tre parti e lo si può ripetere per approfondire quegli
aspetti che di volta in volta più vi colpiscono.
Pregando su questo testo, cerchiamo di focalizzarci non tanto sul peccato in sé, su ciò che costituisce la
materia, il contenuto del peccato, ma piuttosto sulla dinamica che gli è propria. Vogliamo capire e vedere come si
arriva a peccare per mantenerci vigilanti, per accorgerci di quando stiamo facendo entrare il peccato nel nostro
cuore nella nostra vita.
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Ecco, allora, alcuni spunti per aiutare la preghiera.
1) Il peccato è in qualche modo una realtà esterna all’uomo e alla donna. Arriva per azione del serpente, “la
più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio”. Anche il peccato arriva da una creatura, c’è, esiste al
di là e al di fuori dell’uomo, di per sé non ci appartiene. Qual è, allora, la nostra responsabilità? Di lasciarlo
entrare, di metterci in relazione con questa realtà, preferirla a tutto il resto creato per il nostro bene e la nostra
felicità, come abbiamo letto in Gen 2,4-25.
La caratteristica di questo animale è l’astuzia. Per smascherarlo, allora, è necessaria l’umiltà di non credersi
più furbi, la prudenza, la consapevolezza di essere più deboli e di non potercela fare con le sole nostre forze.
2) Il serpente non mente, distorce la verità. La traduzione letterale della sua domanda è: « È vero che Dio ha
detto: Non mangerete di ogni albero del giardino?». Dio, in realtà aveva detto che non dovevano mangiare un solo
albero, ma formulata così la domanda è ambigua e porta a credere che non devono mangiare di alcun albero.
3) Eva, però, segue la logica del serpente, accetta di entrare in dialogo con lui, nel senso che da una parte dice
la verità, dall’altra esagera, perché dice che Dio gli ha proibito anche di toccarlo. Allora qui Eva sta andando nella
direzione voluta dal serpente, che, con la sua domanda, in fondo mira ad insinuare che Dio si voglia mettere in
competizione con loro, col suo divieto voglia impedirgli di essere felici. Come succede alle persone che vogliono
essere zelanti, eccede nella prudenza: non lo tocco neanche!
4) Visto che Eva è caduta nel tranello, ha cominciato a vedere Dio come un concorrente, invece che un alleato,
il serpente rincara la dose ed esce allo scoperto, contraddicendo quello che ha detto Dio: mangiare del frutto
dell’albero darà ad Adamo ed Eva una conoscenza che li renderà come Dio. è per questo che Lui non vuole che
ne mangiate, non per il vostro bene.
5) A questo punto Eva è in trappola. Se, prima, aveva timore anche solo di toccare l’albero, adesso la
prospettiva è cambiata, vede le cose in un modo nuovo.
Ecco una prima dinamica: il peccato consiste innanzitutto in un inganno, per cui ciò che prima è considerato
un male pericoloso da cui tenersi a distanza diventa piacevole, desiderabile. L’azione di prendere e mangiare che
materialmente realizza il peccato è preceduta da queste fasi:
- l’inganno: il limite, il divieto non sono per il mio bene. Superando il limite si diviene come Dio;
- cambio di valutazione morale: il male non fa male, ma bene. L’albero è buono;
- cambio di percezione estetica: il male non è brutto, è bello e piacevole. L’albero è gradito agli occhi;
- autogiustificazione: divento migliore, mi accresco, mi realizzo. L’albero è desiderabile per diventare saggi.
La tentazione gioca sulla mancanza e il desiderio, sul limite vissuto come un impedimento ad essere felici. In
particolare, se il limite è stato posto da Dio, la tentazione è di vedere Dio come colui che nega all’uomo e alla
donna la felicità, mentre, invece, avevamo sentito che possono mangiare di tutti gli alberi del giardino, tranne uno
solo. Quel limite, che aveva lo scopo di strutturare il desiderio, di evitare che usare di tutto a piacimento potesse
divenire una forma di godimento autodistruttiva, diventa, nella tentazione, la negazione del desiderio.
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Un inciso. Dopo aver riconosciuto il peccato l’uomo diventa migliore, perché si pone nella giusta condizione
di peccatore perdonato, sperimenta la bellezza, la bontà, la dolcezza del perdono che ricrea ciò che rischiava di
andare distrutto e perduto. Ma di per sé commettere il peccato senza riconoscerlo e pentirsi non rende migliori. Il
peccato può essere una pietra miliare e un pilastro della vita spirituale, ma non in se stesso, solo in quanto
riconosciuto e perdonato.
6) Il peccato è associato al mangiare, un gesto necessario alla vita, ma che diventa voracità. È una forma di
auto salvezza illusoria. Mangiando si pensa di poter assimilare in modo naturale, con le sole proprie forze, ciò che
si mangia. In questo caso la conoscenza di tutto. Conoscere il bene e il male significa sapere tutto, avere in se il
criterio per poter separare, distinguere e quindi un controllo totale sulla realtà, come Dio, che crea separando.
