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N.5 – Maggio 2007
Qualificazione professionale
per il cambiamento
2
Editoriale
Sandra Casagrande, Ferdinando Castellano, Simona Curci
1. Qualificazione professionale e cambiamento
3
Simona Curci. Laura Santeusanio
2. Cambiamento nel settore
un’esperienza di successo
finanziario:
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Elena Cerri, Simona Curci
3. Il retail manager Furla:
professionalità e competenze nella gestione
dei punti vendita
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Marco Baffoni intervista il dott. Alfredo Finelli, Direttore
Personale & Organizzazione Furla Spa
4. Cambiamento nella sanità pubblica
18
Francesca Bavastrelli, Cristiana Genta
Intervista alla dott.ssa Nadia Antonimi, Direttore Amministrativo
dell’ASL 2 di Perugia
Schematizie n. 05 Aprile 2007
www.schema.it
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EDITORIALE
Sandra Casagrande, Ferdinando Castellano, Simona Curci
Il cambiamento degli scenari, delle organizzazioni e delle professioni è tema di grande attualità.
Schematizie ritorna, offrendo ai propri lettori una riflessione su cosa significhi per le persone che operano
nelle organizzazioni condurre in modo consapevole i processi di cambiamento, su quali impatti questi
abbiano sulla vita organizzativa e sulle modalità con cui ottenere i risultati che le organizzazioni si
attendono nel promuovere il cambiamento.
Per implementare cambiamenti che portino a risultati positivi e costituiscano traguardi di successo le
organizzazioni costruiscono e attivano piani di sviluppo che supportino le persone nell’innovare le
competenze e conseguentemente modificare i loro comportamenti, incrementando le capacità necessarie
a sviluppare con maggiore efficacia ed efficienza i processi di business.
Modificare i processi di lavoro e cambiare i comportamenti delle persone significa, per un’organizzazione,
costituirsi in una learning comunity, che attraverso processi di comunicazione, confronto e
sperimentazione sviluppa circuiti di apprendimento ad alta velocità, nei quali si individuano le corecompetence, si costruiscono gli strumenti e si progettano le azioni professionali che permettono alle
persone di gestire, nei rinnovati processi, il proprio ruolo in coerenza con gli obiettivi assegnati e i risultati
attesi.
Il filo rosso che guida la riflessione proposta in questo numero di Schematizie è il tema della qualificazione
professionale, intesa come capacità di integrare la specializzazione professionale con una costante
attenzione alle competenze necessarie per condurre, governare, gestire sè stessi nelle organizzazioni, le
relazioni con gli altri, i processi operativi per il raggiungimento dei risultati. La qualità professionale delle
persone e la loro motivazione sono le leve principali su cui agire per avere successo in un contesto di
cambiamento. Le organizzazioni vincenti individuano nella professionalità consolidata e nella soddisfazione
delle persone i driver che concorrono al raggiungimento degli obiettivi aziendali per la creazione di valore
per sé e per i propri clienti.
Per rendere più concreto il nostro approccio al tema abbiamo dato alle nostre riflessioni un contesto più
definito, utilizzando alcuni esempi di sistemi organizzativi che stanno agendo nel cambiamento, stanno
modificando il proprio approccio al business e le competenze, conseguentemente i comportamenti delle
persone per affrontare al meglio le sfide competitive nei mercati in cui agiscono.
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1. QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE E CAMBIAMENTO
Simona Curci, Laura Santeusanio
“L’unica cosa permanente è il cambiamento”
Eraclito
Il cambiamento è un processo continuo che caratterizza la vita di tutti i sistemi biologici e sociali e
costituisce il fondamento della dinamica sociale. La costante evoluzione di modelli, forme e processi
avviene sia a livello individuale che a livello di gruppi, indipendentemente dall’intenzionalità.
Il cambiamento va inteso quindi come un processo che coinvolge tutti gli elementi del sistema in cui si
attua e accompagna costantemente lo svolgersi della vita del sistema stesso. Può essere inteso come
fenomeno di rottura con il passato oppure come costante evoluzione, in ogni caso si configura come un
insieme di azioni concatenate che favoriscono la transizione da uno stato del sistema ad uno differente. Il
cambiamento è quindi un fatto inevitabile e sempre presente nella vita delle organizzazioni.
“Oggi, nelle organizzazioni, in misura sempre più evidente, non si riesce a distinguere tra cambiamento e
stabilità”, sostiene Ferdinando Castellano Amministratore Delegato di Schema, “La vera contrapposizione,
nelle organizzazioni, è quella tra cambiamento e consolidamento, perché in un processo di cambiamento è
fondamentale essere capaci di innovare le buone pratiche, sviluppare nuove forme di comportamento,
consolidando al contempo i valori e i principi senza mai negare se stessi”.
Comprendere il cambiamento
Sempre più negli ultimi decenni le organizzazioni si sono attrezzate per gestire, governare e affrontare nel
modo più efficace i cambiamenti. Sono nati e si sono diffusi modelli concettuali che aiutano a osservare i
cambiamenti, coglierne gli aspetti salienti, individuare le variabili organizzative su cui agire per indirizzare
il flusso evolutivo verso gli obiettivi strategici dell’organizzazione stessa. La Funzione HR delle diverse
aziende è sempre più impegnata a sviluppare e consolidare sistemi di change management che
diventano parte del patrimonio di sistemi gestionali attivi in azienda e integrati tra loro.
Un sistema di change management consente di rispondere efficacemente a due domande chiave:
ƒ Cosa determina i cambiamenti in azienda?
ƒ Come possiamo comprendere e affrontare efficacemente i cambiamenti?
Nel determinare le cause che generano i cambiamenti, è possibile distinguere tra fattori esterni e
fattori interni. I mutamenti nei mercati, le innovazioni tecnologiche, la concorrenza sempre più
pressante, il mutamento nei gusti dei consumatori sono fattori esterni determinati dalle circostanze; ma il
cambiamento può nascere anche dall’interno e quindi determinato dalla natura delle risorse umane, da
conflitti interni, dalla riduzione/incremento delle vendite, dalle dimissioni di personale. Il più delle volte il
mutamento in atto è frutto di un sistema di variabili correlate tra loro, nel quale è difficile separare
categoricamente gli elementi esterni da quelli interni. È però necessario che il management faccia uno
sforzo di discernimento, provando a disegnare la mappa dei fattori intervenienti. Questo consente infatti
di orientare con la maggior chiarezza possibile la lettura delle dinamiche del cambiamento e la definizione
degli indirizzi evolutivi.
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Il primo passo per governare il cambiamento è quindi avere gli strumenti necessari per analizzarlo e
imparare a leggerlo. È possibile considerare un modello di analisi che analizza variabili e componenti
organizzative interessate.
Le tre variabili considerate sono:
ƒ durata, che consente di leggere lo stato di transizione utilizzando il tempo come unità di misura,
ƒ direzione, che analizza gli esiti attesi e reali del processo
ƒ portata, che quantifica l’intensità del cambiamento in termini di rottura con gli schemi preesistenti
Vengono poi definite tre componenti organizzative coinvolte nel cambiamento:
ƒ l’organizzazione, intesa come sistema di deleghe, responsabilità, strutture, ruoli, luoghi della
governance,
ƒ il business, ossia l’insieme dei prodotti, i mercati in cui opera l’azienda, gli assetti proprietari e gli
indirizzi di business definiti
ƒ la cultura, ovvero il sistema di valori e principi che determinano comportamenti, linguaggio e clima
organizzativo.
