Urbanpromo 2010 - CDP Investimenti Sgr
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Urbanpromo 2010 - CDP Investimenti Sgr
Urbanpromo 2010 Fondazione Giorgio Cini – Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia Giovedì 28 ottobre 2010 – ore 9.30-13.30 Sala degli Arazzi Investire nell’edilizia privata sociale: l’attrattività dei fondi immobiliari locali Convegno organizzato da CDPI Sgr Il tema del seminario è il finanziamento dei fondi locali di edilizia privata sociale. Con le relazioni e la tavola rotonda saranno discusse ed approfondite le condizioni che rendono attraente investire nei fondi locali di edilizia privata sociale, in particolare dal punto di vista degli investitori locali ed in relazione alla sottoscrizione della loro quota (min 60%) di partecipazione. I relatori intervenuti rappresentano l’insieme dei soggetti tipicamente coinvolti in un progetto di edilizia privata sociale; alcuni sono soggetti pubblici, altri hanno natura privata; alcuni sono coinvolti sotto un profilo operativo e finanziario, altri solo finanziario. Solo gli enti locali, tuttavia, intervengono anche per il ruolo che svolgono nella definizione delle politiche abitative e di governo del territorio ed è per questo motivo che, nell’organizzazione dei lavori, il loro punto di vista è stato presentato in modo distinto da quello degli altri interventi. Prima parte: l’attrattività dei fondi immobiliari locali secondo gli investitori Ore 09.45 – 10.00 Ore 10.00 – 10.20 Ore 10.20 – 10.40 Ore 10.40 – 11.00 Ore 11.00 – 11.20 Ore 11.20 – 11.40 Stefano Marchettini (Amministratore Delegato di CDPI Sgr) Rosa Gentile (Assessore alle infrastrutture ed opere pubbliche della Regione Basilicata con delega all’edilizia residenziale della Conferenza delle Regioni), Marco Nicolai (Direttore Generale Finlombarda Spa), Andrea Landi (Presidente Cassa di Risparmio di Modena), Federico Merola (Direttore Generale dell’ANCE), Dario Valentino (Direttore Generale di Investire Immobiliare Sgr), Seconda parte: Tavola rotonda: proposte di miglioramento Ore 11.45 – 13.30 Modera: Massimo Frontera di Edilizia e Territorio - il Sole24Ore Intervengono: Marco Doglio (Amministratore Delegato di Fabrica Immobiliare Sgr), Roberto Fabbri (Vice Presidente di Finabita Spa - Ancab Legacoop), Luigi Morello (Responsabile Area Politiche Sociali della Compagnia di San Paolo), Anna Pasquali (Amministratore Delegato di Beni Stabili Gestioni Sgr), Marco Sangiorgio (Direttore Generale di CDPI Sgr), Roberto Tricarico (Assessore alle politiche per la casa del Comune di Torino e delegato ANCI alle politiche abitative), Giovanni Verga (Assessore alla casa del Comune di Milano). Nelle pagine che seguono è riportata una sintesi delle riflessioni e delle numerose indicazioni operative emerse nel corso del seminario, elaborata da CDPI Sgr. Dalle relazioni e dagli interventi che hanno avuto un respiro più ampio di quello riportato nella presente sintesi, sono state selezionate le parti strettamente attinenti al tema dell’attrattività dei fondi immobiliari locali. * * * 1 S.M.: Un articolo comparso sul Corriere della Sera a firma di Dario Di Vico riporta i dati elaborati da Luigi Campiglio, pro rettore dell’Università Cattolica di Milano, che calcola che nei prossimi anni ci saranno in Italia 13-15 milioni di famiglie che disporranno di un reddito mensile di 1.500 euro al mese o poco meno. Il mercato immobiliare attualmente non mette a disposizione un’offerta quantitativamente adeguata alla domanda delle persone che, nell’ambito di questo segmento, cercano appartamenti in acquisto o locazione. Oltre alla domanda espressa di case in affitto a canoni calmierati, che è rilevante, ne deve essere considerata un’ulteriore potenziale. Ci riferiamo alle lunghe, probabilmente obbligate, convivenze di molti giovani nelle famiglie di origine ma anche ad un dato, riportato da Nomisma, secondo cui almeno il 10% delle famiglie beneficia dell’utilizzo dell’alloggio con un titolo di godimento diverso dalla proprietà o dall’affitto, probabilmente, nella maggior parte dei casi, messo a disposizione da familiari. E’ opportuno sottolineare che la risposta a questa domanda non va letta solo in chiave sociale, ma anche quale stimolo alla produttività delle famiglie, che possono in questo modo avvicinarsi maggiormente al luogo di lavoro o di studio e comunque essere più libere nelle scelte di vita. Nei programmi nazionali, le risposte a queste esigenze abitative dovranno venire soprattutto dallo stimolo alla creazione di un mercato dell’edilizia privata sociale, a sua volta reso possibile dal sistema integrato di fondi immobiliari, attraverso la mobilitazione di risorse, soprattutto private. In quest’ambito e con questa prospettiva, si pone l’esigenza di individuare le condizioni che possano favorire e rendere attrattivi gli investimenti nel settore, soprattutto a livello locale. Come noto, infatti, il Fondo Investimenti per l’Abitare può sottoscrivere fino al 40% del patrimonio dei fondi locali, ma il 60% deve provenire dal territorio. I fondi immobiliari per l’edilizia privata sociale sono caratterizzati da rendimenti che si situano nella fascia bassa dei rendimenti di mercato (2 – 3% oltre l’inflazione) e hanno lunga durata (25 – 30 anni); pertanto, riteniamo possano risultare attraenti per investitori di lungo termine, in particolare se con una sensibilità sociale, in presenza di adeguati presidi del rischio, in tutte le fasi di sviluppo delle iniziative (realizzazione, gestione, dismissione) in modo da prospettare un buon rapporto rischio/rendimento atteso. Un altro aspetto da esplorare è il fatto che il social housing costituisce un segmento particolare del mercato immobiliare e che, pertanto, risente meno o, quantomeno, ha cicli diversi da quelli del mercato immobiliare nel suo complesso ed in questo senso può costituire uno strumento di diversificazione valido in un portafoglio di investimenti immobiliari. A questo proposito, è opportuno evidenziare che nell’ambito di un medesimo fondo immobiliare è anche possibile prevedere classi di quote con caratteristiche diverse, per tenere conto di diversi profili di rischio/rendimento attesi (e di diversa sensibilità “istituzionale” alle tematiche sociali) della compagine degli investitori, come nel caso dell’iniziativa di Parma: - Quote A: per i developer ed i gestori. Rendimenti più alti a fronte dell’assunzione dei maggiori rischi nella distribuzione, rischi assumibili da questa categoria di investitori proprio in quanto raccoglie i soggetti che realizzano e gestiscono i progetti. - Quote B1: gli investitori istituzionali quali, per esempio, le Fondazioni di origine bancaria ovvero il Fondo Investimenti per l’Abitare. Rendimenti intermedi (lievemente superiori a quelli target del Fondo Investimenti per l’Abitare), correlati al minore rischio dovuto a privilegi nella distribuzione, nonché in considerazione delle finalità sociali e/o delle politiche di corporate social responsibility perseguite. - Quote C: gli enti locali. Rendimenti contenuti, nonostante la possibilità di assumere una quota di rischio superiore a quella delle quote B1, giustificati dagli elevati “rendimenti sociali” generati dalle iniziative; possono però esser previste formule di earn out per aumentare i rendimenti in caso di rendimento complessivo dei progetti sopra le aspettative. Non si escludono, per il futuro, altre tipologie, quali ad esempio Quote B2 destinate ad altri investitori istituzionali locali (assicurazioni e banche legate al territorio, casse edili locali, privati affluent, ...) e che potrebbero avere rendimenti maggiori di quelli delle quote B1 (6,5%) e rischi di way out un po’ più alti. I partecipanti alla discussione appartengono alle diverse tipologie dei potenziali investitori. Cominciamo con il rappresentante delle Regioni, potenziale sottoscrittore di Quote C, l’assessore alle 2 infrastrutture e opere pubbliche della Regione Basilicata con delega all’edilizia residenziale della Conferenza delle Regioni, Rosa Gentile (R.G.), alla quale chiedo quali azioni le Regioni possono promuovere per rendere attrattivi gli investimenti privati nell’edilizia privata sociale? R.G.: Come è noto, a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione, la competenza in materia di edilizia residenziale pubblica è stata attribuita alle Regioni. Le