7) Il serpente non ha mentito del tutto: gli occhi ora sono aperti, ma il bene e il male che si conoscono
consistono nella propria nudità. Quello che prima non faceva problema (il versetto che precede questo racconto
dice: “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna”) ora, invece, sì. Bisogna
coprire la propria nudità dallo sguardo dell’altro, perché adesso può ferire, può far male. Mentre prima mettersi in
relazione attraverso la propria fragilità con un altro ugualmente fragile non faceva problema, adesso non è più
possibile. Si diventa una minaccia gli uni per gli altri. Questo sì che è un male, che prima non c’era e adesso si
può distinguere dal bene voluto da Dio.
8) Nasce la paura dello sguardo dell’altro e soprattutto di quello di Dio, che adesso appare all’uomo e alla
donna come quel giudice e concorrente cattivo che il serpente gli ha prospettato. In realtà Dio si avvicina come un
amico, passeggiando la sera e non accusa Adamo ed Eva, ma per prima cosa gli chiede chi è stato a fargli sapere
che era nudo, capisce subito che qualcuno li ha ingannati.
9) Dio non ha creato dei burattini, ma delle persone libere, realmente libere. Il divieto di mangiare dell’albero
non significa che Dio gli ha messo intorno una barriera insuperabile. Adamo ed Eva, quando hanno voluto,
ingannati, ne hanno mangiato. Hanno fatto una scelta libera, che comporta una responsabilità. Dio li aveva
avvertiti.
Come vi appare allora l’immagine di Dio nella seconda parte del racconto? È un giudice che condanna? O
piuttosto pone l’uomo e la donna in condizione di riconoscere ciò che è successo e di assumersene la
responsabilità? Da notare che Adamo ed Eva non sono morti, ma cambiano le loro condizioni di vita. Tutto si fa
più difficile perché l’altro, compreso Dio, è diventato un nemico, un ostacolo, qualcuno da temere perché
potrebbe accorgersi che si è fragili, nudi e indifesi.
La benedizione diventa maledizione. Da notare che nel testo ebraico non c’è il verbo essere, per cui si può
interpretare sia come imperativo “Sii”, una condanna, sia una constatazione “Adesso sei (diventato) maledetto” a
causa di ciò che hai fatto.
Le relazioni con l’altro e con il mondo sono diventate difficili, faticose, complicate.
10) La profezia fatta ad Eva viene di solito collegata alla nascita di Gesù, è Lui che schiaccerà definitivamente
la testa del serpente.
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Ma è anche vero che la discendenza di Eva è tutta l’umanità, siamo tutti noi, tutti quelli che riconoscono
l’inganno del serpente e lo rifiutano, schiacciandogli la testa. L’unico a riuscire totalmente nell’impresa è stato
Gesù, in Lui non vi è peccato. Ma ha vinto per noi, per tutti noi. In Lui anche noi siamo vincitori ed è in fondo
questo l’intento della prima settimana di Ignazio: fare nostra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte
svelandoci il modo in cui cadiamo in tentazione e facciamo entrare in noi il peccato. Se i nostri occhi si aprono
davvero grazie a Gesù, possiamo liberarci dagl’inganni del Nemico della natura umana, come lo chiamava
Ignazio.
Da A. Wénin:
Se il narratore chiama il Signore Dio (Adonai Elohim) con un doppio nome, sembra anche dipingerlo con un
doppio volto. Un po’ come quelle immagini che cambiano aspetto secondo l’angolazione dalla quale le si
considera. Pertanto, in ultima analisi, l’immagine vista dal lettore dipende dal suo sguardo. Se ha infilato gli
occhiali della bramosia e della diffidenza come gli umani del racconto (cosa a cui lo spinge il narratore), Signore
Dio (Adonai Elohim) gli apparirà come un giudice sempre più severo, che castiga duramente e vendica il delitto
di lesa maestà commesso dall’umano e dalla sua donna. Se, invece, sa riconoscere con lei quanto il serpente sia
mendace, rifiuterà di credere che Dio è geloso dell’essere umano e che si compiace nel punirlo, o addirittura nel
vendicarsi. Scoprirà. invece, quanto Signore Dio (Adonai Elohim) sia un giudice giusto la cui parola fa verità e
permette alla giustizia di promuovere di nuovo la vita, proteggendola dai danni della menzogna e della bramosia.
11) Alla fine Dio si mostra premuroso nei confronti di Adamo ed Eva. Conosce la loro fragilità ed è Lui a fare
dei vestiti per loro, che non servono a nascondersi, come le foglie di fico, ma a proteggerli dalle insidie di un
mondo divenuto ostile.
12) L’uomo non è più in grado di godere dei doni di Dio, se mangiasse dell’albero della vita lo farebbe per
possessività. E allora il cherubino custodisce l’albero per proteggerlo dal tentativo dell’uomo di impossessarsi di
ciò che Dio, invece, dona. L’uomo dovrà imparare a vivere in una dinamica relazionale divina col mondo e con
gli altri, nella gratuità, liberandosi dalla sua animalità possessiva.
Genesi 4
1 Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal
Signore». 2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.
