Luca Montecchi Nel suono il senso, nel ritmo il significato

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Luca Montecchi Nel suono il senso, nel ritmo il significato
Luca Montecchi
Nel suono il senso, nel ritmo il significato
The Naming of Cats
[What’s a Jellicle cat?]
The Naming of Cats is a difficult matter,
It isn’t just one of your holiday games;
You may think at first I’m as mad as a hatter
When I tell you, a cat must have THREE DIFFERENT
NAMES.
First of all, there’s the name that the family use daily,
Such as Peter, Augustus, Alonzo or James,
Such as Victor or Jonathan, George or Bill Bailey All of them sensible everyday names.
There are fancier names if you think they sound sweeter,
Some for the gentlemen, some for the dames:
Such as Plato, Admetus, Electra, Demeter But all of them sensible everyday names.
But I tell you, a cat needs a name that’s particular,
A name that’s peculiar, and more dignified,
Else how can he keep up his tail perpendicular,
Or spread out his whiskers, or cherish his pride?
Of names of this kind, I can give you a quorum,
Such as Munkustrap, Quaxo, or Coricopat,
Such as Bombalurina, or else Jellylorum Names that never belong to more than one cat.
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But above and beyond there’s still one name left over,
And that is the name that you never will guess;
The name that no human research can discover But THE CAT HIMSELF KNOWS, and will never confess.
When you notice a cat in profound meditation,
The reason, I tell you, is always the same:
His mind is engaged in a rapt contemplation
Of the thought, of the thought, of the thought of his name:
His ineffable effable
Effanineffable
Deep and inscrutable singular Name.1
Abbiamo appena ascoltato uno dei testi di poesia più riusciti del XX secolo e di ogni tempo,
composto da colui che con ogni probabilità è il più grande poeta del secolo che ci sta alle spalle. E
si tratta di un pezzo di un poemetto per bambini, protagonisti gatti d’ogni sorta. Eliot lo scrisse per
i nipotini… pensando agli uomini fatti, per intendere la loro irriducibile, inconfondibile unicità così
come voluta dal Creatore, in un momento dei più cupi della storia del Novecento: alla vigilia della
II Guerra mondiale. Da oltre trent’anni, Old Possum’s Book of Practical Cats è universalmente noto
per via del miracoloso musical, che altro non è se non il poemetto-libretto eliotiano, pressoché
letterale, musicato dal geniale Andrew Lloyd Webber (che da bambino ne rimase incantato) e
rimasto ininterrottamente sulle scene del West End e di Broadway per più di vent’anni. The
Naming of Cats – che apre lo spettacolo – è l’unico dei numeri di scena a non esser cantato, bensì
detto in coro da tutti i gatti e accompagnato da una melodia di fondo.
1
T.S. ELIOT, Old Possum’s Book of Practical Cats, 1939
www.youtube.com/watch?v=2W4a9P6ZQeU / www.youtube.com/watch?v=TXkLgtusza4
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Qui troviamo il connubio – ripeto l’aggettivo – miracoloso del binomio oraziano, non
dell’alternativa, ars/ingenium2: vale a dire, di tecnica e ispirazione (o intuizione o fantasia)
insieme. Ci troviamo, occorre dire, in un singolare dominio della conoscenza, quello cioè della
poesia, che s’incarica di parlare dell’essere – della terra, degli astri, della vita, delle cose,
dell’uomo, dell’anima, del mistero – non secondo un qualsivoglia parametro mensurale e
definitorio, bensì in chiave analogica, metaforica, allegorica. Detto in altra maniera, le immagini
prodotte dalle parole sono segniche: hanno un proprio signi-ficato il cui senso è, non già altro da
quel che possiedono (non ci troviamo nel territorio del simbolismo sfumato e arbitrario), però
oltre, di là da esse. Per intenderci, rinvio direttamente alla Epistola a Can Grande della Scala nella
quale Dante espone appunto i celebri quattro sensi delle Scritture, arditamente trasferiti
dall’ermeneutica delle Scritture sacre al proprio poema – poema sacro / al quale ha posto mano e
cielo e terra3. [Voglio precisare, comunque, che segniche sono le parole, le immagini, in quanto
partecipano dei segni veri e proprii che sono i testi; diversamente, cadremmo in una visione
semiotica alla Saussure (e di tutti i suoi seguaci strutturalisti), che vede nella lingua un système de
signes che funziona per mere regole combinatorie e segnaletiche, alla stregua di ogni altro
“sistema” semiotico].