Regioni, di concerto con le amministrazioni comunali, definiscono, gli obiettivi e gli strumenti delle politiche locali, erogano finanziamenti, assicurano la programmazione degli interventi, stabiliscono i criteri generali di assegnazione e gestione degli alloggi sociali ed in particolare dell’edilizia residenziale pubblica attraverso le Aziende pubbliche per la casa (ex Iacp), monitorano il fabbisogno ed il disagio abitativo mediante specifici osservatori. Gli strumenti fondamentali per l’attuazione di tali politiche sono principalmente: - bandi per la realizzazione e l’assegnazione di alloggi ERP, - bandi per l’assegnazione di “buoni casa” (contributi a fondo perduto per l’acquisto o il recupero della prima abitazione nonché per il pagamento dell’affitto). Progressivamente, tali azioni specifiche per la casa sono state integrate nei progetti urbani complessi (es. i Contratti di Quartiere, Programmi di Recupero Urbano, Programmi di Riqualificazione Urbana, Programmi Integrati, ecc.), nei quali gli obiettivi quantitativi di incremento dell’offerta di alloggi sociali sono complementari agli obiettivi di recupero dei contesti urbani degradati e caratterizzati da fenomeni di disagio sociale, prevedendo sia interventi costruttivi che il miglioramento della dotazione infrastrutturale dei quartieri degradati di comuni e città a più forte disagio abitativo ed occupazionale e, al contempo, misure ed interventi per incrementare l'occupazione, per favorire l'integrazione sociale e l'adeguamento dell'offerta abitativa. Gli strumenti e le misure descritte si rivolgono ad una domanda di alloggi sociali di tipo tradizionale, prevalentemente orientata all’ERP e all’edilizia convenzionata. Oggi sono però emerse anche esigenze nuove. Si è infatti drammaticamente ampliata la fascia del disagio abitativo, estesasi sempre di più alle famiglie del cosiddetto ceto medio, e sono emerse nuove domande da parte di specifiche categorie di persone, quali gli studenti, gli anziani, i lavoratori temporanei, con la conseguenza che è sorto un fabbisogno di alloggi (soprattutto in affitto) a prezzi calmierati che non incontra un’offerta adeguata. Nell’attuale contesto di contrazione della capacità di spesa della finanza pubblica, come amministratori dobbiamo approntare/sfruttare nuovi strumenti e soprattutto essere capaci – dove è possibile – di sollecitare l’intervento di capitali privati per la realizzazione di case a prezzi calmierati. È quindi urgente sviluppare soluzioni innovative che prevedano un livello differenziato di intervento pubblico, inversamente proporzionale alla destinazione sociale degli interventi e, dunque, alla possibile redditività degli stessi. Accanto all’insostituibile ERP, totalmente sovvenzionata con risorse pubbliche, deve poter essere sviluppato, in collaborazione con i privati, un sistema di offerta di edilizia privata sociale (social housing) destinato alla “fascia grigia” composta dai nuclei familiari “troppo ricchi” per avere diritto alle assegnazioni ERP che non ce la fanno a soddisfare sul mercato le proprie esigenze abitative. Il principale strumento previsto dal piano casa nazionale per questa fascia di domanda è costituito dai fondi immobiliari etici nell’ambito del sistema integrato di fondi, il cui fondo nazionale è il FIA – Fondo Investimenti per l’Abitare gestito dalla Sgr che ha promosso il convegno di oggi. Fatte queste premesse, passerei ad illustrare le azioni che le Regioni stanno realizzando e possono svolgere nel contesto del SIF, in relazione alle esigenze delle diverse aree geografiche del Paese. In tale ambito, in effetti, le Regioni possono promuovere: a) la formazione di un contesto normativo b) l’approntamento di appositi strumenti c) lo sviluppo di iniziative mirate che favoriscano la realizzazione di progetti di edilizia privata sociale in sede locale. a) Il contesto normativo e la leva urbanistica sotto il profilo della normativa di settore, da diversi anni, le legislazioni regionali stanno facendo tantissimo, sia per ampliare il campo di azione delle politiche della casa alla nuova domanda abitativa, 3 sia per coordinare le politiche della casa con le più generali politiche urbanistiche per la riqualificazione urbana. È necessario però diffondere nel paese misure che attualmente sono state assunte in alcune Regioni ed in altre non ancora, tra le quali: - definizione e programmazione di un’offerta articolata, capace di intercettare diversi segmenti di domanda (e quindi non solo edilizia sovvenzionata ed agevolata ma anche, case a canoni sociali, calmierati, convenzionati ma anche case per studenti, giovani coppie, lavoratori temporanei, ecc.); - politiche urbanistiche finalizzate al reperimento di aree e fabbricati da destinare all’edilizia privata sociale e all’ERP a prezzi contenuti, tendenzialmente gratis. In effetti, per poter applicare canoni di affitto calmierati è necessario abbattere i costi di realizzazione delle case. Sui costi di costruzione, delle fonti finanziarie, fiscali e di gestione possono essere fatte significativi risparmi attraverso economie di scala, l’adozione di tecniche costruttive economiche e l’incentivazione di meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli inquilini che aiutano a prevenire fenomeni di vandalismo e morosità. Ma è soprattutto sulla leva fondiaria (valore delle aree) che si possono ottenere le riduzioni di costo maggiori. A questo riguardo, come è noto, il social housing è annoverato dalla normativa tra i “servizi aggiuntivi” e può essere realizzato sulle aree di standard. Come Regioni possiamo rendere obbligatorio - non solo facoltativo -, sia nella formazione dei piani regolatori, sia nella pianificazione attuativa, sia nella negoziazione con i developer, il reperimento di aree per l’ERP e l’edilizia privata sociale (maggiori standard), e ciò sia per i Comuni maggiori che per quelli più piccoli. Molti piani regolatori recenti (Torino, Firenze, Bologna, Roma, Milano, ecc.), per esempio, hanno reso obbligatorio, negli ambiti di trasformazione, destinare quote di edilizia convenzionata, anche in affitto, o hanno previsto specifici incentivi/premialità urbanistiche per gli operatori che mettono a disposizione immobili per il social housing. Anche nella mia Regione, in particolare nel comune capoluogo, Potenza, il recente Regolamento Urbanistico prevede, all’interno dei Piani Operativi, nei cosiddetti Distretti perequativi, attraverso il ricorso al meccanismo della perequazione urbanistica, l’obbligo di cessione gratuita delle aree, non solo per la quota parte di standard urbanistici ”tradizionali” ma anche quella quota parte afferente all’ERS (edilizia residenziale sociale), che svolge la funzione di interesse generale concorrendo a pieno titolo al raggiungimento dello standard urbanistico; - dare priorità, nelle politiche urbanistiche e della casa locali, agli interventi di riqualificazione urbana che prevedano mix sociali (residenza libera, convenzionata in vendita ed in affitto, anche per anziani/studenti/lavoratori temporanei) e mix di destinazione. In effetti, per rendere gli investimenti nel social housing attrattivi per gli operatori privati è necessario che siano economicamente convenienti. In assenza di contributi pubblici, è possibile prevedere forme di autofinanziamento degli interventi rendendo possibili iniziative che contribuiscano al sostegno di altre, per esempio alloggi in vendita o affitto a prezzi più elevati o altre destinazioni non residenziali (di edilizia libera) il cui sovra-rendimento sussidi la realizzazione/gestione degli alloggi a canone calmierato. Tale strumento è stato utilizzato dalla Regione Basilicata che recentemente, in attuazione della L.R. n. 25/2009, ha avviato la prevista procedura di evidenza pubblica per la presentazione dei Programmi integrati di promozione di edilizia residenziale sociale e di riqualificazione urbana. In armonia con il Piano Nazionale di Edilizia Abitativa, approvato con DPCM 16 luglio 2009 ed in piena coerenza con finalità, requisiti, procedure attuative della linea di intervento ivi prevista all’art. 2, la nostra Regione ha voluto dare puntuale impulso, anche anticipando i tempi del Ministero, a strumenti innovativi tesi ad incrementare il patrimonio di edilizia residenziale sociale per rispondere alla domanda di residenze con una rinnovata e ampia proposta