filtri e drenaggi - Geotecnica e Ingegneria

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filtri e drenaggi - Geotecnica e Ingegneria
PROGETTAZIONE GEOTECNICA
FILTRI E DRENAGGI
Dott.Ing. Stefano Busana
MAGGIO 2012
PARERE DI UNA GIOVANE COLLEGA
“Forse è proprio la banalità di questi metodi [di
Terzaghi per la verifica dei filtri] che ha portato
alcuni progettisti a ritenere banale il
funzionamento di un filtro o di un dreno, ed è
così che spesso i criteri non vengono insegnati ai
giovani ingegneri. Ritengo invece che la
conoscenza dell’argomento sia fondamentale”
PROCESSO DI FILTRAZIONE NEI TERRENI (1)
Tutti i terreni sono caratterizzati da una struttura principale di
particelle: uno scheletro continuo di grani di diverse dimensioni
in contatto tra loro, sottoposto ai carichi esterni e in grado di
trasferisce le tensioni.
Entro lo scheletro sono inglobate particelle di dimensioni
minori, che non partecipano, in primis, alle vicende tensionali.
Nella figura è rappresentato uno scheletro costituito da sfere
fotosensibili, soggetto ad un carico esterno, con le catene di forza
ben visibili che si sviluppano solo lungo particolari particelle più
luminose mentre le altre, più scure, non partecipano alla
trasmissione del carico
PROCESSO DI FILTRAZIONE NEI TERRENI (2)
PROCESSO DI FILTRAZIONE NEI TERRENI (3)
PROCESSO DI FILTRAZIONE NEI TERRENI (4)
Le particelle “scariche” possono spostarsi nei pori
confinanti se sufficientemente piccole: se le
“costrizioni” (le strette gole che congiungono due pori)
nella rete dei pori dello scheletro principale sono più
grandi delle particelle inglobate, queste ultime possono
essere trasportate
IMPIEGHI DEI MANTI DRENANTI
DELL’ACQUA
I “tappeti o manti drenanti” sono utilizzati in una varietà di
strutture geotecniche:
nelle dighe e negli argini in materiale sciolto, e a tergo dei muri
di sostegno, per contenere le pressioni neutre che influenzano
sfavorevolmente i risultati delle verifiche di stabilità;
nei rilevati per infrastrutture, per accelerare il decorso della
consolidazione;
nelle discariche: vengono inseriti all’interno del sistema di
copertura finale, tra lo strato vegetale di copertura e la barriera
sottostante, (i) per ridurre al minimo l’infiltrazione di acqua
meteorica attraverso la barriera idraulica e del biogas, (ii) per
drenare lo strato di protezione, pur garantendo l’umidità
necessaria alla crescita della vegetazione in superficie, (iii) per
ridurre le pressioni neutre, evitando che la saturazione dello
strato crei problemi di instabilità del pendio; vengono impiegati
anche sul fondo, per raccogliere e far defluire il percolato.
TIPOLOGIA DEI MANTI DRENANTI
DELL’ACQUA
I materiali costituenti gli strati drenanti possono
essere:
granulari, ghiaia e sabbia;
geosintetici, geotessili, georeti e geocompositi.
Nel caso di contatto con strati di terreni fini è
necessario prevedere un filtro, in sabbia o
geotessile, che impedisca l’intasamento dello
strato drenante, causato dalla migrazione di
particelle fini all’interno del flusso liquido
GENERALITA’ SULLA STRUTTURA DI UNO
STRATO DRENANTE GRANULARE
Uno strato drenante granulare deve risultare
internamente stabile.
Un materiale può definirsi stabile se la sua
struttura non subisce variazioni nel tempo.
Uno strato granulare necessita di una
progettazione ispirata al concetto di
self-healig o autoprotezione del mezzo
poroso.
SELF-HEALING O AUTOPROTEZIONE
DEL MEZZO POROSO GRANULARE
Uno strato drenante granulare risulta autoprotetto se:
il materiale costituente non presenta coesione
interna
tale fenomeno andrebbe a compromettere la
capacità di “autocicatrizzazione” dello strato, a fronte
di assestamenti del piano di posa sottostante
(particolarmente sensibili nelle discariche)
verifica il criterio di compatibilità granulometrica
per i filtri granulari
lo scopo è quello di evitare il depauperamento della
frazione fine, assicurando la distribuzione uniforme
delle diverse classi granulometriche all’interno del
medesimo materiale
MANCANZA DI COESIONE INTERNA DELLO
STRATO GRANULARE
Occorre evitare:
la coesione da “interlocking” legata alla
forma allungata delle particelle, utilizzando
grani tondeggianti
la cementazione del materiale granulare,
selezionando sabbie e ghiaie composte da
minerali stabili, anziché materiali
potenzialmente solubili, come i calcari
FILTRI: SITUAZIONI LIMITE
D’INTERFACCIA
Gli inconvenienti che sorgono al contatto tra
due materiali di composizione
granulometrica diversa e interessati da un
moto di filtrazione orientato dal materiale a
grana fine verso quello a grana grossa, sono
riconducibili a due situazioni limite:
situazione limite di “intasamento”
situazione limite di “erosione”
SITUAZIONE LIMITE D’INTASAMENTO
Si verifica quando i pori del materiale
più grossolano vengono gradualmente
occlusi dalle particelle del materiale
più fine (di base) fino a un livello tale
da precluderne l’efficienza idraulica
SITUAZIONE LIMITE D’EROSIONE
Si verifica quando le particelle fini del
materiale di base passano attraverso i
vuoti del materiale più grossolano e
vengono portate via dal flusso liquido.
