pensiero liquido e crollo della mente

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pensiero liquido e crollo della mente
Il testo - qui, in anteprima - è in corso di stampa, presso l’editore Palladio di Salerno.
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PENSIERO LIQUIDO E CROLLO DELLA MENTE
Verso un sentire pensante.
Il corpo nell’epoca della Transnaturalità elettronica.
di Gaetano Mirabella
Possediamo oggi scienza esattamente nella misura in cui ci siamo risolti ad accogliere la
testimonianza dei sensi, nonché nella misura in cui li affiniamo, li armiamo e insegniamo
loro a “pensare” fino in fondo. F. Nietzsche
Prefazione
Questo documento può essere considerato a pieno titolo un manifesto che annuncia il
crollo della mente, un evento quasi invisibile che si è verificato negli ultimi dieci anni e
che è ancora in corso. Il crollo della mente è un evento che non è stato percepito e
adeguatamente segnalato forse a causa dell’eccessiva attenzione verso l’intelligenza
artificiale e le neuroscienze.
Questo libro si prefigge il compito di disegnare un probabile percorso alla ricerca delle
dinamiche che hanno determinato il crollo della mente, l’avvento del pensiero del sentire
e l’ingresso nell’esternità a partire da un corpo nuovo.
I capitoli che compongono questo documento sono costituiti da articoli che sono stati
pubblicati in vari convegni. I primi due relativi ai concetti di “corpo-scena” e “spazio che
sente” sono stati inclusi in un libro scritto a Toronto nell’estate del 2007, in
collaborazione di Derrick de Kerchkove, direttore del McLuhan Program e di altri
sette autori (Luisa Malerba, Loretta Secchi, Cristina Miranda De Almeida, il sottoscritto
Gaetano Mirabella, oltre a Derrick de Kerchkove, Edith Ackermann ex assistente di Jean
Piaget e la coreografa canadese Isabelle Choinièr e la coreana Sryu). Patrocinato dalla
biblioteca del Congresso degli U.S.A., Il libro è in via di pubblicazione e riguarda il “Punto
d’essere”.
Il terzo articolo che dà il titolo a questo libro (Il pensiero liquido del terzo millennio e il
crollo della mente), costituirà uno dei testi di un’antologia pubblicata dal McLuhan
Program di Toronto.
Tutti e tre gli articoli sono stati elaborati in periodi diversi ma costituiscono tutti passi di
un percorso unico che si autocostruiva nel tempo e che, dal “corpo-scena” dell’anno 2002
(pubblicato con la Trauben ed. di Torino, a cura di Grazia Marchianò ne “gli atti del
Convegno di Estetica tenutosi alla Certosa di Pontignano”), ha portato all’elaborazione
prima del sentire pensante, dello spazio cosciente (anno 2003), poi del pensiero del
sentire, e infine al pensiero liquido, al crollo della mente e all’esternità.
Questa introduzione è stata scritta dopo la stesura del testo che segue e si è resa
necessaria a causa del linguaggio un pò ermetico che descrive fenomeni ancora poco
visibili e poco pensati, che riguardano ipotesi concettuali che ho chiamato con nomi e
definizioni che richiedono spiegazioni.
La situazione di fronte alla quale l’uomo contemporaneo è venuto a trovarsi, impone di
abbandonare il vecchio “punto di vista” a favore di un nuovo punto d’essere. Che cosa
prova un uomo oggi in una folla? Dov’è situato il suo punto d’essere? Qual è la sua
forma? Egli è individuo o folla? E’ cambiata la percezione della realtà e in che modo?
Esiste ancora una realtà o forse è terminata? Che cosa è il sentire pensante e che significa
che i sensi devono imparare a pensare la realtà? Significa forse che l’attività dei sensi
creano una specie di nuovo mondo, e che si afferma una nuova esternità?
I sensi diventano sempre più ”estranei” perchè sempre più coadiuvati da “protesi”
tecnologiche, che riproducono tecnologicamente processi che appartengono all’uomo,
rendendoli tuttavia per lui irriconoscibili. I media dei sensi tecnologici hanno la tendenza
a interagire, generando effetti imprevisti e sorprendenti. Con l’avvento dei media elettrici
noi abbiamo la messa in scena del sistema nervoso, e creato le premesse di un
mutamento che coinvolge anche il corpo, che cambia il suo assetto divenendo il corposcena, presenza definitiva, spazio che sente. Sembra che l’uomo contemporaneo voglia
abbandonare il suo statuto di individuo per innestarsi in un corpo più vasto
trasformando l’onda isolata che rappresenta la sua mente, nel mare di una “presenza
definitiva” globale.
Abbandonare ogni tipo di struttura simbolica che si articola in un processo, dev’essere
considerato una tendenza irreversibile dell’uomo contemporaneo? E’ plausibile che la
caratteristica a bassa definizione delle dinamiche sociali abbia innescato una realtà
fredda la cui fruizione sollecita l’intervento del fruitore stesso? Il rigetto di una situazione
com’è quella della consapevolezza ordinaria è dato forse dall’esigenza di fondere la
propria percezione nella rete salvandosi da una condizione di isolamento per “sentire”
flussi d’esistenza che si spingono verso nuove configurazioni del vivere, attraverso la
configuratività, gestaltica e totalizzante della prassi dell’oralità plurisensoriale?
La nuova consapevolezza fluisce oggi in un ambiente cosciente che si può considerare una
sorta di secondo mondo sorto su una esternità che cresce e s’innalza come un grattacielo
in costruzione e viene percepita come una dimensione sempre nuova e cangiante, alla
base della quale si muove un sentire pensante che ci svela che siamo parti di un grande
corpo, che siamo “cellule” pensiero che pensano un pensiero liquido attraverso i cellulari.
Per essere parte attiva di questa intensa consapevolezza, si avverte oscuramente che
bisogna sparire come individui e divenire flusso che scorre senza ostacoli e senza
opposizioni. Occorre evitare le ideologie e le rappresentazioni della realtà se si vogliono
cogliere il divenire e il cambiamento. Il sentire pensante “pensa” ciò che percepisce e
quindi in qualche modo lo “inventa” lo crea. Il sentire pensante mette in condizione di
“creare” la realtà e dunque di essere “presenza definitiva”, non nel senso di un
raggiungimento di uno statuto ontologico definitivo ma nel senso di provare una precisa
corrispondenza tra le circostanze in cui avviene la propria azione e il nostro autostato. E’
questa la nuova condizione che possiamo definire punto d’essere?
PARTE Prima: Il Corpo-scena
Nuove frontiere della riflessione estetica.
L’estetica tradizionale non riesce più a spiegare che cosa accade intorno a noi, e che cosa
proviamo: perché? Perché ci siamo trovati in un luogo o in una configurazione di luoghi,
nella quale siamo andati oltre la sensibilità, e questo “oltre” si configura come un ambiente
cosciente in cui sembra invertito il rapporto tra conscio e inconscio. Forse la progressiva
obsolescenza dell’estetica è dovuta al fatto che usa strumenti d’indagine ermeneutica
inadeguati a descrivere un “sentire” che non sembra provenire più da un corpo percettore
ma che si situa, in maniera inquietante, in una esternità diffusa e dispersa. Il nucleo di
questo “sentire” si articola in un punto intermedio tra percezione umana e la nuova
visione-macchina, mediata dai dispositivi tecnologici.
E’ mia convinzione che con le nuove tecnologie siamo stati posti in uno stato di
intensa consapevolezza della quale tuttavia non siamo coscienti. In questo stato di intensa
consapevolezza siamo entrati in un nostro corpo nascosto di cui non sospettavamo
l’esistenza: in questo corpo siamo andati senza esserci andati.
Questo stato di intensa consapevolezza ci situa fuori della influenza del linguaggio
poiché essa è eccedente rispetto alla intenzionalità espressiva del soggetto. Il richiamo alla
figura “Corpo” è plausibile poiché, sebbene, probabilmente non siamo più in regime di una
percezione sensibile concentrata in un luogo assimilabile al corpo fisico, tuttavia giunge a
noi una percezione dell’esternità diffusa e dispersa proveniente da una configurazione che
ho chiamato il corpo-scena (1) Mac Luhan dice che nell’era elettronica noi indossiamo
tutta l’umanità come la nostra pelle. Sebbene il corpo-scena per sue particolari
caratteristiche non sia estraneo ad una modalità di tipo estetico, ciononostante esso, non
ha alcun punto di contatto con l’artisticità e con il paesaggio interiore del soggetto artistico
inteso nella vecchia maniera.
Questo corpo-SCENA è un luogo-cosciente, esso è duttile, ubiquitario, olistico,
decentrato, e appare, al di là di una “sensibilità” sconvolta, con una vibrante aura che si
riverbera intorno alla sparizione fisica del soggetto.
E’ problematico visualizzare il corpo -scena: esso è “nascosto” in ciò che di esso
appare, ovvero in relazione alla percezione di immagini “incongruenti” In un regime in cui
la percezione si satura a causa dell’ accumulo di feedback, possono determinarsi effetti di
straniamento simili a quelli che si determinano nelle dinamiche di turbolenza molecolare
delle cosiddette strutture dissipative. Nelle reazioni non lineari, in Condizioni lontano
dall’equilibrio si creano nuovi stati della materia. E nuove condizioni percettivo/enattive di
una nuova “esternita’” per un approfondimento del tema cfr Isabelle Stengers e Ylya
Prigogine, “La nuova alleanza”.Torino, 1993.
La relazione tra corpo-scena e immagini si sottrae nella presentazione in ciò che
appare. La sua presenza che può essere solo inferita dalle sinergie che si creano con
l’apparire di immagini sintetiche, risulta basata su di un paradosso: esso è caratterizzato da
un “sentire” pensante per cui il percetto si sottrae ad una definizione sintatticamente
congruente.
La configurazione tipica in cui il corpo-scena si attiva è quella del computer in cui si
instaura un circuito ricorsivo molto rapido tra le pulsioni elettriche della macchina e le
pulsioni neurali, cosa che modifica l’organizzazione dei due insiemi simultaneamente.
Nell’attivazione del corpo-scena, si verificano due fatti importanti: un processo di
esternalizzazione del linguaggio, che viene sostituito con un linguaggio-macchina; e
l’appropriazione del computer della maggior parte delle operazioni cognitive.
Lo spazio-tempo in cui il corpo-scena può manifestarsi è uno spazio-tempo sospeso
ed enigmatico in cui aleggia un sentimento senza mondo: in un luogo senza spazio la rete,
somma di tutti i luoghi, dissolve il concetto di legame, perdendo la sua sfumatura umana.
Vestito di nulla, purificato ed elettrico, il corpo-scena riveste l’immateriale della nuova
naturalità elettronica. La percezione che si attiva nel corpo-scena, è caratterizzata da una
epochè che si attua in regime di distopìa e anamorfosi ( 2).
Lo spiazzamento percettivo, apre uno spazio da cui si attiva una presenza definitiva.
La presenza definitiva è un “sentire” nel quale trova realizzazione una paradossale
commistione tra percezione sensibile e pensiero. Alludo alla possibilita’ di percepire cio’
che si presenta e non cio’ che e’ soltanto rappresentazione della realta’.
La presenza definitiva è autopoietica, ricorsiva, autoreferente, autostatica. Essa si
presenta sospesa in una configurazione definitiva in cui il corpo-scena può apparire in un
ruolo in cui si mimetizza usando le stesse circostanze di cui si riveste il corpo fisico.
Cosicchè, pur potendo avere un nome e una identità la presenza definitiva non può
esibirlo, poiché appare là, nel luogo del quale aveva sovvertito il codice, moltiplicando
l’aspetto scenologico.
Per questo la presenza definitiva è anonima e distopica: essa non può dar conto del
suo apparire là, nel luogo in cui appare, ovvero laddove “altri” ne registrano la presenza.
Non sappiamo che cosa “si” prova (relativamente al corpo-fisico) ad essere il “sé” ovvero i
“sé” ( 3) di questa presenza definitiva.
• La conditio sine qua non per l’esperienza di questo sentire raggiante, passa
per l’abdicazione al pensiero discorsivo. Il pensiero discorsivo è inteso come
resistenza del cervello al flusso dell’informazione che viene invece trattata per “noi” dai
media elettronici, i quali si occupano anche della maggior parte delle operazioni cognitive.
Ciò che conta è condurre la corporeità ad assumere lo statuto del “semiconduttore”. La
modalità di apprensione delle immagini anamorfotiche e dei fenomeni relativi alla
distopìa, è quella ad infinitum del “semiconduttore”.
Questi fenomeni infatti, non si lasciano ridurre in unità, consistendo, la loro
decodificazione e traduzione sul piano propriocettivo, in un lavorìo arduo, condotto senza
alcun supporto di coordinamento e verifica, quasi fosse una pura sostanza visiva,
completamente oggettivata, dunque del tutto estranea anche alle routines di
interpretazione interne del linguaggio.
Il linguaggio, resta tagliato fuori dalla descrizione delle eventuali modificazioni
relative alla fenomenologia dell’esser-ci poiché esso si configura come un autostato la cui
modalità può essere solo inferita a partire da ciò che si dà nell’apparire del fenomeno
corpo-scena.
L’alfabeto greco fu il primo ed unico sistema di comunicazione completamente astratto,
esso rese l’informazione completamente indipendente dai sensi umani, provocando una
decontestualizzazione del corpo.
Per McLuhan, l’invenzione della parola scritta è “la membrana che ci separa, che
ha diviso l’io da tutto quello che non è io. L’uomo intero divenne un frammento; l’alfabeto
mandò in pezzi il circolo magico e la magìa risonante del mondo tribale, facendo esplodere
l’uomo in un agglomerato di individui (o unità) specializzati e psichicamente impoveriti,
che funzionano in un mondo fatto di tempo lineare e spazio euclideo”(4).
Con i media elettronici si delinea all’orizzonte, la possibilità di “ritornare” nel corpo
ricontestualizzato e sensorializzato a partire però dalla sua produzione in un ambito
sintetico/virtuale. Dal momento in cui, con l’elettricità, è emersa una qualità comune tra il
principio di attività del nostro corpo e delle nostre macchine, queste non sono più esterne
ma interne al corpo. Accade già oggi che l’intenzione, espressa da un semplice gesto, un
cenno, o nel prossimo futuro, un pensiero demoltiplicato dallo strumento di intervallo
tecnico, esplicitano i legami tra cervello (brain) e mente (mind) tra lo psichico ed il
somatico.
