Quaderno 1 Cibo
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Quaderno 1 Cibo
Casa Protetta/RSA “Virgo Fidelis” C Casa Protetta/Centro Diurno “S. Biagio” ompiti per la memoria Un’esperienza di stimolazione cognitiva M. Christine Melon, Lorena Roffi, Valentina Gualandi QUADERNI CADIAI COSTRUIRE DELLE FRASI CON LE SEGUENTI PAROLE: NEVE BAMBINO Gianni, un bambino piccolo, vede la neve sulla strada: è molto felice e la tocca per giocare (come a palla): ma com’è fredda e le mani si gelano subito e gli fanno anche male, per cui la butta via subito dispiaciuto nel vedere che si rompe: era così bella, così soffice!! Ci riprova e ripete il gesto con piacere. CANE GATTO Un cane vede un piccolo gattino che forse vorrebbe giocare con lui; gli si avvicina, ma il gatto si allontana perché forse ha un po’ di paura di giocare (crede di doversi difendere, ma è molto piccolo per farlo) e allora non fa niente e il cane, vedendolo così piccolo, lo lascia stare. Iside Dall’Olio Il disegno è opera di Bettina Vandelli (Centro Diurno "San Biagio") P remessa Questo lavoro racconta un’esperienza di Stimolazione Cognitiva pensata per gli anziani delle Case Protette, sperimentata anche sui dementi in fase moderata, estesa successivamente agli anziani di un Centro Diurno specializzato e validata da uno studio controllato che ne ha scientificamente confermato i presupposti. Il testo è stato redatto dalla psicologa e dalla fisiatra delle strutture protette “Virgo Fidelis” e “S. Biagio” e dalla psicologa che ha condotto la ricerca, ma questo fascicolo non sarebbe mai stato prodotto senza il lavoro, l’impegno, la motivazione, la voglia di provarci di tutti quelli - assistenti di base, infermieri, animatori, fisioterapisti, RAA - che ogni giorno si confrontano con il disagio e la sofferenza dei nostri anziani malati di demenza e che non hanno ancora smesso di cercare un modo migliore. E senza l’apertura e la disponibilità di Simona Onofri e Nicolino Sisto, responsabili di struttura, che hanno creduto in questa scommessa e l’hanno promossa e sostenuta. Senza lo sforzo iniziale di Piero Zaghi, pedagogista di entrambi i servizi fino a due anni fa, che ha sempre creduto nella formazione degli operatori e nella necessità di andare oltre la semplice assistenza. E senza l’appoggio dei nostri medici, Francesca Lancellotti e Marco Domenicali, per i quali un anziano demente è ancora un uomo da considerare per intero e non soltanto una malattia da curare. Grazie in particolare a Loretta Bonazzi, Barbara Cuoghi, Isabella De Thomassis, Anna Maria D’Attomi, Lorena Degli Esposti, Elena Danu, Fabio Liistro - assistenti di base - che si sono buttati con entusiasmo in questa avventura e hanno condotto le sessioni di stimolazione cognitiva con grande abilità e passione. E grazie a Carmen Milia, psicologa tirocinante, che ci ha accompagnati per un pezzo di strada, collaborando nella valutazione neuropsicologica degli anziani e nella conduzione di una parte degli incontri. 1 I 2 ntroduzione Demenza, o meglio ancora Malattia di Alzheimer, è una parola diffusa, persino di moda. La studiano i maggiori istituti di ricerca americani, ne parlano giornali e TV, ne è rimasto colpito persino un Presidente degli Stati Uniti, ma se ne parla solo finché riguarda gli altri. In più di dieci anni di colloqui con i familiari dei malati, mai mi è capitato di sentire un figlio affermare che la mamma ‘è demente’, che il babbo ‘ha l’Alzheimer’. La mamma dimentica le cose, il babbo è diventato aggressivo, è un tormento portarlo in bagno... ‘Non c’è più con la testa’. I più consapevoli e informati parlano de la malattia. Gli altri riescono a non vedere, negare, mascherare al di là di ogni ragionevole possibilità di autoinganno. Mi è capitato di sentir attribuire gli episodi di incontinenza sfinteriale alle variazioni atmosferiche. Mi è capitato di sentirmi raccontare, di un demente in fase terminale incapace di qualunque movimento volontario, “a casa lo gestiamo bene, sta davanti alla TV, gli diamo il teleco- mando e lui cambia i canali quando si stanca”. Mi è capitato persino di sentirmi rispondere, mentre mi complimentavo con una signora per la rapidità con cui aveva imparato ad accettare la malattia e a curare adeguatamente il marito: “Dottoressa, lei non capisce, mio marito è UN VASCOLARE, non un Alzheimer! È tutto più facile, per noi!” Anche “cancro” è una parola difficile da pronunciare: si muore di ‘un brutto male’, di ‘un male incurabile’, di ‘un male che non perdona’. Ma il tumore è materia, è concreto, si vede e si tocca, si può persino asportare chirurgicamente. È una vera malattia ‘organica’, come la polmonite o l’ulcera. Non provoca emarginazione, rifiuto, allontanamento. Non si trasmette per contagio. La famiglia di un malato di cancro raccoglie empatia, calore, offerte di aiuto e di sostegno. Con la demenza degenerativa è diverso. Si risvegliano paure legate alla storia della follia, all’idea del male oscuro, della tara ereditaria... Non stupisce che spesso i figli dei malati preferiscano pensare che “la mamma è sempre stata così, non mi ha mai voluta, me lo fa per dispetto, io la conosco!”, piuttosto che accettare l’ipotesi, molto meno penalizzante ai nostri razionali occhi di esperti, che ‘la mamma è malata di Alzheimer’. La demenza degenerativa, come l’Aids, produce emarginazione sociale. Non tanto per il malato - solitamente anziano o molto vecchio, in una fase della vita in cui comunque la tendenza, anche nel sano, è quella del ritiro, del ripiegarsi su se stesso, del ri- durre la sfera degli interessi sociali quanto per chi lo assiste, per il caregiver, come si usa dire, per il donatore di cura1, che smette di avere una vita propria per tentare di migliorare la qualità di quel che resta della vita del malato che accudisce. E in questo sforzo spesso si consuma a un punto tale che danneggia gravemente la sua propria vita, quella di chi gli sta attorno e di riflesso, involontariamente, anche quella del malato. M. Christine Melon Preferiamo usare questo termine, che è la traduzione esatta del più diffuso caregiver, perché ci sembra che sintetizzi meglio la fatica, l’impegno, la dedizione richiesta a chi si fa carico di un malato di Alzheimer con la sola speranza di attenuare il più possibile i costi dell’insuccesso. 1 3 P arliamo ancora di demenze Era l’anno 1906 e il dott. Alois Alzheimer descrisse dettagliatamente il primo caso di una forma di demenza degenerativa che solo quattro anni dopo prese il nome di Malattia di Alzheimer. Sono passati quasi cento anni da allora e le nostre conoscenze sulla malattia di Alzheimer e - più in generale - sulle demenze degenerative, sono solo appena un po’ più approfondite di quelle del dottor Alzheimer. Non ne conosciamo le cause, non siamo in grado di fare prevenzione, disponiamo di farmaci che possono controllare parzialmente i sintomi della malattia, ma non modificarne il decorso né arrestarlo. Ancora oggi siamo in grado di fare una diagnosi certa solo sulla base dell’esame autoptico e dobbiamo accontentarci, in alternativa, di una “diagnosi probabile” formulata per esclusione2. Abbiamo elaborato stadiazioni sempre più accurate della malattia, utili soprattutto a scopi clinici e di ricerca, 4 ma siamo di fronte a sindromi che presentano un tasso elevatissimo di variabilità individuale. Il repertorio dei trattamenti non farmacologici è assolutamente recente (i primi esperimenti risalgono agli anni ’60) e non sufficientemente valutato: solo in pochi casi questi trattamenti sono stati verificati attraverso studi clinici randomizzati e controllati. Gli studi a disposizione sono scarsi e spesso carenti rispetto alla caratterizzazione di alcune variabili (tipo di intervento, natura della demenza, livello cognitivo pre-trattamento, ecc.). Prima del 1990 in letteratura erano riportati solo sette studi controllati sugli effetti dei farmaci antipsicotici impiegati per il controllo dei disturbi del comportamento negli anziani dementi. Fino al 1985 non era stata elaborata alcuna scala specifica di valutazione dei disturbi comportamentali associati alla demenza (oggi se ne contano alcune decine)3. 2 Si vedano in proposito le Linee guida per la diagnosi e la valutazione del paziente affetto da demenza della Regione Emilia Romagna. 3 Giovanni Diana, Aspetti metodologici e normativi per i trial clinici per i sintomi comportamentali e psicologici in corso di demenza, Ann Ist Super Sanità 2003; 39(2): 267-274 La malattia si sviluppa con un trend di crescita accelerato e accelerata è la crescita prevista della popolazione anziana nei paesi più sviluppati: fra il 1998 e il 2030 l’aumento degli ultrasessantenni è stimato nella proporzione del 180%, il che significa 1,3 miliardi di anziani nel 2030, situabili in prevalenza in Europa e Nord America. L’incidenza di nuovi casi di demenza nei paesi occidentali è di 2,4 nuovi casi ogni anno su 100.000 abitanti nella fascia 40-60 anni e di 127 nuovi casi per gli ultrasessantenni. 