Tale fenomeno genera nel terreno di
base una progressiva erosione, che può
evolversi fino alla formazione di un
vero e proprio condotto all’interno del
materiale di base, in modo tale da
pregiudicare la stabilità dell’opera
FUNZIONE DEL FILTRO
Per fronteggiare le suddette condizioni
limite, è necessario l’inserimento,
all’interfaccia tra i due materiali, di
un filtro, ovvero di una zona di
transizione con porometria intermedia
tra quella più fine del materiale di
base e quella del materiale più grosso.
SITUAZIONE LIMITE D’ACCECAMENTO
Se il filtro è realizzato in geotessile, si ha un
ulteriore stato limite detto di accecamento
(blinding), che avviene quando il flusso
idraulico sposta particelle di terreno di
base e queste si accumulano sull’interfaccia
terreno di base-filtro, creando una zona a
bassa permeabilità che genera l’insorgenza
di elevate pressioni dell’acqua, con
conseguenti effetti sulla stabilità della
struttura
CONTRAPPOSTE ESIGENZE IN UN
FILTRO DI MATERIALE NATURALE
Un filtro di materiale naturale non è
altro che uno strato granulare che
deve avere vuoti sufficientemente
grandi da permettere un facile
passaggio del fluido, ma anche
sufficientemente piccoli per impedire il
passaggio delle particelle fini del
terreno attraverso gli interstizi tra i
grani
GEOMETRIA DEI FILTRI GRANULARI (1)
E’ descritta dai seguenti parametri:
porosità n che rappresenta il rapporto
tra il volume dei vuoti e il volume
totale
distribuzione granulometrica del
materiale
forma delle particelle
GEOMETRIA DEI FILTRI
GRANULARI (2)
Un parametro per caratterizzare i mezzi filtranti
naturali è il “constriction size” O f o diametro dei pori. È
equivalente al diametro della particella più grande che
ha la possibilità di passare in un mezzo filtrante ed ha
lo stesso significato dell’“equivalent opening size OPS”
usato per caratterizzare la rete di vuoti in un geotessile.
Questo parametro è molto utile perché aiuta a
determinare quantitativamente una misura della
dimensione dei canali all’interno di un filtro granulare,
e di conseguenza a capirne il processo di filtrazione.
FILTRATION OPENING SIZE (1)
Se si ipotizza che tutte le sfere costituenti il
materiale granulare abbiano lo stesso diametro d, si
possono considerare due situazioni limite:
•Massimo addensamento, che si ottiene attraverso
una disposizione tetraedrica di particelle sferiche;
• Minimo addensamento, che si ottiene attraverso
una disposizione cubica di particelle sferiche
(consente la maggiore mobilitazione di particelle).
FILTRATION OPENING SIZE (2)
Nel caso in cui si abbia una distribuzione random di
particelle, come avviene in un materiale granulare,
il diametro dei pori O f dipende anche dallo spessore
del filtro.
FILTRATION OPENING SIZE (3)
Vi è una netta
“constrictions”:
distinzione
tra
pori
e
un poro è caratterizzato dal suo volume, che è
quello compreso tra particelle adiacenti,
mentre
“constriction size” è il diametro O f della sfera
più grande che è in grado di passare
nell’intercapedine creata da sfere adiacenti.
FILTRATION OPENING SIZE (4)
FILTRATION OPENING SIZE (5)
Se lo spessore del filtro aumenta,
aumentando le lunghezze dei percorsi, allora
si ha una maggiore probabilità che esistano,
per ogni percorso, delle intercapedini molto
piccole.
FILTRATION OPENING SIZE (5)
FILTRATION OPENING SIZE (6)
Il diametro di filtrazione di un filtro granulare
è “comandato” dal diametro della sua più
piccola particella ed è legato alla lunghezza di
filtrazione, che è proporzionale al numero di
intercapedini che una particella deve
attraversare durante la filtrazione.
PERMEABILITA’ DI UN FILTRO (1)
Relazione empirica, funzione del prodotto
D5*D10, :
k = 1 . 02 ⋅ ( D 5 ⋅ D10 )
0 . 93
dove k è espressa in cm/sec e D5*D10 in mm2.
PERMEABILITA’ DI UN FILTRO (2)
PERMEABILITA’ DI UN FILTRO (3)
EQUAZIONE DI KOZENY – VON KARMAN
Valida quando il moto è laminare tanto per un mezzo granulare che per
un geotessile non tessuto:
3
2
avg
d
β ⋅ ρw ⋅ g n
k=
⋅
⋅
2
ηw
(1− n) 36
Nel caso di materiale granulare:
β = fattore di forma che tiene conto della tortuosità = 0.1
ρw = 1000 kg/m3
g = 9.81 m/s2
ηw = 10-3 kg/(m*s)
n =1/3
k = 2270
⋅d
2
avg
PERMEABILITA’ DI UN FILTRO (4)
La permeabilità di un filtro, compatibilmente
con il rispetto degli altri criteri dei filtri, dovrà
essere la più alta possibile, rispetto a quella del
terreno base. Dalle relazioni appena esposte si
può dedurre che uno strato che rispetti il
criterio di Terzaghi sarà approssimativamente
16 volte più permeabile del terreno base,
essendo la proporzionalità di tipo quadratico.
Altre fonti sostengono che kfiltro>100kterreno.