abitativa e dare, così, concreto impulso alla politica dell’housing sociale, mettendo, tra l’altro, alla prova la capacità di imprese, cooperative edilizie, fondazioni e istituti finanziari di offrire un servizio al territorio da sempre gestito da soggetti pubblici; - semplificazione delle procedure, efficienza degli enti locali, flessibilità dei piani urbanistici. Per facilitare gli investimenti e l’attuazione degli interventi, la misura sicuramente più incentivante per gli operatori consiste nel garantire certezze sui tempi di approvazione dei progetti e procedure più 4 - snelle, per esempio attraverso il ricorso generalizzato agli istituti della conferenza dei servizi e dell’Accordo di programma; accreditamento degli operatori, sia costruttori sia gestori. È un’iniziativa sulla quale ci risulta si stia lavorando nella Regione Lombardia che deve essere approfondita e verificata ma della quale è opportuno dare conto. La proposta si inquadra nel ruolo sussidiario che le amministrazioni locali possono attribuire a soggetti privati per l’erogazione di servizi pubblici unitamente a finanziamenti e agevolazioni ed è finalizzata a creare dei sistemi di selezione degli operatori (ma anche dei progetti) che abbiano i profili di capacità necessari per assicurare standard di servizio idonei. b) Gli strumenti a disposizione delle Regioni A seconda dei casi e nei limiti dell’autonomia di indirizzo di ciascun ente, le Regioni hanno una serie di strumenti che possono essere dosati ed attivati a seconda delle specifiche esigenze dei territori di riferimento. Alcune misure sono quelle tradizionali, altre sono più innovative: - stanziamento di contributi a fondo perduto a supporto di edilizia convenzionata agevolata da inserire negli interventi realizzati attraverso fondi immobiliari, verificando preventivamente la possibilità di ammettere le Sgr tra i soggetti che possono presentare offerte; - stanziamento di risorse per sottoscrivere quote dei fondi immobiliari locali (es. Regione Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lombardia), possibilmente con attese di rendimento più basse di quelle degli operatori privati, in linea con gli investitori etici, quali il fondo nazionale, o anche più contenute. Questo tipo di intervento finanziario rappresenta comunque una significativa novità per gli enti locali in quanto ha natura di investimento e non di fondo perduto. La partecipazione diretta delle Regioni nei fondi immobiliari locali, auspicabilmente, dovrebbe generare l’effetto moltiplicatore che è stato raggiunto a livello nazionale dal Ministero Infrastrutture e Trasporti che con un investimento di 140 milioni di euro ha consentito l’avvio di un fondo nazionale da 2 miliardi di euro. Peraltro, la partecipazione con proprie risorse nei fondi immobiliari locali consentirebbe alle Regioni di indirizzare le finalità e le modalità di intervento degli stessi, definendo i destinatari, i canoni, i criteri di assegnazione degli alloggi, la governance dei fondi, i rendimenti massimi ammissibili, ecc. Proprio come ha fatto, a livello nazionale, il Ministero Infrastrutture e Trasporti con il bando per la selezione del fondo nazionale; - apporto di immobili propri da destinare ad edilizia privata sociale. Il patrimonio delle Regioni di norma non è significativo, sono soprattutto i Comuni che potranno investire nei fondi locali attraverso l’apporto di aree e fabbricati, soprattutto nella prospettiva del federalismo demaniale di prossima attuazione. Tuttavia, non si può escludere a priori che alcune Regioni possano disporre di immobili idonei e decidere di metterli a disposizione dei fondi immobiliari locali; - coordinamento tra fonti di finanziamento pubbliche diverse: non solo con fondi regionali e statali di settore, ma anche con fondi comunitari. Inoltre, è opportuno sottolineare che gli inquilini degli alloggi realizzati dai fondi immobiliari locali potranno comunque usufruire dei sussidi alla domanda (contributi per l’affitto) stanziati a livello locale dalle Regioni e dei servizi delle agenzie locali per l’affitto, presenti in molti Comuni; - se di interesse, impegno ad acquistare, ad un prezzo prestabilito, alla liquidazione dei fondi, gli alloggi allo scopo di assegnarli ai Comuni/Aziende pubbliche per la casa, per incrementare il patrimonio di alloggi ERP; accanto a queste misure, le Regioni possono promuovere strumenti finanziari immobiliari innovativi (art. 1, c. 1, lettera a del DPCM 16 luglio 2009), ed in alcuni territori lo si sta facendo, con l’obiettivo di migliorare le certezze per gli investitori privati sugli incassi o sulla dismissione del patrimonio dei fondi alla loro liquidazione, favorendo così la sostenibilità economico finanziaria delle iniziative e l’attrattività dei fondi immobiliari locali. Queste misure sono più sofisticate ed innovative per gli enti locali di quelle precedentemente descritte (ed infatti non ci sono esempi in Italia) ma certamente meno onerose per i rispettivi bilanci e sicuramente efficaci per attivare risorse private, sia di equity che di indebitamento. I principali strumenti di questa seconda categoria di azioni attuabili localmente sono: 5 - - - strutturazione e gestione di fondi di garanzia a favore dei fondi immobiliari locali per una parte del mancato pagamento dei canoni di locazione da parte degli inquilini oppure a favore delle banche finanziatrici per il mancato rimborso dell’indebitamento finanziario messo a disposizione dagli istituti di credito coinvolti dai fondi immobiliari locali (leva finanziaria). La seconda tipologia di fondi di garanzia è uno strumento che serve a garantire il puntuale rimborso dei finanziamenti concessi dal sistema bancario ai promotori (fondi immobiliari). I punti di forza di tale secondo strumento sono principalmente due: la copertura del fondo di garanzia consente l’applicazione di tassi di interesse da parte delle banche meno onerosi (e quindi un costo del denaro più basso per i fondi immobiliari locali) inoltre sono poco onerosi per le Regioni perché è sufficiente stanziare una disponibilità pari ad una sola annualità del debito; per gli anni successivi sarà infatti necessario integrare il fondo di garanzia limitatamente alla quota effettivamente utilizzata (in caso di iniziative ben programmate e ben gestite, dove i tassi di morosità sono contenuti, la necessità di integrare le disponibilità del fondo è tendenzialmente molto contenuta o nulla). Al termine del rimborso del prestito bancario, la Regione può liberare le risorse del fondo di garanzia; strutturazione e gestione di fondi rotativi per l’erogazione di mutui. Si tratta di forme di debito che il promotore/fondo locale contrae con la Regione (o altro organismo locale, es. finanziarie regionali oppure Programmi operativi regionali di Jessica) a tassi prossimi allo zero. Per le Regioni il vantaggio di tale strumento consiste nel la circostanza che non si tratta di fondi perduti e che le somme concesse in prestito progressivamente rientrano nelle proprie disponibilità e possono essere reimpiegate per nuove iniziative (in realtà i tempi di reintegro del fondo rotativo sono molto lunghi – mediamente 20-25 anni – rendendo di fatto poco utilizzabili le somme di rientro); finanziamento di fondi integrativi al “risparmio casa”. Si tratta di uno strumento di risparmio con una consolidata tradizione in Europa (es. Germania) che potrebbe essere dedicato alle famiglie che affittano un alloggio sociale da un fondo locale con l’obiettivo di favorire il riscatto a medio termine dello stesso, anche in collaborazione con istituti di credito. Il risparmio casa consiste in un piano di risparmio sottoscritto dagli inquilini attraverso depositi periodici vincolati per un periodo di tempo definito ex ante. Attraverso questo strumento, al completamento del piano di risparmio, è possibile accedere ad un finanziamento fondiario a tasso agevolato anche a soggetti che, in partenza, non avrebbero avuto i requisiti. Spesso, i programmi di risparmio casa vengono integrati da premialità finanziarie (es. pagamento di rate aggiuntive) da parte di soggetti con finalità filantropiche o di enti locali (es. le Regioni). c) iniziative di regia e di impulso per lo sviluppo di fondi immobiliari locali - bandi per sollecitare manifestazioni di interesse, da parte di operatori e Comuni, finalizzate ad individuare