La presenza definitiva, attivata tramite il dispositivo tecnologico, spinge sulla ribalta il
nostro sistema nervoso che, libero dalle operazioni cognitive, può modellare delle routines
di operazioni psicologiche nuove che trascendono i limiti del corpo fisico individuale.
Con la produzione tecnologica del corpo si attiva la possibilità di una utilizzazione in
una dimensione pragmatica degli aspetti personali del sentire che si manifesta nelle
percezioni e nelle affezioni che, insieme ai gesti e alle parole, vengono sottratte al corpo
fisico, desoggettivate, rese impersonali e inglobate in immagini sintetiche che eccedono
tanto il soggetto, quanto l’oggetto. Queste immagini sintetiche si costituiscono come entità
autonome e autosufficienti e come tali esse sono il divenire non-umano dell’essere umano.
Dal momento che già si configura una gestione/sfruttamento economica del virtualesintetico, occorre interrogarsi sul destino dell’esser-ci poiché già si intravedono le prime
avvisaglie di una distruzione/modificazione dei presupposti biologici del corpo fisico,
attuata politicamente dai grandi organismi multinazionali impegnati su versanti produttivi
cosiddetti alternativi.
Gli interventi che possono sconvolgere gli assetti biologici del corpo, riguardano le
biotecnologie da un lato e le tecnologie informatiche dall’altro. In questi due campi si
registrano eventi la cui direzione va palesemente verso lo scontro tra gli equilibri naturali e
le nuove visioni dell’ingegneria genetica. In questi campi infatti sono stati avviati processi
di sfruttamento della dimensione “umana” con il pretesto di superare la grave crisi
contemporanea circa l’identità e i problemi legati alla distribuzione delle risorse
alimentari. La subordinazione dell’individuo alla nuova specie degli individui elettronici
“senza corpo” e alla specie in generale, non può essere supportata.
Credo che il compito dell’estetica contemporanea, sia terminato per ciò che
riguarda il campo dell’artisticità in generale e che, più specificatamente, il suo campo di
competenza concerna il mutamento di orizzonte determinato dall’impatto con le nuove
tecnologie che hanno prodotto una mutazione antropologica i cui esiti restano non pensati
e non descritti adeguatamente, relativamente alla produzione di un corpo-Scena
ultrasoggetivo.
PARTE SECONDA: IL “SENTIRE PENSANTE”
La presenza definitiva è un sentire pensante che accoppia la percezione sensibile
con il pensiero per la produzione di un mondo. Essa è una metastruttura mentale
caratterizzata dalla predittività non di un dato noumenico di una realtà oggettiva a cui
sarebbe subordinata, bensì del ritorno degli input nel sistema nervoso di cui hanno
modificato gli stati interni. La presenza definitiva è una metastruttura ritornante che
interagisce con i suoi propri stati, essa è l’osservatore che può descrivere un sistema che dà
origine ad un sistema che può descrivere un osservatore.
Il “sentire” che pensa l’oggetto del suo stesso sentire, conduce l’uomo a decidersi
in favore dell’esistenza di un universo che si modifica continuamente e la sua
modificazione è funzione dei suoi stati interiori. Il nostro “sentire” ci rende continuamente
liberi in un universo, letterarmente plasmato da noi e che non ha altro scopo che essere ciò
che è. Il sistema nervoso, sappiamo oggi, dalle teorie della scuola di Santiago, essere una
rete chiusa di neuroni interagenti (5). Il paradosso di questa nostra libertà chiusa in una
chiusura libera, si esprime nel vivere la nostra esistenza in un dominio di cognizione nel
quale il contenuto della cognizione è la cognizione stessa.
Oggi, probabilmente dovremo recuperare il nostro corpo e la nostra libertà seguendo la
via degli intronauti, passando attraverso la proiezione sintetica dei nostri luoghi interni in
quei topoi che ho chiamato il corpo-scena e la presenza definitiva.
La messa in scena del sistema nervoso ci ha mostrato che la presenza definitiva può
raccogliere e coagulare intorno ad uno o più “Sé”, materiale psichico per forgiare l’identità
di una nuova poliedrica mente, tuttavia l’immagine che se ne ha a partire dalla scenologia
delle macchine, essendo un’immagine estetico/sintetica, oltre che virtuale, non è
decodificabile.
Ora, l’importante non è capire se queste immagini estetico/sintetiche siano vere o false
ovvero naturali o non, una simile distinzione non ha più alcun senso, quanto quella di
scegliere esplicitamente una cornice di riferimento per il nostro sistema di valori.
L’alternativa alla ragione è la seduzione estetica a favore di una cornice di riferimento
specificamente progettata per assecondare i desideri e non i bisogni.
Se la virtualità della macchina, emergente dalla presenza definitiva si pone da un lato
come ostacolo/gioco/spazio di differenza tra il progetto e la sua realizzazione, nello stesso
tempo ci protegge dal pericolo di essere recuperati dalla macchina prima di averla
assorbita nel nostro universo psicologico personale, e prima di essere riapparsi
sull’orizzonte della nostra libertà. Dunque abbiamo dovuto mettere in scena il nostro
sistema nervoso perché tramite il sentire pensante della presenza definitiva fosse possibile
riappropriarci del nostro esser-ci nelle forme e modalità dell’attuale tempo storico.
Dalla messa in scena abbiamo compreso che il sistema nervoso è chiuso in un
dominio continuamente mutante di descrizioni che egli genera attraverso interazioni
ricorsive entro quel dominio, e che non ha nessun altro elemento costante nella
trasformazione storica all’infuori della sua mantenuta identità di sistema interagente.
Detto in altri termini che ci riguardano da vicino: l’uomo cambia e vive in una cornice di
riferimento che cambia in un mondo continuamente creato e trasformato da lui.
Attraverso le nuove tecnologie siamo entrati in un nuovo corpo e non ne siamo a
conoscenza; siamo andati in un“luogo” della esternità senza esserci andati; abbiamo aperto
un altrove attiguo, un altro mondo verso il quale siamo attirati con una velocità di fuga che
aumenta costantemente senza che si possa frenare la corsa ( 6).
Siamo sul punto di mettere fine alle nostre specificità biopsicologiche attraverso
interazioni con ambiti che possono metterne in crisi i presupposti di base. Intanto ecco che
si annuncia una nuova corporeità che prende le mosse dall’abbandono del corpo fisico
manipolato attraverso le biotecnologie.
E’ un “corpo” nuovo che si effonde dal suo stesso cuore configurandosi come una
“nuova” scena del corpo-scena e come presenza definitiva (ritornante): sarà quella che
doveva venire? In ogni modo gli annunci di questa nascita riguardano forse solo noi
occidentali: gli orientali sanno già dai Veda dell’esistenza di un “corpo come scena
universale” in cui non abbiamo mai cessato di essere, dal quale non abbiamo mai
cominciato ad allontanarci. Sarà bene menzionarlo.
Nelle Upanishad esiste la descrizione di uno spazio che viene chiamato la “Città del
Brahman” per molti versi vicino a quello che ho chiamato il corpo-scena: “ In questa città
del Brahman -che è il corpo - un sottile loto forma una dimora, dentro la quale vi è un
piccolo spazio (...) Questo spazio che si trova all’interno del cuore è altrettanto vasto
quanto lo spazio che abbraccia il nostro sguardo. L’uno e l’altro, il cielo e la terra, vi sono
riuniti; il fuoco e l’aria, il sole e la luna, la folgore e le costellazioni, e tutto ciò che
appartiene a ciascuno di loro in questo mondo e ciò che loro non appartiene, tutto ciò vi è
riunito (...) tutti i desideri (kamah = esseri in potenza) in lei sono riuniti. (...) Questi
desideri che sono realtà (satya ) sono velati dall’irreale” ( 7).
Colpisce la sorprendente analogia esistente con la presenza definitiva come
sovrapposizione/giustapposizione di luoghi diversi la cui simultanea apprensione avviene
nell’induismo attraverso l’esperienza del nirvikalpa samadhi, che può essere raggiunta
secondo i “Veda”, dai Brahamacharya (rinuncianti) con un alto grado di autorealizzazione
spirituale ma che è potenzialmente aperta a tutti gli uomini. Per noi occidentali quello
descritto dalle Upanishad è un autostato, una condizione “normale” che può essere
raggiunta “anche” tramite dispositivi tecnologici.
Ma che cosa accade o può accadere alla nostra organizzazione neurobiopsicologica
allorquando, come affermano Maturana e Varela i sistemi viventi entrano in interazioni
che non sono specificate dalla loro organizzazione circolare? “Un sistema vivente definisce
attraverso la sua organizzazione il dominio di tutte le interazioni nelle quali può entrare
senza perdere la sua identità, e mantiene la sua identità solo finchè la circolarità basilare
che lo definisce come una unità di interazioni rimane integra”( 8).
Detto in altro modo: abbiamo generato un corpo più forte per poter sopportare la
rivelazione elettronico/sintetica di un dispositivo tecnologico che dispiega sotto i nostri (di
chi?) occhi tutta la superficie interna di noi stessi sotto la forma di tutte le immagini del
mondo, mentre ci avverte che quello è il nostro stesso corpo? Naturalmente di tutta la
gente che passa buona parte del suo tempo nel cyberspazio, ben pochi conoscono le
Upanishad, la filosofia di Nietzsche e le esperienze nel campo della spiritualità. Il clima di
vuoto spirituale e di frammentazione sociale, rappresentano un terreno fertile di cultura
per le credenze millenaristiche e per la tecnoescatologia nascente in cui la teologia del
cosiddetto “seggiolino eiettabile”, predica con successo la fuga d’emergenza in un arcaico
paradiso perduto.
Il corpo-scena e la presenza definitiva riaprono, all’inizio del terzo millennio, un
viaggio ultrapersonale necessario per svegliare negli uomini il lato attivo dell’infinito e
superare l’incubo di un incerto destino del corpo in un mondo oggettivo.
PARTE TERZA: LO SPAZIO COSCIENTE
E’ necessario pensare e dire che lo spazio e’ cambiato e che noi siamo ad un passo
della mutazione, e che questo spazio pur non occupando ancora l’”esternita”, tuttavia ci
veste dopo averci dissolto come “io”, portandoci in una tensione senza intenzione.
Nell’infinito artificiale dei nuovi media elettronici gli eventi accadono nel cosiddetto tempo
reale per cui non possono essere collocati in una dimensione cronologica poiche’ una
rottura del senso del tempo ci ha portato in una diversa dimensione temporale.
In questo universo il soggetto non ha piu’ una sua posizione relativamente ad un sapere,
un potere, o alla “storia” e la sua esistenza appare “vaporizzata”. In effetti non c’e’ piu’ una
memoria, poiche’ gli eventi accadono nel tempo reale che e’ il tempo tecnico
dell’operazione e non piu’ quello della dimensione storica. Nello spazio virtuale lo spessore
emotivo di qualsiasi evento puo’ essere trasformato in fisiologia macchinica tramite
l’estroflessione dell’interiorita’.
Ci stiamo estendendo e il nostro corpo ci e’ diventato sconosciuto, ciononostante, in
mancanza di punti di riferimento, esso diventa l’unica macchina possibile per riorganizzare
la percezione. Queste considerazioni c’inducono a pensare che l’epoca che si apre sara’
sempre piu’ quella dell’esteriorizzazione dell’interiorita’ con la nascita di un nuovo
concetto di spazio. Questo spazio che si effonde da noi, e’ nato dalla messa in scena del
nostro sistema nervoso, attraverso i dispositivi tecnologici di cui ci siamo dotati e, non e’
piu’ lo spazio della rappresentazione della realta’, ma semplicemente , quello della sua
presentazione e dell’attivita’ elettrica relativa all’estroflessione dell’interiorita’.
La vecchia estetica che nasce nel Settecento come un sapere legato all’esperienza e
all’immanenza, come un sapere essenzialmente terrestre e mondano, non riesce a fornire
alcuna interpretazione teorica del sentire contemporaneo legato alle esperienze insolite e
perturbanti, irriducibili all’identita’, ambivalenti ed eccessive. Non e’ un caso che questo
tipo di sensibilita’ intrattenga rapporti di vicinanza con gli stati psicopatologici, le estasi
mistiche, con le tossicomanie e le perversioni, con gli handicap e le minorazioni, con
i’primitivi’ e le culture ‘altre’ ( 9). La posta in gioco e’ insomma la riconfigurazione generale
dell’estetico, del suo impiego e del suo destino negli anni a venire. Le nuove tecnologie
dell’immagine, del suono, della spazialita’, della scrittura, della comunicazione, hanno
dischiuso una nuova epoca della sensibilita’ che i teorici hanno il dovere di studiare e
definire.
Il sentire contemporaneo si configura come un ambiente cosciente in cui sembra
invertito il rapporto tra conscio ed inconscio. “L’opposizione pressoché irriducibile tra
materia e memoria propugnata da Bergson, e tra spirito e durata, e’ stata messa in
discussione “dall’avvento delle nuove tecnologie elettroniche della ripresentazione, della
simulazione e della comunicazione a distanza. La memoria infatti non e’ piu’ il fondamento
dell’interiorita’ anzi, assume sempre piu’ i modi di esistenza della materia (pubblica,
esteriore, immutabile, nella ripetizione;) mentre la materia, cessa di essere veramente
“materiale” Questa unita’ simbiotica di materia e memoria si rivela in grado di annullare
ogni assolutezza tra l’interiorita’ e l’esteriorita’. “Questa nuova situazione in cui le nozioni
di interno ed esterno perdono la loro assolutezza e materia e memoria sfumano i loro
contorni dissolvendosi l’un l’altra, era stata avvertita anche negli anni ’20 da molti artisti e
teorici, tra cui Moholy-Nagy che aveva aderito alle teorie sulla sinestesia costitutive al
Bauhaus e propugnate da Kandisky ed Itten. Dal concetto di “sinestesia” Kandisky ed Itten
ricavano suggestioni ed implicazioni mistiche di varia natura, e sulla presunta oggettivita’
delle corrispondenze spirituali tra suoni e colori, si fondava una numerosa serie di
sperimentazioni estetiche. Cio’ che comunque era in gioco era il passaggio dalla sinestesia
come fenomeno interiore, a delle macchine della sinestesia per costruire delle interfacce,
prima meccaniche, poi elettriche ed infine elettroniche allo scopo di situare uno stato di
coscienza in un prodotto esterno. E’ questa estroflessione della interiorita’ che si realizza
gia’ nei primi anni del Novecento a gettare le basi al processo di “messa in scatola del
mondo in cui il tempo di spazializza ed in cui appunto le dimensioni dello spazio e del
tempo vengono meno o meglio si annullano. In uno sterminato presente in cui ogni qui e’
anche tutti gli altrove possibili della rete telematica” ( 10).