CRITERI DI PROGETTAZIONE DEI
FILTRI GRANULARI (1)
Per assolvere la sua funzione nel tempo il filtro
dev’essere progettato secondo i seguenti criteri:
1. Criterio di ritenzione
2. Criterio di permeabilità
3. Criterio di autostabilità
CRITERIO DI RITENZIONE
Il materiale costituente il filtro deve
avere pori sufficientemente piccoli da
bloccare la migrazione delle particelle
fini dal terreno di base al filtro, evitando
di conseguenza l’erosione del terreno di
base e l’intasamento del filtro
CRITERIO DI PERMEABILITA’
Il filtro deve avere una porometria tale
da consentire il libero passaggio del
liquido fluente attraverso il terreno,
senza provocare innalzamenti della
pressione neutra nella zona di contatto.
Quindi il filtro deve essere molto più
permeabile del terreno più fine col
quale è a contatto
CRITERIO DI AUTOSTABILITA’
Il materiale costituente il filtro deve
essere stabile, in modo da non subire nel
tempo, sotto l’azione di trascinamento
esercitata dal fluido, apprezzabili
variazioni locali della composizione
granulometrica e della permeabilità
CRITERI DI TERZAGHI (1)
Terzaghi (1922) ha proposto queste due
regole:
D 15
< 4
d 85
(criterio di ritenzione)
D 15
> 4
d 15
(criterio di permeabilità)
CRITERI DI TERZAGHI (2)
US C.o.ENG. E PRIMA
CONCLUSIONE
L’ US Corps of Engineers (1941) prescrive che il
coefficiente di uniformità del filtro soddisfi la
D 60
relazione:
C =
≤ 20
D 10
In ogni caso, con le regole sopraindicate sono
soddisfatti il criterio di ritenzione e quello di
permeabilità, ma non è soddisfatto il criterio di
autostabilità. Questi metodi empirici, infatti,
trascurano i parametri relativi alla porosità, alla
distribuzione dei vuoti, allo spessore del filtrodreno, dai quali il processo di intasamento-erosione
dipende.
COEFFICIENTE DI UNIFORMITA’
La pendenza della curva granulometrica è
indicativa dell’uniformità del terreno: quanto più la
curva è verticale tanto più omogeneo, dal punto di
vista
granulometrico,
risulta
il
terreno.
L’uniformità è espressa dal relativo coefficiente,
dove D60 è il diametro corrispondente al 60% di
passante, e D10 il diametro corrispondente al 10% di
passante. L’uniformità è massima per C=1; si parla
di materiale praticamente monogranulare, fino a
C=2, di materiale poco graduato fino a C=6; per
valori superiori di materiale ben graduato e per
C>15 di materiale decisamente ben graduato.
CAUSE DEL PIPING (1)
Ritornando al concetto di scheletro solido definito
all’inizio, le “costrizioni” sono variabili in dimensione e
numero, in funzione della distribuzione in numero
delle particelle del terreno. Se esiste una deficienza in
numero di particelle di un certo intervallo
granulometrico, allora esisterà una corrispondente
deficienza in numero di costrizioni di dimensioni tali
da non poter bloccare, sotto l'azione di trascinamento
del flusso d'acqua, le particelle più piccole alle quali
sarà permesso un continuo passaggio, innescando un
fenomeno di erosione che si sviluppa in diverse fasi
CAUSE DEL PIPING (2)
Inizialmente si ha una migrazione di poche particelle
all'interno del terreno, la cosiddetta “soffusione”, con la
quale non si hanno variazioni di volume nel terreno e lo
scheletro solido continua ad essere sostanzialmente
stabile. All'aumentare del gradiente idraulico e man
mano che queste particelle migrano, aumentano le
dimensioni dei canalicoli, sin quando si creano canali di
dimensioni maggiori in cui la permeabilità è molto
elevata, rispetto al restante terreno, e in cui l'acqua
fluisce senza incontrare ostacoli portando sensibili
variazioni dello scheletro solido ed una erosione del
terreno (piping)
SELF HEALING (1)
Nei terreni internamente instabili (self healing),
l’insorgere della soffusione, ovvero della
migrazione delle particelle fini attraverso le
costrizioni e i pori dello scheletro solido, è
subordinato al verificarsi di due condizioni: una
condizione geometrica ed una idraulica
SELF HEALING (2)
Affinché si instauri il movimento delle
particelle fini è necessario che esistano delle
“costrizioni” di dimensioni maggiori delle
particelle (condizione geometrica) e …
SELF HEALING (3)
… che la forza di trascinamento,
esercitata dal flusso, sia tale da vincere
tutte le forze (spinta di galleggiamento,
forza d’attrito tra grani e forze di Wan
del Walls) che possano opporsi al moto
(condizione idraulica)
SELF-HEALING: METODO DI
MUSSO – FEDERICO (1)
E’ un metodo di analisi geometricoprobabilistica basata sul processo di
diffusione particellare all’interno di un
mezzo poroso sotto l’azione di un fluido
filtrante (1983).
SELF-HEALING: METODO DI
MUSSO – FEDERICO (2)
Nei mezzi granulari, siano essi filtri o drenaggi, la
funzione filtrante deve essere garantita nel tempo
attraverso una granulometria assortita che
impedisca il verificarsi di fenomeni di erosione o
intasamento. Questo spiega il motivo per cui i
criteri per la verifica dell’autostabilità dei filtri
granulari sono sfruttati anche negli strati drenanti
granulari. La differenza sta nel fatto che in
quest’ultimo caso si verifica la stabilità di un
materiale unico, mentre nel caso dei filtri si ha una
curva granulometrica per il materiale di base e
un’altra per il filtro.