iniziative di edilizia privata sociale sul territorio regionale. Poiché il ricorso ai fondi immobiliari richiede competenze specifiche, per facilitare l’avvio dei progetti, i bandi potrebbero prevedere specifici fondi per co-finanziare degli studi di fattibilità finalizzati all'impostazione delle iniziative; - individuare tra i progetti avviati o in corso di programmazione le iniziative idonee ad essere sviluppate attraverso fondi immobiliari locali affinché ne sia accelerata l’attuazione attraverso il concorso di risorse finanziarie messe a disposizione, se ricorrono i presupposti, da parte dei fondi immobiliari locali; - azioni di coinvolgimento dei potenziali player che operano a livello locale (fondazioni bancarie, costruttori, cooperative, banche, fondi pensione locali, ecc.) per la costituzione di fondi immobiliari sul territorio di riferimento; - azione divulgativa e di informazione sullo strumento dei fondi immobiliari, come integrato nelle politiche della casa locali. A questo proposito, le Regioni potranno coordinarsi con il programma di seminari sul territorio che CDPI Sgr realizzerà nelle regioni italiane, in collaborazione e con il patrocinio dell’Anci. Infine, mi si consenta una riflessione in più per il mio ruolo di assessore di una Regione meridionale. Nel Sud l’azione delle Regioni dovrà essere maggiormente incisiva in rapporto al Nord, perché il tessuto imprenditoriale è patrimonialmente meno forte e mancano risorse finanziarie significative, per 6 esempio da parte delle Fondazioni bancarie. In tali contesti, gli incentivi economici a carico degli enti locali credo dovranno risultare maggiori per garantire la sostenibilità economica e finanziaria dei progetti e maggiore dovrà essere l’azione di stimolo e di coordinamento verso i soggetti locali potenzialmente coinvolti. In tal senso la Regione Basilicata, compatibilmente con le residue ed esigue proprie disponibilità finanziarie, anche alla luce dei recenti tagli operati dal governo anche nel settore dell’ERP, supporterà, per quanto possibile, tali iniziative. S.M.: Dopo l’illustrazione del punto di vista della Regione, passo la parola a Marco Nicolai (M.N.), direttore generale di Finlombarda. L’assessore Gentile ci ha dato una ricca panoramica sul ruolo che le Regioni potranno svolgere nel sistema integrato di fondi, sia attraverso misure tradizionali che con il ricorso a strumenti finanziari innovativi. Dal suo osservatorio, di potenziale investitore ma anche di advisor e gestore di risorse della Regione Lombardia, con quali mezzi e con quali criteri un soggetto pubblico può intervenire nel settore dell’edilizia privata sociale. Inoltre, Finlombarda è tra le prime istituzioni che si sono occupate di edilizia privata sociale. Quali sono le vostre valutazioni ed esperienze? Possiamo identificare delle soluzioni pratiche che consentano di incrementare a livello locale il pool di investitori nell’edilizia privata sociale? M.N.: Gli interventi di edilizia privata sociale, per rispondere alle finalità che gli sono proprie, devono essere in grado di garantire due equilibri: quello economico-finanziario e quello sociale, attraverso la creazione di comunità sostenibili. Vorrei a tal proposito soffermarmi sul raggiungimento del primo equilibrio, quello economico-finanziario, nella consapevolezza che il "mercato" dell’edilizia privata sociale non può che essere un mercato che necessita per funzionare di forme d’intervento pubblico complementari all’azione dei privati, con lo scopo di sanare imperfezioni di mercato e garantire profili di rendimento compatibili con le aspettative degli investitori. In effetti, in assenza di misure compensative, i rendimenti delle case in affitto dell’ERP sono nulli e quelli delle case a canone sostenibile sono compresi tra l’1 e il 3%, quindi non sufficientemente remunerativi per gli operatori privati (che a seconda dei prodotti immobiliari oscilla tra il 5 e il 9% e per le tipologie più remunerative e con profili di rischio più elevati supera anche significativamente il 10% annuo) e troppo bassi per consentire l’attivazione della leva finanziaria. In questo contesto, l’intervento pubblico dovrà essere definito sia nel modus, sia nel quantum. Rispetto al modus, le misure possono essere molteplici, dirette e ad alta intensità di aiuto (ad es. erogazioni a fondo perduto) o indirette e a minore intensità di aiuto (ad es. tramite fondi immobiliari). Negli ultimi anni si sono privilegiate queste ultime, sia perché si sono contenuti gli impegni a carico delle finanze pubbliche, sia perché, operando con i fondi, si agisce al di fuori del perimetro del bilancio pubblico, evitando gli aggravi procedurali e i vincoli del Patto di Stabilità. In ogni caso, ciò che preme sottolineare è che le misure devono essere accuratamente “cucite” sulle effettive necessità di ogni singolo progetto e, quindi, a seconda dei casi, risultare finalizzate a correggere asimmetrie economiche (es. costi superiori ai ricavi attesi) attraverso, ad esempio, l’erogazione di contributi o il conferimento di asset, oppure a correggere asimmetrie finanziarie (es. disallineamenti temporali tra gli impieghi e la raccolta delle fonti) mediante, ad esempio, finanziamenti e garanzie, oppure, ancora, a correggere profili di rischio associati al progetto attraverso, ad esempio, fondi di garanzia. Gli strumenti possono essere molti e per funzionare bene devono essere attentamente selezionati in relazione alle effettive imperfezioni del progetto che vanno sanate. Alla leva finanziaria ed economica vanno aggiunte altre leve, che sono nelle disponibilità degli sponsor pubblici, quali la leva urbanistica, quella regolamentare e quella fiscale. Rispetto al quantum, il regime di aiuti pubblici deve essere erogato nella misura strettamente necessaria a garantire la sostenibilità dei progetti, sia perché le risorse pubbliche sono scarse, sia perché non devono essere introdotti sul mercato effetti distorsivi della concorrenza e delle pari opportunità tra gli operatori. Se questi sono i principi e i limiti dell’intervento pubblico nel “mercato” dell’edilizia privata sociale, per rendere attrattivi i fondi immobiliari locali dedicati sarà necessario colmare un gap di rendimento pari a circa un 3-5%, come precedentemente evidenziato. 7 La strutturazione di un fondo immobiliare locale per l’edilizia privata sociale richiede il coordinamento di diverse dimensioni progettuali e di player differenti, dalla cui interazione emerge di volta in volta, nelle diverse fasi di sviluppo dell’iniziativa, la necessità di attivare una leva piuttosto che un'altra. Pertanto, il mix degli interventi pubblici andrà definito declinando quale soggetto istituzionale se ne deve fare carico (Governo, Regione, ente locale, ecc.) e in che fase del progetto dovrà garantirlo (acquisto dell’area, costruzione, gestione, alienazione). Al fine di conseguire l’equilibrio economico e finanziario delle iniziative di social housing, a seconda dei casi e quale che sia l’intervento pubblico che si intende attivare (normativo, urbanistico, fiscale, finanziario, economico), laddove si preveda di abbinare la risorsa pubblica a quella privata, il pubblico dovrà intervenire il "meno possibile", ossia solo per sanare le asimmetrie di mercato e, soprattutto, su un piano qualitativo, dovrà operare in coerenza con la natura di tali asimmetrie (economiche, finanziarie, di rischio, informative, etc.). Volendosi riferire ad alcune esperienze internazionali che si qualificano per l’impiego della leva finanziaria, si può guardare all’esperienza di Olanda, Belgio e Inghilterra. In tali esperienze estere si potrà costatare che l’impiego della leva finanziaria da parte dei policy maker è volto principalmente a sostenere un sistema di edilizia sociale gestito esclusivamente o prevalentemente da enti privati. In particolare, in Olanda il sistema di sostegno dell’edilizia privata sociale prevede la presenza di un doppio sistema di enti di garanzia: il fondo WSW [Waarborgfonds Sociale Woningbouw], un fondo mutualistico privato, alimentato dai versamenti delle housing corporation, che fornisce garanzia al sistema bancario al fine di agevolare l’erogazione di finanziamenti di mercato a tali operatori. Lo Stato olandese e le municipalità si impegnano, in base ad un accordo sottoscritto da entrambi, a fornire finanziamenti