E’ dunque da questo luogo sensibile e cosciente sembra infatti provenire oggi la
nostra nuova naturalita’elettronica dalla quale promana un senso di globale indifferenza
verso la nostra volonta’. Da questo luogo il nostro “sentire”, sembra provenire da un punto
intermedio tra la percezione umana e la visione macchina mediata dai dispositivi
tecnologici. Il corpo nel quale ci troviamo contiene i concetti fondativi del nuovo spazio
ch’esso implica ed in cui si muove gia’ pur senza averne consapevolezza, divenendo visibile
nei punti di ibridazione in cui il fantasma di attuazione autopoietica s’incontra con il
medium che lo evidenzia in una configurazione congruente.
Lo spazio-tempo di internet é uno spazio-tempo sospeso ed enigmatico in cui vanno
spegnendosi i residui della soggettivita’: in questo spazio senza luogo, la rete, somma di
tutti i luoghi, crea una nuova amalgama tra il sè e l’esternita’, dissolvendo insieme al
linguaggio ed al soggetto, anche la possibilita’ di descrizione degli eventi. Per compensare
la minaccia data dalla scomparsa della rappresentazione del mondo ordinaria si innesca il
sentire pensante. Le nuove tecnologie ci spingono ad attraversare l’esternita’ mentre si
annuncia una nuova fenomenologia della presenza.
L’amalgama che sente
Le nuove tecnologie hanno determinato uno spostamento della nostra
consapevolezza sul limite esterno del nostro corpo che confina con la scena circostante,
determinando, in questo modo, un’ amalgama tra il sè e l’esternita’. L’accesso a questo
limite si accompagna alla perdita della sfera sociale e/o linguistica. Riuscire a trasferire la
consapevolezza del nostro corpo quotidiano all’esternita’tramite le tecnologie è un compito
difficile e pericoloso.
In sostanza si tratta di usare la consapevolezza come un elemento dell’ambiente dopo
essersi disancorati dal linguaggio. Procedere sulla scena di un sentiero fatto letterarmente
di consapevolezza che si dispiega in uno spazio e ci trasmette descrizioni fondamentali
sulla nostra vita sconosciuta, costituisce un’offerta allettante. Questa offerta non va
accettata oltre un certo limite.
Entrare a far parte del paesaggio che sente, richiede una grande disciplina ed
insieme una grande immaginazione, poiche’ dobbiamo dare un nome e un volto a cose,
fatti, oggetti mai visti prima, ma soprattutto i nostri sensi devono aver imparato a pensare
per riuscire a distinguere il punto d’intersezione, dove il varco si apre e si accede
all’accesso. Siamo condotti al varco verso la scena consapevole dalle macchine, dunque
conta immensamente essere prudenti, perche’ quella che si apre dinnanzi e’ una scena di
guerra.
Essere l’amalgama che sente, deve configurarsi come un esercizio di autoconoscenza
nel quale e’ possibile riconoscere il paesaggio come scene della nostra presenza definitiva
nella quale e’ impossibile descrivere cio’ che accade, perche’ il linguaggio e’ inadeguato a
costruire sintatticamente una configurazione congruente. Disancorati dalla dinamica
sociale, i processi cognitivi si avviano verso una nuova percezione basata piu’
sull’osservazione dell’universo che non sul bisogno di autostima, legato all’approvazione
dei nostri simili. Chi si avventurasse nell’accesso verso l’amalgama della presenza
definitiva con il se’ tipico del linguaggio e del sociale, sarebbe inevitabilmente predato e
fagocitato.
Dobbiamo capire che siamo ormai gli ordinatori dei luoghi senza luogo della rete. Noi,
il vuoto intelligente, dobbiamo rivestirci coiscientemente di spazio per entrare nel nuovo
spazio. Tra noi e l’ esternita’non c’e’ piu’ distanza ma continuita’: noi siamo il luogo che
sente, e siamo anche il fluire lungo quello spazio. Entrare nello spazio che sente deve
configurarsi come un esercizio di autoconoscenza, poiche’procedere nell’eidos, che
scaturisce dalla messa in scena del sistema nervoso, non avviene secondo implicazioni di
un determinismo sintattico-meccanico, bensi’, secondo un determinismo fondato
sull’intensita’.
Non abbiamo racconti sulla cognitivita’ neutra delle macchine e non abbiamo
descrizioni dello spazio cosciente e dell’intensita’ in cui il sentire pensante puo’ imbattersi.
Se diventiamo lo spazio che sente dobbiamo essere fluidi come i semiconduttori del
computer e non possiamo opporci al fluire con considerazioni linguistico-culturali o
sociali: occorre aprirsi all’astratto dei principi primi dell’universo, occorre ascoltare
l’ascolto e andare oltre la phone’; occorre esercitare afasia e aprassia, esercitarsi a vedere
senz’occhi, oltre l’eidos, scivolare lungo il flusso della consapevolezza, diventare lo spazio
che pensa e pensare cio’ che lo abita. Seguire l’astratto del procedimento senza pensare alle
finalita’ produttive, aprirsi allo spazio che si effonde dal nostro sistema nervoso, apre porte
su altri aspetti del reale, e l’espansione della percezione e’ cosi’ immensa, che resta poco
delle vecchie visioni del mondo.
In questo processo di creazione di uno spazio-mondo siamo indotti a realizzare una
storia vitale di accoppiamento strutturale. L’accoppiamento strutturale non viene condotto
nell’ottica soggetto-oggetto, ma in quella che chiama in causa una interfaccia figurasfondo. Secondo i dettami della Scuola di Santiago, affinche’ l’accoppiamento sia
potenzialmente vitale, l’azione guidata del sistema, deve semplicemente facilitare il
perpetuarsi della sua integrita’ (ontogenesi) e/o della sua discendenza (filogenesi).
Cio’ significa, come abbiamo gia’ detto piu’ volte, che dobbiamo entrare in quelle
dinamiche che non minacciano la nostra attuale organizzazione biopsicofisiologica. Con la
“scomparsa” del soggetto, si attiva memoria dello spazio-mondo come flusso , che si
accompagna alla consapevolezza di essere noi stessi il luogo, lo spazio che sente.
Conclusioni
Dal momento che le neotecnologie propongono una sempre crescente estroflessione
materializzata dei funzionamenti di base dell’umano, occorrera’ modificare il cosiddetto
punto di vista, antico retaggio dell’invenzione greca del teatro, sostituendolo con il punto
d’essere piu’ vicino all’universo dei media elettronici. Il punto d’essere o presenza
definitiva, attivata tramite il dispositivo tecnologico, spinge sulla ribalta il nostro sistema
nervoso che, libero dalle operazioni cognitive, puo’ modellare delle routines neurali con la
creazione dell’amalgama corpo-spazio che sente e interpreta cio’ che sente con un vestito
spazio-temporale.
Il nostro linguaggio ci ha trattenuto cosi’ a lungo nelle sue logiche descrittive, che
non siamo in grado di percepire e descrivere serie di eventi che accadono in ambiti virtuali.
Il nostro software linguistico impiantato nel cervello da una tecnica chiamata alfabeto.
Costringe i suoni e le immagini ad identificarsi prima di prenderli in considerazione. Il
vuoto, il nuovo spazio inizia la’ dove finisce il linguaggio, che e’ ancora nei dintorni della
carne, ma gia’ fuori dal corpo; la’ in quello spazio, inizia a risplendere l’intensa
consapevolezza di cui non siamo coscienti perche’ il suo splendore e’ senza luce per il
linguaggio.
Parafrasando la famosa frase di Freud “Là dov’era l’es, sarà l’io”, potremmo dire: là
dove (sulla trama del sistema nervoso) accadevano i fenomeni, (anche noi stessi come
fenomeni), ora accadiamo noi, mettendo in scena il nostro sistema nervoso. Ora siamo fusi
in uno spazio cosciente, da cui è indistinguibile anche una flebile orma di individualita’.
Siamo gettati nella metafora del labirinto, dal quale si spera di uscire tramite un
nuovo filo: il semiconduttore del computer. Il semiconduttore ci porta fuori, ma e’ un fuori
accattivante e singolare, poiche’ conduce i sensi a disporsi lungo la stessa traiettoria
percettiva dentro e lungo le cose da percepire, al punto che il se’ si dissemina nello spazioambiente, rendendolo cosciente.
Il semiconduttore propone non un punto di vista frontale (metafora dell’occhio) ma
un punto diffuso di ascolto (metafora dell’orecchio) che si spinge allargandosi dentro
l’eidos con la logica della phone’. E proprio l’eccessiva intensita’ di questa inaudita phoné, e
di questo inusitato eidos, ci hanno spinto la’ fuori, la’ dove il nostro sentire deve pensare
cio’ che percepisce, passando dalla rappresentazione della realta’ alla presentazione della
realta’.
Cosi’ come nel linguaggio si passa in maniera quasi ideografica dai segni alle idee, allo
stesso modo potremmo essere passati, tramite le indicazione di un possibile testo
composto da una grande quantita’ di materiale inconscio seguendo le orme dei grafi
neuronali ( 11) oltre il linguaggio, da un significante al significato, dalla percezione al
percetto e da quest’ultimo ad un nuovo corpo, e dal corpo ad un nuovo spazio.
Viene da pensare a certe teorizzazioni della Bauhaus secondo cui bastava trovare dei
concetti fondativi e farli diventare luoghi a partire dai punti di ibridazione con l’uso ed il
significato, per cui da un posacenere si sarebbe potuto risalire al progetto totale di tutto
l’edificio, esattamente come da un seme scaturisce il frutto.
PARTE IV Il pensiero liquido e il crollo della mente
Il Pensiero liquido del terzo millennio e il crollo della mente
Il crollo della mente
Ho motivo di credere che la mente, così come siamo abituati a considerarla, stia crollando
e che in questo periodo della storia dell’umanità, stia nascendo una nuova configurazione
che da un pensiero descrittivo, passi ad un pensiero liquido che scaturisce direttamente
dalle percezioni dei sensi. Pare che il sentire stesso si costituisca come un centro di
pensiero al di là del cervello, facendo delle percezioni centri di pensiero fluido, staccato
dall’architettura mentale della rappresentazione del reale, mentre “scruta” le cose
pensandole dall’interno della sua stessa percezione.
Il “sentire” si emancipa dall’uomo che lo ha provato e dispiega il “suo” pensiero del
sentire, che non prescinde dall’uomo, ma lo riconsidera come uno degli elementi della
visione o della percezione. Per i “nuovi esseri” senza mente, nessuna percezione è assoluta
e indispensabile ai fini di una visione/costruzione del mondo: nessuna percezione ha
diritto alla propria parte di frutti; ogni percezione fa ricominciare il “mondo” da zero, il
passato non conta; le visioni del mondo sono sempre nuove e non si storicizzano più, anzi,
ognuna di esse sembra duellare con la precedente per prevalere.
In questa fase liquido-moderna avendo abbandonato, o essendo stati cacciati dal loro
precedente spazio/ambiente, i profughi del crollo della mente tendono ad essere spogliati
delle identità che quell’ambiente definiva, sosteneva e riproduceva. Alla fine dell’era
territorio/nazione/stato ricominciare il viaggio verso un’unità razionale/ universale
dall’onda liquida di percezione/pensiero, è impossibile poiché non c’è nessun altro sito
“solido” da cui partire.
Qual è dunque la consistenza dello spazio che ci ospita? Sembra che stiamo
ripassando per il tipo di spazio che fu della pittura bizantina. In questo spazio non esistono
prospettive o proiezioni ma solo intensità: intorno ad un personaggio importante in una
pittura bizantina, lo spazio si concentra, si organizza, cresce e cinge la figura, con la
potenza di un’onda. Il crollo della mente è avvenuto dal di dentro degli avvenimenti che si
sono svuotati, misura dopo misura, senza far crollare l’involucro esterno del significante
che ha continuato ad essere osservato e praticato nonostante l’esistenza di nuovi sentieri
sostitutivi della mente.
Naturalmente questo porta a pensare che in questo periodo storico, stiamo andando
verso la nascita di un nuova forma mentale che forse è già qui senza che noi ne siamo
consapevoli. E’ problematico avanzare un’ipotesi su come questo evento abbia potuto aver
luogo e per la verità è difficile anche affermare che questo evento stia veramente
verificandosi. La catastrofe che stiamo attraversando è invisibile, perché accade alle spalle
del linguaggio e della nostra capacità di descrizione.
Il crollo della mente è un evento nascosto della nostra storia perché è avvenuto dal
di dentro degli avvenimenti che si sono svuotati, misura dopo misura, senza che l’involucro
esterno del significante, crollasse. La fase di crollo è avvenuta in un punto cieco (scotoma
cognitivo), un punto in cui il cervello non riesce infatti a rappresentare se stesso come
oggetto facente parte del mondo, e viene quindi escluso dalla rappresentazione stessa che
ha continuato ad essere percorsa sui sentieri della mente teoretica.
La nostra civiltà conoscerà solo nel futuro la portata degli eventi, e solo quando sarà
compiuto il processo di distruzione del significante e del significato. Forse è possibile
ipotizzare che, a causa dell’uso intensivo di computer, cellulari, macchine per videogames,
si sia determinato uno stress biochimico, una sorta di trauma da affaticamento, con
produzione di adrenalina e noradrenalina e che a causa dell’accumulo di sostanze di
decomposizione non può più essere filtrato dai reni per il protrarsi della stimolazione. Un
affaticamento estetico ci ha condotto al collasso delle immagini e il nostro sentire “pensa” e
reagisce agli stimoli visivi a seconda dell’umore. La discontinuità umorale ci ha portato a
creare una configurazione di noi stessi parziale per cui non sappiamo più di essere
coscienti e non sappiamo più.
Che cos’è la coscienza? Ci chiediamo se essa non sia per caso soltanto una metafora del
nostro comportamento reale per cui noi non siamo mai coscienti della natura delle cose,
nemmeno del nostro stesso comportamento, ma solo di ciò che selezioniamo di esso?
Sembra dunque che la società, si avvii ad abbandonare la mente prima che affondi.
