Leggi l`articolo - Parco di Portofino
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Gli eventi alluvionali e le frane di questo autunno hanno riportato nuovamente l’attenzione dei media sul tema del dissesto idrogeologico e delle conseguenti domande sulla possibile mitigazione del rischio. Si tratta di eventi eccezionali? E’ il prezzo da pagare per i cambiamenti climatici in atto? Abbiamo costruito troppo e male? Cosa si può fare per limitare i danni o comunque per evitare un impatto meno pesante sul territorio da parte di questi fenomeni? Dal 2000 a oggi la Liguria è stata caratterizzata da una settantina di eventi geo-idrologici, distribuiti in tutta la regione, con la perdita complessiva di 27 vite umane. La Liguria è una regione ad elevato rischio idrogeologico, storicamente soggetta ad eventi pluviometrici molto intensi; anche la geografia fornisce il suo contributo in quanto spesso associa i fenomeni naturali ad una toponomastica ormai dimenticata (o quantomeno trascurata): ad esempio, nel territorio genovese è ricorrente il termine “Liggia”, ossia “il franare” e “il luogo franato”, mentre nel bacino di San Fruttuoso di Camogli è presente il “Fosso dell’Alluvione” a ricordare il tragico evento del settembre 1915. I bacini idrografici liguri sono caratterizzati da rilievi molto pendenti culminanti con altezze significative (pensiamo al caso del torrente Bisagno, il cui bacino si eleva fino al Monte Candelozzo a oltre 1000 m di quota, o al torrente Entella con i quasi 1700 m del M. Aiona) a breve distanza dalla linea di costa: questo aspetto determina la rapida risalita di masse d’aria umida provenenti dal mare con conseguenti precipitazioni orografiche molto intense. Gli eventi meteorologici estremi di questo autunno in Liguria, con i relativi effetti al suolo in termini di frane e alluvioni, rappresentano pertanto più la norma che l’eccezione. I cambiamenti climatici testimoniati da una fase di riscaldamento globale, con una nota accelerazione dalla seconda metà del XX secolo, provocano un aumento della temperatura media dell’aria e una riduzione del numero dei giorni di pioggia cui segue un aumento del tasso di precipitazione giornaliera. Insomma, piove (forse) meno, ma piove in modo più intenso. Non è a oggi ben documentato però se al riscaldamento globale sia associato un incremento di effetti al suolo in termini di aumento dell’intensità dei fenomeni geo-idrologici. Le statistiche sui dissesti idrogeologici mostrano, in verità, un incremento dei fenomeni negli ultimi 100 anni ma non è facile determinare se ciò sia dovuto al riscaldamento globale o piuttosto all’incremento demografico ed alla conseguente urbanizzazione incontrollata delle aree a rischio. I dati sul consumo di suolo pubblicati dall’ISTAT sono significativi, anche quelli riferiti agli ultimi 25-30 anni; nei bacini idrografici liguri negli ultimi 150 anni le aree urbanizzate sono passate da medie di 1-2% a punte superiori al 15%. Per rendersi conto di quanto sia stato consumato il territorio è sufficiente confrontare le carte geografiche pre-Unità d’Italia con le moderne immagini satellitari di Google Earth (ho allegato un esempio in fondo al testo). Nonostante i recenti e numerosi vincoli normativi si continua a costruire in aree pericolose, sulle frane o negli alvei dei corsi d’acqua e quanto edificato è spesso vulnerabile ad eventi geo-idrologici anche di intensità contenuta. Le frane di Sarno hanno determinato la rapida emanazione del D.L. 180/1998 convertito in L. 267/1998 e l’altrettanto veloce mappatura delle aree a rischio idrogeologico su tutto il territorio nazionale. Attraverso i cosiddetti “Piani di Bacino”, approvati e in funzione da oltre 10 anni, siamo quindi in grado di sapere quali sono le parti di territorio vulnerabili nei confronti di eventi alluvionali e fenomeni franosi: le cartografie di pericolosità sono disponibili on-line, possono quindi essere accessibili a tutti, e dovrebbero essere rese ben note a tutti. Con specifico riferimento al settore orientale della Provincia di Genova sono classificate a pericolosità da esondazione elevata (le zone “rosse”): la piccola piana del rio del Fondaco a Portofino, il fondovalle dei torrenti San Siro, Magistrato e Santa Barbara a Santa Margherita Ligure e del torrente San Francesco a Rapallo, nella zona dell’antico Castello. E’ ad elevata pericolosità da esondazione tutta la piana di Chiavari e Lavagna, caratterizzata dai torrenti Entella e Rupinaro (di cui ricordiamo il tragico evento del novembre 2002) fino a Carasco e San Salvatore. Procedendo verso monte è ancora ad elevata pericolosità idraulica