Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze
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Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze
, condizioni La ricerca nelle strategie di sviluppo del Mezzogiorno Roma, 13 novembre 2003 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze Andrea Piccaluga – Università di Lecce BIANCA Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze ANDREA PICCALUGA Introduzione Il tema dei distretti tecnologici (DT) è attualmente al centro di un intenso dibattito a livello internazionale. Esiste ormai piena consapevolezza che lo sviluppo dell’economia basata sulla conoscenza dipende in maniera cruciale anche dalla qualità e dall’intensità del radicamento territoriale delle attività ad elevato contenuto scientifico e tecnologico. In altre parole, la dimensione territoriale delle attività di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico è assolutamente rilevante, come dimostrato da numerosi esempi, i più famosi dei quali sono probabilmente la Silicon Valley e Bangalore. Investire risorse in scienza e tecnologia in aree caratterizzate dalla presenza di centri di ricerca pubblici, imprese high-tech private grandi e piccole, governi locali e associazioni di categoria dinamici, ecc., determina ritorni economici e ricadute di varia natura sensibilmente superiori rispetto ad investimenti in aree meno dotate in termini di consistenza delle competenze e di intensità delle relazioni tra i soggetti già operanti. Infatti, a fianco alla ben nota e consolidata competizione internazionale tra sistemi innovativi nazionali e regionali, è emerso con decisione il fenomeno dei distretti tecnologici (DT), ovvero aree geograficamente ben definite, solitamente di scala sub-regionale, particolarmente ricche di attività in campo scientifico-tecnologico, sovente (ma non sempre), con una ben definita vocazione scientifico-industriale, nell’ambito della quale sia possibile individuare le eccellenze e le specificità in termini di attività di ricerca scientifica e tecnologica e le filiere industriali nelle quali i risultati della ricerca siano utilizzabili. Nel filone di studi a sostegno dell’utilità dei DT (con contributi di geografi, economisti, sociologi, ecc.) e nell’insieme di politiche volte al loro sostegno (molto diffuse in Europa), l’Italia ha mostrato di identificarsi piuttosto bene, e ciò è testimoniato dai sette distretti tecnologici approvati dal Miur alla data del giugno 20041 e dalle numerose altre aree attive in questa direzione, a prescindere dalla firma di specifici protocolli. In Italia l’idea dei DT sembra trovare ampio gradimento per almeno tre motivi. In primo luogo, perché il nostro sistema economico è piuttosto avvezzo all’uso del termine “distretto”. I distretti sono un fenomeno ben noto (almeno quelli industriali), ne conosciamo pregi e difetti e sentendo sempre più spesso parlare di crisi dei distretti industriali (DI) (o quanto meno della necessità di una loro consistente trasformazione), esiste un diffuso consenso riguardo alla possibilità di rivitalizzare la denominazione – e la sostanza – del “distretto”, abbinandola all’aggettivo “tecnologico”. In secondo luogo, il concetto risulta gradito e familiare in quanto il sistema economico italiano è caratterizzato e conosciuto in ambito internazionale anche per la propensione verso un tipo di progettualità “dal basso”. Una propensione che genera talvolta frammentazione e duplicazioni degli interventi, ma che spesso consente di valorizzare le potenzialità presenti a 1 Si tratta di 1) Torino Wireless, 2) Veneto Nanotech, 3) distretto sui materiali polimerici della Campania a Napoli, 4) distretto della microelettronica a Catania, 5) distretto Hi-Mec per la meccanica avanzata in Emilia Romagna, 6) distretto sulle bioscienze a Milano, 7) distretto tecnologico aerospaziale di Castel Romano. 91 ANDREA PICCALUGA livello locale, soprattutto quando queste non sono facilmente individuabili e gestibili da un osservatorio di livello superiore. In terzo luogo, perché l’idea del DT risulta molto attraente e suggestiva, soprattutto a livello locale, presso policy makers, docenti universitari, imprenditori, ecc. Da qui due possibili alternative, di segno opposto. Da una parte, quella di adottare il concetto di DT solo in forma superficiale, quale moda del momento per le politiche territoriali. Seguire tale approccio porterebbe meramente a “ricomporre a sistema i pezzi”, più o meno pregiati, già esistenti su un dato territorio. Un secondo approccio si pone invece un obiettivo più ambizioso, quello di sposare pienamente l’idea del DT e costituirne uno compiendo scelte precise, talvolta anche difficili (per es. in termini di selezione di alcune filiere scientifiche e industriali a