Un insieme di noia, di disprezzo per tutto ciò che avviene nella lentezza del cosiddetto
tempo reale nonché l’esigenza sempre più forte di trovarsi là, là dove accade l’evento
rifiutando la farraginosa struttura architettonica della “rappresentazione”, ci porta ad
accellerare e favorire il crollo di una mente arcaica. Tutto ciò sta innescando e favorendo
una tendenza iperbolica, portandoci ad una percezione approfondita e intensa che svela
un’insospettabile complessità e liquidità delle visioni del mondo.
L’elaborazione di nuove ritualità sociali, conduce un’umanità di potenziali “santi in
abito da sera” ( 12) a caccia di una mondanità pervasa della sacralità dello spazio che fu
della pittura bizantina e della filosofia di Plotino secondo cui l’essere è inseparabile dalla
bellezza per cui ogni punto dello spazio è come una “porta” attraverso cui è possibile fruire
della coincidenza della forma delle cose terrene, con lo stampo celeste da cui sono state
generate.
L’Eidos è uguale alla morphè: terra e cielo coincidono in questa forma di pensiero del
sentire, a partire dalla quale, i “sensi” pensano la realtà delle cose cogliendone l’eventuale
differenza per cui diventa possibile scrutare e svelare la presenza di una nuova esternità, in
ogni suono, in ogni tocco, o sapore o visione, come l’eco tiene e scruta ogni evento per
quanto lontano esso si situi rispetto a noi.
Il pensiero del sentire dunque propone una straordinaria fioritura della presenza in
altri universi percettivi, ed un inaudito appetitus nei confronti della vita reale, che non
viene più descritta, né “parlata” né “rappresentata” ma vissuta. E’ come se i nativi del web
dicessero: “Abbandoniamo la mente e saremo al sicuro perché, in questo modo, gli eventi
passeranno altrove e noi fuggiremo lontano dalla loro descrizione e anche la morte sarà
evitata semplicemente perché accadrà e non dovremo più viverne le angosciose
rappresentazioni.
Credo che i nativi del web non vogliano più “stare” in una mente ma vogliano
trasferire la maggior parte della loro vita in rete: fuori dalla rete si sentono soffocare. Non
vogliono più stare in una mente intesa come processo, vogliono “sentire” la vita e vogliono
che il “sentire” fluisca come un pensiero e che questo sia parte di un grande corpo e tutti
siano cellule pensiero che pensano un pensiero liquido attraverso i cellulari.
“Sentiamo” che tutto, amori, sentimenti, ragione, etica, filosofia, scienza, tutto è
trasmigrato al di là del limite che era della mente, in una condizione liquida. Ci sembra di
essere presi e usati dalle nostre stesse percezioni al di là di noi stessi che siamo “pensati”
dal nostro sentire, che pensa la forma delle cose. “Second Life” potrebbe essere un esempio
che dà un’idea del pensiero del sentire. In second life c’è un organo di risonanza che
prende il sopravvento sulla nostra “intenzionalità” e diviene il nostro avatar che accende
luoghi del pensiero che noi non conosciamo.
Second life è l’esempio più macroscopico di che cosa significa il pensiero del sentire. Il
mondo che brilla in second life pur essendo soggetto ad un algoritmo architettonico,
tuttavia mette in moto dinamiche che sono di tipo decostruttivo e solo il residuo di
contenuto di una mente desiderante dà ancora conto della presenza di un barlume di una
identità. Gli utenti di second life indossano il “mezzo” second life come travestimento,
divenendone automaticamente il contenuto
La mente è crollata ( 13) o sta per crollare perché non può più sostenere il peso
dell’architettura che essa stessa ha messo insieme nel suo essere processo in atto. Ora
esiste o si affaccia un altro centro di percezione, un’altra ipostasi della mente che è dato da
un agglomerato di organi di risonanza che sono i sensi potenziati dai mezzi tecnologici,
attraverso cui le configurazioni passano.
Situazione italiana
Credo che il crollo avverrà in Italia, prima che in altre realtà socio-politiche. L’Italia,
patria dell’arte, conosce da sempre l’impostura del mondo come rappresentazione. A causa
della particolare situazione italiana come afferma anche Arturo Artom nel libro edito da “Il
sole 24 ore” “Web 2.0”: “L’Italia ha conosciuto l’esperienza di essere all’avanguardia nel
mondo nella fase iniziale di nuovi busines globali, come per esempio la telefonia mobile, e
di perdere nel giro di pochi anni questo vantaggio competitivo per una serie di fattori
strutturali, a cominciare dall’assenza di un adeguato mercato dei capitali. In Italia,d’altro
canto, è presente quel mix di cultura, conoscenze e know how tecnologici, capacità di
innovare, reattività del mercato finale, che può costituire la piattaforma necessaria a
cogliere per tempo le opportunità del Web 2.0 e delle contaminazioni possibili con
l’industria televisiva e cinematografica”( 14).
L’identità è morta in Italia prima che altrove ed è un evento che risale alla
controriforma e alle rappresentazioni teatrali della commedia dell’arte. Gli italiani sono un
popolo eclettico poiché sono capaci di raggiungere prospettive autonome e originali,
rispetto alla tradizione culturale e filosofica europea in particolare e occidentale in
generale, attraverso i più arditi innesti e le più incongruenti combinazioni.
La cultura italiana sembra seguire strade diverse e alternative rispetto alla cultura
europea. “Il pensiero che medita e che interroga, non attribuisce più alla filosofia né
all’organizzazione della cultura, un ruolo, un significato, una funzione privilegiata, anzi
ritiene che l’essenziale sia altrove, in dimensioni, in esperienze, in vicende che, a prima
vista, sono molto marginali rispetto alla pretesa strada maestra della tradizione filosofica
occidentale. Il rifiuto italiano della filosofia e dell’organizzazione della cultura così come
esse si sono determinate e sviluppate nella tradizione occidentale, non è un rifiuto
apertamente teorizzato e argomentato, consapevolmente esperito e vissuto: non certo un
rifiuto che individua chiaramente l’avversario e stabilisce con questo un rapporto di
contraddizione e di lotta.
Ma forse una pretesa più ambiziosa si pone per l’intellettuale italiano: quella di
vincere l’avversario “senza venire a contatto” ( 15), assumendone l’aspetto, appropriandosi
delle sue ragioni, prendendo il suo posto. C’è un modo di combattere il proprio nemico
molto meno pericoloso ed incerto nel suo svolgimento e molto più effettivo e radicale nei
suoi risultati, di quello di ingaggiare con lui una battaglia per la vita e per la morte: esso
consiste nello spogliarlo della sua identità, trasformandosi in una copia indiscernibile da
lui. Chi vince in campo aperto una lotta per la vita e per la morte, non solo lascia al vinto la
sua identità, ma la innalza, la potenzia, la sublima: chi invece si mette al posto del suo
nemico, sfuma, cancella, abolisce la sua identità, e apre uno spazio di indeterminazione e
di differenze indiscernibili. Per quanto riguarda il problema relativo al crollo della mente, è
come se la nostra liquidità avesse preso il posto vuoto dell’architettura della nostra mente
crollata ed è come se avessimo vinto su di noi sommergendoci completamente.
“La filologia e l’eclettismo in Italia non pretendono di diffondere vere teorie nè di costituire
vere organizzazioni della cultura; alla base dell’attitudine filologica, sta infatti una scelta a
favore della ripetizione che non è né morale né etica ma relativa all’uso cioè orientata a far
prevalere un rapporto col passato attraverso strategie, modi, procedimenti, per
destrutturare, decostruire, scardinare la tradizione filosofica e culturale dell’Occidente.
L’esperienza si costituisce fin dall’inizio come svuotamento, abolizione, irrilevanza dei
contenuti.
“Paradossalmente si potrebbe dire che in Italia l’origine è fare a meno dell’origine, il porsi
ab imis e irrimediabilmente come spurio e derivato. Perciò la ripetizione non è spiacevole,
angosciosa ossessiva, ma consolatoria. Essa si pone all’inizio, senza essere origine; sta alla
base senza essere fondamento; ha effettività senza essere causa. La mancanza di un mito
fondatore, l’assenza di una identità nazionale dotata di contenuti ben determinati e
inequivocabili, l’impossibilità di trovare una dimensione autoctona che fondi una vera
patria, da tutto ciò deriva che la ripetizione italiana sia una ripetizione in quanto
ripetizione, una ripetizione che prescinde dal suo contenuto, un dire si al passato che lascia
sempre indeterminato e indeciso a quale passato si riferisce. La filologia italiana è
“filologia per la filologia”, è amore della filologia e non del logos; ma proprio questo
eccesso le consente di andare al di là del logos. In Italia la circolazione conta enormemente
più dei messaggi, il movimento più delle idee, la trasmissione più del sapere. Il pensiero
della differenza che in Germania nasce da una prospettiva teologica, in Francia da una
prospettiva artistico-letteraria, è invece in Italia strettamente connesso con l’attenzione
alla storia e al linguaggio”. In ciò consiste l’interesse e il significato mondiale di una via
italiana alla problematica filosofica della differenza, la quale si rivela la più adatta a
comprendere i fenomeni di trasmissione delle culture che sono oggi in atto su scala
planetaria” ( 16)
Il “crollo della mente” è avvenuto nella ripetizione nella fascinazione reiterata delle
pubblicità così una serie di ripetizioni ci ha condotto a fare a meno del controllo sulla
nostra vita: tutto dev’essere cominciato così. Poco a poco ci siamo fusi con i nostri organi di
risonanza tecnologici, ovvero con display, cellulari, iphones e social network.
Il linguaggio nella tempesta
Quale linguaggio sta costruendo la nostra civiltà all’inizio del terzo millennio? O forse
più che di linguaggio è più appropriato parlare di quale protocollo linguistico stiamo
usando per decostruirci? In che lingua parla il nostro sistema nervoso allorchè ci ha
mostrato che la nuova presenza può raccogliere e coagulare intorno ad una nuova ipostasi
della mente, materiale psichico per forgiare nuove identità e nuove esternità? L’immagine
del mondo, filtrata attraverso la scenologia delle macchine, e dei social network, essendo
un’immagine estetico/sintetica, oltre che liquido/virtuale, non è decodificabile. Ora,
l’importante non è capire se queste immagini estetico/sintetiche siano vere o false ovvero
naturali o non, una simile distinzione non ha più alcun senso, quanto lo scegliere
esplicitamente una cornice di riferimento per il nostro sistema di valori.
Probabilmente il tipo di percezione che si attiva nella ricezione delle
prescrizioni/ordini degli organi di risonanza deve fare a meno del linguaggio perché non
sono rappresentazioni relative al vecchio inventario eidetico/concettuale che devono
giungere ai nativi del web, ma sensazioni liquide senza definizione. Il linguaggio è una
pelle che riveste il mondo; nelle “parlate” e nella prosodia esistono vari livelli di realtà del
mondo. Ora se il linguaggio si scioglie il mondo perde la sua forma? E quale forma
acquisisce?
Noi tutti non siamo più materiale per una società, siamo tutti liquidi e “lontani” gli
uni dagli altri e siamo “lontani” anche da noi stessi, ma al tempo stesso, la “liquidità” del
nostro pensiero rende la nostra contiguità una leggendaria avventura di ricerca dell’altro
come “isola” o forse meglio come “onda” da riconoscere.
Non crediamo più nella grammatica e con il suo tramonto si è eclissata la parola
come evocazione di una sintassi della soglia per entrare o ritornare in un mondo solido
retto dalle architetture della mente. Ora non abbiamo nessun organo per il conoscere, ma
abbiamo organi di risonanza, inorganici e tecnologici. Alcuni di essi sono: My space,
Wikipedia, Linux, Second life, You tube.
Il dialogo diventa il passare attraverso la parola per dissolverla in quanto tale, lo
svuotarla di ogni significato razionale e renderla liquida o appartenente ad un ordine
semantico differente. “Del resto le funzioni del tessuto cerebrale, anche quello relativo alle
aree preposte al linguaggio, non sono definitive e forse, dando dei “programmi” di sviluppo
diversi, sono possibili organizzazioni diverse. Sarebbe sbagliato infatti pensare che,
qualunque fosse la neurologia della coscienza, essa sia fissata per sempre.”
Si può parlare di un fondamentalismo tecnettronico per quanto riguarda la
struttura di pensiero e di linguaggio che ha condotto al crollo della mente? Esiste
un’analogia tra il fondamentalismo teocratico e quello tecnettronico? Si può ipotizzare che
esista una convergenza tra i due tipi di fondamentalismo, basata sulle stesse routines
neurofisiologiche che concorrono alla formazione di uno spazio mentale aniconico liquido
e non supportato dall’architettura della mente teoretica Occidentale? E se le lingue
semitiche prive dell’articolazione delle vocali nella loro rigidità e complessità stratificata,
rimandassero a visioni implicanti gli stessi protocolli operativi relativi alla pratica dell’uso
delle nuove tecnologie della comunicazione? La cura degli himam nell’osservanza della
giusta prosodia della parola scritta nel Corano, potrebbe essere la via che conduce alla
sufficiente liquidità del pensiero per aprire le porte della percezione su spazi sacri a partire
dall’attivazione di aree del cervello particolari.
Dagli studi di Julian Jaynes su “il crollo della mente bicamerale”. “Sappiamo che le
differenze degli emisferi, nella funzione cognitiva, riflettono le differenze tra Dio e uomo.
Per esempio, l’emisfero destro, forse come gli dei, vede un significato nelle parti, solo
all’interno di un contesto più ampio: esso guarda alla totalità. L’emisfero sinistro o
dominante, come il lato umano della mente bicamerale, concentra invece la sua attenzione
sulle parti.”
L’avvento del pensiero del sentire liquido, e il crollo della mente nei nativi del web
potrebbe essere letto come un inconsapevole tentativo di pareggiare il vantaggio delle
culture orientali dovuto al fatto che il loro pensiero è rimasto orale, analogico e liquido?
Organi di risonanza
La nostra percezione del tempo è cambiata. Oggi il tempo è breve, veloce senza
passato e senza futuro, per noi che pervadiamo tutto lo spazio che sente ( 17) in ogni punto
della rete. Siamo presenti in ogni punto, siamo già là mentre ci stiamo andando,
precediamo il feed back e dalla nostra posizione possiamo dunque vedere che la storia è
finita e s-terminata. Cosa rimane?