SELF-HEALING: METODO DI
MUSSO – FEDERICO (3)
Considerano la curva granulometrica
caratteristica del materiale granulare in
esame e per ogni generico diametro d
praticano un taglio, ottenendo due
curve granulometriche distinte, una del
“fino” per d < d e una del “grosso” per
d ≥ d
SELF-HEALING: METODO DI
MUSSO – FEDERICO (4)
Applicando il criterio di Terzaghi per
ogni “taglio”:
D 15
d 85
< 4
non c’è depauperamento del materiale
granulare, cioè la frazione fine non
viene dispersa, dal momento che “il
grosso del fino” d85 è trattenuto dal
“fino del grosso” D15.
TERRENI TESTATI (1)
*I Materiale diga Zoccolo
*II Materiale diga Maria al Lago
*III Materiale diga Monte Cotugno
IV Campione di materiali a grana grossa
V Il medesimo campione selezionato
VI Materiale teorico con K stimato pari a 10-3÷10-2 cm/s
*curva granulometrica media
MATERIALI TESTATI (2)
SELF-HEALING: METODO DI
MUSSO – FEDERICO (5)
Gli Autori evidenziano come i materiali
granulari di origine alluvionale non verificano il
criterio di Terzaghi per certi diametri,
corrispondenti alla “coda di fino”, e quindi non
dovrebbero risultare internamente stabili.
Ciò, però, non vuol dire che il materiale
granulare non sia stabile, e che tutta la frazione
fine venga dispersa, causando il
depauperamento del mezzo poroso, ma che si
verifichi semplicemente una certa migrazione
del “fino”.
SELF-HEALING: METODO DI
MUSSO – FEDERICO (6)
Intuitivamente, una particella di “fino” che si
muove tra i vuoti intergranulari, spinta
dall’azione di un flusso liquido verticale, ha due
possibilità:
a) che scorra attraverso i vuoti senza alcuna
difficoltà e che fuoriesca dallo strato poroso;
b) oppure che la particella ad un certo punto si
fermi, in corrispondenza di un vuoto di
dimensioni inferiori alla propria e che quindi
rimanga intrappolata all’interno dello strato
granulare.
SELF-HEALING: METODO DI
MUSSO – FEDERICO (7)
La valutazione della probabile lunghezza del percorso di
una particella di “fino” all’interno di un mezzo granulare
dipende dalle dimensioni dei pori e dal numero dei vuoti che
la particella di diametro d potrà attraversare, fino ad
incontrare un poro con diametro Dv<d. Il problema viene
risolto determinando la probabilità che quest’ultima
condizione venga realizzata dopo m confronti fra d e una
serie di Dv, assumendo un determinato valore P0 del livello
di confidenza. Infatti se si ammette che per ciascun
confronto la particella avanzi di una quantità s, la lunghezza
totale S del percorso probabile della particella può essere
facilmente calcolata come S = m ⋅ s .
METODO DI MUSSO – FEDERICO:
PASSI DEL PROCEDIMENTO
a) distribuzione dei vuoti del mezzo poroso, che si
modifica continuamente nel corso del processo di
diffusione particellare;
b) numero dei confronti necessari per individuare
almeno un poro con dimensioni inferiori a quelle
della particella;
c) percorso unitario s compiuto dalla particella di
“fino”, per ogni confronto fra le dimensioni di
questa e le dimensioni dei pori;
d) percorso totale S, compiuto dalla particella al
termine di tutti i possibili confronti
DISTRIBUZIONE DEI VUOTI (1)
(SILVEIRA – 1965)
DISTRIBUZIONE DEI VUOTI (2)
METODO DI MUSSO – FEDERICO:
COEFFICIENTE DI SICUREZZA
Se lo spessore dello strato è
convenientemente maggiore del
percorso probabile S si può concludere
che il materiale è “autoprotetto”.
DIAMETRO CRITICO (1)
Il “diametro critico” (Dc) è la misura caratteristica
delle particelle che attraversano il filtro ed è pari al
loro D95.
Tale parametro, evidentemente, dipende dallo
spessore del filtro, ma non sarebbe corretto ritenere
che filtri granulari molto spessi impediscano
totalmente il passaggio delle particelle fini. Si può
solamente affermare che la probabilità che queste
attraversino il filtro è “molto bassa”, in accordo con
la filosofia del metodo stocastico
DIAMETRO CRITICO (2)
Il valore del diametro critico di un terreno
internamente instabile è importante,
soprattutto se si desidera impiegare un
filtro di geotessile, perché consente di
scegliere opportunamente l’apertura
caratteristica del filtro Of, evitando che
si raggiungano gli stati limite di
intasamento e di accecamento
GEOTESSILI(1)
I geotessili (termine coniato da Giraud e Perfetti nel
1977, tessuti e/o non tessuti), sono impiegati
diffusamente già a partire dagli anni ‘60-’70 e hanno
notevolmente modificato i criteri di progettazione dei
dreni, introducendo riduzioni di costi talvolta
sensibili. I geotessili possono assolvere diverse
funzioni: il controllo dei processi di filtrazione e
drenaggio; la separazione delle fasi terrose a diversa
granulometria; il rinforzo delle terre
GEOTESSILI(2)
Tra i principali vantaggi dell’impiego dei geotessili, si
ricordano i seguenti:
evitano l'impiego di materiali a granulometria differenziata,
quali si richiedono per la realizzazione dei filtri nelle zone di
raccordo tra materiali a granulometrie diverse, non sempre
reperibili a basso costo. Evitano problemi di vagliatura;
evitano o riducono le operazioni di drenaggio e bonifica del
terreno di fondazione;
riducono i costi di manodopera per posa, manutenzione e
ripristino
GEOTESSILI(3)
La complessità progettuale e realizzativa dei
filtri granulari e i costi ridotti dei geotessili
farebbero propendere per questi ultimi.