4 In Italia si contano attualmente circa 700.000 casi di demenza e l’incidenza è di 90-120.000 casi ogni anno4. Questa malattia comporta costi sociali enormi, diretti e indiretti; rappresenta la quarta causa di morte della popolazione ultrasessantenne e la prima causa di ricovero nelle strutture residenziali per non autosufficienti; allo stato attuale non siamo in grado di controllarla in alcun modo. Lavoriamo tutti in un’ottica di riduzione del danno: la cura è un’eventualità ancora lontana. Lavorato A., Rozzini R., Trabucchi M., I costi della vecchiaia, Il Mulino, Bologna, 1994 5 A lcuni cenni clinici La demenza - come ormai tutti gli “addetti ai lavori” sanno - è “uno stato clinico che si evidenzia per la perdita delle funzioni corticali superiori5 a seguito di una patologia cerebrale cronica progressiva6”. Questa sindrome, che dipende da un danno progressivo e diffuso del cervello, “è caratterizzata da una vistosa perdita del patrimonio culturale e da una progressiva perdita di autonomia”7. In base alle cause della malattia e al tipo di lesione cerebrale che la caratterizza, si distinguono le demenze in: • primarie, quando la malattia risulta progressiva e irreversibile (es. M. di Alzheimer, demenza vascolare, demenza fronto-temporale, demenza da Corpi di Lewy, demenza da Parkinson, ecc.) • secondarie, quando la malattia ha origine da traumi, disfunzioni endocrinologiche, intossicazioni da farmaci, alcoolismo, depressione e simili. Questo tipo di demenze può 5 6 6 7 essere trattato e, anche se raramente, essere reversibile. È importante ricordare che il cervello è l’unico organo del corpo umano che non dispone della facoltà di riprodurre le proprie cellule: una ferita si rimargina velocemente, il fegato può in parte rigenerarsi dopo una lesione grave, l’intestino sopporta abbastanza bene i danni derivanti da una resezione. Il cervello no, quello che si perde non può essere ricostruito. Questo rende particolarmente difficile il trattamento e la risoluzione delle patologie cerebrali. In compenso, il cervello è plastico, adattabile, flessibile, dispone di notevoli risorse alternative: questo consente di effettuare con discreto successo la riabilitazione in soggetti con lesioni cerebrali di varia origine. Nel caso delle demenze primarie, però, il problema è aggravato dal fatto che qualunque trattamento riabilitativo deve confrontarsi con la concomitante e inesorabile perdita di risorse. La memoria, l’attenzione e il linguaggio, n.d.r. Dal Sasso F. e Pigatto A., L’anziano e la sua memoria, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, p.124 Ibid.. Possiamo cercare di allenare funzioni non completamente perdute, e i risultati possono essere soddisfacenti nel breve-medio periodo, ma dobbiamo comunque tenere conto di altri, inevitabili danni, perché mentre noi stiamo lavorando anche la malattia lavora, continuando a distruggere migliaia di cellule cerebrali. È una specie di corsa contro il tempo e, allo stato attuale dell’arte, noi restiamo largamente indietro. Senza dire che, nell’anziano, la capacità plastica del cervello è ovviamente ridotta rispetto a quella del giovane adulto e, soprattutto, del bambino. L’aspetto clinico centrale della demenza, quale ne sia la causa, è la compromissione delle capacità cognitive (perdita di memoria, disorientamento, deficit dell’attenzione, progressiva riduzione delle capacità linguistiche). Tuttavia, la gravità del quadro clinico - e la gravosità dell’intervento assistenziale - sono legate a un variegato corredo di sintomi che alterano profondamente la vita del malato e di chi gli vive accanto. Questo insieme di manifestazioni viene denominato Sintomi comportamentali e psicologici nella demenza (Behavioral and Psyhcological Symptom of Dementia, BPSD) e negli ultimi anni ha ricevuto sempre maggiore attenzione da parte dei clinici e dei ricercatori, allo scopo di identificare strategie farmacologiche e non farmacologiche efficaci. Questi sintomi vengono generalmente classificati in sindromi, che comprendono la psicosi, la depressione, l’agitazione, i disturbi del ritmo sonno-veglia. • Psicosi: può comparire in ogni stadio della malattia, ma è più frequente nelle fasi intermedie e avanzate. I deliri persecutori sono caratterizzati da temi di gelosia, di furto, della presenza di qualche estraneo in casa. Le allucinazioni visive sono molto più frequenti che nella schizofrenia, dove prevalgono quelle uditive. I sintomi regrediscono spesso spontaneamente, nell’arco di settimane o, addirittura, giorni. I sintomi psicotici erano già stati chiaramente descritti nel lavoro originario di Alois Alzheimer. • Agitazione: molto comune in questo tipo di malati. Può manifestarsi in varie forme: aggressione fisica o verbale, agitazione motoria, incooperatività, irritabilità, irrequietezza, rumorosità, oppositività. È presente nella maggioranza degli anziani ricoverati in strutture residenziali ed è una delle principali cause del ricovero. • Depressione: presente nel 29% circa dei malati. Si presenta più frequentemente nei malati con una storia pregressa di depressione, l’intensità dei sintomi è fluttuante, risponde piuttosto bene ai placebo. 7 QUADERNI CADIAI • Disturbi del ritmo sonno-veglia: il sonno notturno è sovente frammentato e associato a un cospicuo aumento del sonno diurno. Possono comparire agitazione, confusione, cambiamenti di personalità nelle ore notturne8. La frequenza con cui sintomi comportamentali si presentano è variabile, può oscillare a seconda delle varie casistiche dal 10 all’80 %. La variabilità interindividuale è molto alta, così come la gravità e l’epoca di comparsa. Il decorso clinico non è sempre lineare, a differenza di quanto accade con il declino cognitivo. Il dato certo è che i BPSD sono molto frequenti in ogni forma demenziale9, compaiono generalmente durante la fase iniziale e centrale della malattia e tendono a regredire quando la demenza ha ormai raggiunto lo stadio avanzato e diventa predominante una grossolana compromissione del quadro neurologico. Spesso i primi a comparire sono i sintomi legati alla sfera affettiva (ansia, preoccupazione eccessiva, tristezza) mentre i disturbi del comportamento (deliri, idee paranoidi, disturbi percettivi, agitazione, erronei riconoscimenti, aggressività verbale e fisica, disinibizione, gravi alterazioni del comportamento sociale, vagabondaggio) diventano più frequenti negli stadi avanzati della malattia10. Alcuni disturbi possono, in uno stesso anziano, variare molto nel tempo, altri prolungarsi senza modifiche per anni11. Sebbene la maggior parte degli studi sulle demenze sia stata focalizzata sui deficit cognitivi, le manifestazioni comportamentali e psicotiche rappresentano la causa più frequente della richiesta di aiuto neuropsichiatrico e della richiesta di ricovero per i pazienti dementi12. I BPSD hanno un impatto rilevante sul decorso clinico, sulla prognosi della malattia, sulla qualità di vita dell’anziano e delle persone che se ne prendono cura. Lo stress del donatore di cura è fortemente aggravato dalla comparsa di uno o più disturbi del comportamento. I deficit cognitivi comportano la necessità di ridefinire i ruoli all’interno del sistema familiare e di riorganizzare la quotidianità, ma alla fine si assorbono. Si può sorridere del proprio padre “un po’ svaporato”, che dimentica di mangiare, che assume due Giovanni Diana, cit. Fra i pazienti in carico al Progetto Cronos sul territorio di Roma città, per esempio, si è registrato nel 2003 il 78% di presenza di disturbi del comportamento di vario tipo e gravità, con prevalenza di agitazione, depressione, disinibizione, irritabilità. 