a tasso zero al fondo WSW nel caso in cui i parametri di patrimonializzazione dello stesso dovessero scendere sotto i valori negoziati con il sistema finanziario. Questa “garanzia” di ultima istanza costituisce un significativo enhancement per garantire la liquidità del sistema e permettere all’intero sistema di edilizia privata sociale l’approvvigionamento sul mercato finanziario a costi contenuti. Ad integrazione di questa garanzia pubblica il sistema olandese prevede un'ulteriore garanzia a carico del fondo CFV [Centraal Fonds Volkshuisvesting], un ente pubblico di garanzia che fornisce assistenza a quelle housing association che non accedono alle garanzie del fondo WSW e, quindi, al mercato dei capitali. L’intervento del fondo CFV prevede assistenza sia nella ristrutturazione del debito, sia nell’organizzazione e nella gestione delle housing association. Nel sistema inglese, oltre ai contributi diretti dello Stato, che tuttavia stanno via via diminuendo, le housing association finanziano le proprie iniziative attraverso il ricorso al mercato. The Housing Finance Corporation, l'ente finanziario di natura pubblico-privata, agevola le condizioni finanziarie delle housing association di minore dimensione tramite l'emissione di bond sul mercato finanziario e l'erogazione di finanziamenti alle stesse. È significativo, tuttavia, segnalare che sia il sistema olandese - in misura più significativa -, sia il sistema inglese prevedono ingenti sostegni agli individui più indigenti per l’accesso alla casa: in Olanda, ad esempio, ogni anno vengono erogati circa 2 miliardi di euro di contributi a favore dei cittadini meno abbienti. Sembra quindi esserci una correlazione tra l’impiego di strumenti finanziari più sofisticati e lo spostamento dell’intervento pubblico dall'offerta alla domanda. In Italia, è possibile identificare tre principali tipologie di interventi immobiliari su cui i fondi locali potrebbero essere attivati: gli interventi greenfield, ossia quegli interventi che a partire da aree non edificate, prevedono la costruzione degli immobili che il fondo locale potrà poi gestire; gli interventi di riqualificazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica (ERP), ossia quegli interventi volti a ristrutturare o ricostruire quartieri di edilizia sociale esistenti; gli interventi sugli invenduti, ossia quegli interventi che mirano ad acquistare sul mercato privato alloggi invenduti destinandoli all'edilizia residenziale pubblica. Ciascuna di tali tipologie presenta specifici vantaggi e criticità. In particolare, gli interventi greenfield (come potrebbero essere quelli promossi dal Fondo Parma Social House o quelli in studio per l’area milanese di Cascina Merlata), prevedono la possibilità di pianificazione urbana, sociale, economica e finanziaria e l’utilizzo di tecniche edilizie più evolute, pur comportando tuttavia un significativo consumo di suolo. Il citato fondo immobiliare Parma Social House, che è un tipo di intervento greenfield e nel quale anche il FIA ha deliberato l’impegno di sottoscrizione di quote fino al limite massimo del 40%, prevede la 8 realizzazione di circa 1.000 alloggi, tutti sociali, da cedere in vendita a prezzi convenzionati, in locazione a canone sostenibile o a canone convenzionato con diritto di riscatto a 8 anni. Tutti i valori, sia di vendita che di locazione, sono più bassi di quelli praticati a Parma nei rispettivi segmenti di offerta. Per garantire la sostenibilità di un intervento ad elevato contenuto sociale come Parma Social House è risultato decisivo il ruolo svolto dal Comune di Parma, che si è impegnato nell’operazione utilizzando molte delle leve a sua disposizione: - concessione, tramite bando pubblico, di aree in diritto di superficie (leva urbanistica); - esenzione dal pagamento del contributo di costruzione (leva urbanistica); - abbattimento dell’aliquota ICI (leva fiscale); - concessione di contributi a fondo perduto (leva economica); - sottoscrizione di quote del fondo con attese di rendimento molto contenute (leva finanziaria). Complessivamente, si può stimare sull’intervento di Parma Social House una contribuzione pubblica, misurata in termini di intensità di aiuto, nell’ordine del 16% sul valore complessivo dell’investimento e di circa il doppio sul valore delle sole case in affitto. Gli interventi di riqualificazione di quartieri ERP sono caratterizzati dalla ristrutturazione e messa a norma di patrimoni pubblici accompagnata da una riqualificazione sociale di quartieri “ghetto”, con un conseguente forte impatto sul contesto urbano. Questa tipologia di interventi, sebbene abbia un limitato consumo del suolo, prevede l'attivazione di processi di mobilità sociale molto complessi da gestire e la riallocazione di inquilini in contesti caratterizzati da mix diversi di edilizia residenziale Per questo motivo i progetti sono normalmente di grandi dimensioni. A ciò si aggiunga che parte degli inquilini residenti nei quartieri ERP hanno redditi inferiori a quelli target dell’edilizia privata sociale e, pertanto, il sostegno pubblico a tali iniziative avrà un'intensità superiore rispetto ad altri tipi di progetti. La tipologia di interventi sugli invenduti comporta un basso consumo del suolo, un'indubbia diffusione sul territorio e l’immediata disponibilità degli immobili, oltre a una spiccata funzione anti-crisi a favore del settore edilizio. Tuttavia, non deve essere sottovalutata la complessità relativa alla gestione di un patrimonio diffuso e quella generata dalla presenza di un alto numero di soggetti coinvolti nella fase di organizzazione di un ipotetico fondo immobiliare. Soprassedendo sulle caratteristiche dei tre modelli d’intervento - che varrebbe comunque la pena di approfondire - è utile concentrarsi sull’intervento economico - finanziario pubblico per le tre tipologie di intervento. Se ipotizziamo una intensità di aiuto pubblico tra il 15% e il 20% dell’investimento complessivo del sistema integrato di fondi, pari a oltre 10 miliardi di euro, il valore della contribuzione degli enti locali dovrebbe ammontare a circa 2 - 2,5 miliardi di euro. Un impegno in un programma così rilevante, che io ritengo importante attuare, dovrà pertanto tenere conto dell'effettiva disponibilità di risorse e dei rischi derivanti dall'impatto sul patto di stabilità. E non possiamo non ricordare che tale problema esisteva già prima del varo della manovra finanziaria estiva significativamente a carico delle amministrazioni territoriali locali e prima della rivisitazione del Patto di Stabilità ipotizzata dalla Commissione europea. È pertanto necessario che gli interventi di social housing presentino delle caratteristiche di sostenibilità e fattibilità generali e che gli amministratori locali attivino, opportunamente e in misura equilibrata, non solo le leve economiche e finanziarie, bensì anche quelle urbanistiche e normative. Solo in questo modo potremo recuperare maggiori compatibilità per un intervento privato in questo mercato regolamentato. (Le slide relative alla relazione tenuta da Marco Nicolai sono disponibili sul sito www.marconicolai.it sezione Convegnistica). S.M.: Due riflessioni sulla relazione di Nicolai che ha fornito un utilissimo inquadramento delle condizioni cui deve soggiacere l’eventuale intervento pubblico nel settore del social housing, con un intervento che fra l’altro si collega benissimo al precedente, fornendo utili indicazioni operative su come impostare in maniera sistematica le negoziazioni per la strutturazione delle operazioni e dei fondi immobiliari locali. La prima riguarda la stima dell’intervento pubblico a livello locale. Condividendo appieno l’impostazione del problema secondo cui l’eventuale regime di contributi deve essere quello minimo indispensabile per garantire la sostenibilità delle iniziative, è opportuno evidenziare che lo 9 stesso potrebbe essere diluito nel tempo con un minore impatto ed una migliore sostenibilità per i bilanci pubblici (inoltre, qualora la leva del debito sia inferiore a quella indicata da Nicolai, anche la dimensione dell’intervento pubblico locale sarebbe probabilmente inferiore). La seconda riguarda il gap di rendimento che deve essere colmato per rendere attrattivi i fondi immobiliari locali di edilizia privata sociale. Questo differenziale, in buona parte, è colmato dal Fondo Investimenti