Leggere il cambiamento organizzativo attraverso questo modello consente di modulare il proprio sistema
gestionale in base alle diverse tipologie di mutamento. Ad esempio, un cambiamento che interessa solo il
business avrà un impatto gestionale diverso rispetto ad un mutamento simultaneo del business e
dell’organizzazione. È evidente però che il cambiamento di una componente organizzativa implica sempre
future influenze sul sistema e quindi successivi mutamenti nelle altre componenti (se introducendo un
nuovo prodotto, dovrò pianificare cambiamenti di strutture, processi, ruoli…). È una questione temporale:
la simultaneità di cambiamenti implica una maggiore complessità, ma è fondamentale aver chiaro che
l’evoluzione dei cambiamenti lungo le tre componenti analizzate è pressochè inevitabile e deve essere
prevista, pianificata e gestita. È inoltre fondamentale essere consapevoli del fatto che un cambiamento
efficace coniuga necessariamente indicatori relativi all’organizzazione o al business con indicatori di
carattere culturale. Il cambiamento della cultura garantisce il reale passaggio al nuovo.
A prima vista sembra che il fattore temporale sia fondamentale nel determinare sia la portata che l’esito
del cambiamento. Se consideriamo gli esiti di un cambiamento come parametro per definirne l’efficacia,
possiamo dire che gli esiti maggiori si riscontrano quando si attua un cambiamento culturale. Il
cambiamento culturale è sicuramente quello che richiede più tempo e più fatica.
Ma perché questo accade? Perché per cambiare una tecnologia occorre meno tempo che per cambiare la
cultura di un’organizzazione? “L’implementazione di una nuova tecnologia o la vendita di un prodotto
innovativo rispetto al passato determinano, nelle persone coinvolte nel cambiamento, un mutamento in
termini di conoscenze. Ogni individuo, però, contribuisce al successo dell’organizzazione non solo
attraverso le sue conoscenze, ma investendo in termini di comportamenti e capacità gestionali. È evidente
come sia più facile cambiare le conoscenze delle persone, piuttosto che i comportamenti e le abitudini
consolidate.”
Questa riflessione ci porta a sottolineare il fatto che in tutte le situazioni, al di là delle specificità degli
elementi coinvolti nel cambiamento, le persone costituiscono la variabile fondamentale all’interno del
processo di cambiamento e sono in grado di determinarne il successo o l’insuccesso.
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Individui e cambiamento
Gli individui che vivono il cambiamento organizzativo lo sostengono o lo ostacolano a seconda di quanto si
sentano coinvolti, di quanto l’abbiano compreso e abbiano avuto la possibilità di interiorizzarlo.
Secondo Kurt Lewin l’organizzazione può essere considerata come una serie di forze favorevoli o contrarie
al cambiamento. Lewin afferma che nelle organizzazioni nulla accade quando l’intensità delle due forze si
eguaglia, l’unico modo per innovare e crescere è aumentare le forze favorevoli e ridurre quelle contrarie.
Il cambiamento organizzativo deve attivare necessariamente cambiamenti a livello individuale al fine di
garantire l’effettiva partecipazione di tutte le persone coinvolte. Se è vero che il primo passo per un
cambiamento organizzativo è il cambiamento culturale, è necessario creare le condizioni per l’attivazione
degli individui. Lewin propone un modello di lettura del cambiamento che si basa sulle tre fasi sequenziali:
ƒ Unfreezing (scongelamento): situazione di instabilità che genera uno stato di ansia o di
insoddisfazione. Quando lo stato di ansia è superiore al normale si avverte il bisogno di cambiare:
scongelare significa creare la motivazione e la disponibilità al cambiamento.
ƒ Changing (trasformazione): in questa fase è necessario aiutare l’individuo a vedere con occhi nuovi.
Il cambiamento effettivo può essere visto come “una ristrutturazione cognitiva o una ridefinizione del
problema che porta a nuove percezioni, nuove sensazioni, nuovi giudizi e infine a nuovi
comportamenti” (E.H.Schein).
ƒ Refreezing (ricongelamento): il ricongelamento è quella fase che incorpora i nuovi punti di vista. Il
ricongelamento avviene quando l’interessato verifica i cambiamenti attraverso l’esperienza. Nelle fasi
iniziali del ricongelamento è importante mantenere un continuo rafforzamento del comportamento
richiesto in modo da accelerare il processo di apprendimento.
Le fasi del cambiamento individuali si replicano nel cambiamento organizzativo e danno origine
all’alternanza tra cambiamento e consolidamento di cui parla Ferdinando Castellano all’inizio.
Se gli individui sono la variabile fondamentale che agisce nei processi di cambiamento, è quindi
fondamentale che essi comprendano il cambiamento e superino i timori ad esso connessi. Per propria
natura gli individui sono infatti riluttanti ad accettare il cambiamento, che è visto sempre in relazione alla
paura di perdere qualcosa e di non riuscire a trarne un qualche tipo di vantaggio. Ogni individuo in
cambiamento teme di perdere il controllo e sente in qualche modo minacciato il proprio sistema di
significati e di comportamenti.
È quindi importante per l’azienda introdurre il cambiamento nella maniera più chiara possibile, sostenendo
l’individuo attraverso processi di comunicazione, formazione e sviluppo.
Kotter e Schlesinger propongono una serie di metodi che le aziende possono adottare nell’introduzione al
cambiamento:
ƒ Comunicazione ed educazione: che implica comunicare il cambiamento, renderlo noto, rendere gli
individui partecipi, chiarire loro ciò che il cambiamento comporterà. Attraverso la comunicazione le
persone sono educate al cambiamento, si abituano cioè a convivere con l’idea che le cose
cambieranno.
ƒ Negoziazione e accordo: questo metodo si adotta quando le persone che saranno coinvolte nel
cambiamento potranno perdere qualcosa. In tal caso occorre negoziare, infatti gli individui vogliono
capire quale vantaggio potranno avere dal cambiamento, dato che a loro sono noti solo gli svantaggi.
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ƒ
Partecipazione e coinvolgimento: consiste nel coinvolgere gli individui nel cambiamento, renderli
attivamente partecipi. In questo modo gli individui sono ascoltati, il loro parere è preso in
considerazione e questo aiuta a far ridurre la naturale resistenza che gli individui possono avere nei
confronti del cambiamento. Il coinvolgimento degli individui genera il loro impegno nel cambiamento
ed aiuta a cancellare le resistenze stesse.
“Sicuramente l’elemento fondamentale per gestire efficacemente anche il cambiamento più traumatico sostiene Ferdinando Castellano - è quello di aprire il circuito di comunicazione. La comunicazione deve
essere intensa, nella frequenza, ed intensiva nei contenuti. È chiaro che non ci si sta riferendo ad un
semplice fenomeno espositivo, ma si sta parlando di circolo comunicativo che prevede quindi una
successione di fasi di esposizione, di ascolto, di raccolta di feedback e di elaborazione dei feedback.”
Qualificazione professionale per gestire il cambiamento
Abbiamo sostenuto la centralità dell’individuo nel determinare il successo dell’organizzazione, nel gestire e
fronteggiare i cambiamenti.
Abbiamo rimarcato la necessità di supportare gli individui attraverso opportuni sistemi di comunicazione,
formazione e sviluppo.
Rimane da chiedersi quali competenze le persone possano sviluppare per rispondere al cambiamento.
Il primo passo per affrontare e rispondere efficacemente al cambiamento consiste nel comprenderlo. Le
persone devono sviluppare capacità di lettura degli scenari e dei sistemi complessi. Al di là delle
predisposizioni individuali, la capacità di gestire la complessità, di leggere le relazioni di sistema e di
cogliere i segnali deboli può essere sviluppata e consolidata attraverso percorsi di sviluppo che integrino
momenti formativi con affiancamenti a colleghi più esperti.
Ma per gestire efficacemente un cambiamento organizzativo, date le implicazioni che questo ha, non è
sufficiente comprenderlo: bisogna “passare all’azione”. Al di là delle specificità di ogni occupazione
esistono delle competenze trasversali che costituiscono dei pilastri per “stare” nel cambiamento. Si tratta
di capacità gestionali e relazionali che non riguardano il contenuto specifico del proprio mestiere - cosa
faccio - quanto piuttosto le modalità di approccio e comportamento nelle diverse situazioni – come lo
faccio.