10 www.socialinfo.it/approfondimenti/Articoli_Alzheimer/demenza_alzheimer.htm 11 Ibid. 12 www.lilly.it/area/1_neuro/neuro_o7htlm. Aggiornamento: 22 novembre 2004 8 9 8 IV volte i farmaci o non ricorda l’indirizzo di casa, ma se questo stesso padre ci picchia mentre amorevolmente lo laviamo, se bestemmia in continuazione davanti ai nostri bambini, se ci tiene svegli tutta la notte e noi dobbiamo uscire presto per andare al lavoro, dopo qualche tempo non ci restano risorse sufficienti per sorridere. Tuttavia, dato che apparteniamo a una cultura in cui è comunque la famiglia a farsi carico dei problemi sociali più gravi - e dato che l’offerta di servizi alternativi è comunque scarsa, non proporzionata al bisogno anche nel Nord Italia, dove già si gode di una situazione di privilegio - continuiamo a tenere papà a casa, malgrado tutto. Pasticciamo con i suoi farmaci (dieci gocce di quella medicina che faceva tanto bene alla mamma non possono fargli male e forse stanotte ci lascia dormire), incrementiamo il nostro personale consumo di farmaci, chiediamo un part-time, un’aspettativa, un congedo anticipato e, nonostante tutto, non riusciamo ad evitare di arrivare al punto di chiedere un inserimento urgente in una struttura, scontando un senso di colpa che si ripercuote su chi, dal quel momento in poi, accudirà il malato. Questo faticoso percorso si traduce in costi medi, diretti e indiret13 14 ti, di 35-50 mila euro l’anno per malato13. Il donatore di cura di un malato con demenza dedica al lavoro di cura da 69 a 100 ore settimanali, mentre riserva alle proprie esigenze personali meno di un'ora al giorno. Le conseguenze di questo impegno non sono trascurabili; i donatori di cura di pazienti dementi effettuano il 46% in più di visite mediche, il 70% in più di consumo di farmaci, vengono ospedalizzati con maggiore frequenza e soffrono il 50% in più di depressione14. Nel 2001 il 40% degli anziani ricoverati nelle RSA nella regione Lombardia era affetto da demenza in fase da lieve-moderata a grave; nel 65% dei casi era presente il sintomo della confusione, nel 40% l’irrequietezza. Il trend non è andato migliorando: in uno dei nuclei coinvolti nell’esperienza di cui parleremo tra poco, la percentuale dei dementi in fase moderata o grave è del 75% ; gli altri nuclei si attestano intorno al 60%, con una prevalenza di demenze moderategravi. Il Centro Diurno non fa storia: essendo una struttura riabilitativa specifica, accoglie quasi solo dementi. Ogni tanto abbiamo la fortuna di inserire qualche lieve-moderato, ma prevalentemente ci attestiamo sul moderato-grave. Dati forniti dal Centro Studi e Formazione Sociale “Fondazione E. Zancan” Ibid. 9 C 10 he fare? (MMSE > 12, secondo le linee guiL’intervento nei casi di demenza prida del National Institute for Clinimaria prevede attualmente due tipi cal Excellence). Si tratta, per intendi opzioni: il trattamento farmacoloderci, dei farmaci forniti tramite il gico e quello non farmacologico, che Progetto Cronos, soprattutto dosolitamente si integrano senza la pretesa di guarire, ma nell’intento di nepezil (Memac e Aricept) o rivarallentare il progredire della malattia, stigmina (Exelon e Prometax). e di trattare i disturbi comportamenNella fase moderata-severa della tali e affettivi correlati. malattia non si ottiene più alcuna risposta del malato alla terapia, che L’intervento farmacologico, in assenviene di norma sospesa. za di altre patologie associate, è generalmente più massiccio nelle fasi ini- • trattamento farmacologico dei disturbi comportamentali quali la ziali e intermedie della malattia e si paranoia, i deliri, le allucinazioni, riduce progressivamente, fino a l’aggressività verbale e fisica. Possoscomparire, in quelle avanzate e terno venire usati farmaci antipsicotiminali, lasciando il posto alla gestioci come l’aloperidolo (Serenase), ne assistenziale e ad alcuni - pochi!interventi comportamentali e di stima spesso risultano più efficaci e molazione aspecifica. meno dannosi altri tipi di farmaci, Esistono tre tipi di terapie farmacomeno specifici, come per esempio logiche per le demenze primarie: il Trittico. Data l’estrema variabili• trattamento con farmaci volti al tà della risposta di questo tipo di anziani, l’eventuale successo del miglioramento delle funzioni cotrattamento dipende molto dall’atgnitive e delle capacità generali del tenzione e dall’esperienza del memalato. Questi sono prevalentedico. mente i farmaci inibitori dell’acetilcolinesterasi, che vengono im- • trattamento con farmaci antidepressivi, ansiolitici, carbamazepina piegati soprattutto nella fasi da liee simili, nel corso del quali è imve a moderata della malattia portante tenere conto dei possibili effetti indesiderati nell’anziano demente. Spesso, infatti, in questi malati si produce un effetto-paradosso, cioè un accentuarsi dei sintomi anziché una loro riduzione15. Terapia di reminescenza e alla Musicoterapia, insiste - con l’eccezione della ROT, per la quale sono stati sottolineati effetti positivi - sull’ampia carenza metodologica e sull’assenza di studi di efficacia per interventi quali, ad esempio, la Validation Therapy18. I trattamenti non farmacologici possono essere suddivisi in quattro categorie, secondo le indicazioni dell’APA (American Psychiatric Association): A partire dagli anni ‘60 sono state proposte numerose tecniche di trattamento non farmacologico dei pazienti affetti da demenza. Queste tecniche hanno in comune lo scopo di migliorare la qualità di vita del malato e le sue performance nelle attività • tecniche orientate al comportafunzionali, tenendo conto dei deficit mento (valutazione degli antecedenti e delle conseguenze di ogni esistenti. Alcune tecniche si proponproblema comportamentale, mogono anche di migliorare le funzioni cognitive, il tono dell’umore o il dificazioni ambientali, training per comportamento. Un punto comune le attività di vita quotidiana, rina questi trattamenti è purtroppo il forzo dei comportamenti positivi, fatto che sono stati poco valutati e tecniche di rilassamento) studiati: un giudizio definitivo sulla • tecniche orientate alle emozioni validità della riabilitazione cognitiva (psicoterapia di supporto, terapia nelle demenze non può perciò essere della reminiscenza) fornito sulla base degli studi esisten- • tecniche orientate alla stimolazioti16. Anche una recente revisione delne (trattamenti basati su attività ri17 la Cochrane Library , che ha sintecreative, espressioni artistiche, contizzato la letteratura relativa alla tatti con animali, musicoterapica, terapia occupazionale) ROT, alla Validation Therapy, alla Cfr. G. Diana, cit. Verifica delle linee-guida per le attività di riabilitazione: percorsi clinici ed assistenziali per la riabilitazione in ambito geriatrico, maggio 2001, RF98.84, Progetto finalizzato del Ministero della Sanità 1998 17 The Cochrane Library, Issue 4, 2003, Chichester, UK 18 Sono stati identificati 18 studi relativi a questa tecnica, di cui solo due randomizzati controllati e non è stato rilevato nessun vantaggio statisticamente significativo, solo un trend favorevole che potrebbe dipendere dalla maggiore attenzione dedicata all’anziano. 19 Verifica delle linee-guida per le attività di riabilitazione, cit. 15 16 11 QUADERNI CADIAI • tecniche orientate alle funzioni cognitive (Rot, memory o skill training, spaced retrieval, vanishing cues, ecc.)19 La fase della demenza in cui si trova l’anziano è indicativa della terapia psicosociale più consona (v. tabella) e, all’interno della tecnica scelta, ogni attività deve essere adeguata alle capacità residue, in modo da risultare solo di poco superiore al livello di domanda al quale l’anziano è abituato, con l’intenzione di migliorare le prestazioni cognitive, il tono dell’u- IV more e il comportamento, senza incorrere nei possibili effetti collaterali di frustrazione o depressione. Le strategie cognitive interne diventano via via più inaccessibili al demente. Per questo motivo si deve, nel progresso dalla fase lieve a quella moderata, passare gradualmente dalle tecniche di stimolazione cognitiva che fanno leva sullo skill learning20, all’impiego di tecniche che insegnino a utilizzare ausili mnestici esterni e, nello stadio più avanzato, al potenziamento degli interventi comportamentali e ambientali. Tecniche psicosociali utilizzate in base al grado di deterioramento Reality Orientation Therapy (ROT) Memory Training Spaced Retrieval Stimolazione memoria procedurale Terapia di rimotivazione Reminescenza Life Review Validation Therapy Terapia Comportamentale Tecniche aspecifiche Lieve x x x x x x x x Fase della demenza Media Grave x x x x x x x x x x x x Fonte: Protocolli per la terapia e la gestione delle problematiche assistenziali dei pazienti affetti da demenza. Regione Emilia-Romagna. Ottobre 2000 12 20 Acquisizione di procedure Come risulta evidente dalla lettura della tabella precedente, la maggior parte dei trattamenti non farmacologici che abbiamo attualmente a disposizione sono praticabili solo con dementi in fase lieve e media. Per i medio-gravi e i gravi, che rappresentano la maggioranza degli anziani dementi istituzionalizzati, è stato elaborato ancora molto poco. In più, si tratta spesso di metodiche sperimentate su anziani allo stadio iniziale della malattia, se non addirittura su soggetti “a rischio”, dunque difficilmente applicabili a soggetti con limitazioni funzionali più pesanti. Possiamo riscontrare lo stesso tipo di limite negli strumenti di valutazione