per l’Abitare, in quanto i suoi investitori, che con l’occasione ringrazio, hanno accettato dei rendimenti target inferiori a quelli tipici di mercato. Passiamo adesso al ruolo delle Fondazioni, di cui parliamo con Andrea Landi (A.L.), presidente della Cassa di Risparmio di Modena, quindi potenziale sottoscrittore di quote di tipo B1 nei fondi immobiliari locali. La normativa offre alle Fondazioni una certa flessibilità di intervento nell’ambito dell’edilizia privata sociale: è possibile destinare a questo tipo di intervento sia il reddito che il patrimonio, a condizione che l’intervento sia coerente con le finalità istituzionali delle Fondazioni. In una prospettiva pluriennale, quali opportunità di sviluppo vede per l’intervento delle Fondazioni su questa tipologia di investimento? A.L.: La legge che regola l’attività di investimento delle Fondazioni fissa tre criteri: - la diversificazione degli investimenti per garantire un efficace presidio dei rischi, - l’adeguatezza dei profili di rendimento attesi, - il collegamento funzionale tra l’investimento e le finalità istituzionali perseguite (culturali, per la ricerca scientifica, sociali, ecc.). In materia di diversificazione degli investimenti è opportuno evidenziare che il settore del real estate rappresenta tradizionalmente un segmento d’investimento significativo per le Fondazioni, con un ruolo stabilizzatore all’interno del portafoglio investito, soprattutto in un periodo come l’attuale in cui il mercato azionario è fortemente aleatorio ed instabile. Le Fondazioni investono nel segmento real estate sia direttamente in immobili che indirettamente, ad esempio con la sottoscrizione di quote di fondi immobiliari. Nel primo caso la stabilità e i rendimenti sono maggiori a fronte però di problemi di natura gestionale, nel secondo è garantita una migliore diversificazione degli investimenti ancorché associata a rendimenti mediamente più contenuti. I fondi immobiliari di social housing hanno caratteristiche che li pongono in una posizione intermedia. In effetti, sono investimenti certamente indiretti, perché realizzati attraverso fondi gestiti da Sgr, che però presentano ridotte forme di diversificazione perché operano su un territorio limitato, peraltro con la prospettiva di intervenire in un numero ridotto di iniziative di dimensioni rilevanti. Nella valutazione e nella selezione di tali opportunità di investimento un ruolo decisivo è pertanto affidato al parere degli esperti indipendenti così come risultano fondamentali i presidi di governance previsti dai fondi locali che comunque, proprio perché operanti a sostegno di iniziative sul territorio di riferimento, rappresentano un’interessante opportunità di investimento per le Fondazioni. Riguardo invece il criterio dell’adeguatezza dei rendimenti, è opportuno richiamare la distinzione operata dalla normativa tra impieghi del patrimonio e impieghi delle risorse rivenienti dai rendimenti degli investimenti operati. I primi devono garantire nel tempo l’integrità del valore del patrimonio (rendimenti quindi almeno superiori all’inflazione), i secondi sono destinati all’attività erogativa delle Fondazioni nel settore no profit, a sostegno di iniziative sociali. L’investimento delle Fondazioni nell’edilizia privata sociale può pertanto attestarsi su livelli di rendimento equivalenti a quelli del Fondo Investimenti per l’Abitare. Con una criticità però che riguarda il flusso cedolare annuo riveniente dall’attività di gestione dei fondi (proventi da vendite e canoni di locazione), molto contenuto nei fondi immobiliari di social housing perché i flussi di reddito più significativi si realizzano con la dismissione degli immobili alla liquidazione del fondo. Questa specificità dovrebbe essere mitigata con adeguati correttivi, per esempio attraverso la realizzazione di un mix funzionale diversificato che possa garantire flussi di ricavo annui sufficienti a generare dividendi costanti per i sottoscrittori. 10 S.M.: È possibile azzardare una stima del possibile investimento complessivo delle Fondazioni nell’edilizia privata sociale? A.L.: Questa valutazione è molto difficile. Caso per caso dovranno essere verificate le singole iniziative, tenendo conto delle caratteristiche e delle criticità dello strumento già evidenziate. Peraltro, le Fondazioni potrebbero essere chiamate entro breve a sostenere impegni molto rilevanti verso il settore bancario. Tuttavia, per rispondere alla sollecitazione proposta, possono essere fatte alcune ipotesi. Il valore degli impieghi immobiliari nel portafoglio di investitori istituzionali è mediamente compreso tra il 4 e il 15%. Atteso che il patrimonio contabile complessivo delle Fondazioni è di circa 50 miliardi di euro e che gli investimenti immobiliari attuali sono molto contenuti, pur collocandoci sulla fascia inferiore (4%/5%), l’investimento complessivo delle Fondazioni di origine bancaria nel settore immobiliare potrebbe ammontare a circa 2,4 miliardi di euro e, in condizioni di maturità del mercato dell’edilizia privata sociale, a tale mercato potrebbe essere destinata una quota importante di questo importo. Se l’impegno finanziario delle Fondazioni potrà effettivamente andare in questa direzione, le Fondazioni, insieme agli enti locali, potranno svolgere, a livello territoriale, un ruolo complementare a quello svolto dal MIT e dal Fondo Investimenti per l’Abitare a livello nazionale. S.M.: Il settore delle Fondazioni di origine bancaria è già oggi tra i più attivi nello sviluppo di iniziative di edilizia privata sociale: in Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna le fondazioni locali stanno costituendo o lo hanno già fatto dei fondi immobiliari dedicati, coinvolgendo altri attori pubblici e privati. Ci potrebbe dare conto di alcune delle riflessioni affrontate dalle Fondazioni nella sua regione evidenziando quali fattori potrebbero risultare utili ad esportare tale esperienza in altre realtà territoriali? A.L.: In Emilia Romagna si stanno facendo rapidi passi verso la costituzione di un fondo immobiliare di social housing. Sono in corso le attività di messa a punto degli strumenti e le negoziazioni di dettaglio con tutti i player dell’iniziativa. Due mi sembrano le condizioni fondamentali per il buon esito dell’iniziativa: il coinvolgimento di tutti gli attori, perché in questo tipo di progetti tutti i soggetti coinvolti devono collaborare, e la puntuale definizione preliminare degli obiettivi, effettuata attraverso la sottoscrizione di un protocollo di intese con la Regione. Costruito lo strumento, sarà soprattutto compito della Sgr individuare progetti validi e gestirli in maniera professionale. S.M.: Lascio la parola a Federico Merola (F.M.) direttore generale dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, in rappresentanza quindi dei potenziali investitori di quote A. I costruttori sono tra i soggetti più sensibili ed attenti allo sviluppo del settore, ne è un esempio il fondo Parma Social House sviluppato da un’associazione tra costruttori e cooperative coordinata dall’impresa di Gabriele Buia, vicepresidente ANCE. In diverse occasioni l’ANCE ha sottolineato che per sostenere l’edilizia privata sociale è necessario sviluppare forme di autofinanziamento dei progetti. Potrebbe spiegarci come fare? F.M.: Nelle relazioni che mi hanno preceduto è stato evidenziato che il migliore sviluppo dell’edilizia privata sociale passa per il coinvolgimento di capitali, risorse ed iniziative di soggetti privati. Anche l’argomento del convegno di oggi mi pare sia quello di individuare le condizioni che rendono attrattivi i fondi locali da parte soprattutto degli investitori privati, più che di quelli pubblici. E questo perché le risorse pubbliche effettivamente impiegabili nel settore sono molto limitate. Il tema quindi mi pare sia quello di massimizzare negli interventi finanziati dal sistema integrato dei fondi l’incremento di edilizia sociale, minimizzando il ricorso alle risorse pubbliche. Ed in assenza di agevolazioni e sussidi pubblici in grado di colmare il gap di rendimento evidenziato da Nicolai, è necessario introdurre all’interno dei progetti funzioni più redditizie oltre agli alloggi sociali. In questa direzione mi pare vada il progetto di Parma che, rispetto ad una "prima generazione" di progetti caratterizzati dal 100% di social housing, con