discapito di altre) e generare discontinuità positive nella scala degli investimenti e degli interventi a sostegno dello sviluppo economico basato sulla scienza e la tecnologia in un certo territorio. Per quanto riguarda il presente lavoro, piuttosto che approfondire il tema dal punto di vista della letteratura scientifica pertinente, si è provato a formulare e a rispondere ad una serie di quesiti, senza l’ambizione di individuare le soluzioni per ognuna delle problematiche sollevate, ma con l’obiettivo di fornire un contributo al dibattito in corso su un tema così diffusamente trattato. Le domande sono sostanzialmente le seguenti: Che cosa sono i distretti tecnologici? Perché in Italia li chiamiamo “distretti”? Che ruolo hanno nell’economia della conoscenza, anche alla luce degli obiettivi di Lisbona? Esistono già dei DT in Italia? Che caratteristiche hanno e chi sono i protagonisti nei vari casi? E’ possibile rafforzarli o crearli ex novo e qual è il ruolo delle politiche pubbliche? Quanto sono importanti i DT nell’ambito delle azioni per fare recuperare terreno all’Italia sul fronte della competitività basata sulla scienza e la tecnologia? Esistono dei riferimenti internazionali significativi? Quali sono in generale le circostanze da promuovere, e quali quelle da evitare? Il ruolo dell’Università nei DT In Italia, negli ultimi decenni, si è adottato di fatto un modello di “innovazione senza ricerca”, che sebbene nel passato abbia generato risultati nel complesso positivi nei settori tradizionali, oggi non è più sostenibile. Anzi, molto probabilmente sarebbe stato auspicabile adottare strategie diverse già in passato, ed evitare l’attuale deficit di contenuto tecnologico nelle nostre produzioni. Dall’altra parte, anche l’industria high-tech, con rarissime eccezioni, non sta attraversando in Italia un momento particolarmente felice, per motivi abbastanza complessi e articolati che non è qui possibile riassumere. Per fare fronte all’attuale situazione di difficoltà, in entrambi i casi, sia per i settori tradizionali che per quelli high-tech, viene spesso discussa la possibilità che la ricerca pubblica possa contribuire ad un recupero di competitività dell’industria nazionale. Dal canto suo, a livello internazionale, Italia compresa, la natura e la direzione d’indagine della ricerca pubblica è cambiata molto in questi ultimi anni, per diversi motivi tra i quali ricordiamo: 92 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze - la crescente importanza di nuove tecnologie, come le ICT e le biotecnologie, fortemente basate sulla ricerca di base, - l’emergere di nuove discipline, frutto della fusione o combinazione di discipline preesistenti (biotecnologie, bioinformatica, chimica computazionale, bioingegneria, ecc.), - la globalizzazione del settore della formazione e della ricerca, - la ricerca di “finestre” per monitorare efficacemente la ricerca scientifica pubblica da parte delle imprese e la riscoperta della specificità delle competenze esistenti su base territoriale, e cioè di aree particolarmente specializzate in talune discipline scientificotecnologiche, - la riduzione dei budget per la ricerca, sia quella privata che quella pubblica, - la fine della guerra fredda, che ha prodotto maggiore impegno nella conversione di tecnologie militari ad uso civile e minori investimenti complessivi, nonostante il recente riorientamento degli investimenti militari stessi verso tecnologie sempre più sofisticate. Senza dubbio, quindi, anche il sistema universitario sta cambiando. E’ emersa e si sta affermando quella che viene denominata come “la terza missione” dell’Università, quella che determina il consolidamento di un modello di “Università imprenditoriale”. In particolare, l’Università, che aveva tradizionalmente l’obiettivo di fare formazione e ricerca, sta assumendo un ruolo sempre più importante e attivo nel campo trasferimento tecnologico. La nuova Università stipula infatti più contratti con le imprese e genera un numero sempre più consistente di imprese spin-off, ma queste attività non sono ovviamente in grado da sole di trasformare la struttura industriale di una Paese e non risolvono certo tutti i problemi occupazionali di ingegneri e scienziati. Esse costituiscono comunque un’importante tassello della competitività dell’industria nazionale, così come lo sono il maggior numero di brevetti che le Università stanno richiedendo e facendo registrare presso gli uffici brevetti. Speranza, ma anche scetticismo, sono le opinioni che si registrano nei confronti di questo nuovo ruolo. Le Università, infatti, fanno oggi più ricerca a breve termine e finalizzata, sono più focalizzate sui risultati e senza dubbio evidenziano un maggior dinamismo rispetto al passato nel competere tra loro