cognitiva più diffusi. Il MMSE (Mini Mental State Examination)21, per esempio, test di screening abbastanza poco sensibile, ma veloce e semplice da somministrare, ampiamente condiviso dai diversi ricercatori (il che rende più agevole il confronto fra i campioni selezionati), è di difficile applicazione all’interno delle strutture che ospitano i malati di demenza, per due ordini di motivi: A l’effetto omologante della residenza protetta. I giorni scorrono uguali gli uni agli altri; i ritmi so- no assolutamente regolari e prevedibili, e sono quelli dell’istituzione, subiti per vincolo anche da chi li programma, ma contestualmente rassicuranti per un anziano confuso; persino l’escursione climatica e la variazione stagionale è poco avvertibile, grazie agli impianti di climatizzazione. Noi ci sforziamo di caratterizzare in ogni modo i cambi di stagione, le ricorrenze, i compleanni, le domeniche, ma predomina l’effetto-vacanza. “Mi sa dire che giorno è oggi?” “A cosa mi serve saperlo, qui dentro?” ha saggiamente risposto la signora Argia, ospite di una delle nostre Case Protette. Dal punto di vista esperienziale, sulla base di numerosi altri dati osservativi, la signora Argia è una persona lucida, coerente, orientata e molto poco interessata al resto del mondo. Dal punto di vista di una rilevazione scientifica rigorosa, la signora Argia perde almeno cinque punti al MMSE, anzi, ne perde molti di più, perché a metà della somministrazione mi suggerisce di trovarmi ‘un bel lavorino pagato bene’ e di smetterla di infastidirla con queste stupide domande. 21 Folstein et al., <<Mini- Mental State>>: a practical method for grading the cognitive state of patiens for the clinician. I Psychiatr Res, 12:189-198, 1975 Measso et al., The Mini- Mental State Examination. Normative study of an italian random sample, Develop neuropsycol, 8 (1)9: 77-85, 1993 13 QUADERNI CADIAI B il grado di deterioramento degli anziani dementi che accedono in struttura. Dalle statistiche a disposizione risulta evidente che il malato viene curato in famiglia finché non sviluppa uno o più importanti disturbi del comportamento, o finché le limitazioni funzionali non progrediscono al punto da rendere impraticabile la sola assistenza di tipo familiare. Questo significa, in parole povere, che il demente istituzionalizzato normalmente ha un grave disturbo del linguaggio, un pesante deficit di tutte le memorie, è aprassico, spesso presenta rilevanti deficit nel controllo motorio, è incontinente, ha un visus limitato, frequentemente deglutisce male. In queste condizioni è spesso impossibile somministrare il MMSE nella sua forma classica. Anche quando è possibile, si verifica comunque un marcato effetto-pavimento: tutti i dementi al di sotto del cinquanta per cento della norma finiscono per sembrare ugualmente gravi. Qualcosa però si sta muovendo. Recentemente è stata validata la versione italiana del Severe MiniMental State Examination22, sicuramente più adeguata alla realtà delle strutture residenziali. Non disponiamo ancora di una tabella di correzione dei punteggi, ma la stiamo fiduciosamente aspettando. Esistono anche semplici strumenti di misurazione dei BPSD che già abbiamo in repertorio e che a breve implementeremo, dato che quelli maggiormente diffusi e più sensibili non sono ragionevolmente praticabili all’interno delle strutture residenziali. Angelo Bianchetti, La demenza severa: un nuovo strumento di valutazione, Psicogeriatria News, 6: 19-23, dicembre 2002 22 14 IV D ove comincia l’avventura Già alla fine del secondo anno di attività della Casa Protetta/ RSA “Virgo Fidelis”, superata la laboriosa fase dell’implementazione del servizio, ci si è resi conto che occorreva qualcosa di più, un salto di qualità, nella gestione dei numerosi dementi residenti. Negli ultimi dieci anni si è fatto davvero molto, all’interno del Settore Residenze Protette, per attrezzarsi a trattare nel modo più adeguato questo tipo di anziani: i piani di lavoro sono stati modificati, il personale è stato intensivamente e specificatamente formato, gli assetti tecnici sono stati riorganizzati, molte risorse sono state investite, si sono avviate sperimentazioni e ci si è dotati di strumenti di documentazione e di rilevazione più efficienti ed efficaci, ma il problema si è modificato di poco. Abbiamo imparato le corrette modalità di comunicazione e di relazione, abbiamo imparato ad affrontare alcuni comportamenti (disinibizione sessuale, aggressività verbale e fisica verso gli operatori, oppositività durante le manovre assistenziali) che dieci anni fa minavano significativa- mente la resistenza dei gruppi di lavoro. Abbiamo, rispetto a dieci anni fa, un’ abbondanza di figure (geriatri, riabilitatori, neuropsicologi, animatori) in grado di tarare al meglio i trattamenti personalizzati. Abbiamo fortemente migliorato la qualità del nostro rapporto con i familiari degli ospiti. Ma non abbiamo ancora imparato a misurarci con la sensazione di impotenza, con la frustrazione di non sapere che cosa fare, con i limiti strutturali che non dipendono dalla nostra volontà. Non sappiamo ancora come proteggere diciannove anziani dal ventesimo coinquilino, che passa tutta la giornata urlando o inveendo volgarmente a voce alta e non risponde a nessun tipo di sollecitazione. Non sappiamo confortare Francesco, che arriva teso già al mattino e alle sei del pomeriggio è uno struggente spettacolo di sofferenza umana: gentile, garbato, incredibilmente sperduto, ansioso e terrorizzato. Non sappiamo trovare quello che Gabriella va cercando ansiosamente per tutta la giornata, macinando chilometri su 15 QUADERNI CADIAI 16 chilometri e non ci siamo ancora inventati il modo di impedire a Carolina di sputare o di alzare le mani. Nell'ambito del Programma di miglioramento della presa in carico e della cura degli ospiti affetti da demenza, avviato in quel periodo alla “Virgo Fidelis”, Piero Zaghi e Lorena Roffi hanno pensato di sperimentare anche con i dementi in fase moderata alcune tecniche di stimolazione cognitiva finora impiegate solo con gli anziani a rischio o con i dementi lievi.Sono stati utilizzati in gran parte i materiali per il memory training realizzati in passato dall’équipe del Day Hospital S.Giacomo Fuori le Mura; altri esercizi sono stati elaborati appositamente. Lorena Roffi e Piero Zaghi hanno anche formato il primo gruppo di operatori che ha condotto gli incontri, familiarizzandoli ai criteri-base dello skill learnig e alle tecniche di conduzione della seduta. La scelta innovativa è stata quella di non pensare alla riabilitazione del demente come ad un compito riservato ai soli terapisti, ma di diffondere all’interno del servizio una “cultura riabilitiva” che vedesse coinvolti anche - e soprattutto - gli assistenti di base, cioè le persone che più si trovano a contatto con questo tipo di malati. È una scelta rappresentativa di una visione diversa dell’approccio all’anzia- IV no, più globale, centrata sulla persona e multidimensionale: la qualità dei servizi agli anziani CADIAI si basa esattamente su questo. Poiché nessuna sperimentazione può definirsi tale se non è suffragata da un bagaglio di dati oggettivi, gli anziani che hanno partecipato agli incontri sono stati valutati, prima del trattamento, subito dopo la sua conclusione e a due mesi di distanza (questo per misurare la tenuta dei risultati nel tempo) con il MMSE. Nei gruppi in trattamento sono stati inseriti non solo dementi, ma anche anziani portatori di altre patologie che presentavano, comunque, un deficit cognitivo lieve o medio. Nel primo anno di sperimentazione sono stati organizzati tre cicli di Memory Training, che hanno visto la partecipazione totale di 16 ospiti (3 uomini e 13 donne) provenienti dai tre nuclei della struttura, di età compresa tra i 72 ed i 95 anni, con un punteggio al MMSE compreso tra 29 e 15. Ogni ciclo ha coinvolto un gruppo di 5/6 ospiti e si è strutturato in 8 sessioni della durata di circa un'ora, effettuate due volte la settimana. per quattro settimane. Le sessioni si sono svolte in uno spazio della struttura appositamente allestito, chiamato "stanza della memoria" Il Memory Training come strumento di riabilitazione cognitiva Il Memory Training presenta alcune interessanti caratteristiche: • stimola varie aree cognitive in quanto agisce sui meccanismi alla base dei processi di memorizzazione, fluenza verbale, orientamento spazio temporale, coinvolgendo anche affettività ed emotività; • utilizza, in aiuto alle altre memorie, la memoria procedurale, cioè quella più a lungo conservata; • allena ad alcune strategie per la memorizzazione, proponendosi quindi come una vera e propria ginnastica mentale. Gli esercizi agiscono