Nel contesto attuale di cambiamento quello che fa la differenza, non è soltanto la competenza tecnica, il
saper fare determinati prodotti, il conoscere determinate tecnologie, quanto piuttosto il modo in cui si
gestisce il ruolo e la propria professionalità all’interno di sistemi relazionali complessi con i clienti e con i
colleghi. Lavorare con le persone in un contesto che cambia significa prima di tutto costruire relazioni di
fiducia a tutti i livelli, sia con coloro che necessitano di un sostegno per implementare, sponsorizzare,
comunicare il cambiamento sia con coloro che hanno bisogno di capire il cambiamento e imparare a
viverlo nella maniera più efficace. La costruzione di rapporti di fiducia è fondamentale poiché consente di
consolidare quei principi e quei valori che permettono di avere dei punti di riferimento stabili mentre tutto
intorno cambia.
Pertanto si va delineando un ruolo sempre più strategico per alcune competenze trasversali, che
tradizionalmente sono state considerate “di secondaria importanza”. Storicamente la cultura organizzativa
italiana ha portato ad una grande focalizzazione sull’eccellenza tecnica, tralasciando talvolta gli aspetti
“soft” dell’agire professionale. Ad oggi assumono un’importanza strategica:
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il riconoscere gli altri come risorsa, ossia la capacità di vedere nell’organizzazione un sistema di
competenze, comportamenti e qualità che insieme concorrono al successo dell’organizzazione stessa e
di ciascun individuo che ne fa parte. Ogni persona può essere fonte di ricchezza per la propria
professionalità nel momento in cui l’individuo supera la paura del conflitto e della competizione e vede
l’altro come parte integrante di un sistema. “Io posso sviluppare le mie competenze e crescere nel
cambiamento solo se lo faccio insieme alle persone che con me stanno creando e gestendo il
cambiamento stesso”;
ƒ la passione per il lavoro, intesa come capacità di attribuire un significato al proprio agire
professionale che vada al di là dei confini del ruolo e riconosca il contributo che dà all’organizzazione,
al suo successo e alla sua sopravvivenza. Significa sentire “propria” l’azienda in cui si lavora, muoversi
in coerenza con gli sviluppi e le esigenze sempre nuove che si delineano, spingere per la crescita
individuale e organizzativa;
ƒ la consapevolezza delle proprie capacità, potenzialità e dei propri limiti. Essere consapevoli del
proprio valore professionale consente di stare nel cambiamento riconoscendo che il cambiamento
esiste e che per vivere il cambiamento senza farsi sopraffare è necessario sapersi reinventare,
gestendo efficacemente il proprio sviluppo professionale e accettando talvolta i propri errori;
ƒ la flessibilità intesa non solo come repentina risposta a modificazioni contestuali ma come modo di
vivere e gestire il proprio sviluppo personale e professionale, come spinta a sviluppare competenza
professionale per anticipare i cambiamenti.
Il coinvolgimento attivo delle persone è la migliore strategia gestionale che l’organizzazione possa attuare,
proponendo sfide continue finalizzate ad acquisire le capacità trasversali che consentono di guardare oltre,
di allargare la visione delle cose per uscire dai vincoli che il cambiamento sembra imporre e rendere
flessibile la propria area di azione.
L’attenzione e la cura nei confronti della propria professionalità, delle proprie conoscenze e capacità è la
migliore risposta che un individuo possa dare al cambiamento, per non essere mai impreparato e cogliere
le migliori opportunità anche quando a prima vista sembra impossibile vederne.
ƒ
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2. CAMBIAMENTO NEL SETTORE FINANZIARIO: UN’ESPERIENZA DI SUCCESSO
Elena Cerri, Simona Curci
Negli ultimi anni fusioni, integrazioni, accorpamenti di grandi e piccoli operatori del mercato finanziario
sono all'ordine del giorno sulle prime pagine dei quotidiani italiani. Le grandi aziende del settore che già
storicamente costituivano i leader sul territorio italiano si sono poste sempre più frequentemente
l’obiettivo, a breve o a lungo termine, di essere altrettanto vincenti e competitive nel più esteso e
complesso mercato europeo. Tale ambizione ha fatto sì che istituti di credito e assicurativi di piccole
dimensioni, seppur di successo, abbiano dovuto “piegarsi” più o meno volentieri alla volontà dei più
grandi, per garantirsi un futuro nello scenario di mercato che si sta delineando: pochi operatori di grandi
dimensioni, capaci di competere a livello europeo.
I grandi player del settore attivi a livello nazionale hanno così iniziato ad acquisire realtà aziendali locali e
piccole reti di vendita di estensione regionale e a farne talvolta (spesso solo temporaneamente) un
proprio feudo, quasi indipendente che della nuova “casa madre” rispecchia poco; più spesso accade che la
realtà acquisita divenga volutamente un’estensione dell’azienda che ne è entrata in possesso.
Oltre all’acquisizione di piccole aziende da parte di grandi operatori, sta accadendo sempre più spesso
anche che questi ultimi decidano di unire le proprie risorse per affrontare la sfida a livello europeo.
Quello che risulta da uno scenario così caratterizzato è la nascita di grandi gruppi finanziari di standing
europeo, per i quali la prima vera grande sfida diviene la gestione del cambiamento a cui hanno dato vita.
Ridefinire strutture e processi organizzativi in funzione di nuovi obiettivi strategici, operazione già di per sé
complessa e impegnativa da tutti i punti di vista, soprattutto per realtà di enormi dimensioni come quelle
cui stiamo facendo riferimento, non è sufficiente: infatti, per garantire continuità di performance
organizzative di successo, è necessario anche e soprattutto che le risorse umane che operano in queste
grandi realtà in trasformazione riescano a seguire, vivere, interiorizzare ed interpretare la nuova cultura
aziendale che si è delineata.
In assenza di tale sinergia tra persone e organizzazione, gli sforzi dell’azienda su tutti gli altri fronti sono
destinati ad essere vani: ciò che fa da collante, da snodo tra le nuove strutture organizzative, i ruoli
ridefiniti, i nuovi processi organizzativi e le competenze tecniche necessarie al successo è la risorsa
umana, la sua percezione, interpretazione ed azione.
Facendo riferimento alle risorse umane di un’organizzazione, l’eccellente livello di competenze tecniche è
requisito necessario ma non sufficiente per raggiungere i risultati in linea con quanto atteso dall’azienda:
ciò che permette agli ingranaggi dell’organizzazione di ruotare nella giusta direzione e al giusto ritmo sono
le competenze trasversali, che consentono agli individui di agire al meglio il ruolo ad essi assegnato,
finalizzandolo a obiettivi chiari e condivisi, inserendolo in un processo di lavoro, attribuendogli un
significato in relazione allo scenario di mercato.
Ecco perché quando si verificano cambiamenti per un’organizzazione, il coinvolgimento degli individui è la
chiave per rendere le trasformazioni in atto azioni di successo organizzativo: le risorse umane non devono
infatti essere considerati spettatori passivi del cambiamento, ma, al contrario, attori protagonisti che, in
sinergia con i vertici dell’organizzazione, costruiscono, interpretano e trasmettono la nuova cultura
aziendale.
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Il contesto
A settembre del 2006 Schema è stata contattata dalla Responsabile delle Formazione di un nuovo grande
gruppo finanziario italiano per costruire un percorso di inserimento in azienda. La richiesta di intervento
nasce dalla necessità di creare integrazione culturale all’interno del Gruppo, allineare le conoscenze
organizzative delle persone appartenenti all’azienda e di conseguenza consolidare il background alla base
di eventuali percorsi di sviluppo di competenze nei singoli ruoli.
Il Gruppo finanziario cui stiamo facendo opera nel settore assicurativo e fa della previdenza il suo core
business. Il Gruppo prende vita dall’integrazione di realtà aziendali già vincenti e consolidate sul territorio
italiano, mercato all’interno del quale ricoprono appunto posizioni di leadership.