Noi sentiamo in ogni punto della rete che sente, e questo sentire si dispiega come
pensiero liquido e onni-presente. Nella esternità della rete le cose i fenomeni vanno definiti
e descritti, ma non essendoci più una mente costruita secondo canoni architettonici ecco
che si rende necessaria l’esistenza di organi di risonanza che raccolgono le informazioni, le
smistano, definiscono e danno il senso della continuità e della coerenza. I social network
assumono questa funzione e questo significato, ma non sono solo quelli ad avere questa
funzione: anche tutti gli apparati soft della tecnologia, iphones, cellulari, e display in
generale, hanno la stessa funzione.
Il tempo comunque, ha avuto storia dal momento in cui, i mezzi per attraversare lo
spazio, compresi i mezzi di comunicazione che ne scavalcano la vastità, ovvero lo rendono
pervaso dalla nostra presenza liquida, ci hanno consegnato una sovrabbondante quantità
di tempo da descrivere e utilizzare. “La storia del tempo ebbe inizio con la modernità. Di
fatto, la modernità è, più di ogni altra cosa, la storia del tempo: la modernità è il tempo
nell’epoca in cui il tempo ha una storia” ( 18).
In questo “tempo” la mente è crollata determinando anche la fine dell’uomo
teoretico e l’egemonia dell’emisfero sinistro. In questo “tempo” il “sentire” ha acquisito la
modalità del pensiero che pensa e che forgia una nuova esternità percorsa da un uomo
orale, senza mente che muove la sua esistenza in una modalità digitale che ha tuttavia le
caratteristiche della dimensione analogica.
Open source
Open source può essere assunto non solo come una modalità politico/economica di
circolazione delle informazioni ma anche e soprattutto come un protocollo che indica un
nuovo pensiero, una nuova sorgente d’informazione. Le informazioni dei sensi pensano per
noi che non abbiamo più la mente e le informazioni non fanno più capo ad una mente e ad
un’architettura della mente. Le informazioni sono sorgenti aperte perché hanno spalancato
le chiuse del linguaggio e il pensiero liquido del sentire, scende giù con la sua propria
acqua investendo le cose di un volto nuovo. Il destino che ci sta coinvolgendo appartiene
ad una condizione singolare e forse siamo quelli che stanno andando via e devono chiudere
la porta dietro di sé. La società attuale sta abbandonando il luogo dove c’era la mente e gli
esseri umani si trovano alla mercè di forze che li attirano da tutte le parti e alle quali hanno
consentito di disegnare una configurazione nuova dalla quale poter sconfiggere la mente e
non invecchiare, né ammalarsi, né morire più.
L’architetura della mente è un peso troppo gravoso e a sbarazzarsene è stato prima
il corpo. Il corpo nel quale ci troviamo contiene i concetti fondativi del nuovo spazio
ch’esso implica ed in cui si muove gia’ pur senza averne consapevolezza, divenendo visibile
nei punti di ibridazione in cui il fantasma di attuazione autopoietica s’incontra con il
medium che lo evidenzia in una configurazione congruente.
Pensare senza un cervello
Stiamo attivando un nuovo centro di coscienza e questo nuovo centro è il
pensiero del sentire. Noi percepiamo ma lo facciamo passando per punti o
configurazioni percettive “esterne” a noi e questo passaggio esterno fa si che lo spazio
diventi senziente e prenda il posto della coscienza.
Probabilmente il pensiero del sentire attraversa vari “organi” di risonanza che
possono essere animali o vegetali o elettronici e macchinici, anche inorganici o minerali.
Questi “organi” diffondono il pensiero del sentire in forme sconosciute agli uomini e può
darsi che ci troviamo in un periodo di formazione di nuove visioni del mondo e il pensiero
del sentire sosta su protocolli percettivi non ancora conosciuti.
E’ in queste nuove configurazioni percettive che gli eventi che vediamo, si formano e
prendono corpo: è là, che gli occhi vestono la “realtà” con abiti nuovi che ci sorprendono
impedendoci di controllare queste modalità sensoriali che accadono e ci rivestono del loro
“accadere” in uno spazio che sente e che pensa per noi la realtà.
Tutte le informazioni che circolano nella noosfera, prima o poi tornano “giù” da
noi, ma molti di noi, pur agendole, non le comprendono. Quelle informazioni sono state
pensate e percepite, sentite da occhi e orecchie elettronici. Sembra paradossale ma quel
pensiero del sentire che pure era nostro e che ci torna dall’etere, per noi è pressochè inutile
perché incomprensibile a causa della complessità e intensità dei tanti fenomeni che ha
colto.
Per supplire all’assenza di informazioni da parte della mente, si rende necessario un
sentire artificiale, pilotato dall’esterno dai cosiddetti organi di risonanza, dai quali
dipendiamo come individui. Siamo alla mercè degli imperativi collettivi che corrono sui
sentieri dei social network. Procedere sulla scena di un sentiero fatto di consapevolezza (di
risonanza) che si dispiega in uno spazio “nuovo”, mentre ci trasmette descrizioni
fondamentali sulla nostra vita sconosciuta, costituisce un’offerta allettante. Questa offerta
non va accettata oltre un certo limite.
Entrare a far parte del paesaggio che sente, richiede una grande disciplina ed
insieme una grande immaginazione, poiche’ dobbiamo dare un nome e un volto a cose,
fatti, oggetti mai visti prima, ma soprattutto i nostri sensi devono aver imparato a pensare
per riuscire a distinguere il punto d’intersezione, dove il varco tra la vecchia visione del
mondo e la nuova, si apre e si accede all’accesso. Siamo condotti al varco verso la scena
consapevole dalle macchine, dunque conta immensamente essere prudenti, perche’ quella
che si apre dinnanzi a noi e’ una scena di guerra.
Le nuove tecnologie hanno determinato uno spostamento della nostra
consapevolezza sul limite esterno del nostro corpo che confina con la scena circostante,
determinando, in questo modo, un’ amalgama tra il se’ e l’esternita’. L’accesso a questo
limite si accompagna alla perdita della sfera sociale e/o linguistica. Riuscire a trasferire la
consapevolezza del nostro corpo quotidiano all’esternita ’tramite le tecnologie e’ un
compito difficile e pericoloso. In sostanza si tratta di usare la consapevolezza come un
elemento dell’ambiente dopo essersi disancorati dal linguaggio.
Essere un’amalgama che sente, deve configurarsi come un esercizio di
autoconoscenza nel quale e’ possibile riconoscere il paesaggio come scena della nostra
nuova presenza liquida, nella quale e’ impossibile descrivere cio’ che accade, perche’ il
linguaggio e’ inadeguato a costruire sintatticamente una configurazione congruente.
Dobbiamo capire che siamo ormai gli ordinatori dei luoghi senza luogo della rete.
Noi, il vuoto intelligente, dobbiamo rivestirci coscientemente di spazio per
entrare nel nuovo spazio. Tra noi e l’esternità non c’è più distanza ma continuita’: noi
siamo il luogo che sente, e siamo anche il fluire lungo quello spazio. Il crollo della mente, la
fine dell’identità, l’eclissarsi del soggetto il suo annegamento nel pensiero liquidomoderno, nonchè lo scorazzare tra i vari SE’ che i social network ci forniscono, pone il
problema relativo al governo e alla transizione eventuale da certe condizioni d’esistenza ad
altre, da un autostato ad un altro.
Com’è possibile discernere tra autenticità e finzione, tra simulazione e
indeterminazione in maniera tale da riconoscere l’avvento del nuovo? Nello spazio che
sente abbiamo l’obbligo di configurare l’esistenza come un esercizio di autoconoscenza, di
una realtà che nelle modalità di trasmissione/manipolazione tramite i media è diventata
illusionistica da un lato, e ipernaturalistica dall’altro.
Occorrono molte ripetizioni, molte appercezioni, prima che magari, un incidente
di trasmissione ci dia il sentore che qualcosa è cambiato, che una nuova serie di “oggetti” e
di percezioni si presenta ai nostri sensi e un nuovo pensiero scruti un’altra contrada
dell’esternità.
Il pensiero liquido ci viene incontro e forse ci dice qualcosa di noi che non riusciamo a
capire fino in fondo. Il pensiero del sentire è frutto dell’interazione tra le forze della natura,
per la nascita di una nuova specie. La “vecchia” umanità potrebbe aver lasciato il suo
sentire rendendo obsolete le “vecchie” visioni del mondo.
Ora un nuovo sentire sviluppa il suo pensiero in seno al quale sarà suscitata la nascita
di un nuovo tipo di uomo, ma non sappiamo quando avverrà.
Dalle neuroscienze acquisiamo delle conoscenze che possiamo usare come ipotesi
esplicative sul fatto che anche i nostri organi fisici diffondono il pensiero del sentire in
forme sconosciute. “Il sistema nervoso non elabora l’informazione che proviene dal mondo
esterno ma, al contrario, genera un mondo nel processo della cognizione. I cosiddetti
“organi di risonanza”, attraverso cui passa il pensiero del sentire potremmo anche essere
noi stessi, il nostro stesso corpo potrebbe essere un organo di risonanza attraverso cui il
pensiero del sentire brilla e scruta il nuovo spazio.
Noi potremmo anche essere nient’altro che il grembo che accoglie il pensiero
del sentire. Dalla biologia sappiamo che potremmo ospitare i transiti di vere e proprie
strutture cognitive, cioè di pezzi del cervello, ed essere “attraversati” da messaggeri
molecolari che usano il corpo come metonimia dell’informazione. e a questo proposito è
interessante citare i risultati della ricerca fatta da Candace Pert ( 19) e dai suoi colleghi del
National Institute of Mental Health in Maryland. Questi ricercatori identificarono in un
gruppo di molecole, i peptidi, i messaggeri molecolari che facilitano le comunicazioni fra
sistema nervoso e sistema immunitario.
Pert e i suoi colleghi hanno scoperto infatti che questi messaggeri interconnettono
tre sistemi distinti - il sistema nervoso, il sistema immunitario e il sistema endocrino- in
una singola rete. Secondo la concezione tradizionale, questi tre sistemi sono separati e
hanno funzioni diverse. Il sistema nervoso, costituito dal cervello e da una rete di cellule
nervose che attraversa tutto il corpo, è la sede della memoria, del pensiero e delle
emozioni. Il sistema endocrino, costituito dalle ghiandole e dagli ormoni, è il principale
sistema di regolazione dell’organismo, che controlla e integra vari funzioni corporali. Il
sistema immunitario, costituito dalla milza, dal midollo osseo, dai nodi linfatici e dalle
cellule immunitarie che circolano nell’organismo, è il sistema di difesa del corpo,
responsabile dell’integrità dei tessuti e adibito al controllo e della cura delle ferite e dei
meccanismi di riparazione dei tessuti.
A questa separazione dei tre sistemi corrispondono tre distinte discipline per il loro
studio: le neuroscienze, l’endocrinologia e l’immunologia. Le recenti ricerche sui peptidi,
hanno però dimostrato in modo assai evidente che tali separazioni concettuali non sono
altro che una deformazione storica che non può più essere mantenuta.
Secondo Candace Pert, i tre sistemi devono essere considerati come un’unica rete
psicosomatica. I peptidi, una famiglia di sessanta o settanta macromolecole, furono
studiati originariamente in altri contesti, attribuendo loro nomi diversi: ormoni
neurotrasmettitori, endorfine, fattori di crescita e così via. Ci vollero molti anni per
giungere a riconoscere che essi costituiscono un’unica famiglia di messaggeri molecolari.
Questi messaggeri sono brevi catene di aminoacidi che si attaccano a recettori specifici; i
recettori si trovano in abbondanza su tutte le cellule del corpo. Collegando fra loro le
cellule immunitarie, le ghiandole endocrine e le cellule del cervello, i peptidi formano una
rete psicosomatica che si estende in tutto il corpo.
Percepire è “pensare” le cose e in un certo senso generarle. Secondo la teoria di
Santiago la cognizione non è una rappresentazione di un mondo indipendente,
predeterminato, ma consiste piuttosto nell’enazione ( 20), cioè nel generare un mondo.
Il pensiero del sentire emerge anche in altri ambiti, per esempio nelle neuroscienze e
nella biologia. Le ricerche di Candace Pert permisero dunque di identificare in un gruppo
di molecole, i peptidi, i messaggeri molecolari che facilitano le comunicazioni fra sistema
nervoso e sistema immunitario ponendo in rilievo che il sistema nervoso non ha una
struttura gerarchica come si riteneva in precedenza: “I globuli bianchi sono pezzetti di
cervello che si diffondono per il corpo quindi sono elementi cognitivi direttamente in
azione e come tali, essi sono il pensiero del sentire. La cognizione è un fenomeno che si
estende in tutto l’organismo, operando per mezzo di una intricata rete chimica di peptidi
che integrano le nostre attività mentali, emozionali e biologiche. In questo caso quindi, il
sentire si esplica e agisce mentre pensa. La “realtà” fu inventata in Grecia intorno ad uno
spazio circolare che fu in seguito chiamato “orchestra” e insieme alla “realtà” si prese
coscienza anche della mente che doveva sostenere quella realtà.
Da quel momento la “realtà” andò per così dire in onda sulla base di
un’abdicazione della percezione diretta da parte dell’uomo. Non abbiamo mai più saputo
com’era veramente il mondo e non lo sappiamo ancora oggi. Era sufficiente pensare senza
cervello e la realtà andava in onda rendendo il “pensare” una semplice speculazione
metafisica. I media elettrici ed elettronici in grado di spostare l’accento dal visivo
all’uditivo, avrebbero agito determinando una nuova tribalizzazione, dopo i mutamenti
detribalizzanti che McLuhan ha attribuito alla natura discontinua e visiva dell’alfabeto e
della scrittura.
Il silenzioso pensiero del sentire, ri-emerge oggi con grande forza per cui
ritorna ciò che eravamo. Non avevamo più potuto accadere come quegli esseri formati su
quel silenzioso pensiero del sentire. Che il sentire abbia un pensiero è oggi l’accadere di ciò
che era nascosto nella tecnologia e non sappiamo ancora perché esso si sia posto davanti e
prima dell’intelletto e della razionalità. Che cosa significa sentire in questa epoca è dunque
la domanda che è legittimo porsi.
Il sentire si emancipa dall’uomo che lo ha provato e dispiega il “suo” pensiero del
sentire, che non prescinde dall’uomo, ma lo riconsidera come uno degli elementi della
visione o della percezione: Il pensiero del sentire ci svelerà chi siamo e chi siamo stati. Il
sentire è un circuito autoeccitato che genera l’osservatore, che lo genera con l’osservazione:
esso è legato alla circolarità interpretativa dell’evento e tramite questa circolarità, la
natura, nella forma dell’uomo, comincia a conoscere se stessa.