E per parlare di quelle realtà – ché di realtà si tratta –, la poesia adopera il linguaggio umano
ordinario sfruttandolo in tutte le sue potenzialità, dal grado minimo dei rumori e dei suoni
disarticolati (livello “pregrammaticale”, direbbe Contini) fino a quello del lessico e della sintassi più
raffinati – con tutta l’infinita scelta di varietà note e possibili che vi sta in mezzo. In questo senso, il
“miglior fabbro” del parlar poetico del XX secolo, cui Eliot dedica The Waste Land, Ezra Pound,
definisce la poesia “language charged with meaning at the utmost possible degree”. Del resto, lo
stesso Pound, in ABC del leggere (da poco ripubblicato in italiano), dichiara che, se autentica,
“literature is news that stays news”, e perciò, in quanto “notizia”, foriera di conoscenza e di
2
Cfr. HOR., Ars poet., 295-298: Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas /
Democritus, bona pars non unguis ponere curat, / non barbam; secreta petit loca, balnea vitat.
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Pd XXV, 1-2.
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cambiamento, maturazione, della coscienza. Il che comporta, in sostanza, l’essere invitati a una
conversione da una veduta superficiale, approssimativa, a un modo di guardare alla realtà di cui
s’intravedano i legami e le distanze. Tale è il logos, il modo di ragionare, della poesia: come
direbbe Eliot sulla scorta di Dante, “vedere le idee” ossia cogliere il senso, la verità, dei fatti e dei
fenomeni. Già, ma come si fa a vedere le idee?
I. Liberiàmoci di due immani pregiudizii, che gravano finanche nelle sedi inconsce del nostro
io:
1. pregiudizio romantico: la poesia è tutta ispirazione, come un furor divino, una theia
moira, che invade il genio possessore dei segreti divini della natura, da cui i comuni
mortali restano esclusi. Al più, a essi è dato contemplare ammirati il miracolo del
genio, e inchinarvisi;
2. pregiudizio illuministico-positivistico: la poesia è inutile e inservibile perché non
procura conoscenza pratica, ed è però un ottimo condimento della vita, cui può offrire,
a seconda dei gradi sociali o delle sensibilità, sollievo, consolazione, svago,
stordimento. Sicché il poeta, il letterato, trova la sua giustificazione sociale quale
funzionario (anche ben stipendiato) a servizio dell’industria culturale di massa.
II. Non abbiamo paura e non stanchiàmoci di svolgere un lavoro professionale e un cammino
interiore, un’ascesi al séguito di maestri che sappiano renderne testimonianza attraente.
Dante, che per sua, e nostra, fortuna è vissuto assai tempo prima di assistere al divorzio tra
arte e vita, tra letterato e pubblico, tra io e mondo, definisce altrimenti la natura della poesia4:
“invenzione verbale espressa (composta) da arte retorica e musicale”. Dunque, ingenium et
scientia insieme, dove la scientia è qui costituita da “retorica & musica”, ché nella congrua
saldatura – l’oraziana e dantesca convenientia – di ciascuna di queste facoltà consiste la bellezza
dell’opera, il piacere di gustarla, l’intelligenza di farla propria.
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DANTE, de vulg. II, iv, 2: “recolimus nos eos qui vulgariter versificantur plerunque vocasse poetas: quod procul dubio
rationabiliter eructare presumpsimus, quia prorsus poete sunt, si poesim recte consideremus, que nichil aliud est
quam fictio rethorica *musicaque posita*”.
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Allora, da lettori e da insegnanti, abbiamo il compito di educare a una lettura (evitiamo la
sociologica “fruizione”…) dei testi che insegni a coglierne le forme e le tecniche – lessicali,
grammaticali, stilistiche, metriche – con cui l’autore ha costruito e veicolato il significato o i
possibili significati. Soprattutto, abbiamo il compito di favorire nel laboratorio della classe
l’esperienza o, meglio, la comunicazione dell’esperienza quanto più forte dei testi, aiutando, da
maestri competenti, a scoprire la prosodia, le sonorità, i ritmi, l’orizzonte musicale insomma, che
va scoperto e conquistato con la recitazione e l’apprendimento mnemonico, par cœur, by heart,
col ri-cordare. I termini sono quelli dell’azione drammatica, che comporta perciò il concorso del
lettore, del pubblico, della voce intonata, della dizione curata, del gesto che dà corpo alla pagina
scritta.
Infatti, come dice Pound, il ritmo deve avere significato: o il significato passa attraverso il
suono e il ritmo delle parole e della loro combinazione circolare (versus5), così da ottenere
l’esperienza estetica del testo, oppure in classe non faremo che moraleggiare, attribuendo
significati bene o male posticci, estranei alla forma del testo – e forma, in latino, vuol dire appunto
“bellezza”. Con quale effetto educativo? Di scindere dualisticamente la cosiddetta “forma” dal
cosiddetto “contenuto” (sempre che si riesca davvero in sì ardua impresa). Per questa via, non si
dà certo esperienza di nuovo inizio, d’invenzione, di scoperta. E l’opera letteraria cessa di destare
interesse o avere rilevanza.