in modo ecologico, in quanto rispecchiano le situazioni del quotidiano e vedono l'anziano come soggetto attivo della propria riabilitazione, perché sollecitato ad applicare nella quotidianità le strategie suggerite nelle sedute terapeutiche. Potenziano le capacità di: - percepire (esercizi di stimolazione sensoriale e di attenzione volontaria) - fissare (esercizi di visualizzazione, associazione, categorizzazione, ripetizione) - rievocare (tale recupero è favorito dalla ripetizione e dalla memoria emotiva dell'informazione) Un notevole beneficio terapeutico deriva inoltre dal lavoro di gruppo e dal gruppo stesso, perché il risolvere insieme un problema comune ha un risvolto emotivo importante. Le ricerche in psicologia sociale hanno anche dimostrato che l’apprendimento stesso viene largamente facilitato da una situazione di gruppo. La tecnica Ogni sessione ha previsto una presentazione e un saluto, il richiamo della data e della stagione, lo svolgimento degli esercizi previsti, una breve pausa durante la quale il gruppo ha potuto chiacchierare liberamente assumendo una bevanda, per rafforzare la dimensione conviviale dell'esperienza. Al termine della sessione è stato richiesto un commento dell'esperienza svolta ed è stato ricordato l'appuntamento successivo, con la consegna e la spiegazione di un "compito a casa". L’appuntamento per il primo incontro è stato preso nella saletta-caffè della struttura, dove gli anziani sono stati accompagnati dagli operatori dei vari nuclei e, insieme alle conduttrici, hanno compiuto il tragitto verso la stanza della memoria. Si è mantenuto questo rituale per tutti gli incontri, perché attraverso la ripetizione dello stesso percorso si cercava di evitare il naturale disorien- 17 QUADERNI CADIAI 18 tamento già presente nella malattia dementigena. Per lo stesso motivo i posti intorno al tavolo di lavoro sono rimasti gli stessi e l’orario d’inizio delle sessioni è stato mantenuto rigorosamente costante. Durante la sessione si è cercato di far rispettare i turni, così da far partecipare in eguale misura tutti gli anziani, senza però creare situazioni scolastiche simili a un’interrogazione. Non sono mai state poste domande dirette, per evitare di mettere le persone in imbarazzo o in condizione di sbagliare. Il passaggio di turno era segnalato mediante la ricerca di contatto visivo. Ogni sessione insisteva su una specifica funzione cognitiva (vedi sotto). Gli esercizi proposti lavoravano sulle capacità di percezione, fissazione e rievocazione della memoria, cercando di evitare l'utilizzo di materiali con connotazione marcatamente infantile o scolastica, alternando momenti di lavoro individuale ad esercizi di gruppo ed introducendo anche momenti ludici e di collegamento con l'esperienza biografica dei partecipanti, per incrementare e favorire la motivazione e l'interesse degli anziani. All’inizio di ogni incontro si cercava di spiegare il perché degli esercizi e il loro legame con la memoria. Per creare continuità fra due incontri successivi si assegnavano esercizi a IV domicilio da discutere nella seduta successiva. Ai conduttori sono stati forniti i seguenti materiali, con l’indicazione di utilizzare le istruzioni come una guida e non come uno schema rigido, dato che è molto importante adeguare creativamente i compiti alle caratteristiche del gruppo di anziani che partecipa alla seduta. PRIMA SESSIONE Stimolazione visiva ed uditiva Presentazione del gruppo e spiegazione degli obiettivi dell’iniziativa: rinforzare ed allenare la memoria, aiutare i partecipanti a trovare un modo per ricordare (riferimenti alla fiaba di Pollicino). Si faranno giochi ed esercizi, perché anche con il divertimento si fanno cose utili; si parlerà delle proprie esperienze, non si daranno voti. Primo esercizio Riconoscimento di oggetti conosciuti (lavoro di gruppo): in base ad un repertorio di illustrazioni e foto si chiede al singolo anziano di riconoscere l’oggetto. Si fa il giro del tavolo ed a ogni anziano si chiede di cimentarsi nel riconoscimento e anche di presentare le associazioni correlate a quell’oggetto. Secondo esercizio Memory (lavoro di gruppo): si dispongono sul tavolo scoperte un numero limitato di tessere precedente- mente selezionate, almeno quanti sono i partecipanti, si chiede di riconoscere gli oggetti, di tenere bene a mente le posizioni delle carte, si coprono le carte e si chiede poi di ritrovarle. Materiale: ricerche, histoires naturelles, gioco del memory. Al termine della sessione si domanda se ci sono state difficoltà, cercando di capirne i motivi. Si sottolinea che le immagini sono meglio ritenute delle parole e che quindi bisogna sforzarsi di visualizzare per memorizzare più facilmente. Inoltre si sottolinea che l’attenzione è collegata alla partecipazione affettiva. SECONDA SESSIONE La stimolazione uditiva e il pensiero categorico Primo esercizio Suoni di vocali semplici (lavoro individuale): si chiede ad ogni partecipante di individuare la presenza di una vocale in due parole semplici, una delle quali la contiene e l’altra no. Secondo esercizio Classificazione di parole (lavoro di gruppo): si indica al gruppo una classe di oggetti poi si comincia a leggere l’elenco chiedendo di interrompere ogni volta che si cita una parola appartenente alla classe. Si scrivono alla lavagna le parole selezionate in un elenco. Terzo esercizio Scopri l’intruso (lavoro di gruppo): si leggono le parole dell’elenco e si chiede di individuare quella che non c’entra e perché. Materiale Schede Compito a casa Parlare dei proverbi e chiedere di portare, nella sessione successiva, un proverbio da riferire e discutere con il gruppo. TERZA SESSIONE L’attenzione Si chiede agli anziani di presentare il proverbio e di chiedere che cosa significa per ognuno. Primo esercizio Catena di parole (lavoro di gruppo): si parte da una parola stimolo e si chiede ad ogni partecipante di proporre un’altra parola collegata. Queste parole vengono scritte alla lavagna. Secondo esercizio Riconoscimento in una sequenza (lavoro individuale): si presenta una sequenza di lettere o forme e si chiede di riconoscere e sottolineare una lettera o una determinata figura. Tempo: 5 minuti Terzo esercizio Ricordare i contenuti di un racconto breve (lavoro di gruppo): si chiede di concentrare l’attenzione sui contenu- 19 QUADERNI CADIAI ti, si legge il racconto per due volte, si rivolge ad ogni anziano una domanda tra quelle previste. Materiale Libero, testo del racconto con domande prefissate Si fa presente agli anziani il fatto che l’attenzione e l’assenza di interferenze sono un aiuto all’efficacia dei processi di memorizzazione. Compito a casa Ogni anziano deve preparare su un foglio la lista degli operatori del nucleo adottando il metodo che considera più congeniale 20 QUARTA SESSIONE La memoria ed i riferimenti spaziotemporali Si ascoltano le liste dei compiti effettuati, chiedendo come sono state realizzate. Primo esercizio Labirinto (lavoro individuale): l’anziano lavora sul labirinto entro un tempo di 5 minuti, poi l’operatore commenta il risultato con l’anziano. Secondo esercizio Sequenze (lavoro di gruppo): si pone sul tavolo una delle sequenze di immagini e si chiede ad ogni anziano in successione di individuare, di volta in volta, la prima, la seconda... Alla fine si chiede di commentare il senso generale della sequenza. Terzo esercizio IV Lettere in disordine (lavoro individuale): mettere in ordine le lettere per ottenere una parola di senso compiuto. Materiale Schede, histoires naturelles Compito a casa Itinerario numerato QUINTA SESSIONE L’attenzione volontaria Si analizzano i compiti della volta precedente e si commentano i risultati. Si presenta l’idea secondo la quale il piacere, il divertimento, la fiducia in sé stessi, la motivazione, l’allenamento, l’attenzione sono le condizioni che aiutano a ricordare e a mantenere la memoria. Primo esercizio Attenzione (lavoro di gruppo): stimolare l’attenzione chiedendo di elencare tutte le cose rosse che si vedono nella stanza del corso. Secondo esercizio Gioco delle iniziali (lavoro di gruppo): si individua una lettera e si chiede di evocare le parole con quella iniziale. Si scrivono le parole alla lavagna. Materiale Oggetti rossi Compito a casa Proporre di scrivere, facendosi anche aiutare, le cose che hanno nella camera da letto. Sesta sessione Attenzione volontaria e rievocazione Si analizza e si commenta il compito a casa. Primo esercizio Dolci e minestre (lavoro di gruppo): chiedere di evocare una serie di dolci e minestre conosciute. Proporre poi una ricetta chiedendo gli ingredienti, come si fa e le varianti di ognuno. Secondo esercizio Categorizzazione inversa (lavoro di gruppo): dire tutte