Con questo nuovo Gruppo finanziario si concretizza la visione di un uomo, AD del Gruppo, che ha in
mente di creare un importante player nel mercato previdenziale europeo: quello che è immediatamente
evidente nell’approcciare il management del Gruppo è proprio il carisma, l’entusiasmo e la capacità di
trasmettere la fiducia nel progetto da parte dell’AD alla sua prima linea e, in un processo a cascata che
coinvolge persone e investe nella comunicazione, a tutto il Gruppo. Quello che nasce come un progetto di
un singolo uomo diventa quindi ben presto il progetto di molti, tutti coloro che, convinti e motivati
decidono di farne parte.
La nascita del nuovo Gruppo porta con sé da un lato l’integrazione di società diverse, ciascuna delle
quali legata ad una determinata storia e cultura e dall’altro dà l’avvio ad una massiccia campagna di
assunzioni che possa rispondere alla creazione delle posizioni organizzative nate dall’istituzione della
capogruppo e da precise scelte di investimento nelle società controllate in base alle linee guida strategiche
definite dalla holding. Lo scenario dell’Azienda al momento del contatto con Schema è perciò di
dinamismo e cambiamento continuo: la nuova società è in start up, tutto è in via di definizione a partire
dalle strutture organizzative fino ai processi di lavoro e ai ruoli e Schema, nel suo ruolo di società di
consulenza, è chiamata a leggere quanto sta avvenendo, rielaborarlo insieme al management del Gruppo
e supportarlo nel fornire ai nuovi dipendenti un punto di riferimento condiviso da cui partire.
Infatti sia per le risorse che fanno parte delle realtà già esistenti all’interno del gruppo, sia per le nuove
risorse provenienti da altre aziende, l’allineamento culturale costituisce il punto di partenza per vivere
ed interpretare il proprio ruolo professionale all’interno della nuova realtà organizzativa ed in linea con le
attese dei vertici, che rischierebbero altrimenti di disperdersi all’interno di tanta eterogeneità.
Schema avvia quindi la progettazione di un intervento rivolto ai professionisti di tutte le aree aziendali di
sede e di rete, con la finalità di valorizzare la ricchezza delle diverse esperienze e professionalità “raccolte”
nel Gruppo e trasmettere loro una cultura aziendale condivisa in cui potersi esprimere in coerenza con le
attese dell’azienda. Questa sembra infatti essere la strategia vincente fronteggiare e ottimizzare i
cambiamenti che un tale scenario aziendale comporta.
La costruzione del percorso
La trasmissione di una cultura aziendale richiede come condizione indispensabile quella di conoscerla
profondamente: per poterlo fare Schema ha cercato di viverla e respirarla fin dall’inizio avviando una forte
collaborazione con diverse figure aziendali.
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La progettazione del percorso di sviluppo ha richiesto una fase preliminare di analisi dei documenti
aziendali (mission, vision, organigrammi, funzionigrammi, processi e procedure, modelli di business, dati
di mercato e di posizionamento…) e della rassegna stampa raccolta dalla nascita del Gruppo fino ai suoi
primi passi: queste attività avevano come obiettivo la lettura del contesto aziendale e la raccolta delle
informazioni necessarie per comprendere e “sentire” la cultura dell’organizzazione.
In collaborazione con la Responsabile della Formazione sono state inoltre realizzate dalla consulenza
interviste alla prima linea dell’AD del Gruppo: i Direttori delle principali funzioni aziendali e altre figure
chiave, con l’obiettivo di organizzare le informazioni in base alle linee guida dei vertici aziendali e costruire
una base sulla quale realizzare il materiale informativo relativo all’Azienda. Per garantire omogeneità nella
tipologia dei contenuti raccolti è stata preparata una traccia di intervista che sintetizzasse le aree
tematiche da affrontare durante gli incontri con coloro che, per il ruolo ricoperto all’interno
dell’organizzazione, avrebbero rappresentato e trasmesso più facilmente di altri gli elementi chiave della
cultura aziendale che si stava costruendo.
Si è quindi realizzato un processo di co-costruzione dell’intervento formativo tra committenza e
consulenza: la grande collaborazione e disponibilità di entrambe le parti ha permesso infatti di condividere
e di progettare tutto il percorso con la Direzione Risorse Umane ed in particolare con la Responsabile della
formazione.
Naturalmente alla raccolta ed analisi dei documenti aziendali e alle interviste è seguita la progettazione
del processo di lavoro vero e proprio. Trasmettere i valori distintivi di una cultura aziendale e al contempo
costruire insieme alla persone la cultura stessa richiede di attivare un processo di apprendimento che vada
al di là della semplice acquisizione di contenuti e passi attraverso il pieno coinvolgimento delle persone.
Il primo passo è stato quello di definire un modello di lettura dell’organizzazione in cambiamento
che costituisse il “file rouge” del processo di apprendimento. L’organizzazione viene esplorata
gradatamente attraverso tre livelli di lettura:
ƒ Lo scenario in cui si colloca, inteso come insieme dei processi di business in riferimento allo specifico
settore di appartenenza, ai prodotti e alle strategie
ƒ La cultura organizzativa, ossia l’insieme della missione, dei valori e del sistema di governance che
guida l’agire organizzativo
ƒ Il modello organizzativo, ovvero i processi di lavoro e la struttura entro cui ciascuna persona si
muove nello svolgimento del proprio ruolo.
Il modello consente di impostare un percorso formativo di tre giornate che andrà a ripercorrere i tre livelli
di analisi attraverso una modalità di lavoro coinvolgente, basata sul confronto attivo tra i partecipanti e la
rielaborazione condivisa delle tematiche affrontate.
SETTORE
PRODOTTI
VISIONE DI
BUSINESS
Scenario
Cultura
MISSION
VALORI
GOVERNANCE
MODELLO
ORGANIZZATIVO
Sistema Impresa
PROCESSI
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La strutturazione del processo d’aula ha dato avvio alla preparazione dei materiali di supporto al processo
di apprendimento: sono state costruite le presentazioni, si sono create schede di lavoro ad hoc per le
attività individuali e in sottogruppo, sono stati scelti filmati significativi per l’analisi dei tratti culturali,
accompagnati da griglie strutturate per l’osservazione.
Tutto il processo di progettazione ha visto un grande supporto e disponibilità anche da parte della
Direzione Comunicazione e Immagine del Gruppo, che, oltre ad aver fornito alla consulenza documenti
aziendali interni molto significativi dal punto di vista della lettura della cultura dell’organizzazione, ha
rivisto insieme a Schema tutti i materiali relativi al profilo dell’Azienda per garantire ancora una volta la
completa coerenza con i messaggi aziendali.
L’intervento realizzato
Il percorso di sviluppo si è articolato in tre giornate consecutive ciascuna ispirata ai tre temi chiave che
costituiscono il modello di lettura dell’organizzazione che si è scelto di utilizzare come filo rosso dell’intero
percorso: la prima giornata si focalizza sulla cultura dell’organizzazione e sugli indicatori che la
costituiscono: mission, valori e governance; la seconda giornata è dedicata allo scenario e perciò a tutto
quello che in qualche modo influenza la cultura di un’organizzazione: i prodotti offerti, i canali distributivi
utilizzati, la visione di business e il settore in cui l’azienda opera, caratterizzato da fattori come la natura
dei prodotti/servizi offerti, dal livello di saturazione, dal posizionamento dei competitor. La terza ed ultima
giornata entra nel vivo di ciò che invece è influenzato più o meno direttamente dalla cultura aziendale: il
sistema impresa, ovvero il modello organizzativo e i processi di lavoro che permettono il funzionamento
dell’organizzazione.