solo affitto a lungo termine e sostegno pubblico, si caratterizza per la presenza di alloggi sociali sia in affitto che in vendita. Ma anche in questa tipologia di progetti, che potremmo definire di "seconda generazione", la presenza di solo social housing è resa possibile da un rilevante sostegno pubblico. Per 11 rendere pienamente operativa l’edilizia privata sociale è necessario quindi passare ad una "terza generazione", autonoma e indipendente da forme di sostegno pubblico, in quanto caratterizzata dalla contestuale presenza di interventi sociali e componenti a mercato. Se vogliamo rispondere in tempi ragionevolmente brevi al disagio abitativo e proporre interventi coerenti con gli obiettivi di contenimento dell’uso del suolo, della creazione di quartieri socialmente equilibrati e dotati di una molteplicità di funzioni, come prescritto da tutti i più recenti ed avanzati strumenti di governo del territorio, inevitabilmente dovremmo adeguare le finalità e la governance dei fondi che operano a livello locale e nazionale in modo da rendere compatibili e finanziabili anche i progetti cosiddetti di terza generazione. Nei quali anche una porzione circoscritta di edilizia sociale non toglie eticità all'intervento nel suo complesso. Non solo perché meglio di altri garantisce integrazione e, con essa, qualità della vita e dell’abitare. Ma anche perché, di fatto, "finanzia" a costo zero per la pubblica amministrazione nuova offerta abitativa sociale che altrimenti non troverebbe modo di realizzarsi Con le medesime finalità, in ambito ANCE stiamo lavorando per individuare modalità nuove per finanziare le opere pubbliche nei prossimi 10 anni. Ne sono un esempio i modelli di autofinanziamento dei programmi di recupero e costruzione di scuole, mutuati da esperienze inglesi realizzate con il supporto della BEI, che verranno presentati domani in un altro specifico convegno di Urbanpromo. S.M.: Conclude la prima parte dei lavori della mattinata l’intervento di Dario Valentino (D.V.), Amministratore Delegato di Investire Immobiliare Sgr, al quale vorrei chiedere quali sono, secondo lui, gli aspetti dell’utilizzo dei fondi immobiliari nelle iniziative di edilizia privata sociale che, rispetto ad altre forme giuridiche (es. società di scopo) li rendono maggiormente attraenti per gli investitori istituzionali? Inoltre, vorrei sapere come possiamo favorire la destinazione all’edilizia privata sociale delle risorse di quegli investitori istituzionali che tradizionalmente sono stati titolari di grandi patrimoni residenziali (enti previdenziali, assicurativi, ecc.)? D.V.: Senza dubbio i fondi immobiliari presentano caratteristiche che li rendono preferibili, soprattutto per gli investitori istituzionali, rispetto ad altri veicoli di investimento. I principali vantaggi dello strumento sono: - la trasparenza: il Fondo immobiliare e la Sgr sono soggetti alla vigilanza di Banca d’Italia, alla valutazione semestrale da parte di esperti indipendenti ed al controllo della Banca Depositaria, - l’indipendenza della gestione garantita dalla separazione dei ruoli e delle responsabilità tra i sottoscrittori e la società di gestione, - la flessibilità operativa: il fondo opera secondo modalità proprie di un operatore privato, - la capacità di raccolta di capitali privati, anche nel settore dell’edilizia privata sociale, - l’efficienza fiscale. Nel settore specifico dell’edilizia privata sociale, lo strumento è ancora più pertinente per il ruolo che possono svolgere le Sgr. I fondi di social housing, infatti, sono caratterizzati dalla compresenza necessaria di soggetti portatori di interessi e finalità diverse, anche divergenti: etiche quelle degli enti locali, etiche ed economiche quelle degli investitori come CDPI Sgr e le Fondazioni, legate alla costruzione e alla realizzazione degli interventi quelle dei costruttori e delle cooperative, economiche quelle di altri investitori. In questo contesto, alla Sgr è chiesto di svolgere un ruolo di mediazione, di ricerca di equilibrio tra i diversi obiettivi che devono trovare una sintesi nel progetto e nel relativo business plan. La Sgr, proprio in virtù del proprio ruolo indipendente rispetto ai sottoscrittori, può fornire un giudizio asettico ed oggettivo sul progetto, garantendo in questo modo tutti gli investitori e rappresentando così la migliore condizione per attrarne di nuovi. Per quanto riguarda il come favorire la raccolta di risorse da parte di investitori tradizionali in patrimoni immobiliari, quali i grandi enti previdenziali, i fondi pensione e le assicurazioni, dal nostro osservatorio di società di gestione del risparmio che opera con questo tipo di investitori mi sembrano tre le condizioni da promuovere. Innanzitutto, il regime dei rendimenti e dei proventi, i primi dovrebbero essere un po’ più elevati di quelli ricercati dal Fondo Investimenti per l’Abitare e soprattutto, i fondi locali dovrebbero essere in grado di generare una redditività costante, anche bassa, ma distribuita su tutta la durata del fondo e non solo concentrata nell’ultima fase, prima della liquidazione dello stesso. Inoltre, un ruolo attrattivo rilevante può essere rappresentato dalla presenza 12 nella compagine dei sottoscrittori del Fondo Investimenti per l’Abitare, in relazione al giudizio positivo che il mercato assegna alla selezione degli investimenti da parte del fondo nazionale. Infine e soprattutto la qualità dei progetti. Per attrarre investitori è necessario proporre progetti e fondi immobiliari gestiti in modo professionale ed impostati bene, in tutte le fasi di sviluppo, dalla costruzione, alla gestione, fino alla dismissione, da parte di soggetti dotati di capacità ed esperienze adeguate. Certo è che in questo momento il quadro normativo è molto instabile. E questo non aiuta. Come è noto, è infatti in corso una revisione della normativa sui fondi immobiliari che comporta un’incertezza complessiva e che speriamo non risulti troppo penalizzante per il settore. In questo contesto è oggettivamente difficile riuscire a promuovere nuove iniziative. * * * Alle relazioni è seguita una tavola rotonda, condotta da Massimo Frontera, giornalista di Edilizia e Territorio de il Sole24Ore, alla quale sono intervenuti Giacomo Cristofori (Responsabile Sviluppo e Investor Relations di Fabrica Immobiliare Sgr), Roberto Fabbri (Vice Presidente di Finabita Spa Ancab Legacoop), Luigi Morello (Responsabile Area Politiche Sociali della Compagnia di San Paolo), Anna Pasquali (Amministratore Delegato di Beni Stabili Gestioni Sgr), Marco Sangiorgio (Direttore Generale di CDPI Sgr), Roberto Tricarico (Assessore alle politiche per la casa del Comune di Torino e delegato ANCI alle politiche abitative), Giovanni Verga (Assessore alla casa del Comune di Milano). Anche dei contenuti della tavola rotonda si fornisce un breve resoconto incentrato sui soli temi legati all’individuazione delle condizioni per rendere attrattivi e sostenibili i fondi immobiliari locali di edilizia privata sociale, senza dare conto delle ulteriori riflessioni e spunti emersi nel corso del dibattito. Gli assessori Roberto Tricarico e Giovanni Verga, a complemento della relazione dell’assessore Gentile, hanno evidenziato le azioni che i Comuni possono attuare per contribuire a ridurre i rischi associati allo sviluppo delle iniziative e per garantire l’equilibrio economico e finanziario nelle diverse fasi di un intervento di edilizia privata sociale (acquisto area, costruzione, gestione, dismissione), operando su leve diverse (leva urbanistica, normativa, finanziaria, economica, di fiscalità locale). Tra le misure evidenziate le più rilevanti riguardano: - la messa a disposizione di aree e fabbricati a valori calmierati o di altri diritti immobiliari (diritti edificatori, premialità urbanistiche), - la concessione di benefici economici sia nella forma di contributi che di agevolazioni (riduzione dei contributi di costruzione e dell’ICI), a questo proposito è stata apprezzata la recente introduzione della cedolare secca, ma è stato chiesto allo Stato di fare di più, per esempio in materia di Iva, - la sottoscrizione di quote dei fondi immobiliari locali, - la costituzione di fondi di garanzia o l’erogazione di “buoni casa” (“agenzie per l’affitto”) per il sostegno ala domanda di locazione e la riduzione dei rischi di morosità o insolvenza degli