tutta la bassa Val Fontanabuona, tra Coreglia Ligure e Carasco, la bassa val Graveglia fino a Frisolino di Ne, e la bassa Valle Sturla, fino a Vignolo di Mezzanego, di cui certamente non abbiamo dimenticato il tragico evento del 21 ottobre 2013 culminato con il crollo del ponte di Carasco e la perdita di altre 2 vite umane. Non sono da meno le piane alluvionali di Sestri Levante, dove molte aree adiacenti ai torrenti Gromolo e Petronio presentano una elevata pericolosità da esondazione mentre le aree alluvionali limitrofe al T. Recco e al T. Boate a Rapallo, in ragione di alcuni interventi strutturali effettuati in tempi recenti, sono state declassate in “zona gialla”, ossia a pericolosità media, ma comunque sempre suscettibili di esondazione in caso di piene eccezionali (le cosiddette “duecentennali”). In ambito di bacino padano, infine, si segnala la pericolosità della piana del torrente Aveto tra Cabanne e Parazzuolo: per chi transitasse sul luogo, ricordiamo che nella chiesa parrocchiale di Cabanne è riportato con un apposito segno il livello dell’acqua raggiunto con la rovinosa alluvione del 1966. Per quanto riguarda la pericolosità da frana va ricordato innanzitutto che i “movimenti superficiali” possono innescarsi un po’ ovunque sul territorio a seguito di piogge intense, soprattutto nei tratti di versante ad elevata pendenza e carenti nella manutenzione idraulico-forestale. Analogamente alla pericolosità da esondazione il Piano di bacino individua e classifica anche le frane; per il settore orientale della Provincia di Genova sono classificati ad elevata pericolosità (“zone rosse”), in quanto attivi, i movimenti franosi di San Rocco e Mortola a Camogli, delle Gave e dell’alto bacino del Magistrato a Santa Margherita Ligure, di N.S. delle Grazie a Chiavari, di Pian Ballerino, Belpiano, Acero, CamporiTemossi, Bertigaro, Sopralacroce, Bevena, Zolezzi, Vallepiana a Borzonasca, di Libiola e San BernardoFontane a Sestri Levante, di Campegli, Masso e Missano a Castiglione Chiavarese, di Lemeglio a Moneglia, di Arzeno a Ne, di Boasi, Vallebuona, Lezzaruole, Pannesi, Neirone, Ognio e Camposasco in Fontanabuona, di Alpepiana, Ascona, Magnasco-Cerisola, Costa Figara, Vico Soprano e Santo Sefano d’Aveto in alta Val d’Aveto. Lo stesso Piano di Bacino prevede anche interventi di mitigazione del rischio attraverso opere strutturali, non strutturali e di monitoraggio del territorio ma su questo aspetto molto c’è da fare, forse perché poco è stato effettivamente progettato e realizzato, soprattutto in tema di manutenzione del territorio. Dopo ogni evento la causa del disastro viene legata al mutamento climatico e alle nuove “bombe d’acqua” trascurando il fatto non eccezionale che si continua a consumare, e malamente, il suolo. L’assetto geologico deve rappresentare quindi la base conoscitiva per la valutazione della pericolosità e per la pianificazione di uno sviluppo sostenibile del territorio in condizioni di rischio accettabile. Le attività di Protezione Civile devono sicuramente proseguire con la programmazione dei soccorsi e con la gestione dell’emergenza ma si devono altresì rafforzare le funzioni di previsione e soprattutto di prevenzione degli eventi geo-idrologici. In tal senso diventa indispensabile una attenta campagna di educazione ambientale a partire dalla scuola primaria per una diffusione della cultura geologica e dei riflessi di questa sulla società moderna, in analogia con quanto avviene con successo da tempo in Paesi più avanzati del nostro. Le discipline geologicheambientali sono essenziali per formare il senso civico e sociale della popolazione, affinchè possa conoscere e valutare i rischi geo-idrologici e inquadrarli nelle loro corrette dimensioni spazio-temporali. Infatti spesso la perdita di vite umane e di importanti attività economiche è legata alla mancata conoscenza dei fenomeni naturali, e purtroppo si affrontano temi di mitigazione del rischio geo-idrologico soltanto nell’immediato seguito di eventi tragici come quelli recentemente vissuti. La diffusione di un’adeguata cultura scientifica nel settore geologico può consentire alla popolazione di attivare misure efficaci di autoprotezione e di prevenzione del rischio. Raffronto cartografico della zona di foce del Torrente Polcevera: in alto un estratto della cartografia degli Stati Sardi di Terraferma (1815-1823), in basso uno stralcio di immagine satellitare di Google Earth Francesco Faccini Docente di Geologia applicata presso il DiSTAV dell’Università di Genova, Consigliere dell’Ordine Regionale dei Geologi della Liguria, Consigliere del Parco Naturale Regionale di Portofino