Il percorso offre un’occasione di lavoro strutturato e metodologicamente guidato per rispondere insieme a
tre domande chiave:
ƒ chi siamo? esplorando l’organizzazione i partecipanti hanno modo di conoscerne l’identità e la cultura
e di iniziare a farla propria;
ƒ dove operiamo? Analizzando la realtà in cui l’organizzazione si inserisce e da cui è determinata la
cultura, i partecipanti collocano il proprio agire professionale in un contesto più ampio uscendo dai
confini ristretti del proprio specifico ruolo;
ƒ come lavoriamo? focalizzandosi sul modello organizzativo adottato dall’azienda e sui processi di
lavoro che definiscono le modalità di lavoro in linea con la cultura che caratterizza l’organizzazione
stessa, le persone attribuiscono significato al proprio agire professionale all’interno della cornice
costruita nell’arco delle tre giornate.
Utilizzare un tale modello di lettura dell’organizzazione permette da un lato di cogliere gli elementi salienti
per valutare se esista un cambiamento e di che portata esso sia e dall’altro di conoscere il perimetro in cui
muoversi ed agire il proprio ruolo professionale con la sicurezza di poter monitorare la coerenza tra il
proprio operato e quanto atteso dall’organizzazione: “stare nell’organizzazione” significa in effetti prima di
tutto agire in sinergia con la cultura aziendale che la caratterizza.
Nonostante i temi trattati durante il percorso siano necessariamente di natura informativa, nella
realizzazione del percorso si è riusciti a limitare i momenti informativi al minimo indispensabile,
privilegiando l’interazione e il lavoro di gruppo. L’obiettivo è stato infatti quello di poter trasmettere anche
attraverso il percorso stesso uno dei valori chiave che contraddistinguono la storia e la cultura del Gruppo:
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l’integrazione. In questo senso ampio spazio è stato lasciato ad esercitazioni ed attività ludiche che
permettessero lo scambio e la condivisione di professionalità, culture di mestiere, linguaggi diversi che
devono essere agiti in un contesto comune.
Con questo percorso si è avviato un processo fondamentale per il successo dell’organizzazione: la
costruzione di una nuova cultura aziendale condivisa e coerente con le linee strategiche aziendali e con i
cambiamenti organizzativi in corso. L’aula in cui si svolge il percorso diventa da questo punto di vista una
sorta di laboratorio della cultura, in cui si raccontano i tratti salienti della cultura dell’organizzazione e
al tempo stesso si mette in campo quella dei partecipanti, come a confrontarle, valorizzando ciò che di
coerente già esiste e condividendo attraverso il gruppo modalità diverse di vivere ed interpretare una
stessa realtà.
Quello che in questo modo si riesce a costruire e a trasmettere non è tanto la somma delle singole culture
presenti nell’organizzazione, ma qualcosa di completamente nuovo, che saggiamente recupera e valorizza
quanto di buono già esiste nelle diverse culture non semplicemente “sommandole”, ma integrandole. Per
usare una metafora, è come se dalla miscela di colori diversi si riuscisse ad ottenere qualcosa che non è
semplicemente un “melange”, ma un nuovo colore, differente e unico, che non è immaginabile guardando
solo ai colori originari.
Il modello Schema
Schema propone un modello di intervento che si configura come supporto metodologico alle aziende nelle
quali è in atto o sia pianificato un cambiamento strutturale e culturale. In particolare il modello ruota
intorno a tre cardini:
1. co-design: la collaborazione con la committenza nella costruzione del percorso si configura come
occasione per l’azienda di costruire e razionalizzare la propria cultura. Soprattutto nelle realtà
caratterizzate da grandi mutamenti organizzativi può infatti succedere che i primi tratti della
nuova cultura non siano ancora definiti come tali nonostante siano già attivi più o meno
direttamente. In questi casi committenza e consulenza si trovano a disegnare insieme una cultura
aziendale esplicitandone valori e tratti distintivi a partire da analisi mirate di documenti aziendali e
incontri con il top management e opinion leader dell’organizzazione. La collaborazione tra Schema
e la realtà d’intervento diviene allora non solo indispensabile per la costruzione dell’intervento
stesso, ma anche un momento di co-costruzione di cultura che arricchisce le esperienze di
entrambi gli attori che vi partecipano: da un lato infatti l’azienda ha l’occasione di ragionare,
razionalizzare ed esplicitare i propri tratti culturali con il supporto metodologico di Schema e
dall’altro la consulenza approfondisce la propria conoscenza dell’azienda cliente, garantendole così
un servizio ancora migliore.
2. logica processuale: l’intervento è progettato e realizzato in modo che nulla sia lasciato al caso.
Ogni giornata è la fase di un processo di lettura, comprensione ed interiorizzazione della cultura
aziendale; lo stesso processo è replicato all’interno di ogni singola giornata, in modo che tutte le
attività, gli input teorici e i momenti di riflessione siano funzionali all’entrare nella nuova cultura e
a gettare le basi per esserne fruitori e ambasciatori. L’obiettivo di costruzione e condivisione della
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cultura guida ogni parola, ogni interazione e ogni attività, collocandole in un processo di
apprendimento che coinvolge attivamente ogni persona, facendola sentire protagonista della
costruzione di qualcosa di nuovo.
3. valore delle competenze trasversali: nella convinzione che l’essere esperti in un determinato
know how
non sia l’unico fattore di successo professionale, Schema si impegna nella
valorizzazione delle competenze trasversali come leva che fa funzionare in modo ottimale le
conoscenze tecniche. Da questo punto di vista le competenze trasversali permettono di
approcciarsi al lavoro in modo costruttivo e di utilizzare il proprio know how in coerenza con le
attese aziendali e il contesto in cui vengono messe in gioco. Le persone sono quindi soggetti attivi
dell’organizzazione, senza le quali le conoscenze tecniche non potrebbero essere espresse:
rendono perciò possibile il vero cambiamento quando sono coinvolte dall’azienda come attori
protagonisti, quando si permette loro di comprendere che il lavoro che svolgono quotidianamente,
e soprattutto la modalità in cui lo svolgono, non è fine a se stesso, ma si inserisce in un grande
progetto del cui successo loro sono parte attiva ed indispensabile.
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3. IL RETAIL MANAGER FURLA:
PROFESSIONALITÀ E COMPETENZE NELLA GESTIONE DEI PUNTI VENDITA
Marco Baffoni intervista Alfredo Finelli, Direttore Personale & Organizzazione Furla Spa
Furla Spa è un’azienda fondata nel 1927, in forte crescita, divenuta leader nei prodotti di pelletteria e
accessori moda all’interno del settore fashion. È organizzata con oltre 250 punti monomarca in 73 Paesi,
dove è presente sul mercato con oltre un milione di borse prodotte ogni anno, ma anche gioielli, orologi e
calzature. Questo permette di raggiungere oggi un fatturato di 128 milioni di euro all’anno, dieci volte più
di quindici anni fa.
Nella sede principale a Villa Bellaria (nelle immediate vicinanze del centro di Bologna) lavorano 250
persone, che diventano 634 se si considerano le 6 filiali world wide (Gran Bretagna, Francia/Germania, Far
East, Giappone e Stati Uniti).
Quali sono gli elementi distintivi che caratterizzano le attività e il ruolo della Funzione Human
Resources nel settore della moda, in un mercato caratterizzato da rapidissimi cambiamenti?
Sicuramente la maggiore peculiarità è il forte contatto diretto col business che si richiede in questo settore
anche agli specialisti nella gestione e sviluppo delle risorse umane.
La strategia HR per chi opera nella moda si colloca all’interno di una strategia aziendale più ampia: le
strategie, i piani di budget e gli indici di redditività sono i driver dell’azione di ogni HR Manager che
sempre più spesso è chiamato ad essere un vero e proprio Business partner per l’Azienda. La sfida è
organizzare un proprio piano di lavoro che sia di reale supporto al raggiungimento degli obiettivi di
business.
È possibile individuare alcune caratteristiche core che in Furla trasversalmente delineano le
professionalità sia di coloro che operano in sede sia di chi è impegnato nei punti vendita?