e con altri soggetti per aggiudicarsi risorse sempre più limitate. Da un punto di vista istituzionale, molte Università italiane si stanno attrezzando, stanno creando dei network per la valorizzazione della ricerca scientifica e costituiscono uffici per il trasferimento tecnologico. Di fatto, comunque, la presenza e il ruolo delle Università nei DT rappresenta forse la principale differenza tra distretti industriali (DI) e DT. L’interesse nei confronti dei DT Come accennato in precedenza, sono vari i motivi per cui oggi in Italia è elevato l’interesse nei confronti dei DT: - il gradimento – giustificato o meno – nei confronti di percorsi di innovazione di tipo bottom-up, in quanto spesso ritenuti più efficaci e meno costosi di quelli top-down; 93 ANDREA PICCALUGA - una maggiore propensione a valorizzare le relazioni esistenti a livello territoriale; - un maggiore spirito di concorrenza tra le regioni e sistemi territoriali più limitati, non solo a livello italiano ma soprattutto su scala globale; - la necessità di elaborare progetti congiunti, come impegno comune di più soggetti, per fare massa critica nella R&S a livello locale; - la crescente necessità di specializzarsi su specifiche filiere scientifiche per ottenere risultati rilevanti e visibilità internazionale; - le best practice dei cluster e dei distretti tecnologici esteri e le positive ricadute che questi hanno avuto sui rispettivi sistemi tecnologici; - un effetto di trend/moda che porta a parlare di DT in numerosi contesti territoriali, talvolta anche quando non ne sussisterebbero i requisiti di base. Peraltro, la riscoperta della dimensione regionale dell’innovazione non è una novità; sia i geografi che gli economisti sostengono da tempo che la dimensione territoriale è importante. Nei DI, dove esiste un fitto scambio di conoscenze ed informazioni, ciò costituisce sicuramente un punto di forza, anche se in alcuni casi rappresenta anche un vincolo alla crescita del distretto stesso perché si creano fenomeni di “marcatura incrociata” e di lock-in tra le imprese. Nei DI esiste semmai il problema di collegare e far dialogare tra loro i circuiti locali della conoscenza (sviluppata dalle imprese) con i circuiti globali (sviluppata dai produttori di conoscenza a livello internazionale). Per evitare la semplificazione di applicare ai DT le stesse impostazioni adottate per i DI bisogna in particolare tenere presenti alcune considerazioni: - i DI sono molto numerosi in Italia e probabilmente non ha senso pensare ad un ugual numero di DT sul territorio nazionale, dato che nei DT ciò che conta è la massa critica degli investimenti e/o la specializzazione; - i DI sono sovente nati dal basso, mentre per i DT il fattore di innesco è dato, nella maggioranza dei casi, o da un investimento di natura e portata considerevole nel campo della ricerca pubblica (ed in alcuni casi privata), o da un’azione dirompente di un’azienda o altra realtà locale pre-esistente; - mentre nei DI non c’è stato bisogno di un particolare sostegno pubblico, per lo sviluppo dei DT questo appare come un fattore critico. Tra le principali caratteristiche dei DT figurano la presenza di centri di ricerca pubblici, di imprese high-tech grandi e piccole, nazionali o estere, l’elevato tasso di natalità e di crescita delle imprese, la presenza di risorse umane qualificate e di uno spiccato spirito imprenditoriale nel campo delle tecnologie avanzate, e la disponibilità di strumenti finanziari adatti ad iniziative ad alto contenuto di innovazione. Un aspetto importante riguarda la compresenza in un dato territorio di soggetti produttori e utilizzatori della conoscenza scientifica e tecnologica sviluppata. In alcuni distretti ciò si verifica, mentre in altri esistono eccellenze nel campo della ricerca, mentre la filiera si sviluppa altrove per quanto riguarda le applicazioni industriali. 94 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze Il concetto di DT, peraltro, non è un’invenzione recente, anche se rappresenta un fenomeno degli ultimi anni una certa inflazione di studi su questo tema, dai quali è stata riconosciuta l’importanza della dimensione territoriale dell’innovazione. Learning region, associational economy, milieu innovateur, Silicon Valley, cluster, socio-technical alignment, ecc. sono solo alcuni dei termini utilizzati per descrivere fenomeni di fatto anche molto diversi tra loro, ancorché accomunati dall’importanza attribuita alla dimensione territoriale dell’innovazione. Per la definizione di DT esistono in letteratura contributi che forniscono criteri quantitativi per l’identificazione di contesti locali di eccellenza scientifico-tecnologica. Uno schema possibile è quello che prende in considerazione due categorie principali: - la specializzazione