Per un discente – per ogni uomo che voglia imparare, mendicare, il senso –, io sono convinto
sia importante, anzi, decisivo, in presenza di un testo poetico proposto fare ogni volta l’esperienza
di stupore incantato, come del bimbo o del giovane innamorato, per inoltrarsi nella magia della
parola, come autorevolmente afferma Pavel Florenskij. Non già come inganno, come fenomeno
illusorio atto a sedurre l’altro, ad allontanarlo dalla presa sul reale; al contrario, per accogliere con
semplicità di cuore il senso unitario, misterioso e stupefacente, dell’essere: “nella sua attività
5
Dal lat. vertere, “girare, voltare”, cioè compiere giri, come di danza, e in ciò è subito visibile l’origine o la
consanguineità della poesia con la musica. Ricordo, poi, che perciò versus si distingue, geometricamente e
ritmicamente, da prorsus, “in avanti”, da cui l’italiano prosa.
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conoscitiva la parola guida lo spirito al di là dei confini della soggettività e lo mette in contatto col
mondo che si trova oltre i nostri stati psichici”6.
Personalmente, e con me quelli della mia generazione, ricordo ancora l’impressione
sbalorditiva, quasi di rapimento, che ricevetti, che avevo appena nove anni, all’udire la voce
arcana e profonda del vecchio Ungaretti che leggeva passi dell’Odissea, poco prima della messa in
onda di ogni puntata della splendida riduzione televisiva del poema omerico. Lo stesso Ungaretti
(un poeta che per altro non è fra i miei preferiti), nelle letture pronunciate dei suoi stessi
componimenti, mostrava che nella costruzione delle sue poesie vi sono elementi sonori di primaria
importanza, destando scalpore, all’epoca, come se di quelle poesie venissero allo scoperto risvolti
(“spigoli” ama dire Ezio Raimondi) che il lettore non aveva percepito.
Ma, appunto, per giungere a questi gradi di percezione, e dunque d’intellezione, ci vuole
tempo, pazienza, e fiducia in un maestro che ne dia testimonianza e da cui ci si lasci educare.
Rimettendoci quindi sulle tracce del grande poeta dantista di cui all’inizio ho presentato il
pezzo di apertura del Libro dei Gatti – e del musical derivato –, a mo’ di provvisoria conclusione
invito alla lettura, nonché alla degustazione del video correlato, del pezzo che chiude il Libro a
cornice: The Ad-Dressing of Cats. La contemplazione dell’intimo mistero del nome – l’essenza –,
dopo esser passati sulla scena del mondo in mezzo ai tipi umani più varii, culmina nell’accordo,
nella pacifica armonia, delle amabili, affettuose, relazioni fra gli uomini riscattate dalla brutalità,
dall’omologazione, dal nonsenso. Ma non è un happy end. Semmai, dirà Tom qualche anno più
tardi, in my end is my beginning7, è un uomo che rinasce.
6
P. FLORENSKIJ, Il valore magico della parola, Medusa, Milano 2001, p. 21. Sull’energia sonora della parola, cfr. inoltre
ibidem, pp. 58 s.
7
Il motto – En ma Fin gît mon Commencement – della tragica Maria Stuarda diventa il verso conclusivo di East Coker,
V, il secondo dei Quattro Quartetti (1945). Sull’esempio della regina di Scozia, Eliot rovescia la desolazione del v. 1 – in
my beginning is my end – nella formula detta, finalmente aperta alla speranza.
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The Ad-Dressing of Cats
You’ve heard of several kinds of cat
And my opinion now is that
You should need no interpreter
to understand [their] our character
You’ve learned enough to take the view
That cats are very much like you
You’ve seen us both at work and games
And learnt about our proper names
Our habits and our habitat
But how would you AD-DRESS A CAT
So first, your memory I’ll jog
And say: A cat is not a dog
So first, your memory I’ll jog
And say: A cat is not a dog
With cats, some say, one rule is true
Don’t speak ’til you are spoken to
Myself I do not hold with that
I say, you should ad-dress a cat
But always keep in mind that he
resents familiarity
You bow, and taking off your hat,
ad-dress him in this form: “O Cat!”
Before a cat will condescend
To treat you as a trusted friend
Some little token of esteem
is needed, like a dish of cream
And you might now and then supply
Some caviar or Strassburg pie
Some potted grouse or salmon paste
He’s sure to have his personal taste
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And so in time you reach your aim
And call him by his name
A cat’s entitled to expect
These evidences of respect
So this is this and that is that
And there’s how you ad-dress a cat
8
(twice)8
T.S. ELIOT, Old Possum’s Book of Practical Cats, 1939
http://www.youtube.com/watch?v=3lcnCd_Gyfc
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