inquilini più bisognosi, - l’impegno all’acquisto di una parte degli alloggi, a condizioni predeterminate, alla dismissione dei fondi. Tra queste misure due più delle altre devono essere perseguite in tempi brevi: il reperimento di immobili e la riduzione dei tempi di approvazione dei progetti. Per poter assicurare l’effettiva disponibilità di immobili da destinare agli interventi di edilizia privata sociale è necessario per i Comuni realizzare puntuali inventari degli asset di proprietà e procedere al loro eventuale cambio di destinazione urbanistica/valorizzazione, anche a valere sulle procedure semplificate introdotte dalla finanziaria del 2008 (art. 58). Inoltre, i Comuni devono essere in gado di garantire tempi certi, possibilmente rapidi per l’approvazione dei progetti. L’edilizia privata sociale deve poter diventare un processo industriale nel quale le diverse azioni e i diversi soggetti coinvolti risultano coordinati in maniera efficiente. Ed in un processo industriale i tempi devono essere certi. Un anello importante della catena di montaggio di un’iniziativa di social housing è costituito dalle procedure di approvazione dei progetti. Quando 13 un’amministrazione definisce un programma deve poter indire, per esempio, un’unica conferenza di servizi nella quale devono intervenire tutti i soggetti chiamati ad esprimere approvazioni, pareri, nulla osta ed il verbale della conferenza deve rappresentare approvazione definitiva del progetto. Insomma, devono potersi applicare procedure democratiche ma semplici. Entrambi gli interventi degli assessori hanno inoltre evidenziato il ruolo essenziale, sia di coordinamento che di definizione degli obiettivi generali, che i Comuni sono chiamati a svolgere e che si formalizza, da un lato, nella selezione degli interventi che rispondono alle finalità individuate (es. non solo incremento dell’offerta di alloggi sociali ma anche rigenerazione urbana, non solo sostenibilità economica ma anche sostenibilità sociale degli interventi) e, dall’altro, nella sottoscrizione della convenzione che regola i rapporti con i fondi immobiliari locali. Infine, è stata dato conto delle proposte formulate dall’ANCI per promuovere lo sviluppo di un mercato dell’edilizia privata sociale, specificatamente rivolto all’affitto, fin dalla conferenza sulla casa del 2008 (I documenti e le proposte dei Comuni sono consultabili sul sito dell’ANCI: www.anci.it). Giacomo Cristofori di Fabrica Immobiliare Sgr ha evidenziato, dal punto di vista di un’altra Sgr, i fattori che possono favorire la destinazione all’edilizia privata sociale delle risorse di quegli investitori istituzionali che tradizionalmente sono stati titolari di grandi patrimoni residenziali, quali gli enti previdenziali e assicurativi. In particolare, ha evidenziato che è ancora ampio il panel dei possibili investitori istituzionali che potrebbero essere interessati ai fondi immobiliari di social housing, anche in quanto in un’ottica di medio/lungo termine hanno perso ogni certezza sui rendimenti che può garantire il mercato azionario e possono risultare pertanto interessati ad una diversificazione dell’asset allocation degli investimenti, a condizione però che le opportunità di investimento non presentino elevati profili di rischio e rendimenti stabili e persistenti. Condizioni difficilmente perseguibili con fondi di soli alloggi sociali. È necessario invece promuovere fondi immobiliari che prevedano una asset allocation ampia, estesa alle residenze temporanee, ed una proposta gestionale convincente che affianchi all’offerta abitativa un’offerta di servizi di accompagnamento sociale dei destinatari. Certo le prospettive di modifica della normativa sui fondi immobiliari non sembrano aiutare il settore. A titolo di esempio è stato evidenziato che, nelle revisioni normative in corso, le cooperative di abitazione non sembrano essere considerate portatori di una pluralità mediata di interessi risultandone quindi fortemente penalizzate; ciò è da considerarsi un errore poiché le cooperative sono un operatore importante ed efficiente della filiera del social housing. Roberto Fabbri di Ancab/Legacoop, dopo aver tratteggiato un sintetico profilo delle cooperative di abitanti, ha evidenziato i numerosi punti di contatto tra le finalità perseguite dal sistema integrato di fondi e dalle cooperative che, in effetti, realizzano programmi immobiliari, non di mercato, con lo scopo di realizzare case a prezzi bassi per i propri soci, attraverso delle politiche di bilancio limited profit che hanno consentito di accumulare riserve indivise da impiegare nella realizzazione degli interventi futuri: una sorta di “dividendo intergenerazionale” da investire per la realizzazione delle case delle future generazioni di soci. Anche a valere su queste risorse, in ambito Legacoop è stato costituito un fondo di equity a sostegno dei fondi immobiliari promossi dalle cooperative. Il primo investimento deliberato, per un importo compreso tra 1,5 e 4 milioni di euro, è nel fondo Parma Social House. I programmi delle cooperative di abitanti prevedono la realizzazione di circa 6.000 alloggi ogni anno per i prossimi 5 anni, con un investimento complessivo di circa 5-6 miliardi di euro. Una parte di questi alloggi sono di social housing, una parte sono case di mercato e servizi all’abitare, per favorire la costituzione nei nuovi interventi di comunità sostenibili. Ad oggi sono circa 10 le iniziative che le cooperative di Ancab/Legacoop, in collaborazione con altri soggetti, prevedono di realizzare attraverso fondi immobiliari. Per lo sviluppo del settore e per attrarre investitori, le cooperative rappresentano soprattutto un soggetto dotato di un track record adeguato sia nell’implementazione che nella gestione, sia immobiliare che sociale, delle iniziative. I dati sulla gestione delle cooperative, soprattutto quelle a proprietà indivisa, sono infatti molto positivi. I fenomeni di vacancy, turn-over e morosità sono molto contenuti e ciò è dovuto alla capacità di costruire percorsi di accompagnamento e di selezionare (formare) soci 14 responsabili. Per cui, anche in questi momenti di crisi, nella gestione degli alloggi, le cooperative riscontrano bassi fenomeni di morosità che, in ogni caso, possono essere fronteggiati attraverso fondi di mutualità interna allo scopo costituiti. I motivi di questi buoni risultati di gestione sono da ricercarsi nelle procedure efficienti e trasparenti e nella focalizzazione sul socio che, anche nel momento di difficoltà, non va incontro ad un contenzioso con la cooperativa, ma rientra in un percorso di accompagnamento per risolvere il problema e garantire il rientro delle somme dovute. Hanno concluso i lavori gli interventi di Anna Pasquali e Luigi Morello che hanno portato due esperienze in corso: il Fondo Abitare Veneto e il Fondo Abitare Sostenibile Piemonte. Entrambi i fondi operano a livello territoriale, sono il risultato dell’iniziativa di Fondazioni bancarie che hanno ritenuto di associare alla tradizionale attività erogativa con finalità sociali un impegno più significativo con la promozione e l’investimento di risorse in fondi locali di social housing. Entrambi i contributi hanno dato conto dell’intensa attività di marketing territoriale in corso per individuare opportunità di investimento adeguate, nelle quali le Sgr (Beni Stabili Gestioni Sgr e Polaris Sgr) sono coadiuvate da advisor tecnici che operano a livello locale e che, nel caso del fondo piemontese, oltre alle competenze immobiliari hanno una specifica focalizzazione sulla gestione sociale degli interventi, a maggiore garanzia del perseguimento delle finalità etiche degli interventi (Fondazione Housing Sociale/SiTI). Anna Pasquali ha illustrato il lavoro di impostazione preliminare realizzato con Sinloc per definire il fabbisogno abitativo e la griglia di selezione dei progetti, in termini di priorità e tipologie di intervento e di mix abitativi (alloggi, residenze temporanee, ecc.) ed ha evidenziato che i fondi immobiliari di social housing richiedono alle Sgr un impegno diverso, forse maggiore, rispetto ai normali fondi, perché necessitano di ampie negoziazioni ed impegnative attività di illustrazione dello strumento verso soggetti diversi con finalità non sempre convergenti, quali enti locali, sottoscrittori istituzionali, imprenditori, ecc. * * * 15