Tuttavia è necessaria un’attenta progettazione
di tali componenti, che spesso di trascura o si
demanda ad altre figure professionali
FILTRI IN GEOTESSILE(1)
Un filtro in geotessile può essere realizzato con geosintetici
tessuti o non-tessuti, ed è caratterizzato dal diametro di
filtrazione Of, parametro che va scelto dal progettista tenendo
conto dei seguenti stati limite:
a) Erosione del terreno di base: avviene se le dimensioni dei
pori del filtro sono troppo grandi e quindi non in grado di
trattenere il movimento delle particelle dal terreno di base.
b) Accecamento (blinding): avviene quando il flusso idraulico
sposta particelle del terreno di base con dimensioni più grandi
di quelle dei pori del geotessile e queste si accumulano
all'interfaccia terreno di base-filtro; si viene a creare così una
zona a bassa permeabilità, con l'insorgere di elevate pressioni
dell'acqua e i conseguenti effetti sulla stabilità della struttura
FILTRI IN GEOTESSILE(2)
c) Intasamento (clogging): avviene quando il movimento delle
particelle del terreno di base porta all'occlusione dei pori del
filtro e alla diminuzione della permeabilità dello stesso, il
fenomeno produce un decremento della capacità di drenaggio
del sistema filtrante.
d) Sollevamento del filtro: avviene quando i carichi idraulici
producono il distacco ciclico dovuto alla discontinuità del
contatto fra filtro in geotessile e strato di protezione esterna
(rip-rap).
Si osserva immediatamente che gli stati limite a) e c) sono
tipici anche dei filtri in materiale granulare, mentre gli stati
limite b) e d) interessano principalmente i geotessili.
STATO LIMITE DI EROSIONE
STATO LIMITE DI BLINDING
STATO LIMITE DI INTASAMENTO
STATO LIMITE DI SOLLEVAMENTO
FILTRI IN GEOTESSILE(3)
L’erosione e l’intasamento possono essere
evitati verificando il filtro in geotessile
con i consueti metodi utilizzati per i filtri
granulari.
Molti autori hanno proposto specifici
metodi concepiti per i geotessili
FILTRI IN GEOTESSILE(4)
L'accecamento del geotessile è un fenomeno
direttamente correlato alla stabilità interna del
mezzo granulare posto a contatto; valgono
quindi i criteri di auto stabilità già trattati; il
diametro di filtrazione del geotessile andrà
preso pari al diametro critico del materiale
(Dc)
FILTRI IN GEOTESSILE(5)
Se, da un lato, i geotessili semplificano la realizzazione dei
filtri, in termini di tempi e costi, dall’altro bisogna sempre
garantire una corretta progettazione e posa in opera; infatti
errori in queste fasi possono rapidamente portare al collasso
del sistema.
Un foro nel geotessile permette il rapido passaggio di
particelle, non più ritenute, mentre un filtro in materiale
granulare non ha evidentemente questo problema e gli elevati
spessori possono garantire un certo margine di sicurezza alle
prestazioni dello strato.
FILTRI IN GEOTESSILE(6)
Da non sottovalutare è il tema della durabilità del
materiale: è infatti noto che alcuni polimeri hanno
problemi a contatto con fluidi inquinati o a pH molto
basso o molto alto e degradano rapidamente se colpiti da
raggi ultravioletti; in generale, questi problemi non
sussistono, o sono meno gravosi nei materiali granulari.
La scelta del filtro in materiale naturale oppure in
geotessile va studiata di caso in caso, considerando gli
aspetti economici, di posa in opera, di manutenzione e
ripristino, assicurando adeguati margini di sicurezza
GEOCOMPOSITI DRENANTI(1)
I geocompositi drenanti sono componenti artificiali
comunemente realizzati tramite accoppiamento di uno o più
filtri in geotessile con un’anima interna ad elevato indice dei
vuoti (spesso una georete o una geomembrana cuspidata. In
questo caso il geocomposito è anche impermeabilizzante).
I geotessili usati come filtri hanno il compito di impedire alle
particelle di terreno di intasare l’anima, adibita a convogliare
e smaltire l’acqua captata.
Questi componenti hanno spessori molto inferiori rispetto a
quelli necessari agli strati drenanti granulari, pur garantendo,
se ben progettati, efficienze paragonabili
GEOCOMPOSITI DRENANTI (2)
GEOCOMPOSITI DRENANTI (3)
GEOCOMPOSITI DRENANTI(4)
La capacità di flusso di un drenaggio geocomposito
può essere ridotta dalle stesse cause che intervengono
anche negli strati granulari: intasamento dovuto alla
migrazione delle particelle fini, intasamento dovuto a
fattori chimici e biologici.
In più il geocomposito è molto sensibile ai carichi
sovrastanti, a breve termine (per cause meccaniche) e
a medio-lungo temine (per fenomeni viscosi), che
possono ridurne lo spessore.