di un’area nell e attività high-tech; - l’innovatività del sistema locale. In alcuni casi i DT vengono identificati attraverso l’analisi di parametri quali il numero di imprese high-tech, la loro dinamica industriale, le risorse umane qualificate presenti nell’area, la presenza di università o di altri centri di ricerca pubblici e privati, il tipo di cultura imprenditoriale esistente, ed altri fattori simili. Tuttavia, se l’esigenza è quella di individuare una metodologia di analisi comune ed oggettiva, occorre prestare attenzione anche a fattori non necessariamente presenti nelle statistiche ufficiali, anche di carattere qualitativo. Infatti, un interessante elemento può essere dato dall’identificazione e distinzione tra DT esistenti, potenziali ed emergenti. I primi sono i DT già operanti e che presentano tutte le caratteristiche del fenomeno; i secondi sono quelli che presentano le potenzialità per diventare veri e propri DT, ma che devono ancora crescere, compiere scelte strategiche ed avviare processi di allineamento tra i soggetti; infine, i terzi sono territori che hanno già intrapreso i processi di crescita descritti in precedenza e si stanno gradualmente affermando come DT veri e propri2. A livello internazionale, nel 2000 la rivista Wired ha individuato “46 Global Hubs of Technological Innovation”. Purtroppo, nessuno di questi si trova in Italia; molti sono in paesi avanzati ed otto in paesi emergenti. Un caso di grande successo è sicuramente quello di Bangalore nel campo del software. Tra i fattori chiave del suo successo figurano le abbondanti risorse umane specializzate e a buon prezzo, lo spirito imprenditoriale dei laureati, una buona conoscenza della lingua inglese, la presenza di contatti con i mercati americani, l’aumento del numero e della qualità dei laureati in materie scientifiche e tecnologiche, le precise ed efficaci scelte di politica per l’innovazione a livello nazionale e regionale (privatizzazioni nelle TLC, agevolazioni fiscali, parchi tecnologici, creazione di associazioni di settore) e le condizioni climatiche favorevoli. Altri casi esteri particolarmente rilevanti sono quelli della ben nota Silicon Valley e dell’Irlanda. Per la prima, ci troviamo davanti all’esempio più conosciuto e più imitato al mondo, sebbene forse inimitabile per il mix di fattori che stanno alla base del sorprendente tempismo con cui la Contea di Santa Clara e dintorni ha saputo entrare in traiettorie 2 In realtà si dovrebbe aggiungere una quarta categoria, quella dei DT fittizi. Si tratta di territori nei quali le constituency locali si danno molto da fare in un’ottica di promozione e marketing territoriale, ma dove la consistenza effettiva dei fattori citati come costituenti un DT è notevolmente inferiore a quanto le azioni di comunicazione lascerebbero supporre. 95 ANDREA PICCALUGA tecnologiche emergenti. Di particolare importanza è senza dubbio l’eccellenza e l’imprenditorialità di ingegneri e scienziati che vengono attratti di continuo in quest’area da ogni parte del mondo, tessendo un fitto network tecnologico ed industriale, di cui Silicon Valley è nodo centrale. Storicamente il ruolo delle tre università di ricerca di Stanford, UC San Francisco e UC Berkeley e la loro spiccata propensione al trasferimento tecnologico (soprattutto nel caso di Stanford) si sono andati a sommare alla presenza di notevoli investimenti privati (Intel e Xerox PARC, ecc.). Altro fattore discriminante è stato e continua ad essere la presenza di risorse finanziarie di Venture Capital, qualificate a sostenere investimenti tecnologici ad elevato tasso di rischio, ma con notevoli ritorni attesi. Nel caso dell’Irlanda, invece, rilevante è stata la presenza di incentivi promossi a livello nazionale, che hanno da una parte attratto consistenti investimenti stranieri (attraverso sgravi fiscali, contributi alla ricerca, ecc.), e dall’altro hanno favorito la creazione e la qualificazione di capitale umano locale, specializzato nel settore dell’Information Technology (IT). Questo clima ha favorito il successivo ritorno in patria di molti specialisti dell’IT dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti e la decisione di importanti case di software di localizzare in Irlanda le proprie basi logistiche per l’Europa e per altre aree geografiche. I DT in Italia Quello che va sottolineato per il caso italiano è la forte dinamicità del fenomeno dei DT, accompagnata in alcuni casi anche da una certa dose di autoreferenzialità. Questa situazione è determinata principalmente da tre ordini di fattori: 1. la genuina convinzione di poter generare e innescare processi di crescita “facendo squadra”, massa critica e in alcuni casi specializzandosi in specifiche filiere scientifico-tecnologiche, spesso già