Forse il pensiero del sentire è sempre esistito: esso è una sorta di procronismo che ha
in sé esattamente come la conchiglia, la registrazione di come in passato ha risolto i
problemi di struttura. Nel passato remoto dell’umanità può essere esistita una dimensione
di “sensorio collettivo” o una sorta di coscienza bicamerale per lasciare libera la linea per il
linguaggio con gli Dei.
I TAG - Il riepilogo dei tag
Il vero pensiero liquido che noi pensiamo, è diverso dal pensiero che noi esprimiamo a
parole. E’ infatti per aderire al “vero” pensiero liquido che il linguaggio sta per essere
abbandonato a favore del pensiero del sentire che però, per esplicarsi, deve appoggiarsi ad
una base. Non essendoci più la struttura architettonica della mente e della vorstellung, i
media fanno da sostituto.
Il “pensiero del sentire” non è immediatamente fruibile; esso è sconosciuto perché
intenso e stratificato e per aprirlo bisogna riattualizzarlo attraverso la ripetizione. Il
disvelamento delle condizioni in cui questo pensiero si dà e si attiva, è legato al caso: un
giorno, in uno di quei giorni vissuti per intero senza la mente, l’oggetto pensato tante volte
dal sentire dei nostri sensi, si “aprirà” e mostrerà la sua vera essenza nel ripercorrimento
del ricordo della sua epifania. Quando si verificherà questo evento, ci ricorderemo di CHI
eravamo veramente.
I tag sono oggi probabilmente la “voce” in differita e lontana del Dio (ovvero
dell’emisfero destro governato dalle divinità dei social network come organi di risonanza
che ci dicono che cosa dobbiamo fare) che tracciano le linee guida per una sorta
d’inventario descrittivo trasversale della realtà.
I tag sono chiavi, superchiavi o metachiavi delle pagine web. Esse presuppongono
un accurato lavoro di definizione dell’argomento trattato, ma inevitabilmente, essi sono
anche una sorta di negativo da cui si può risalire alla configurazione del fruitore, per cui la
loro funzione interseca anche l’antropologia, da qui la loro trasversalità.
In un certo senso i tag sono il negativo del pensiero del sentire, sono il feed back del
rovescio della trama che ritorna ma con l’abito dell’intelligibilità. I Tag forse costituiscono
il DNA noetico-linguistico e da essi si può risalire alla forma della mente che li ha costituiti.
Probabilmente i tag ci aiuteranno ad andare “altrove” e fuggire, quando le macchine
occuperanno la maggior parte del pensiero razionale, sempre se saremo ancora in grado di
percepire la minaccia celata dietro questa eventualità.
Quando tutto sarà occupato dal “sentire delle macchine”, un concetto, un contenuto
che sarà rimasto fuori dalla classificazione e risparmiato, perché magari era in sintonia con
gli spazi non toccati dalle mutazioni della coscienza, ci porterà al pensiero silenzioso del
sentire senza l’ausilio del cervello? Chi penserà questo pensiero sarà portato fuori
dall’emergenza del mondo pervaso dalla logica e dagli algoritmi delle macchine e dunque
dalla rappresentazione del mondo o peggio ancora, dal loro governo del sociale, se, nel
frattempo, si sarà affermato prevalendo su quello umano.
Rimemorazione
Il pensiero del sentire non è immediatamente fruibile, esso è sconosciuto perché
intenso e stratificato e per “aprirlo” bisogna riattualizzarlo attraverso la ripetizione. Uno
dei modi in cui la “ripetizione” viene praticata nelle società Occidentali intensivamente, è
dato dalla pubblicità che percorre e scruta continuamente gli stessi messaggi, fino a che
uno di essi si “rompe” e il pensiero del “sentire” divenuto liquido, cola via, pronto a
scorrere nella rete dei canali dei cellulari e degli iphone. Possiamo ipotizzare che quando
una di queste “percezioni” si rompe, inizia a formarsi una configurazione che potrebbe
dare inizio ad una nuova realtà? Come si farà a riconoscere l’avvento del nuovo?
C’erano state già avvisaglie di questo processo di cambiamento e di rottura del velo di
maia della falsa realtà? Ecco per esempio cosa scrivevano i situazionisti: “Nel 1958 su “Le
Monde” si può leggere: “ Ci troviamo al centro dello spettacolo e lo viviamo in quanto ne
siamo parte integrante”. Il rafforzamento del potere illusionistico del cinema ha prodotto
un’inversione compiuta della vita, quell’arte centrale della nostra società che si presenta da
quel momento come “un sostituto passivo dell’attività artistica unitaria oggi possibile”. I
situazionisti sostenevano la necessità di cambiare e abbattere tutto ciò che teneva in piedi
il regno coerente della miseria. “occorreva cambiare tutto con una lotta unitaria o niente.
Occorreva raggiungere le masse, ma intorno a noi il sonno. (...) Non si contesta mai
davvero un’organizzazione dell’esistenza senza contestare tutte le forme di linguaggio che a
quell’organizzazione appartengono. Ciò che era immediatamente vissuto, riappare fissato
in lontananza, iscritto nei gusti e nelle illusioni di un’epoca, e spazzato via insieme ad essa.
(...) Abbiamo bisogno di creare la star. E’ la miseria del bisogno, è la vita spenta e anonima
che vorrebbe allargarsi alle dimensioni di una vita da cinema. La vita immaginaria dello
schermo è il prodotto di questo bisogno reale”( 21).
E oggi forse un bisogno reale scaturente da zone nuove della nostra interiorità, ci ha
veramente indicato la strada verso la vita governata dal pensiero del sentire che ci ha
portato in un universo liquido e sconosciuto in cui sembriamo essere diventati “cose” che
vivono in un movimento che per il momento produce solo smarrimento ed erramento in
un non-luogo senza più direzione.
Alla ricerca di nuovi ripostigli per la coscienza
“Nel ripostiglio delle cose, essere cosa in mezzo alle cose...” così recitano le parole di un
brano di tecno music e queste parole ci fanno pensare e ci danno la misura di come questo
statuto di cosa sia il punto di passaggio dalla mente che oggi è crollata, verso una nuova
ipostasi. La statuto di “cosa” pare si annunci come una sorta di psico prassi, un training
cardiaco minimalista di un nuovo cuore che paradossalmente continua a battere anche ora
che siamo tutti “morti”.
Nella società “malata” delle reti, del caos, delle “strutture dissipative” che ci portano a
superare il “collasso” e ad accedere ad una nuova mente cardiaca di risonanza il sangue è
rappresentato dal pensiero liquido. Mentre la prassi si scrive da sola, noi le siamo collegati
tramite il pensiero del sentire che batte come un cuore nuovo.
E’, secondo me, avviata la creazione di un atteggiamento orientato verso
l’abbandono di ogni organicità e l’adozione di una logica porosa ed inorganica che esplora
pensieri estremi che attivano una dimensione senza la mente, non-umana e non-vitale. Ora
qual è la visione del mondo di una “cosa”? Come vediamo la realtà quando, unificate tutte
le rap-presentazioni del mondo in una trama unitaria indissolubile, osserviamo i fenomeni
in modo inerte e speculare?
La risposta è problematica ora che le persone non appartengono più a se stesse, ma
al luogo in cui si muovono e all’era della filmabilita tecnica della loro esistenza. “Esse sono
elementi mobili di ambienti a cui possono essere aggiunte o tolte senza che l’insieme muti
sostanzialmente: esse sono lo spazio che sente ed i loro sensi “pensano” il loro stesso
“sentire”. “Le cose” stanno come gli angeli di san Tommaso d’Aquino, in una dimensione
intermedia tra l’eternità e il tempo; esse dimorano nell’aevum, cioè in una durata che ha un
inizio, non una fine”. ”Di questa nuova condizione si fa interprete il tecnomorfismo
architettonico del giapponese Shin Takamatsu, nella cui opera sembra siano soppressi i
confini tra il corpo umano e il mondo, non perché entrambi sono partecipi di una grande
vita universale, ma perché alla tecnologia che rappresenta un’estensione dei sensi è
assegnato il compito di percepire.
Si impone così un sentire inorganico cui l’uomo ha accesso per via indiretta, perché
gli proviene dal di fuori del suo corpo e non dall’interno: dall’esterno fino ad ora proveniva
soltanto il percepito, non il percipiente, il sentito non il senziente. Adesso invece l’uomo
può percepire in quanto si adegua ad essere anch’egli una cosa senziente simile ai sensori
elettronici” ( 22). “Il modo di “vedere”della cosa è lo schema, che in latino si dice habitus
da cui appunto “abitudine” e nella teoria della sequenza normale l’attenzione degli uominicosa è posta non sull’originale ma sulla copia ovvero sul simulacro” ( 23).
Naturalmente esistono forme di intrattenimento intelligenti come “Fora”, nata
sull’intuizione che ogni giorno vengono espresse idee brillanti in spazi pubblici di cui
nessuno prende visione, che sono “organi di risonanza” che prendono il posto della mente
e questa è una cosa su cui non si è riflettuto ancora. Gli uomini-cosa non hanno un centro
di raccolta mentale su cui le percezioni possono stratificarsi e depositarsi, per questo
motivo occorre una sorta di campo secondario di risonanza in cui c’è la rappresentazione
della conoscenza che ci aiuti a sapere che cosa sappiamo e che cosa non sappiamo su un
display, un computer in un filmato di you tube.
Questi “nuovi esseri” senza mente hanno preferito far crollare tutta l’architettuta
mentale sotto il suo stesso peso anziché restare impigliati nella rappresentazione del reale
rassicurante, ma troppo vicina, netta e definita ma falsa. I nativi del web sono alla ricerca
di rassicurazioni e queste rassicurazioni provengono da “organi di risonanza” che
conferiscono sicurezza e dicono loro dove proseguirà il cammino che si snoda per tutta la
vita come una caccia al tesoro. Il tesoro consiste nel trovare il mondo materiale del quale,
come affermano Maturana e Varela, possiamo affermare “che non esiste neanche una cosa
che sia indipendente dal processo della cognizione”.
Non c’è alcun territorio predeterminato di cui possiamo tracciare una mappa: è
l’azione stessa del tracciare la mappa che genera le caratteristiche del territorio. In ogni
caso la replicazione del territorio dà sicurezza.
E’ la replicazione che dà senso e significato: se nulla si ripetesse mai, nulla sarebbe
riconoscibile, ma la ripetizione contiene in sé anche i segnali del nuovo, del divenire, anche
se questi sono difficili da leggere. La ripetizione è quindi differente, e anche se,
apparentemente nulla di nuovo accade immediatamente, tuttavia può essere decrittato
l’accidente che fa saltare la serie delle apparenze permettendo di scrutare il nuovo che
brilla.
C’è bisogno di un lungo lavoro di riepilogazione perchè il pensiero del sentire crea
per piccole variazioni. Come avviene il riconoscimento e quindi il passaggio dall’ultima
copia al primo elemento della nuova serie? Forse accade tutto all’improvviso. Spesso è un
disturbo della trasmissione, un’interferenza casuale che obbliga ad una revisione di tutto
un passato.
L’avvento di un oggetto primo di pensiero (del sentire) che crea un fenomeno
sfuggente, forse anche “pericoloso”, dà inizio ad una nuova serie di accadimenti. In
proposito ecco il parere di Brian Gruber: “E’ un periodo di grande fermento nel mondo dei
media, che prelude alla nascita di forme espressive completamente nuove. Siamo convinti
che esista una subcultura - se vogliamo chiamarla così - cui appartengono, secondo le
nostre stime 200 milioni di persone in tutto il mondo, che ricercano nuove voci, amano
imparare cose nuove e consumano “contenuti intelligenti” (24). Magari l’evento viene
filmato su you tube e mandato in connessione. Intorno ad esso molti mutanti si accalcano
senza però comprendere consapevolmente che ciò che scrutano è veramente nuovo perché
il pensiero del loro sentire non trasmette l’informazione ad un centro congruente e dunque
devono attendere che si completi il ciclo-sequenza di connessioni wireless a banda sempre
più larga, dal pensiero liquido del sentire, agli organi di risonanza e viceversa.
Quando il ciclo si completa, accade che esseri senza la mente percepiscano
l’avvento di un “oggetto” primo? E poi, l’oggetto primo non potrebbe essere la nuova
ipostasi della mente che nasce come oggetto, come un evento che guarda coloro che la
guardano ed è guardata da essi? Forse è proprio questa la fase che stiamo vivendo e nella
quale ci troviamo a prendere atto della fine della grammatica e della nascita di una sintassi
teologica per un pensiero liquido e im-proprio sostituto di una “mente” sommamente nonidentitaria, ovvero di una identità senza individuazione?
Secondo George Kubler ( 25) le opere umane sono come le stelle, la cui luce parte
molto tempo prima di apparire all’osservatore. Anche l’attività dello storico non si sottrae a
questa condizione: i segnali che egli, dopo averli deformati, ritrasmette verso l’avvenire,
non possono mai essere né completi né definitivi. Il riconoscimento dell’originalità
richiede un lungo lavoro di rielaborazione che procede secondo tempi lunghissimi. Ma
esseri senza mente avranno ancora il senso della storia? E soprattutto se eventi nuovi
stanno accadendo, quale sarà il tipo di mente o di configurazione mentale che le percepirà,
le riconoscerà e le registrerà?
Il pensiero liquido
Il pensiero liquido sta crescendo e speriamo di non affogare in esso.
Personalmente non ho nessun entusiasmo per questa esaltazione maniacale della vita
interamente on line che secondo alcuni autori ci attenderebbe . La scomparsa delle
“tastiere, dei cavi di connessione, e di tutta la pesante infrastruttura tecnologica che
sostiene oggi la connessione in rete, abiliterà la natural interaction cioè la possibilità di
traslare la maggior parte della nostra esistenza on line.
La connettività permanente ad altissima velocità rappresenterà l’occasione per
completare quel trasferimento di contenuti e servizi dalla vita fisica alla vita online, oggi in
parte iniziato, ma ancora in gran parte da sviluppare”.
Quando il crollo della mente sarà un evento conclamato, molte cose saranno
completamente nuove. Io non ci trovo nulla di esaltante nel cosiddetto soul catcher che
“Registrerà e immagazzinerà le nostre emozioni. Suona inquietante, ma già oggi i chip
vengono impiantati in animali, soprattutto, ed esseri umani (in via sperimentale, per ora).