In uno strato granulare lo spessore non è
sensibilmente influenzato dal carico sovrastante
ANALISI DEL MOTO DI
FILTRAZIONE
ALL’INTERNO DEGLI
STRATI DRENANTI DELLE
DISCARICHE
VALIDA PER I DRENAGGI DELL’ACQUA
METEORICA E DEL PERCOLATO
Tratta da J.P. Giroud, J.G. Zornberg e A. Zhao
(Hydraulic design of geosynthetic and granular liquid
collection layers, Geosynthetics International, vol.7,
2000)
SCHEMA DEL SISTEMA BARRIERA DI
CONFINAMENTO ARTIFICIALE PREVISTO
DAL D.LGS. 36/2003
1. Strato drenante s ≥ 50 cm
2. Geomembrana
3. Strato minerale compattato
s ≥ 100 cm k ≤ 1x10-9 m/s
Barriera geologica
SCHEMA DEL PACCHETTO DI COPERTURA
PREVISTO DAL D.LGS. 36/2003
1. Strato vegetale s ≥ 100 cm
2. Strato drenante deflusso
ipodermico s ≥ 50 cm
3. Strato minerale compattato
s ≥ 50 cm k ≤ 1x10-8 m/s
4. Strato drenaggio biogas
s ≥ 50 cm
5. Strato di regolarizzazione
Rifiuti
SEZIONE VASCHE
PARTICOLARE PACCHETTO DI FONDO
SEZIONE DISCARICA A FINE COLTIVAZIONE
PARTICOLARE DEL PACCHETTO DI
COPERTURA
VALUTAZIONE DELLA
PORTATA DEL DRENAGGIO
BILANCIO IDROLOGICO
BILANCIO IDROLOGICO DI UNA DISCARICA (1)
P = precipitazioni meteoriche
R = ruscellamento superficiale dalla discarica
E,T = evaporazione e traspirazione
S = infiltrazioni di acque superficiali
G = infiltrazioni di acque sotterranee
R* = ruscellamento dalle aree circostanti
∆US = variazione del contenuto d’acqua del materiale di copertura
∆UW = variazione del contenuto di acqua dei rifiuti depositati
b = produzione o consumo di acqua associabile alle reazioni biochimiche di degradazione aerobica e anaerobica della S.O. dei rifiuti.
Li = percolato che si infiltra nel terreno sottostante
Lr = quantità di percolato raccolta
L = quantità di percolato globalmente prodotta
Pi = pioggia che si infiltra nello strato di copertura
Pe = pioggia percolante negli strati di rifiuto
BILANCIO IDROLOGICO DI UNA DISCARICA (2)
L = Pi + S + G + (∆
∆US + ∆UW) + b
In cui:
Pi = P + R* - R - E – T
rappresenta la quantità di pioggia che penetra per infiltrazione attraverso lo strato
del materiale di copertura, e
Pe = Pi + f(S + G) - ∆US
è l’acqua percolante negli strati di rifiuto, e quindi interessata ai fenomeni di
trasporto solido-liquido in seguito ai quali essa viene contaminata dalle sostanze
organiche e inorganiche rilasciate dai rifiuti. f(S + G) rappresenta la frazione di
acqua di infiltrazione che by-passa la massa dei rifiuti non entrando in contatto
con essi, costituendo quindi un’acqua di diluizione che influirà sulle
caratteristiche qualitative del percolato.
Infine:
Lr = L - Li
BILANCIO IDROLOGICO DI UNA DISCARICA (3)
In fase di gestione post-operativa:
P eff. = P – ETR = I + R
P = volume di acqua di pioggia affluita al bacino
ETR = volume di acqua sottratta al bacino per
evapotraspirazione “effettiva”
R = volume di deflusso superficiale (ruscellamento o
runoff)
I = volume di acqua che si infiltra nel sottosuolo
EVAPOTRASPIRAZIONE POTENZIALE ETP
Formula di Thornthwaite
Evapotraspirazione potenziale (ETP) mensile Epj
tj =
temperatura media del mese j-esimo espressa in °C;
bj =
coefficiente correttivo, che tiene conto della lunghezza media del giorno nei
vari mesi dell'anno e che quindi dipende dal mese che si considera e dalla
latitudine alla quale si trova il sito cui si riferisce il calcolo;
I=
somma degli indici termici mensili, ciascuno
espresso dalla
ETP E ETR PIANURA VENETA
gennaio
febbraio marzo aprile
maggio giugno
luglio
agosto settembre ottobre novembre dicembre totali/medie
%
P (mm)
39,56
34,68
42,65
71,64
76,62
71,67
42,61
66,88
73,56
74,38
74,11
63,33
t media (°C)
4,11
6,54
10,95
14,36
19,69
23,10
24,36
24,56
18,94
14,00
8,59
4,36
14,46
b a 45° lat.
0,76
0,80
1,02
1,14
1,31
1,33
1,34
1,23
1,05
0,93
0,77
0,72
1,03
i
0,74
1,50
3,28
4,94
7,97
10,15
10,99
11,13
7,51
4,75
2,27
0,81
66,03
ETP (mm)
5,80
12,61
35,86
61,09
114,80
149,45
163,50
152,00
86,59
47,91
18,56
6,03
854,19
ETR (mm)
5,80
12,61
35,86
61,09
76,62
71,67
42,61
66,88
73,56
47,91
18,56
6,03
519,19 70,96%
Delta (mm)
33,75
22,07
6,79
10,55
-
-
-
-
26,48
55,56
57,30
212,49 29,04%
-
731,68 100,00%
RISCONTRI DI S. MELCHIOR
Runoff
ET + dW
Deflusso ipodermico
Infiltrazione barriera
P (mm)
ETR (mm)
P eff. = P - ETR = I+R =
A/D 20% A/D 4% A/D/G 20% A/D/G 4%
0,37%
0,25%
0,37%
0,25%
57,96% 62,83%
62,21%
65,94%
34,21% 27,56%
37,27%
33,65%
7,47%
9,36%
0,15%
0,15%
100,00% 100,00%
100,00% 100,00%
Melchior
731,68 100,00% 100,00% 731,68
519,19 70,96% 65,94% 482,47
212,49 29,04% 34,06% 249,20
RUSCELLAMENTO E INFILTRAZIONE
R = C x Peff.