3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì primogeniti del
suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne
fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è
abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è
accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo».
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8 Caino disse (parlò) al fratello Abele … (: «Andiamo in campagna!»). Mentre erano in campagna, Caino alzò
la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9 Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli
rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». 10 Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di
tuo fratello grida a me dal suolo! 11 Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto
il sangue di tuo fratello. 12 Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco
sarai sulla terra».
13 Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono! 14 Ecco, tu mi scacci oggi da
questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi
incontrerà mi potrà uccidere». 15 Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette
volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato. 16 Caino si
allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.
Caino e Abele portano i loro doni a Dio, ma Dio gradisce quello di Abele e non quello di Caino. Perché? Non
si sa, il testo non lo dice, riferisce semplicemente il comportamento di Dio.
Si potrebbe interpretare dicendo che Caino è il figlio preferito di Eva, il figlio che Eva “ha acquistato” dal
Signore. Ma si acquista un figlio? Non rivela questo modo di porsi di Eva verso Caino, registrato nel suo stesso
nome, un atteggiamento possessivo? E come sarà cresciuto Caino? Avrà pensato forse di essere migliore del
fratello, di cui si dice solo che Eva lo partorì dopo di lui.
Così tutti ci disponiamo tendenzialmente a favore di Caino: ha subito un torto da parte di Dio, Dio è stato
ingiusto verso di lui, avrebbe dovuto essere imparziale. Ma forse Dio sta dando a Caino l’occasione di uscire dalla
logica della possessività in cui è nato e cresciuto. Forse Dio lo sta chiamando ad uscire da sé, a diventare vero
fratello di Abele e vero figlio (tra l’altro, mentre si dice più volte che Abele è fratello di Caino, non si dice mai
che Caino è fratello di Abele). Forse Dio sta riparando un’ingiustizia fatta da Eva, che ha preferito Caino,
preferendo il minore al maggiore, cosa che si ripeterà spesso nella storia: Dio sceglie gli ultimi.
Del resto Abele non dice nulla, è una figura evanescente come dice anche il suo nome, che in ebraico significa
“soffio”, qualcosa di inconsistente o anche “vanità”. Caino ha un ruolo molto più centrale e i riflettori sono tutti
puntati su di lui. Dio, anche se non ha gradito la sua offerta, si dà cura molto più di Caino che di Abele.
Infatti, la storia di Caino ripete in qualche modo quella dei suoi genitori, ma qui Dio avvisa Caino, cerca di
prevenire il male, mentre non era intervenuto in anticipo prima con Adamo ed Eva.
Caino è abbattuto. Ecco un’altra dinamica tipica del peccato: la tristezza. Vedersi messo da parte suscita in
Caino tristezza (che poi è una forma di rabbia rivolta verso se stessi). È tipico del nemico rattristare, mentre lo
spirito buono suscita gioia e pace. Caino, lasciandosi prendere dalla tristezza per quello che è accaduto offre il
fianco all’ingresso del peccato nella sua vita.
E Dio glielo dice: il peccato è accovacciato alla tua porta se hai il volto abbattuto (si dice anche a Milano
“metter il muso”?).
Provate a visualizzare il peccato come un animale accovacciato davanti la porta di casa, pronto a scattare per
mordere chi arriva. Che animale è? Leone? Serpente? È un animale aggressivo, che si tiene sulla difensiva finché
non trova l’occasione giusta per scattare e colpire, per spargere il malessere che ha dentro fuori di sé, contagiando
gli altri.
Caino non risponde a Dio, né parla col fratello. Nelle vecchie traduzioni era aggiunto “«Andiamo in
campagna!»”, ma nel testo ebraico non c’è. Caino è chiuso in se stesso, non butta fuori di sé la rabbia, se la tiene
dentro, la coccola, la fa crescere con l’immaginazione, escogitando un piano per rivendicare i propri diritti che
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sente calpestati. La parola, invece, dire come ci si sente, parlare a qualcuno (e prima di tutto a se stessi dicendosi
la verità di come si sta e perché) è la via umana per dominare il peccato.
Anche Ignazio consiglia sempre di parlarne a un confessore, di non tenere nascosto nell’ombra ciò che proprio
così vuole agire indisturbato per far male.
Dopo l’omicidio Dio interroga Caino, come aveva interrogato i suoi genitori (da notare che in questo racconto
Adamo non c’è, manca il padre, ma c’è Dio che ne prende il posto) per dargli la possibilità di riconoscere ciò che
ha fatto ed assumersene la responsabilità. All’inizio Caino, però, non coglie questa opportunità e si difende, si
giustifica, altra dinamica fondamentale del peccato.
Anche qui, come prima, non c’è il verbo essere, per cui si può tradurre: “Sii maledetto” o “sei maledetto”, cioè
hai attirato su di te la maledizione, ti sei reso una maledizione. Dio constata quello che è successo.
E quando Caino riconosce di non poter portare il peso di una colpa così grande, Dio pone su di lui un segno di
protezione, come aveva fatto i vestiti per proteggere i suoi genitori.
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