Abbiamo individuato 4 elementi core per chi lavora nella nostra organizzazione.
Innanzitutto ad ogni professionista si richiede flessibilità, intesa come capacità di adattarsi rapidamente
al cambiamento di contesto e di decisioni intraprese.
Il mondo fashion è sottoposto a continui e rapidi mutamenti di scenario ed ogni variazione impatta sulle
decisioni da intraprendere, in tutte le aree dell’Azienda, sia nella sede centrale, che perifericamente e
negli store.
In secondo luogo è essenziale per Furla la passione per il proprio lavoro. Chi lavora nella nostra
Azienda deve costantemente trasmettere entusiasmo e coinvolgimento per il proprio lavoro, senza
fermarsi di fronte agli ostacoli e cercando di rimuovere eventuali barriere.
Inoltre la natura sperimentale di molte soluzioni da intraprendere impone un approccio innovativo,
inteso come capacità di sviluppare pensiero creativo e laterale di fronte a problemi e scelte nel day by
day.
Infine per la nostra organizzazione è essenziale la condivisione delle informazioni just in time,
sviluppando un sistema di comunicazione organizzativa all’interno dell’Azienda, su ogni scelta rilevante per
gli stakeholder.
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A partire da questi quattro elementi avete declinato anche delle competenze trasversali da
esercitare in ciascun profilo di ruolo?
Certamente, abbiamo alcune skill indispensabili e trasversali ad ogni profilo di ruolo. In Furla, per lavorare
in un contesto in rapido cambiamento, occorre essere persone:
- super easy: di facile accessibilità, non problematiche, reattive e positive anche sostenendo elevati
carichi di lavoro e sotto pressione.
- disponibili a job enlargement occasionali, dovendo in molti casi andare oltre la mera aria prescrittiva
nell’esercizio del proprio ruolo.
- disponibili a job rotation: essendo spesso border line tra un ruolo e l’altro, è necessario sapersi
adattare a differenti situazioni mutanti.
- inclini ad assumersi dei rischi. Nel mondo fashion le decisioni non si possono rimandare; occorre
quindi fare determinate scelte senza rimanere in stand by. Persone risk adverse possono rallentare i
processi e lasciare decisioni in sospeso: ciò è quanto di più dannoso possa accadere!
Queste competenze sono determinanti nella selezione delle persone che operano nei punti
vendita?
Sì. In ogni specifica situazione naturalmente andiamo poi a customizzare le skill necessarie a partire dalle
indicazioni della Line: per ex su un punto vendita di nuova apertura, si identificano anche le consuetudini
locali, i gusti femminili, il livello di reddito e di autonomia finanziaria delle donne, si crea insomma uno
standard di cliente atteso.
I dati elaborati oltre a dare preziose indicazioni per definire l’assortimento, ci indirizzano nell’orientare la
selezione del personale degli store. In questa fase di start up dei punti vendita il ruolo dell’HR Manager è
quello di vero business partner del Retail Manager.
Quali sono attualmente i key role su cui concentrate maggiore attenzione in fase di selezione,
gestione e sviluppo delle vostre risorse?
Il profilo più importante è quello del Retail Manager, strategico nei nostri processi di lavoro e vero e
proprio snodo nella rete vendita. Poiché circa il 70% del fatturato di Furla arriva da negozi monomarca, è
fondamentale coordinare lo sviluppo degli store.
In Furla esistono due profili di Retail Manager a seconda della tipologia di negozio con cui interfacciarsi.
Nei negozi diretti, che rappresentano il 35% del totale a livello worldwide, operano Retailer che hanno
un’assunzione di rischio elevata ed esercitano una forte leadership sugli Store Manager. Infatti, pur
avendo lo Store Manager grande autonomia, è il Retail Manager che definisce l’assortimento e il buying di
tali negozi: gestisce perciò direttamente il territorio e le persone, ed assume decisioni in termini di
prodotti, location e prezzo. A questa prima figura di Retail Manager è richiesta visione del business,
capacità gestionali e assertività e stile direttivo nelle relazioni.
Differente e più complesso è invece il profilo del Retail Manager che opera nei negozi monomarca ma di
tipologia franchising. Il Retailer, dovendosi interfacciare con imprenditori, titolari dei punti vendita, clienti
non end users Furla, ha la necessità di accreditarsi quale vero e proprio consulente Furla
dell’imprenditore, diventando un punto di riferimento per quello che riguarda il visual merchandising, le
vetrine, il lancio del prodotto e l’analisi analisi delle performance del prodotto. A questa figura di Retail
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Manager si richiedono forti capacità relazionali, nell’ascoltare il cliente, negoziare e essere un service per
l’imprenditore.
La sfida del Retail Manager è quella di ricercare soluzioni in grado di creare valore sia per l’organizzazione
che per l’imprenditore al quale offre un servizio, generando reciproca soddisfazione.
Di quali attività si occupano queste tipologie di Retail Manager?
Il Retail Manager Furla svolge sia attività di buying che quelle di “Retail operation”, non avendo
(diversamente dalle grandi griffe del lusso) due figure distinte su tali processi. Il Retail Manager perciò
deve avere la capacità di assortire e fare gli ordini. Al contempo, si occupa di conoscere al meglio le
collezioni, di suggerirne gamma e ampiezza, di fare analisi di dettaglio del punto vendita (sell in, sell
through, sell out, rotazione magazzini, scontrino medio), di decidere inizio saldi, di gestire il
riassortimento.
Abbiamo constatato spesso la difficoltà di riunire in un unico profilo questi due ambiti di competenze che il
mondo del lusso distingue: rappresenta sicuramente un job enlargement.
Ad aumentare la complessità del ruolo di Retailer va sottolineato che questo profilo vale a livello world
wide e, inevitabilmente, occorre accentuare poi determinati aspetti a seconda della specifica area
geografica in questione.
Immagino non sia semplice il recruiting di tali figure…
…è durissimo! nella fase di selezione e nel percorso di sviluppo gradiamo maggiormente persone che
sappiano approcciare l’area del Retail operation perché la parte di buying la riescono ad acquisire più
facilmente attraverso la presentazione della collezione, le preview, il sistema informatico, la formazione
costante che svolgiamo.
Data la difficoltà di trovare sul mercato figure con questo tipo di professionalità, attiviamo percorsi di
crescita interni. L’esperienza positiva realizzata nel giugno 2006 con Schema ne è stato un esempio.
Abbiamo lavorato per costruire un Team Retail, aiutando gli specialisti di Retail vivere il cambiamento
nell’esercizio del loro ruolo, diventando dei gestori di Retail.
Inoltre cerchiamo di proporre a neo laureati e neo masterizzati un’esperienza formativa on the job unica
nel settore, con grandi possibilità di apprendimento e crescita per gli high potential. La nostra Direzione
Retail cura molto questa dimensione e siamo riusciti ad attivare sulla fascia delle new entry una vera e
propria swimming pool. Naturalmente poi il livello di drop out ci crea qualche problema ma stiamo
cercando rafforzando le nostre azioni di retention.
Quali azioni di retention svolgete sulle fasce di key people e key role?
Innanzitutto abbiamo un sistema di compensation, integrato da benefit ad personam per le risorse
strategiche.
Inoltre offriamo misure d’attenzione particolari per il personale femminile (74% del totale) cercando
laddove è possibile di garantire un equilibrio tra vita professionale e familiare, utilizzando con grande
premura tutti gli istituti previsti per la gestione delle maternità. Purtroppo devo evidenziare che chi come
noi fa impresa “al femminile” non riceve in cambio una sana attenzione dalle Istituzioni.
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In termini di formazione avete dei percorsi di strutturati e dell’aree tematiche core per
sostenere la attuale fase di cambiamento che coinvolge Furla?