L’operazione è del tutto innocua e indolore e con la miniaturizzazione dei chip diventerà
semplice come fare un’iniezione. Un chip collegato alle nostre reti neurali potrà dialogare
con esse, usando un linguaggio comune e potendo inviare in un dispositivo di memoria
senza fili, tutte le informazioni del caso sulle nostre emozioni” ( 26).
Il crollo della mente e l’avvento del pensiero liquido porterà con sé la realizzazione
della natural interaction che ci porterà a sua volta alla connessione senza cucitura, senza
interazione con mouse, tastiere, pulsantiere. Le tecnologie non saranno facilmente
percepibili ma saranno ovunque e saranno “organi di risonanza” e consiglieri nel senso che
daranno anche la continuità d’azione e un ricordo aurorale di chi siamo e che cosa
dobbiamo fare quando sarà cancellato il verbo essere e la nostra funzione sarà stabilita da
piani e progetti in cui gli “individui” formeranno colonie (di organismi simbiotici, preposte
a compiti sociali. La mente così come oggi la conosciamo sarà un “ricordo” di cui solo
qualche studioso, avrà una vaga idea.
S-mentire il paesaggio
I nativi del web, i nativi senza-mente che appartengono al mondo liquido-moderno,
abitano i non-luoghi caratteristici dei profughi e dei rifugiati. Molto probabilmente questi
non-luoghi sono modelli in anteprima del mondo che verrà, e i loro residenti vengono
indotti e spinti dalle circostanze, nel ruolo di primi esploratori. Verrà forse un tempo in cui
scopriremo tutti di essere dei rifugiati post-crollo della mente e assaporeremo il gusto del
non-luogo. Il nostro “paesaggio” è forse la pelle nella quale trascorriamo e procediamo
attraverso lo spazio? Oppure il “paesaggio” è il nostro linguaggio (che è la pelle della
mente) nel quale procediamo smarriti e pressati dal bisogno di riconfigurare verbalmente
la realtà col pensiero del sentire?
A differenza dello spettacolo che implica l’esistenza di un occhio che lo
guarda, la nozione di paesaggio trae dalla sua provenienza geografica un’impersonalità
che prescinde completamente dal punto di vista soggettivo. Senza la mente lo spazio
diventa liquido, senza la mente lo spazio diventa ogni cosa, senza la mente il paesaggio
tramonta definitivamente.
Il paesaggio è trasmutato nel sito e il sito non ha consistenza e in esso gli uomini
devono affidarsi agli “organi di risonanza” dei social network per non naufragare; il web,
da questa angolazione, e da questo punto d’essere è considerabile come una zattera a cui si
aggrappano uomini in pericolo di affogare in menti non più sufficienti, sciolte come castelli
di sabbia in un pensiero liquido. La verità di un paesaggio è una questione di aderenza e di
stili di pensiero.
L’esperienza di un paesaggio/sito è una questione muta, obliqua, opposta a quello
del paesaggio reale perché il pensiero liquido del sentire si raffigura anche ciò che non si
vede poiché il pensiero liquido senza mente, trasgredisce anche le regole della prospettiva,
inserendo nella visione sostenuta dagli organi di risonanza tecnologici, molti orizzonti e
molti punti di vista. Così come accade nella pittura bizantina in cui l’eidos (la forma
sovrasensibile) e la morphé (la forma sensibile), coincidono completamente, allo stesso
modo, diventa percepibile che nel “sito” si attua il congiungimento tra l’invisibile e il
visibile, tra il virtuale e il reale, poiché esso è il luogo in cui i due mondi si toccano.
Per il pensiero liquido del sentire degli esseri senza mente, il sito non è
l’imitazione del paesaggio originario, ma il paesaggio stesso del non-luogo, il punto in cui
vi è l’orma di una mente (crollata) non identitaria, così come accade per l’icona che non è
l’imitazione dell’originale ma l’originale stesso. In questo modo si palesa che le fonti di
questo tipo di visione non stanno in “Platone, che considerava la forma sensibile
ontologicamente inferiore a quella sovrasensibile, ma in Plotino e nell’estetica bizantina
per i quali l’essere e la bellezza sono inseparabili.
L’immagine deve perciò essere considerata non come una semplice
rappresentazione dell’’originale, ma come una parola, un’evocazione della sintassi
teologica della “porta” attraverso cui la divinità, sotto la specie degli organi di risonanza
(display, cellulari, iphones, social network) entra nel mondo sensibile e può lasciarsi
pensare contemplandosi attraverso il pensiero liquido del sentire che fluisce, ordinando ciò
che va fatto attraverso nuove routines neurofisiologiche. Senza la mente siamo spalmati
fuori dal paesaggio, su grandi spazi, in un’altra configurazione cognitiva. Il teatro della
mente è sparito e il punto d’essere non va più in scena. Siamo tesi verso la costruzione di
una supercoscienza cognitiva liquida fondata su un protocollo prelinguistico per
l’attuazione totale della divinità sul piano della tecnologia.
La nuova consapevolezza fluisce oggi in un ambiente cosciente che si può
considerare una sorta di secondo mondo sorto su una esternità che cresce e s’innalza come
un grattacielo in costruzione. In questa dimensione sempre nuova e cangiante, si muove un
sentire pensante che ci svela che siamo parti di un grande corpo, che siamo “cellule
pensiero” che pensano e sono pensati da un pensiero liquido. Ora dopo tremila anni siamo
ancora noi la metafora del mondo? La verità è chiusa forse nei cellulari.
PARTE V Il Pensiero del sentire e L’ESTERNITA’
L’esternità come silenzio
L’esternità e la musica come sound
L’esternità e la morte
Carattere di transitorietà dello spazio verso l’esternità
L’esternità come perdita della forma
L’esternità come silenzio
Il pensiero del sentire è una forma particolare di “pensiero” caratterizzato da una
condizione di “silenzio”o di interruzione interpretativo delle facoltà razionali, preposte alla
descrizione del mondo come fenomeno. Questo “tipo” di pensiero potrebbe essere simile
alla condizione di epochè delle estasi mistiche o della percezione alterata dall’assunzione di
sostanze psicotrope e degli stati di trascendenza dell’io nel samadhi degli yogi con alto
grado di evoluzione spirituale. Questo pensiero scaturisce direttamente dalla percezione
dei sensi; così mentre i nostri sensi “pensano”, il nostro corpo razionale può continuare a
credere di essere sempre nello stesso identico punto del mondo. Ma non è così. Piano
piano, ogni volta che una nuova percezione dei sensi, diviene l’oggetto del pensiero del
sentire, quel bagliore fugace che s’accende, crea un’estensione del nostro corpo verso
l’esternità.
L’esternità è adesso. Non c’è nulla a priori, niente che possa costituire un corpo di
conoscenza perché ogni cosa è adesso. Ogni cosa è adesso e.. silenziosamente, significa che
la “cosa” compare e lampeggia solo questa volta e poi mai più e quindi essa comporta la sua
esistenza in un punto sconosciuto dell’esternità. L’esistenza dell’esternità si “scruta”, si
scruta e si percepisce intorno al fenomeno o alla “cosa”: di essa ci si accorge poiché il
comportamento degli uomini ha un’impennata verso modalità stranianti.
L’esternità non è un mondo oggettivo che si autoafferma con la sua immanenza, ma
una sottile fettuccia, una striscia di terra, un fugace silenzioso poggiare i piedi su di un
“fazzoletto” di terra di cui non si sa se sia stata evocata da un sogno, da un’allucinazione, e
su cui, in ogni caso, si permane per poco, per tanto poco tempo che si viene lasciati nel
dubbio se sia mai stato vero e reale il nostro passarci. L’accensione dell’esternità trascina
con sé l’evocazione di un pezzo nuovo di noi, che compare come una sagoma ritagliata
attorno alla nostra silouette che si trasforma in corpo di carne ed ossa per pochi millesimi
di secondo. Molte “immagini” dell’esternità si accumulano e diventano liquide, senza che si
costituisca un paesaggio: la superficie dell’esternità resta silenziosa, deserta e liquida, ad
essa si giunge attraverso un corpo che si ottiene fugacemente, solo per una volta e mai più.
L’esternità e la musica come sound
I Rave party costituiscono una delle strade che portano all’esternità. Il rave è
un posto dove i sogni turbinano nell’aria e si deve solo afferrarli.... E poi si può ballare
sull’acqua. Tutti sono a caccia di un sé intensivo cercato anche nelle situazioni più
paradossali. Ad esempio anche un incidente della strada può diventare funzionale
all’espansione...in un ospedale si va a tentare di uscire dal coma, dove il “coma” è costituito
dalla modalità normal/arcaica di vivere.
Ciò che conta nei Rave party è il navigare nell’immaginario, nel paranormale, nelle
stelle, nel riso. In questa esternità si pensa che sarebbe una fortuna se una fata venisse a
darci un piccolo colpo nei fianchi che ci spingesse finalmente nell’avvenire. nell’esternità
però, l’avvenire è là, ma sotto un’altra forma, con un altro colore, con un’altra materia e
magari con un altro tempo che non abbia tempo di essere perché il tempo ora ha una storia
che lo riempie totalmente impedendogli di scandire le nostre esistenze al di fuori del
RAVE. Nel rave party è un suono a prendere il comando, il sound apre porte su territori
senza confine, la musica apre l’esternità.
L’esternità e la morte
L’ingresso nell’esternità implica dei cambiamenti somatici? Detto in altri termini
occorre un corpo differente per far fronte ai mutamenti di ogni tipo che stanno
verificandosi? Il disorientamento che ci coglie di fronte alla paradossalità degli eventi che
le cronache quotidiane ci propinano, deriva dal fatto che tentiamo di interpretarle con i
residui di una mente vecchia? Le routines neurofisiologiche dell’apprendimento
dell’alfabeto, e dell’adozione di un sistema decrittivo/percettivo della “realtà” fondato sulla
rappresentazione che hanno funzionato fino ad oggi da rallentatore/regolatore della
visione del mondo, crollano oggi sotto il peso della liquidità dell’esternità che s’impone.
Nelle nuove ritualità come quelle dei reve parties, in cui si assumono droghe, mentre si è in
preda a stati psicologici di grande intensità, possono verificarsi esplosioni di bombe a
tempo linguistico/culturali e modificazioni psicologico/somatiche?
E’ ancora da vedere, se la gran massa di materiale inconscio che intravediamo, premere
da tempo immemorabile alle frontiere della coscienza per entrare nella prassi, ha
effettuato uno sfondamento: questo materiale psichico, potrebbe aver trovato oggi, una
modalità per entrare nella realtà, sotto le spoglie di quello che Freud definì il perturbante.
Il pensiero del sentire può aver creato una pressione nuova, dovuta alla comparsa di una
nuova ipostasi della mente che rovesciando le condizioni ordinarie percettive e adottando
un nuovo protocollo cognitivo, crea le condizioni per le quali “noi” siamo posti dalla realtà
e non viceversa. Questa nuova condizione potrebbe averci condotto molto vicino alla morte
e dunque alla necessità di un adattamento a nuove condizioni psicologico/ambientali.
Data la situazione attuale in cui ci troviamo in presenza di mutazioni
antropologiche profondissime, “Il cambiamento somatico è assolutamente necessario per
la sopravvivenza. Qualsiasi cambiamento ambientale che richieda un cambiamento
adattivo nella specie, sarà letale a meno che, mediante il cambiamento somatico gli
organismi (o alcuni di essi) non siano capaci di resistere per un periodo di durata
imprevedibile, finchè non si attui un opportuno cambiamento genotipico (vuoi per
mutazione vuoi per ridistribuzione di geni già presenti nella popolazione), oppure finchè
l’ambiente non ritorni alla normalità precedente” (27)
Questa considerazione porta alla classificazione dei cambiamenti tanto genotipici quanto
ambientali in termini del prezzo che essi impongono alla flessibilità del sistema somatico.
Un cambiamento letale nell’ambiente o nel genotipo è semplicemente un cambiamento che
richiede modificazioni somatiche che l’organismo non può compiere.
Tuttavia il prezzo somatico di un dato cambiamento deve dipendere non in modo
assoluto da quel cambiamento, ma dal grado di flessibilità somatica che l’organismo
possiede in quel momento. ”O cancellate voi stessi o le vostre venerazioni, ed in ogni caso
sarà il nichilismo” La frase di Nietzsche è più che mai pertinente. Abbiamo costruito
probabilmente il nostro corpo su visioni/rappresentazioni e concetti che oggi sono crollati
sotto l’impatto delle tecnologie. Abbiamo forse perduto letteralmente la “terra” da sotto i
piedi e, di tanto in tanto, si fa incontro al nostro piede un piccolo baluginante lembo della
nuova terra dell’esternità.
Carattere di transitorietà dello spazio verso l’esternità
Lo spazio e l’esternità, sono la stessa cosa? Con le tecnologie i “luoghi” non sono
immobili ma possono spostarsi. “Librerie che diventano archivi di bit, scaffali sostituiti dai
servere elettronici, gallerie che lasciano il posto progressivamente a musei virtuali, teatri
come infrastrutture di intrattenimento, scuole organizzate come campus virtuali, ospedali
trasformati dalla telemedicina, prigioni sostituite da programmi di controllo elettronico”
( 28). Ad esempio, cavigliere e braccialetti elettronici renderanno inutile luoghi come la
prigione oppure, se si vuole, la “prigione” avrà una modalità transitoria.
Emergeremo dai luoghi e dagli spazi per entrare nell’esternità e la figura umana sarà
data, nell’era della filmabilità tecnica della vita, dalla produzione delle apparenze in cui
essa consisteva: sulla “pellicola” degli spazi, dei vecchi spazi, l’uomo comune si rivitalizzerà
e si ricorporerà nell’esternità. La vecchia visione della realtà interamente transitoria sarà
usata come il pretesto “scenografico” per muoverci come ologrammi e recuperare tra le
macerie parti di noi che serviranno nel passaggio verso il nuovo, altrove attiguo
dell’esternità.