le parole che vengono in mente con determinati aggettivi. Materiale Schede Compito a casa I diversi elenco di nomi e si chiede agli anziani di individuare i nomi che indicano oggetti appartenenti alla stessa categoria. Materiale Schede, domino Compito a casa Costruire delle frasi con le parole indicate nelle schede OTTAVA SESSIONE Ricordare Si commentano i compiti a casa Primo esercizio Categorizzazione e ricordo (lavoro di gruppo): per ognuna delle parole scrivere la categoria di appartenenza Secondo esercizio Ricordare le parole (lavoro di gruppo): ricordare alcuni gruppi di parole suggerendo strategie SETTIMA SESSIONE Terzo esercizio Le associazioni Il domino dei negativi (lavoro di gruppo) Si commentano i compiti Primo esercizio Materiale Associazioni (lavoro di gruppo): pro- Schede, domino porre una parola e chiedere di evoca- Conversazione conclusiva con gli anre tutte le parole alle quali fa pensare ziani e festa di fine corso. la parola individuata, scrivere alla laI primi risultati vagna. Secondo esercizio I primi risultati dell'esperienza sono Domino delle associazioni (lavoro di stati sicuramente incoraggianti. gruppo) Quasi tutti gli anziani trattati hanno Terzo esercizio mostrato un miglioramento nel punRaggruppamento ordinato (lavoro di teggio del MMSE al post-test e in gruppo): si scrive alla lavagna un molti casi questo miglioramento si è 21 QUADERNI CADIAI IV mantenuto - in alcuni addirittura rafforzato - nella rilevazione del follow up a due mesi. Non pretendiamo di vantare un’evidenza statistica di questi dati, perché i gruppi erano disomogenei rispetto a numerose variabili, perché il MMSE è stato somministrato anche a soggetti con più di 90 anni, perché i punteggi non sono stati corretti per età e scolarità23 e perché non abbiamo sottoposto i dati ad alcun test di significatività. Oltre al probabile mantenimento/ miglioramento della situazione cognitiva, tuttavia, abbiamo ottenuto un forte interesse intorno all'iniziativa, sia da parte dei partecipanti sia da parte degli ospiti che non avevano ancora partecipato; sono anche aumentati gli incontri spontanei tra ospiti di nuclei diversi. Vanno inoltre segnalati il grande interesse e partecipazione suscitati dall'iniziativa nel gruppo degli operatori che l’hanno condotta e anche nei colleghi non coinvolti. Tabella riassuntiva delle valutazioni relative ai primi tre cicli di stimolazione cognitiva nome cognome A. M. A. M. V. C. O. L. Z. C. D. P. E. C. R. C. E. M. L. P. G. F. F. S. E. B. A. B. S. F. E. E. 22 MMSE pre MMSE post 25/30 20/30 26/30 20/30 23/30 23/30 16/30 23/30 18/28 18/30 20/30 29/30 15/30 23/30 21/30 15/24 27/30 21/30 26/30 21/30 20/30 24/30 17/30 23/30 18/28 16/30 24/30 28/30 17/30 24/30 20/30 25/30 MMSE dopo 2 mesi 25/30 21/30 23/30 20/30 20/30 26/30 21/30 deceduto 22/28 18/30 25/30 30/30 16/30 25/30 20/30 25/30 23 In quanto non esiste, attualmente, un’indicazione precisa per la correzione nel caso di soggetti sopra gli 89 anni, anche se studi recenti sembrano dimostrare che agli ultranovantenni può correttamente essere applicato lo stesso tipo di correzione previsto per la fascia 85-89 anni. L o studio controllato L’idea della ricerca è nata dalla voglia di scoprire se quei dati così apparentemente lusinghieri che avevamo rilevato fossero davvero indicatori di un miglioramento effettivo della condizione dell’anziano trattato e di capire che cosa, in quello che era stato fatto, fosse risultato più efficace e perché. Volevamo anche sapere se il fatto di risiedere in una struttura protetta, piuttosto che a casa propria, potesse avere influenzato la risposta degli anziani al trattamento. È nato così il progetto di uno studio controllato che aveva diversi obiettivi: 1 Verificare l’utilità della stimolazione cognitiva nella demenza 2 Verificare se la stimolazione cognitiva porta agli stessi risultati in soggetti residenti presso il proprio domicilio e in soggetti istituzionalizzati 3 Verificare l’effetto dominio specifico24 della stimolazione cognitiva e l’impatto sul benessere e sulla vita quotidiana dell’anziano 24 Il progetto di ricerca ha avuto inizio nel settembre 2004 e si è concluso nell’aprile 2005. È stato condotto in collaborazione con l’Università di Bologna, Corso di Laurea Specialistica in Neuropsicologia e recupero funzionale nell’arco di vita e si è avvalso dell’importante collaborazione del dottor Rabih Chattat, titolare della cattedra di Metodi di intervento nel disagio dell’anziano. Lo studio è stato condotto nel Centro Diurno/Casa Protetta “S. Biagio” (Casalecchio di Reno - Bologna) e nella Casa Protetta “Virgo Fidelis” (Bologna). La valutazione iniziale ha coinvolto 100 anziani così distribuiti: - 20 utenti del Centro Diurno “S. Biagio” (residenti a domicilio) - 20 ospiti della Casa Protetta “S. Biagio” - 60 residenti della Casa Protetta “Virgo Fidelis” Cioè l’effetto sulle singole abilità stimolate dal trattamento. 23 QUADERNI CADIAI Sono stati seguiti i criteri di inclusione del protocollo di stimolazione cognitiva centrata sulla persona della Regione Emilia-Romagna: • Diagnosi di demenza definitiva o probabile • MMSE ≥ 13 : - pazienti lievi (MMSE > 20) - pazienti moderati (MMSE 18-20) - pazienti moderati/severi (MMSE 13-17) Oltre all’esclusione di 35 possibili partecipanti a causa della non compatibilità con le linee guida sopra citate, sono stati considerati non idonei 44 anziani per i seguenti deficit: - analfabetismo (n=2) difficoltà di comunicazione (n=6) deficit acustico severo (n=5) deficit visivo severo (n=4) altre patologie del sistema nervoso centrale (n=11) - disturbi psichiatrici (n= 7) - disturbi comportamentali severi (n=9) 24 Si è ritenuto che le prime 5 difficoltà non fossero compatibili con il lavoro che si andava a svolgere poiché gli esercizi del corso richiedevano capacità di lettura, scrittura, visus conservato (per poter svolgere compiti car- IV ta-matita), interazione con il conduttore e con gli altri anziani. I disturbi psichiatrici e comportamentali, invece, avrebbero potuto pregiudicare il lavoro di gruppo e si è pensato essere più consono un intervento individuale anche per evitare sentimenti di imbarazzo e vergogna dovuti a tali deficit. Dei 20 utenti del centro diurno 10 sono stati inseriti nella ricerca: 5 nel gruppo sperimentale e 5 nel gruppo di controllo. La scelta dei soggetti che hanno preso parte al trattamento (gruppo sperimentale) è avvenuta in base alla disponibilità degli accessi alla struttura: dato che gli anziani devono essere accompagnati dai parenti si dovevano trovare situazioni familiari che permettessero l’accesso in struttura con una frequenza settimanale di due giornate. Un paio di famiglie hanno accettato di modificare le giornate di accesso per consentire all’anziano di usufruire del trattamento di stimolazione cognitiva. Nessuno dei 20 ospiti della Casa Protetta “S. Biagio” è stato incluso nella ricerca, perché nessuno rispondeva ai criteri di inclusione. Dei 60 residenti nella Casa Protetta “Virgo Fidelis” hanno soddisfatto i criteri di inclusione 11 anziani, di cui 6 inseriti nel gruppo sperimentale e 5 nel gruppo di controllo. Il seguente diagramma mostra schematicamente la distribuzione dei soggetti: persone valutate (n=100) soggetti inclusi (n=21) soggetti esclusi (n=79) controllo (n=10) trattamento (n=11) Centro diurno (n=5) Casa protetta (n=6) In seguito si potranno trovare le seguenti abbreviazioni: gruppo 1 = gruppo sperimentale Centro Diurno gruppo 2 = gruppo di controllo Centro Diurno gruppo 3 = gruppo sperimentale Casa Protetta Sesso, Età e Scolarità I 21 soggetti entrati a far parte dello studio sono 16 femmine e 5 maschi, di età compresa tra 64 e 95 anni, con una scolarità compresa tra 3 e 13 anni. Le seguenti tabelle mostrano la distribuzione per sesso, età e scolarità all’interno di ogni gruppo. Centro diurno (n=5) Casa protetta (n=5) gruppo 4 = gruppo sperimentale Casa Protetta CD = Centro Diurno CP = Casa Protetta Totale soggetti Frequenza Percentuale Femmine 1 76,2 Maschi 65 23,8 Età Totale soggetti Media ± d.s. 80,43 ± 8,99 Scolarità Totale soggetti Media ± d.s. 5,24 ± 2,53 Diagnosi Il 52,4% del campione selezionato ha una diagnosi di demenza tipo Alzheimer, mentre la diagnosi del restante 47,6% è di demenza vascolare. Totale soggetti Frequenza Percentuale Alzheimer 11 52,4 Demenza vascolare 10 47,6 Alzheimer Demenza vascolare 25 QUADERNI CADIAI IV Farmaci anticolinergici L’assunzione di farmaci anticoliner- Nello specifico, le seguenti tabelle gici interessa solo 6 anziani su 21. mostrano quanti soggetti di ogni gruppo assumono farmaci: SI NO Centro Diurno Casa Protetta SI 5 1 NO 5 10 Gruppo 1 Gruppo 2 Gruppo 3 Gruppo 4 SI 2 3 1 0 NO 3 2 5 5 C.D. C.D. C.P. C.P. Strumenti