Sui professionisti high potential che operano nel retail l’offerta formativa si concentra sui temi di natura
commerciale, senza trascurare tuttavia alcuni approfondimenti sulle capacità manageriali gestionali e
relazionali. Un’importanza particolare riveste inoltre la formazione agli economics e al Controllo di
Gestione, svolta con i Retailer, per sensibilizzare queste figure al metodo, all’attenzione ai numeri ed al
monitoraggio degli indici di redditività dei punti vendita.
La maggior parte degli interventi la svolgiamo in Azienda, con il supporto di personale interno. Solo per
alcune iniziative strategiche, come quelle svolte con Schema ci rivolgiamo a partner esterni e grandi brand
della formazione.
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4. IL CAMBIAMENTO NELLA SANITÀ PUBBLICA
Francesca Bavastrelli, Cristiana Genta
PREMESSA
Lo scenario socioeconomico e demografico del nostro paese sta cambiando notevolmente in questi anni, il
progresso scientifico e l’innovazione tecnologica stanno diventando fattori chiave di successo in molti
settori, tutto questo comporta un evidente impatto anche nel settore della sanità, sia pubblica che privata.
Obiettivo di questo contributo è fornire una breve sintesi del trend di cambiamento cui si sta assistendo,
evidenziando come i differenti fattori siano tra loro correlati.
Il settore sanitario nel corso degli anni è stato soggetto ad una serie di riforme volte ad incrementare
l’efficienza ed a migliorare la qualità delle sue prestazioni.
Con la riforma sanitaria del 1978 viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione di
trattamenti uniformi estendendo l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini e garantendo loro modalità di
trattamento uguali per tutti, anche grazie alla globalità del servizio, che deve fornire interventi di
prevenzione, cura e riabilitazione. I livelli di competenza si dividono su base nazionale, regionale e
territoriale ed i finanziamenti, determinati annualmente vengono ripartiti tra le regioni che, loro volta, li
ridistribuiscono alle varie unità sanitarie locali. La dirigenza medica viene deresponsabilizzata dagli
incarichi di carattere gestionale e non è chiamata a rispondere dei risultati conseguiti. Tale approccio non
permetteva di governare l’intero sistema organizzazione ed è per questo motivo che nasce l’esigenza di
decentrare maggiore autonomia e responsabilità a livello regionale e locale. In quest’ambito si inserisce il
processo di riforma che ha avuto origine con il D. LGS. N°502/92 e N° 517/93. Ispirandosi ai principi della
regionalizzazione, dell’aziendalizzazione e della responsabilizzazione, il processo di riordino del S.S.N.
ridefinisce l’assetto istituzionale, gestionale e organizzativo del sistema. Con questa riforma avviene il
superamento delle convenzioni con le strutture private e l’adozione dell’accreditamento come prerequisito
per l’esercizio di attività sanitarie. I cittadini possono scegliere liberamente se rivolgersi a strutture
pubbliche o private e per garantire loro la qualità dell’assistenza si prevede in via ordinaria l’adozione di
procedure di verifica e revisione della qualità delle prestazioni; i rapporti tra Servizio sanitario nazionale e
Università diventano tali da includere la formazione universitaria del personale infermieristico, tecnico e
della riabilitazione. È evidente in tutto questo l’evolversi delle competenze richieste a chi opera nel
settore, sia per quanto attiene le conoscenze che per quanto concerne le capacità e qualità da esprimere
nell’esercizio della propria professionalità.
Infine, con il D. LGS. 299/99, si accentua ulteriormente il cambiamento in atto negli ultimi anni,
rafforzando ulteriormente la natura “aziendale” delle aziende sanitarie, in termini di struttura, processi,
ruoli e competenze necessarie.
A questi cambiamenti nella normativa si affiancano quelli a livello istituzionale, sociale ed organizzativo.
Per quanto attiene il primo livello, l’accentuarsi della competizione tra le strutture sanitarie pubbliche e
private sottolinea la libera scelta da parte del cittadino di individuare i soggetti che ritiene più idonei a
soddisfare le sue esigenze di tutela. Lo sviluppo di logiche competitive stimola poi la ricerca di livelli di
efficienza ed efficacia sempre più elevati, di innovazione e miglioramento continuo.
I cambiamenti a livello sociale che impattano maggiormente sono quelli inerenti l’invecchiamento della
popolazione e l’evolversi della suo fabbisogno di salute; l’evoluzione delle tecnologie e della ricerca in
campo medico, che consentono di allungare la durata e la qualità della vita; l’evoluzione informatica e
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quella della situazione socio – culturale, sempre più alle zone rurali si sostituiscono infatti quelle urbane,
quasi tutte ormai facilmente raggiungibili. Si inizia a discutere su temi quali la bioetica e la genetica, prima
sconosciuti ai più.
Tutto questo non può che comportare un cambiamento anche a livello organizzativo delle strutture
sanitarie, che si avvicinano alla popolazione, diventano maggiormente flessibili, riconoscono una maggiore
autonomia ai territori e vedono la nascita di nuovi ruoli organizzativi.
Si è così assistito al passaggio da un’azienda orientata alla produzione (di un prodotto o un servizio) ad
un’organizzazione performance-oriented, in cui la qualità del servizio erogato e la customer satisfaction
sono divenute parte integrante dell’attività della struttura, in cui viene esercitato un maggior controllo
sulla performance e viene promossa la crescita professionale degli individui. L’azienda sanitaria diventa un
sistema policentrico, altamente specialistico, regolato da criteri che garantiscano la qualità delle
prestazioni, viene introdotto un sistema di valutazione delle persone e cambiano le competenze richieste
nell’esercizio dei differenti ruoli.
Quanto fin qui esposto evidenzia come le esperienze pregresse siano state oggetto di apprendimento:
imparare dai propri successi e dai propri errori per costruire modelli organizzativi adeguati a rispondere
alle esigenze di un contesto in evoluzione. Il tema è quello dello sviluppo di processi di apprendimento
organizzativo, elemento indispensabile per innovare e garantire prestazioni adeguate ai cittadini.
Per consentire un approfondimento dei temi trattati, di seguito viene riportata l’intervista effettuata alla
dott.ssa Nadia Antonimi, Direttore Amministrativo dell’ASL 2 di Perugia.
INTERVISTA DOTT.SSA ANTONINI
o Le aziende sanitarie, sono state investite in questi ultimi anni da una serie di dinamiche riconducibili
a pressioni ambientali esterne (cambiamento istituzionale, modifiche del quadro normativo,
dinamiche socioeconomiche, progresso scientifico e innovazione tecnologica, diffusione della
sanità privata) che hanno inciso significativamente sulle caratteristiche gestionali e organizzative e
ne hanno influenzato il processo di evoluzione. Quali sono, a suo avviso, gli elementi che
caratterizzano lo scenario della Sanità Pubblica? Cosa sta cambiando rispetto al passato?
Il principale cambiamento è il Federalismo fiscale, gli accordi firmati con il governo comportano,
infatti, una maggiore responsabilizzazione dei soggetti regionali. Le modifiche introdotte con il patto
sulla salute implicano poi delle penalizzazioni per le Regioni che non rispettano i patti di stabilità. In
questo quadro di riferimento va contestualizzata anche la recente normativa che ha stanziato delle
risorse a supporto delle regioni maggiormente indebitate.
Il tema è sempre quello della gestione delle risorse economiche, che non sono illimitate; i conti
pubblici sono in una situazione di grande difficoltà, non ci sono risorse consistenti per affrontare i
nuovi scenari anche nelle Regioni, come l’Umbria, ove i conti sono in ordine.
La Regione Umbria in questi ultimi anni si trova ad affrontare due questioni di grande importanza: la
prima concerne l’innovazione tecnologica, che impone una continua e costante evoluzione correlata
ad una riorganizzazione dei punti di erogazione in modo da ottimizzare dal punto di vista quali
quantitativo gli investimenti. A questo proposito noi, in Umbria, stiamo utilizzando molte risorse per
riorganizzare l’area ospedaliera. La seconda questione riguarda invece l’invecchiamento della
popolazione. L’allungamento della speranza di vita comporta una rivisitazione completa del ciclo
diagnostico terapeutico che implica un impegno finanziario notevole e richiede una maggiore
organizzazione dei servizi, soprattutto per quanto concerne le cure primarie e la gestione delle
cronicità.