L’esternità come perdita della forma
La “scomparsa” degli individui nativi del web svela il preindividuale che essi
comportavano. Le figure soglia che erano i soggetti, ancora erano in grado di catturare il
loro corpo usandolo come fondamento del luogo, conferendo , in questo modo una etnicità
fittizia al luogo come spazio nazional/domestico/coloniale. Ma se all’umanità che
probabilmente è già fondata tecnicamente sull’improprietà che la costituisce, alla
estroflessione e alla , deterritorializzazione originaria, si aggiunge il discorso della
impossibile gestione dei “vuoti” della condizione “senza mente”, allora questo comporta
che la sfera appartentiva non può essere altro che un “qui” dilatato, un luogo espanso e
irriconoscibile, che perde i contorni, si liquefa, diventa un “luogo” non identitario in cui il
corpo, tra il divincolarsi dalla sua stessa forma, e dall’essere risucchiato in essa finisce in
un ambito di indiscernibilità.
Relativamente alla forma e al mantenimento di una coscienza e alla presenza
come individui senza mente, i nativi del Web sono alla mercè degli imperativi collettivi.
Destinata al naufragio è l’idea di una stabilità globale e dell’esistenza eventuale di un
principio là fuori, verso il quale si può partire alla ricerca come un cavaliere antico, (che
oggi non ha cavallo, né armatura ma con-batte e si di-batte con una lattina di birra in
mano, mentre balla semiubriaco di fronte ad un muro di una vecchia fabbrica al suono di
musica in un rave party). E sono questi “imperativi collettivi”, sotto le spoglie di organi di
risonanza elettronici, display, iphones, che determinano la sparizione del poco sé che
ancora rimane.
Secondo la “relatività” la presenza della materia di cui è fatto questo Sé , dovrebbe
“mostrarsi” facendo tendere lo spazio, deformandolo o meglio sarebbe dire formandolo nel
sociale. Ma non avviene così per l’esternità creata tramite l’attività degli organi di
risonanza sui neocorpi liquidi senza la mente. La forma dei neocorpi senza mente non è in
sé pienamente compiuta, quindi è impossibile mettere in tensione l’esternità poiché
quest’ultima è soltanto campitura, sfondo/contenitore indifferente.
Non sappiamo quale linguaggio parla il corpo nell’esternità e dunque diventa
impossibile fornire ragioni logiche per determinati comportamenti e le risposte verbali dei
nativi del web alle domande fondamentali, non hanno origine in alcun spazio mentale
interiore ma in semplici camere elettroniche di compensazione e risonanza. In sostanza
non può più esistere l’eventualità che una persona possa spiegare se stessa. Con la perdita
del “sé” e con il crollo della mente e della capacità di narratizzare, il comportamento o
risponde a ordini ricevuti in forma allucinatoria da organi di risonanza o continua
facendosi guidare dall’abitudine. Il poco “sé” che rimane ha l’impressione di essere stato
lasciato solo dalla Divinità costituita (dal suo emisfero cerebrale destro).
Nell’esternità come accade nel rave party, e così come accade pure, nel momento del
controllo degli organi di risonanza dei social network, non c’è un analogo del sé. Il nativo
senza mente non può raffigurare se stesso nell’atto di fare qualcosa, e non può prepararsi a
rispondere a ciò che le esigenze del momento richiedono. Il volume d’informazione è così
voluminoso e veloce che ha surclassato il sistema nervoso quindi il vecchio hardware
biologico è inadatto all’infosfera e all’esternità. Per i nativi del Web bisogna guadagnare il
neocorpo che serve solo una volta e solo per una percezione. Il pensiero del sentire nella
condizione di liquidità inonderà le cose e la nuova spiaggia del “reale”: ad ogni ondata il
pensiero del sentire bagnerà una nuova esternità per la quale ogni volta occorrerà un
neocorpo senza la mente.
Postfazione
L’autore fa presente che le tematiche che sono state presentate in questo pamphlet,
saranno utilizzate ed amplificate per la preparazione di schede didattiche per gli studenti
delle scuole superiori e università. Lo scopo di tale iniziativa è dato dalla necessità di
coinvolgere i giovani in una serie di dibattiti e di riflessioni, su temi scottanti della vita
attuale.
Indice
Prefazione pagg. 1 - 4
Parte I
Verso un sentire pensante
Il corpo nell’epoca della Transnaturalità elettronica
Il corpo-scena pagg. 4 - 9
Parte II
Il sentire pensante pagg. 9 - 13
Parte III
Lo spazio cosciente pagg. 13 - 16
L’amalgama che sente pagg. 16 - 19
Parte IV
Il pensiero liquido e il crollo della mente pagg. 20 - 47
Il crollo della mente pagg. 20 - 24
Situazione Italiana pagg.24 - 27
Il linguaggio nella tempesta pagg. 27 - 29
Organi di risonanza pagg. 29 - 30
Open source pagg. 30 - 31
Pensare senza un cervello pagg. 31 - 37
I Tag - Il riepilogo dei tag pagg. 37 - 38
Rimemorazione Pagg. 39 - 40
Alla ricerca di nuovi ripostigli Per la coscienza pagg. 40 - 44
Il pensiero liquido pagg. 44 - 45
S-mentire il paesaggio pagg. 45 - 47
Parte V
Il pensiero del sentire e l’esternità
L’esternità come silenzio pagg. 48 - 49
L’esternità e la musica come sound pag. 49
L’esternità e la morte pagg. 49 - 51
Carattere di transitorietà. Dello spazio verso l’esternità pagg. 51 - 52
L’esternità come perdita della forma Pag. 52
Dati biografici
Gaetano Mirabella è nato a Salerno nel 1947. E’ laureato il filosofia e in storia dell’arte
presso l’Università di Urbino. Autore di numerosi saggi teorici pubblicati in qualità di
membro della Società Italiana per gli studi di Estetica. E’ autore di un romanzo filosofico
dal titolo “Dieci passi prima dell’eternità” edito da Palladio, Salerno 2004. Si è occupato di
teatro e ha scritto vari testi teatrali.
E’ un “McLuhan Fellow” collaboratore di Derrick de Kerchkove, direttore del McLuhan
Program in culture and technology di Toronto. Nell’estate 2007 è stato invitato da Derrick
de Kerchkove in Canada per contribuire con due articoli (Il corpo-scena e Lo spazio
cosciente) alla redazione di un libro sul concetto di “Punto d’essere”, insieme ad altri
ricercatori, tra cui lo stesso De Kerchkove e Edith Ackermann ex assistente di jean Piaget.
Il libro uscirà in U.S.A. sotto il patrocinio della Biblioteca del Congresso. Ha contribuito
alla stesura di un’antologia a cura del Mc Luhan Program, con un articolo dal titolo (Il
pensiero liquido del terzo millennio e il crollo della mente) che figura come IV capitolo del
presente pamphlet.
Sul tema, nel sito e in rete (cliccare sul rosso per leggere l’art.), si cfr.:
GAETANO MIRABELLA
Al di là della civiltà cattolico-romana... la civilizzazione video-cristiana:
"Dieci passi prima dell’eternità " (Gaetano Mirabella, 2004).
E-DEMOCRACY E CRISTIANESIMO: IL REGNO DEI "SANTI
ELETTRONICI".
La "virtualità" dell’etica e il web. Una nota di Derrick De Kerckhove
ETICA ED ESTETICA DELLA CREATIVITA’. INTERVISTA A DERRICK DE
KERCKHOVE. «Ieri è stata la tv, oggi tocca alla Rete formare una nuova
intelligenza, collettiva e ’connettiva’, capace di dettare l’agenda al potere»
DAL DISAGIO ALLA CRISI DI CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO" EDIPICO
DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA.
*
Note :
1. Il tema del “corpo-scena" scaturisce da un mio romanzo filosofico, scritto in quattro anni dal 1984 al 1988
dal titolo “Dieci passi prima dell’eternità” edito da Palladio, Salerno 2004. La vicenda imperniata sulla messa
in scena del sistema nervoso del protagonista, racconta della scenografica esistenza del Priore Adam Cadmon
figura esoterica e metafora del cosciente collettivo, attraverso cui il protagonista passa per rivisitare la sua
esistenza ed entrare in una “presenza definitiva” ed enattiva, che lo conduca attraverso il “sentire pensante”
alla percezione dello “spazio cosciente” in un nuovo corpo.
2. Cfr. il sito www.venis.it/medea/infoperla/azzarhtm su cui Angela Azzaro parla dell’anamorfosi,
l’arte dello spiazzamento. Il termine, insieme a quello relativo alla distopia e scenologhia, scaturisce da
riflessioni sulla fine del concetto di spazio euclideo, nonché, sulla fine della prospettiva rinascimentale
classica, che assumeva un centro dal quale partire, per dar luogo alla costituzione dell’immagine del mondo.
Con le neotecnologie si passa dalla rappresentazione classica del mondo, alla “simulazione”.
3. Mentre ci identifichiamo sempre più con i “tecnocorpi”, impariamo sempre meglio a costruirci su internet
un “sé” che fa ricorso ciclicamente a molti “sé”: ci modelliamo e ci ricreiamo all’interno della realtà virtuale.
Che tipo di personaggi diventiamo? Questi frammenti di personalità concorrono alla formazione di una
nuova mente o al suo “crollo”? Per un approfondimento delle tematiche concernenti il sé, cfr. Sherry Turkle,
“la vita oltre lo schermo” Ed. Apogeo, Milano, 1997.
4. Marshall McLuhan, “Gli strumenti del comunicare” Edizioni Garzanti, Milano, 1997
5. H.R. Maturana e F.J. Varela, “Autopoiesi e cognizione” Ed. Marsilio, Venezia 1992
6. Cfr. Mark Dery, “Velocità di fuga” Ed. Feltrinelli, Milano 1997. Nel Libro si parla della metafora della
“velocità di fuga” per staccarsi dalla terra e dal corpo materiale, ritenuto obsoleto dai nativi del web, verso
una dimensione totalmente elettronica.
7. Upanisad, Edizioni Boringhieri, torino, 1985.
8. Maturana e Varela, “Autopoiesi e cognizione”, Marsilio edizioni, Venezia, 1992, pag. 55
9. Mario Perniola , “L’estetica del novecento” Edizioni Il Mulino, Bologna 1997, pag 155
10. Mario Costa, Internet e globalizzazione estetica” Edizioni Tempo Lungo, Napoli, 2002, pagg. 8-10
11. Il “grafo neurale” è secondo il neurobiologo Jean-pierre Changeux un oggetto mentale, cioè un reticolo di
reazioni sinaptiche virtuali o attualizzate da più neuroni, secondo il tipo di attività stimolata da un evento
interno o esterno all’organismo: sta in “La civilizzazione videocristiana” di Derrick de Kerchkove, ed.
Feltrinelli, Milano, 1995.
12. Il concetto è trattato in vari punti del romanzo “Dieci passi prima dell’eternità” di Gaetano Mirabella Ed.
Palladio, Salerno, 2004, pag. 40 e seguenti. Le nuove tecnologie hanno ricreato intorno al corpo con organi di
risonanza tecnologici un campo energetico che ci colloca in una sorta di spazio percettivo totale e fa di noi
“Santi” a caccia di una spazio intenso come quello della pittura bizantina , descritto dalla filosofia di Plotino.
13. Per un approfondimento della tematica relativa al “crollo della mente” si può leggere il libro di Julian
Jaynes “Il collo della mente bicamerale” Edizioni Adelphi, Milano 1996.
14. “Your Truman Show” di Arturo Artom sta in “Web 2.0” a cura di Vito di Bari, edizione “Il sole
ventiquattro ore”, Milano, 2007, pag. 273.
15. Mario Perniola, “Transiti” Ed. Cappelli, Bologna, 1985, pag. 127.
16. Mario Perniola, “Transiti” Ed. Cappelli, Bologna, 1985, pag. 127.
17. Ho elaborato il concetto di “spazio che sente” in occasione della mia partecipazione al 2° Congresso
Mediterraneo di Estetica tenutosi a Tunisi nel marzo del 2003. Nello stesso congresso fu eleborato anche il
concetto di “sentire pensante”. I due concetti furono trattati in un articolo pubblicato dalla Presidente
dell’associazione tunisina d’estetica e poetica Rachida Triki, nel volume “espace e memoire” Ed. Atep
Maghreb Diffusion, 2003, pagg. 241-252. Nell’estate 2007 Derrick de Kerchkove mi chiese di scrivere
insieme a lui e ad un gruppo di ricercatori (Luisa Malerba, Loretta Secchi, Cristina Miranda De Almeida, a
cui si aggiunsero in seguito la coreografa canadese Isabella Choiniere, Edith Ackermann ex assistente di Jean
Piaget e la coreana Sryu. Gli stessi articoli di cui sopra, confluirono quindi in un libro dal titolo “Il punto
d’essere” che è in via di pubblicazione sotto il patrocinio della Biblioteca del Congresso degli U.S.A.
18. Zigmunt Bauman “Modernità liquida”, edizioni Laterza, Bari, 2005, pag. 124.
19. Candace Pert e lo studio del National Institute of menthal Health in Mariland sta in Fritjof Capra “La rete
della vita” Edizioni Euroclub Italia s.p.a., Milano, 1999, pagg. 311,312.
20. Il concetto di “enazione”, scaturisce dall’approfondimento dell’opera degli studiosi cileni Humberto
Maturana e Francisco Varela,relativamente al concetto di autopoiesi cognitiva.
21. “Con e contro il cinema” in “Internazionale situazionista” n° 1 giugno 1958 - sta in Jean Francois Martos
“Rovesciare il mondo”, Sugarco Edizioni, Milano, 1989, pagg. 88,89.
22. Mario Perniola, “L’estetica del novecento” Edizioni Il Mulino, Bologna, 1997, pag. 67.
23. Il Concetto di “cosa che sente” rimandano alla lettura e all’approfondimento delle tesi che Mario perniola
illustra ne “Il sexappeal dell’inorganico” Edizioni Einaudi, Torino, 1994.
24. Brian Gruber sta in Web 2.0 a cura di Vito di Bari - Edizioni “Il sole 24 ore”, Milano, Novembre 2007, pag
258.
25. George Gruber, “La forma delle cose” Edizioni Casatello, Torino, 1975.
26. Brian Gruber, in “Web 2.0” a cura di Vito di Bari, Edizioni “Il sole 24 ore”, Milano 2007, pag.315
27. Gregory Bateson, “Verso un’ecologia della mente” Ed. Adelphi, Milano, 1988, pagg. 381,382.
28. Patrizia Mello, “Meditazione tecnologica e carattere di transitività degli spazi” sta in “Gilles Deleuze Tecnofilosofia” Ed. Eterotopia Mimesis, Milano, 1998, pag 132.