C = coefficiente di ruscellamento, funzione del tipo e della pendenza della copertura
C (Berardi: % di P eff.)
Pendenza
Tipo di copertura
<2% 2-10% >10%
Inerbito
25,00% 30,00% 30,00%
Terra liscia
60,00% 65,00% 70,00%
Runoff secondo Berardi con pendenza 4% (mm)
Runoff secondo Melchior con pendenza 4% (mm)
Infiltrazione I (mm)
74,76
1,69
174,44
10,22%
0,34%
23,84%
PORTATA DI PROGETTO DEL DRENAGGIO
Curve segnalatrici di possibilità pluviometrica: h = a τ n (stazione di Cerea Vangadizza)
Tr (anni)
50
a
57,27
n
0,262
Per τ (ore),
12
h (mm/h)
9,151482
% Infiltrazione
23,84%
Infiltrata (mm/h)
2,18
Infiltrata (m3/h/m2)
2,18E-03
Infiltrata (m3/s/m2)
6,06E-07
CARATTERISTICHE DEL MOTO DI
FILTRAZIONE NEGLI STRATI DRENANTI
FLUSSO NON CONFINATO (non in pressione), onde evitare
l’infiltrazione del liquido nella barriera impermeabile
sottostante, nonché la potenziale instabilità, causata dalla
sovrappressione, nello strato superiore
MOTO LAMINARE , rappresenta la condizione di
applicabilità della nota legge di Darcy: v=k.i (in realtà questa
approssimazione potrebbe non essere valida nei GCD, in cui
il moto potrebbe risultare di transizione o addirittura
turbolento)
MOTO PERMANENTE, GRADUALMENTE VARIO, ovvero
la portata all’interno dello strato aumenta uniformemente
lungo il percorso
PORTATA SPECIFICA ENTRANTE COSTANTE, qh,
corrispondente all’acqua meteorica infiltrata attraverso lo
strato vegetale sovrastante
SCHEMA DI CALCOLO
ANDAMENTO DELLA SUPERFICIE LIQUIDA
Dipende da:
portata specifica entrante qh [m3/s/m2]
permeabilità del materiale costituente k [m/s]
pendenza dello strato tanb
E’ caratterizzato dal parametro adimensionale:
qh
λ=
κ ⋅ tan 2 β
CONDIZIONE LIMITE DI FLUSSO PER λ ≈ 0
lo spessore liquido risulta molto sottile
la superficie liquida si dispone quasi parallelamente alla
base dello strato, quindi è possibile considerare il
gradiente idraulico costante e, per pendenze modeste,
pari alla pendenza dello strato
lo spessore liquido massimo viene raggiunto quasi in
corrispondenza del piede del drenaggio
VERIFICA DI UNO STRATO DRENANTE
CRITERIO DI VERIFICA se lo strato drenante da
utilizzare è predeterminato
• calcolo del massimo spessore liquido (tenendo
conto dei fattori di riduzione delle caratteristiche
idrauliche dei drenaggi) in funzione della
lunghezza dello strato e del parametro
caratteristico λ
• Spessore liquido ammissibile
tallow=min[(tgran,tGCD),(tprescribed)] tgran=tstrato, mentre
tGCD= tcomponente trasmissivo
tprescribed= eventuale spessore liquido prescritto
dalla normativa (valore non fornito dal D.Lgs
36/2003)
• si verifica che tmax<tallow
RIDUZIONE NEL TEMPO DELLA CAPACITA’ DI
FLUSSO DI UNO STRATO DRENANTE
k progetto = FS ⋅ k measured = FS ⋅ ∏( RF ) ⋅ k LTIS
kprogetto = permeabilità idraulica di progetto del drenaggio
kmeasured = permeabilità idraulica di un campione di materiale
rappresentativo del drenaggio, misurata attraverso un test di
permeabilità idraulica (a breve termine)
kLTIS = permeabilità idraulica a lungo termine del drenaggio
∏ (RF ) = prodotto di tutti i fattori riduttivi corrispondenti ai vari
meccanismi di riduzione della capacità di flusso nel tempo
FS = fattore di sicurezza globale (almeno 2÷3)
Fattori riduttivi per un drenaggio granulare
• RFPC = fattore di riduzione per intasamento dovuto alla
migrazione delle particelle fini
• RFCC = fattore di riduzione dovuto all’intasamento “chimico”
• RFBC = fattore di riduzione dovuto all’intasamento “biologico”
Fattori riduttivi per un drenaggio geocomposito
• Ai succitati fattori riduttivi, si aggiunge:
RFCR = fattore di riduzione per il creep indotto sul
componente trasmissivo dai carichi sovrastanti
CALCOLO DEL MASSIMO SPESSORE LIQUIDO tmax
Se si verifica la condizione limite di flusso λ ≈ 0:
si approssima tmax≈tlim
equazione per il caso limite (Giroud, Zorneberg,
q ⋅L
λ ⋅ L ⋅ tan β
Zhao)
t = h
=
lim
k ⋅ sin β
altrimenti:
cos β
equazione modificata di Giroud t max
1 + 4λ − 1
= j⋅
⋅L
2 cos β / tan β
j è un fattore correttivo [0,88÷1,00] dell’equazione di
Giroud che permette di ottenere un
valore accurato di tmax:
5 2
 

   8λ  8  
j = 1 − 0.12 exp− log 



5
     


VERIFICA DI UNO STRATO DRENANTE
CRITERIO DI VERIFICA se lo strato drenante da
utilizzare è predeterminato
• calcolo del massimo spessore liquido (tenendo
conto dei fattori di riduzione delle caratteristiche
idrauliche dei drenaggi) in funzione della
lunghezza dello strato e del parametro
caratteristico λ
• Spessore liquido ammissibile
tallow=min[(tgran,tGCD),(tprescribed)] tgran=tstrato, mentre
tGCD= tcomponente trasmissivo
tprescribed= eventuale spessore liquido prescritto
dalla normativa (valore non fornito dal D.Lgs
36/2003)
• si verifica che tmax<tallow
CRITERIO DI EQUIVALENZA
PRESTAZIONALE TRA DUE
STRATI DRENANTI
Tratto da J.P. Giroud, A. Zhao e R. Bonaparte
(The myth of hydraulic transmissivity
equivalency between geosiynthetic and
granular liquid collection layers,
Geosynthetics International, vol.7, 2000)
CRITERIO DI EQUIVALENZA
TRA DUE STRATI DRENANTI
Due strati drenanti sono equivalenti se hanno la
stessa capacità di flusso (uguaglianza delle
massime portate smaltibili).