In alcune Regioni i margini di razionalizzazione della spesa si stanno velocemente riducendo, la
comprensione tra i differenti interlocutori diventa sempre più difficile, occorre quindi individuare
velocemente una soluzione o il concetto di solidarietà tra le Regioni (quelle che da anni lavorano
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sulla razionalizzazione e quelle che hanno da compiere più strada su questo tema) verrà messo a
rischio. Bisogna passare al razionamento delle prestazioni? Sicuramente diventa importante
effettuare una revisione sull’appropriatezza, sui costi dei livelli essenziali di assistenza e sulla loro
comparabilità, questo al fine anche di regolamentare il rapporto tra le Regioni.
Altre tematiche che stanno caratterizzando il cambiamento nello scenario sono quelle inerenti la
medicina predittiva e la genomica, che stanno dando adito ad un ampio dibattito in merito, ad
esempio, alla bioetica ed all’accanimento terapeutico.
È difficile definire altri scenari. La realtà è che la vita si è notevolmente allungata e questo comporta
un necessario adattarsi della spesa sanitaria. A questo proposito diventa importante analizzare il
rapporto tra spesa pubblica e spesa privata, per capire dove e perché il cittadino subentra e se una
tassa di scopo può rispondere alle sue esigenze. La risposta come sempre è correlata al servizio
offerto, deve esserci un rapporto costo/benefici.
o Lo scenario italiano sta cambiando da un punto di vista sociale, anagrafico e culturale, come questo
impatta sulla domanda del cliente e, conseguentemente, sul servizio offerto?
In Umbria c’è un’offerta varia di servizi che, tuttavia, deve essere continuamente monitorata al fine
di adattarla alle esigenze della evoluzione della domanda con un’attenzione alla sostenibilità
economica. È fondamentale il concetto della presa in carico, bisogna diversificare i servizi e
avvicinarli ai fruitori trovando il giusto connubio tra delocalizzazione dei servizi e loro livello
qualitativo, fortemente condizionato dal bacino di utenza e dalla casistica trattata. In questo senso
la ditalizzazione, la trasmissione a distanza ed, in generale l’informatizzazione aiutano a trovare il
giusto equilibrio.
I principali servizi richiesti dal cittadino riguardano: l’assistenza domiciliare integrata (infermieristica
e riabilitativa), i servizi per gli anziani, i servizi ambulatoriali specialistici (diagnostici e terapeutici) ed
un efficace servizio di dimissione protetta. Permane una domanda di istituzionalizzazione
(soprattutto nelle zone dove vi è una minore presenza della rete primaria familiare). Nella realtà
umbra si è cercato di integrare le cure ospedaliere e quelle territoriali, anche domiciliari per rendere
sempre più efficace il trattamento dei pazienti che necessitano di continuare il percorso terapeutico
iniziato presso la struttura ospedaliera. La presa in carico del paziente significa anche assicurare
continuità all’iter terapeutico assistenziale per stabilizzare i risultati conseguiti e favorire il recupero
funzionale.
Nella Regione Umbria hanno avuto successo gli ospedali di distretto in cui i medici di medicina
generale, sotto la propria responsabilità, ricoverano i propri pazienti che, ai fini terapeutici,
abbisognano di cure da svolgere, più appropriatamente, in una struttura con presenza
infermieristica. In Umbria c’è storicamente una forte rete di servizi territoriali “classici” che
mantengono tuttora la loro validità e sono, come ovvio soggetti ad una continua rivisitazione in
relazione alle esigenze espresse dal territorio di riferimento. Maggiori sono le difficoltà economiche e
sociali del territorio, più sono richiesti questi servizi, con un conseguente aumento del livello di
complessità.
o
Quali sono, a suo avviso, gli impatti di questi cambiamenti sulla struttura dell’ASL, sulla sua gestione
e sull’interpretazione dei ruoli?
Bisogna continuamente inventarsi nuovi modelli organizzativi e di gestione del servizio, non bisogna
irrigidirsi su modelli precostituiti. Nella Regione Umbria ci sono cicli di programmazione regolari, c’è
la consapevolezza che non ci sono mai dei punti di arrivo.
Per offrire un buon servizio occorre poi che i processi di lavoro siano condivisi con i professionisti.
Anche l’area centrale (burocratica/amministrativa) sta cambiando rispetto al passato, divenendo
sempre più di accompagnamento all’erogazione dei servizi. Di contro anche nella nostra Regione
sono in atto dei processi di aggregazione amministrativa delle aziende per la gestione di procedure
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comuni. La figura del direttore generale assume sempre di più il connotato di un professionista atto
a declinare il concetto di fare sistema sviluppando il coinvolgimento di tutti gli attori: una
condivisione del progetto con i differenti professionisti con le Istituzioni locali e con le altre Aziende
della Regione.
o Sempre più, anche nella Sanità pubblica, sembra evidenziarsi la necessità di consolidare e sviluppare
nuove competenze relativamente, ad esempio, a: controllo di gestione, pianificazione
strategica, gestione manageriale. Qual è la sua opinione al riguardo? Quali sono le competenze da
sviluppare in futuro?
La gestione di budget non può diventare un’ossessione per i professionisti ma un’opportunità se
sostenuta da adeguata motivazione. Bisogna insistere sul criterio della sostenibilità economica del
sistema. È su questo aspetto che vanno valorizzati i medici della sanità pubblica che supportino i
professionisti delle varie discipline e li aiutino nell’acquisizione della consapevolezza.
In questi ultimi anni, inoltre, si è osservata una notevole crescita del comparto. I servizi sanitari
funzionano di più e meglio se al loro interno si è in grado di valorizzare tutte le competenze presenti
e non solo le competenze mediche.
Le competenze da sviluppare nel futuro credo quindi che siano quelle necessarie a garantire la
sostenibilità economica del sistema, la valorizzazione delle professionalità presenti, la
responsabilizzazione dei centri di spesa. La responsabilizzazione facilita la razionalizzazione del
sistema e un uso appropriato delle risorse.
o Cosa ci si aspetta da un manager nella Sanità pubblica? Quali sono le aspettative dell’azienda e
quali quelle del cittadino? In cosa si differenzia da una manager che opera nella Sanità privata?
Cambia l’approccio più che la tecnica: se deve essere avviato un nuovo servizio, il manager che
opera nella Sanità pubblica deve affrontare il problema del rapporto costi/benefici, deve valutare il
costo rispetto al fatturato, ma deve essere aperto ed attento ad avviare un dialogo costruttivo con la
realtà territoriale di riferimento e non ha il problema di fare profitto. Nella Sanità pubblica, i soldi
spesi bene non danno un utile, ma consentono di avviare nuovi servizi. Comunque nella realtà
umbra il settore privato è complementare a quello pubblico, non è aggressivo o speculativo ed ha
confini ben delineati e accettati. C’è, di fatto, e nelle regole condivise, un’accettazione reciproca
basata su ambiti chiari di intervento.
o
In sintesi, dunque, quali ritiene siano i fattori chiave di successo nella Sanità pubblica?
Ritengo che i principali fattori di successo siano: la sensibilità alle istanze sociali ed alla centralità
della persona; la flessibilità; considerare l’azienda pubblica come se fosse una cosa propria, questo
implica una costante lotta agli sprechi ed un’amministrazione oculata; la consapevolezza che le
risorse umane a disposizione devono essere utilizzate al meglio; l’attenzione all’organizzazione,
occorre, infatti, mandare alla struttura organizzativa messaggi non equivoci, coerenti e trasparenti
per quanto attiene il programma, il metodo, lo stile, il rapporto con le differenti professionalità.
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