In fase di pre-test, post-test e follow-up sono stati scelti i seguenti test fra quelli suggeriti dal protocollo: Area cognitiva generale MMSE (versione con parola “carne” invece di “mondo”): misura il grado del deficit cognitivo Attenzione MATRICI ATTENTIVE: test per la valutazione dell’attenzione selettiva Memoria verbale APPRENDIMENTO SUPRASPAN VERBALE (TECNICA DI BUSCHE-FULD): esamina la capacità di memorizzare una lista di parole superiore alla capienza della memoria a breve termine e la capacità di recuperare l’informazione verbale dalla memoria a lungo termine (MLT) SHOPPING LIST: misura la memoria verbale a breve e a lungo termine 26 Fluenza verbale FLUENZA FONEMICA PER LETTERA: esamina l’estensione e la fruibilità del patrimonio lessicale del soggetto FLUENZA VERBALE PER CATEGORIA SEMANTICA: fornisce una valutazione delle abilità di produzione del linguaggio del soggetto. Permette di misurare la capacità di scelta rapida di parole nel lessico interno Aprassia TEST DI APRASSIA COSTRUTTIVA: valuta le abilità visuo-costruttive, la capacità di copiare rispettando le coerenze reciproche e gli elementi costruttivi del modello TRAIL MAKING TEST A: misura le abilità di ricerca visiva, attenzione, riconoscimento di numeri, velocità e coordinazione motoria TRAIL MAKING TEST B: misura tutte le abilità del TestA più le funzioni esecutive o di controllo e la flessibilità mentale nell’elaborazione di più stimoli contemporaneamente Affettività GDS (30 item): misura la depressione nell’anziano Intervento In fase di pre-test, per valutare l’utilità dell’intervento, sono stati somministrati a tutti i 21 soggetti appartenenti ai gruppi sperimentali o di controllo, i test neuropsicologici precedentemente descritti. L’intento è stato quello di monitorare le varie abilità cognitive prima dell’intervento per poter poi utilizzare tali dati come baseline di confronto. Conclusa la fase di pre-test, infatti, e portato a termine il corso di stimolazione cognitiva, sono stati condotti un posttest e un follow up a tre mesi. Analisi dei dati Per l’analisi dei dati è stato utilizzato il pacchetto statistico SPSS versione 13.0. Per prima cosa, è stata effettuata un’analisi descrittiva dei dati attraverso gli indici di frequenza, le medie e le deviazioni standard. Successivamente, per verificare le ipotesi di ricerca, è stata applicata l’analisi della varianza per misure ripetute tra i soggetti ed entro i soggetti. Il disegno sperimentale è un disegno fattoriale misto 2 x 3. Le variabili dipendenti nell’analisi entro i soggetti sono le tre somministrazioni di ogni test (pre-test, post-test e follow-up a tre mesi). I fattori tra i soggetti sono invece il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo. Per definire le prestazioni alle varie somministrazioni ripetute dei test, sono stati utilizzati come parametri la media e la deviazione standard del campione. I risultati del Centro Diurno e della Casa Protetta sono stati analizzati separatamente. 27 QUADERNI CADIAI Per motivi di spazio e perché la statistica risulta sempre ostica e noiosa a chi non se ne occupa abitualmente, abbiamo ritenuto opportuno non elencare l’insieme completo dei grafici e delle tabelle derivati dall’analisi dei dati. Chi fosse interessato a consultarli potrà prenderne visione presso la Casa Protetta RSA “Virgo Fidelis”. 28 Risultati Tenendo conto che si voleva valutare l’utilità della Stimolazione Cognitiva nella demenza, prima di analizzare i risultati, bisogna riflettere su cosa ci si debba aspettare e su cosa si possa auspicare come esito del trattamento. La demenza è una patologia che per definizione si caratterizza per il progressivo deterioramento non reversibile. Sarebbe quindi illogico aspettarsi un miglioramento delle prestazioni cognitive. Ciò che invece è indice di un buon esito di trattamento è il mantenimento nel tempo delle abilità residue. Per monitorare tale desiderabile effetto la ricerca ha previsto due follow-up, uno a tre mesi e uno a sei mesi. Quest’ultimo è in fase di esecuzione. Considerando che si parla di una malattia devastante per la qualità di vita del soggetto e che il trattamento in oggetto si propone un approccio IV multidimensionale, anche sugli aspetti psicologici, sociali e relazionali, è da considerarsi positivo ogni miglioramento del benessere dell’anziano esplicitamente dichiarato dall’interessato o dai caregivers. Alla luce di queste premesse e di quanto emerso dall’analisi dei dati, si può affermare quanto segue: 1. La prima ipotesi di ricerca sembra confermata. Se si assume il MMSE come misura riassuntiva e globale dello stato cognitivo generale del soggetto, si evidenzia che sia nel Centro Diurno sia nella Casa Protetta i gruppi sperimentali mostrano un mantenimento delle prestazioni tra pretest, post-test e follow-up, mentre i gruppi di controllo seguono il naturale progressivo decadimento che si verifica nella demenza. La Stimolazione Cognitiva sembra dunque favorire il mantenimento delle abilità cognitive, obiettivo principale e auspicabile in qualunque trattamento applicato alle demenze. Visto che nello studio sono stati inclusi soggetti con deterioramento medio e medio-grave, si è confermata l’utilità della Stimolazione Cognitiva, oltre che per gli anziani affetti da demenza lieve, anche per la forma media o medio-grave della malattia. 2. Tutti gli anziani sono rimasti soddisfatti del corso ed hanno partecipato volentieri. I partecipanti del Centro Diurno si sono caratterizzati per una maggior motivazione e per aver svolto con costanza gli esercizi a casa. Una signora, molto preoccupata per i suoi problemi di memoria, in occasione della presentazione del corso, ha detto: “Io non so come fare con questa memoria, non capisco: mio marito è più vecchio di me e si ricorda tutto, mi sgrida sempre perché dice che sono smemorata, pensa che lo faccia apposta, anche le figlie mi dicono che devo stare più attenta e che non va mai bene quello che faccio. Voglio proprio fare questo corso perché uno, se fa lavorare la testa, poi dicono che si ricorda di più le cose”. Da queste parole e da altri commenti sembrerebbe che il desiderio di mostrarsi ancora competenti con i coniugi o con i figli e la voglia di poter continuare a svolgere le faccende domestiche o familiari sia il motore che ha spinto ed invogliato questi anziani ad accettare positivamente il corso. Si tenga in considerazione che gli anziani del Centro Diurno, affetti da un livello di compromissione cognitiva meno grave rispetto ai residenti in Casa Protetta, mantengono ancora un grado superiore di consa- pevolezza della malattia e dei deficit correlati. Inoltre, alcuni anziani del Centro Diurno hanno chiesto più volte di poter ripetere l’esperienza dopo aver notato che i successi ottenuti in “aula” si trasformavano in benefici nella vita quotidiana. A questo proposito una signora ha affermato: “Spero di fare ancora questi esercizi per la memoria perché sento che va meglio, mi fanno bene”. Quando le si è chiesto di spiegare in cosa consistesse il miglioramento ha aggiunto “non so bene come dire, è solo che mi sembra di trovare di più le cose, mi sento la testa meno confusa, l’ha detto anche mia figlia che mi fa bene”. Nella Casa Protetta gli anziani erano molto meno motivati salvo rare eccezioni, a volte accoglievano con fastidio il fatto di doversi spostare e di dover cambiare la routine giornaliera per questi incontri. Più di una volta quando si proponeva il corso e si spiegava l’utilità, la risposta era la stessa, quasi registrata: “Va bene, ma tanto a cosa serve, sono vecchia e poi cosa me ne faccio qui dentro?”. Come detto ci sono state eccezioni: due signore erano ben contente di partecipare a questi incontri e hanno sempre svolto gli esercizi per la volta successiva. 29 QUADERNI CADIAI Nonostante la minor motivazione, una volta iniziato il corso, tutti hanno partecipato con interesse e soddisfazione. A questo proposito si può ipotizzare che la scarsa e diffidente adesione iniziale sia da imputare ad un meccanismo di protezione degli anziani istituzionalizzati che, avendo già esperito sentimenti di rifiuto, alienazione e abbandono, rifuggono da possibili coinvolgimenti che potrebbero rilevarsi ulteriori future delusioni. Ciò che ha accomunato Centro Diurno e Casa protetta è stata l’esperienza di aggregazione e condivisione che si è creata all’interno dei gruppi sperimentali. 