Tale criterio ribalta l’idea, diffusa tra i progettisti, che
l’equivalenza idraulica tra due strati drenanti sia
conseguibile con l’equivalenza della trasmissività
idraulica, definita come il prodotto della permeabilità
idraulica e dello spessore del componente trasmissivo
dello strato.
EQUIVALENZA TRA UN GCD E UNO
STRATO GRANULARE DI RIFERIMENTO
θ GCD = E ⋅ θ gran
dove E ≥ 1 è il fattore di equivalenza:
1   t gran  cos β

E≈
⋅ 1 + 
0,88   0,88 ⋅ L  tan β



CRITERIO DI EQUIVALENZA
TRA DUE STRATI DRENANTI
Due strati drenanti sono equivalenti se hanno la
stessa capacità di flusso (uguaglianza delle
massime portate smaltibili).
Tale criterio ribalta l’idea, diffusa tra i progettisti, che
l’equivalenza idraulica tra due strati drenanti sia
conseguibile con l’equivalenza della trasmissività
idraulica, definita come il prodotto della permeabilità
idraulica e dello spessore del componente trasmissivo
dello strato.
CONFRONTO TRA UN DRENAGGIO
GRANULARE E UN GCD EQUIVALENTE (1)
FATTORI TECNICI
CONTROLLO DEGLI
INTASAMENTI
DRENAGGIO
GRANULARE
BUONO
s ≥ 50 cm offre inoltre
maggiori garanzie di
flusso non confinato
self-healing
DRENAGGIO
GEOCOMPOSITO
DIFFICOLTOSO
Modesti spessori dei
GCD
sMAX ≅ 30 mm
2 GT di confinamento
INFLUENZA DEI
CARICHI NORMALI
TRASCURABILE
ottima resistenza ai
carichi normali
NON TRASCURABILE
sensibilità ai carichi
normali
proprietà idrauliche
inversamente
proporzionali ai carichi
normali
CONFRONTO TRA UN DRENAGGIO
GRANULARE E UN GCD EQUIVALENTE (2)
FATTORI TECNICI
DRENAGGIO
GRANULARE
CONTROLLABILITA’
DELLE
CARATTERISTICHE
DEL DRENAGGIO
MINIMA
difficoltà realizzative di
un drenaggio granulare
con caratteristiche ben
precise (self-healing)
MESSA IN OPERA
DIFFICOLTOSA PER
PENDENZE ELEVATE
in corrispondenza delle
quali si potrebbero
verificare problemi di
instabilità della
copertura
DRENAGGIO
GEOCOMPOSITO
OTTIMA
proprietà fisiche,
meccaniche e
idrauliche certificate
attraverso prove di
laboratorio normate
SEMPLICE
stesa dei rotoli di GCD
a mezzo di macchine
operatrici
CONFRONTO TRA UN DRENAGGIO
GRANULARE E UN GCD EQUIVALENTE (3)
IMPATTO
AMBIENTALE
COSTI
DRENAGGIO
GRANULARE
DRENAGGIO
GEOCOMPOSITO
NON TRASCURABILE
in relazione al
reperimento e al
trasporto del materiale
TRASCURABILE
I costi di approvvigionamento e trasporto degli
inerti sono strettamente correlati alla disponibilità
di cave a breve distanza dall’opera da realizzare.
Si può assumere che un drenaggio geocomposito
abbia costi sostanzialmente simili, se non inferiori
in applicazioni particolari, a un drenaggio
granulare, stante anche la necessità di
provvedere alla posa in opera dei geotessuti di
protezione preposti al confinamento dello strato
granulare.
UNA DIGA … FILTRANTE
ANTISISMICA
ANALISI DINAMICA (MODELLO DI
CALCOLO A ELEMENTI FINITI)
Manto bituminoso
Diaframma plastico
ACCELEROGRAMMA DI PROGETTO AL
BEDROCK (COMP. ORIZZONTALE)
SPETTRO DI RISPOSTA AL BEDROCK
(COMP. ORIZZONTALE)
SPETTRO DI RISPOSTA IN VARI PUNTI
(COMP. ORIZZONTALE)
SPETTRO DI RISPOSTA AL BEDROCK
(COMP. ORIZZONTALE)