3. Si evidenzia un effetto dominio specifico. Le funzioni su cui ha avuto maggior effetto la stimolazione cognitiva sono le abilità verbali: in particolare, sembra esserci un mantenimento della fluenza semantica. Interessante è anche l’effetto positivo ottenuto sulla memoria a lungo termine (MLT). I risultati ai test che misurano le abilità prassiche e l’attenzione non evi- 30 IV denziano differenze significative tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo. Bisogna tener conto che i minori effetti del corso sulle funzioni attentive e prassiche potrebbero anche essere dovuti ad una maggior compromissione di tali abilità nella demenza. Come sperato sembra essersi verificato un incremento del benessere soggettivo dovuto probabilmente all’aggregazione instauratasi nel gruppo di lavoro. Gli anziani si sono conosciuti meglio, hanno potuto constatare che i loro problemi cognitivi sono comuni e, di incontro in incontro, è cresciuto lo spirito di gruppo: se un partecipante si trovava in difficoltà gli altri cercavano di aiutarlo o lo rassicuravano sul fatto che la difficoltà incontrata era anche la loro. Risultato interessante che può definirsi come aumento dell’interazione sociale: alla fine del corso quasi tutti ricordavano i nomi dei compagni e si accorgevano se mancava qualcuno informandosi preoccupati del motivo dell’assenza. I l vissuto degli operatori Il gradimento degli operatori non è stato inferiore a quello degli anziani: tutti hanno avuto espressioni di grande soddisfazione per il lavoro svolto, per la qualità del clima che si era creato nel corso degli incontri, per come gli anziani che loro ben conoscono apparivano diversi in un contesto ‘altro’, diverso dal nucleo dove solitamente li seguono. “Sono molto contento di quest’esperienza” dice Fabio “e mi è piaciuta ancora di più quando l’ho ripetuta con gli anziani della Casa Protetta, perché non mi aspettavo davvero l’interesse e l’entusiasmo che hanno dimostrato. Quando passo davanti a Luigi e lui mi chiede ’non si fa niente di là oggi?’ sento che dal mio lavoro ha veramente ricavato qualcosa”. Anche Barbara è visibilmente soddisfatta: “Credo che uno degli effetti maggiori di questo lavoro sia quello di togliere l’anziano dalla routine del nucleo e di metterlo nella condizione di comunicare con altri anziani e di condividere con loro un’esperienza significativa, diversa dalla quotidianità. Per me è stato molto importante vivere quest’esperienza, perché non avrei mai creduto che potessero reagire così. Mi ha dato davvero molte soddisfazioni” Anna, dal canto suo, non ha dubbi: “Mi sono divertita, penso, anche più di loro. E la seconda volta è stato ancora meglio. Mi sono trovata benissimo, perfettamente a mio agio”. Tutti dichiarano di non aver incontrato alcuna difficoltà nell’assumere un ruolo così diverso da quello che è loro abituale e tutti, indistintamente, ritengono che altri colleghi dovrebbero essere formati e avere l’opportunità di sperimentarsi in questa attività “perché le cose bisogna provarle, prima non si riesce a capire!” Sono anche tutti d’accordo sull’idea di standardizzare il trattamento all’interno dei piani di lavoro delle strutture “perché è importante moltiplicare queste occasioni di stare con gli anziani in un modo diverso” e perché, come spiega Fabio “mi sono reso conto che ci vuole una costanza, altrimenti le tecniche si perdo- 31 QUADERNI CADIAI no: è un vero allenamento e va ripetuto spesso, come tutti gli allenamenti” Inoltre, aggiunge Barbara “lavorare anche in questo modo serve a motivare l’operatore, che spesso si trova ad essere frustrato dalle situazioni quotidiane.” Ampio interesse hanno suscitato anche i materiali impiegati nel trattamento e in parte prodotti artigianalmente all’interno dei servizi stessi. Solo alcuni degli operatori, però, hanno dichiarato di impiegarli o di volerli impiegare al di fuori del setting delle sessioni di stimolazione cognitiva e sono le persone che in que- 32 IV sto momento si trovano a lavorare con anziani un po’ meno deteriorati. Questo depone a favore di una importante acquisizione di competenze da parte di tutti gli operatori coinvolti, che si dimostrano in grado di valutare obiettivamente le situazioni in cui ha senso praticare la stimolazione cognitiva e contemporaneamente sollecitano indicazioni per le situazioni in cui altri tipi di trattamento potrebbero risultare più adeguati. Alla proposta di sperimentare, in un prossimo futuro, trattamenti diversi hanno aderito tutti con entusiasmo. C onclusioni Va rilevato, in fase conclusiva, quello che si è caratterizzato come limite principale di ricerca, ovvero la non omogeneità fra gruppi sperimentali e gruppi di controllo. Questo limite è stato sempre tenuto in considerazione sin dalle prime fasi e ha guidato attentamente l’analisi dei dati non pregiudicando affatto la possibilità di trarre le seguenti conclusioni: - l’approccio di Stimolazione Cognitiva si classifica come dominio specifico. Si presuppone quindi la necessità di creare esercizi specifici per ogni funzione cognitiva che si voglia stimolare. - questo intervento ha importanti effetti secondari in ambito relazionale, di benessere percepito e gli anziani hanno notato con soddisfazione miglioramenti nella vita quotidiana. - gli effetti complessivi del trattamento evidenziano una stimolazione globale e multidimensionale, risultato soddisfacente dato che i problemi che si incontrano nella demenza non sono solo di carattere cognitivo ma anche affettivo, relazionale e sociale. Dati i buoni risultati e le richieste de- gli anziani, entrambe le strutture hanno deciso di riproporre ciclicamente questo trattamento riabilitativo, inserendendolo stabilmente nell’articolazione dei piani di lavoro degli operatori. Dopo il primo gruppo di tre operatori ne sono già stati formati altri quattro – tre alla “Virgo Fidelis” e uno a “S. Biagio” – che hanno condotto, dopo la ricerca, altri due cicli di incontri. Molti altri operatori hanno formalmente chiesto essere formati e di poter partecipare all’esperienza, perciò prevediamo a breve l’organizzazione di nuovi corsi di formazione. Questi ampi riscontri positivi ci fanno ovviamente molto piacere e ci confermano nell’idea che l’ approccio all’anziano dev’essere globale, centrato sulla persona, multidimensionale, assolutamente integrato. Ma non ci basta. In tutte le storie a lieto fine, c’è sempre qualche personaggio secondario che rimane sullo sfondo, dimenticato e non partecipa alla festa finale. Che cosa ne vogliamo fare di Carolina, di Francesco, di Gabriella o di Aurelio che ormai non possono più 33 QUADERNI CADIAI beneficiare delle nostre sessioni di stimolazione cognitiva? Questa sarà la prossima scommessa. Stiamo progettando una nuova sperimentazione, questa volta sull’insieme delle strutture protette, per verificare l’efficacia delle attività di stimolazione aspecifiche e di alcuni 34 IV trattamenti comportamentali sugli anziani con demenza in fase moderata-severa e severa. E dato che ormai abbiamo imparato il ‘come si fa’, intendiamo produrre anche un nuovo progetto di ricerca per validare i risultati della sperimentazione. E speriamo di farcela. I PREMESSA ndice pag. 1 pag. 2 ...................................... pag. 4 .......................................................... pag. 6 ....................................................................................... INTRODUZIONE .......................................................................... PARLIAMO ANCORA DI DEMENZE ALCUNI CENNI CLINICI CHE FARE? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10 DOVE COMINCIA L’AVVENTURA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il Memory Training come strumento di riabilitazione cognitiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I primi risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15 LO STUDIO CONTROLLATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Analisi dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. pag. pag. pag. pag. IL VISSUTO DEGLI OPERATORI pag. 31 ............................................ pag. 17 pag. 17 pag. 21 23 26 27 27 28 CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 36 35 QUADERNI CADIAI IV Bibliografia generale • AA.VV., Verifica delle linee-guida per le attività di riabilitazione: percorsi clinici • • • • • • • • • • • • • 36 ed assistenziali per la riabilitazione in ambito geriatrico, maggio 2001, RF98.84, Progetto finalizzato del Ministero della Sanità 1998. AA.VV., La riabilitazione neuropsicologica, Masson, Milano, 2003. Bianchetti A., La demenza severa: un nuovo strumento di valutazione, Psicogeriatria News, 6: 19-23, dicembre 2002. 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Ringraziamo il professor Rabih Chattat, titolare della cattedra "Metodi di intervento nel disagio dell'anziano" e relatore della tesi, per il prezioso contributo al progetto. Un ringraziamento per aver contribuito alla realizzazione di questo quaderno a: QUADERNI CADIAI