ben sviluppate ed affermate a livello internazionale; 2. la possibilità di poter accedere a forme di finanziamento per generare discontinuità positive nella scala degli investimenti; 3. un “effetto moda”. Per provare a fare un po’ di chiarezza, e sulla base degli indicatori più utilizzati per la descrizione delle agglomerazioni ad elevato contenuto tecnologico e delle caratteristiche del sistema innovativo italiano, abbiamo provato ad individuare sette categorie di distretti tecnologici: • il DT in cui la grande impresa high-tech riesce ad innescare l’interazione con una ricerca pubblica già robusta (per es., il caso di Catania); • il DT in cui la forte ricerca pubblica genera non una sola impresa ma uno sciame di imprese con crescente vocazione economica predominante nell’area (per es., il caso di Pisa); • il DT in cui ricerca industriale e pubblica a poco a poco si integrano, in presenza di processi di ristrutturazione industriale e specializzazione scientificotecnologica (è questo il caso di Torino, Genova, Napoli); 96 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze • il DT in cui la ricerca pubblica crea condizioni di base, dove poi la spinta di un imprenditore “schumpeteriano” innesca la crescita e la specifica vocazione hightech (per es., il caso di Cagliari); • il DT in cui l’imprenditore schumpeteriano avvia la crescita e la successiva entrata di soggetti industriali dall’esterno (per es., il caso di Mirandola); • il DT in cui poli di eccellenza pubblici e privati attivano dinamiche di integrazione, ma senza una vocazione predominante (come nel caso di Milano e Roma)3; • il DT in cui l’intervento pubblico può generare discontinuità positive laddove già esistono delle buone relazioni tra pubblico e privato (ad esempio Trieste, Padova, l’Emilia Romagna). Nella definizione dell’intervento pubblico, è necessario differenziare politiche per DT esistenti, emergenti e potenziali. Per i primi, gli interventi pubblici potrebbero rafforzare le basi del DT ed eventualmente sostenere processi di specializzazione (si veda ad esempio Torino Wireless); per i secondi, gli interventi di policy potrebbero generare discontinuità partendo dalle aree di eccellenza scientifica e tecnologica già esistenti, e per i terzi potrebbero selezionare con rigore e sostenere aree scientifico-tecnologiche che evidenziano potenzialità di crescita future. Una volta delineate le linee di tendenza generali per il Paese, passiamo all’analisi di alcuni distretti (e “proto-distretti”) italiani, ovvero aree in cui è possibile individuare i presupposti di un distretto tecnologico o aree in cui tale realtà si sta creando4. Per quanto riguarda il caso di Cagliari5, determinanti sono stati gli investimenti nel CRS4, che si occupava prevalentemente di ricerca di base nel campo della fisica e della matematica e la presenza di un imprenditore particolarmente brillante (Soru). Tali investimenti hanno giocato un ruolo determinante per la nascita di un settore dell’ICT a Cagliari perché, oltre a promuovere nel 1990 la nascita del CRS4, hanno portato alla successiva nascita della società Video-on-line (fondata da Grauso) e Tiscali (fondata da Soru). Molti degli attuali addetti in Tiscali e nelle imprese vicine a Tiscali sono ex ricercatori del CRS4. A Catania, la ST Microelectronics (ST) è riuscita ad attivare proficue collaborazioni con un sistema della ricerca che era già robusto di per sé (consolidate sono le competenze presenti nel campo della fisica – Infn, Università – e importante è la recente nascita della Scuola Superiore). Ad oggi esistono nella zona di Catania circa 60 aziende high-tech che occupano circa 5.000 addetti e accanto alla presenza di ST, anche altre grandi imprese hanno costituito una propria struttura sul territorio, o sono intenzionate a farlo. A Pisa, dove è stato realizzato il primo calcolatore elettronico italiano, esiste una spiccata tradizione nel campo dell’Information Communication Technology (ITC). Rilevanti sono la 3 Peraltro, in queste due città, una specifica vocazione – magari non l’unica possibile - è stata individuata ed ha portato alla firma di protocolli con il Miur per la costituzione di distretti tecnologici. 4 Ulteriori informazioni sono reperibili sul sito www.distretti-tecnologici.it, sviluppato nell’ambito di un apposito Osservatorio costituito su iniziativa dl Ceris-Cnr di Torino e del Laboratorio In-Sat della Scuola Sant’Anna di Pisa. 5 Si veda su questo caso il recente volume di Luca Ferrucci. 97 ANDREA PICCALUGA presenza di centri di ricerca, soprattutto pubblici, e la costituzione di interessanti partnership pubblico-private. Ad oggi la provincia comprende oltre 200 imprese high-tech che occupano circa 6.500 addetti. La specializzazione principale del distretto è l’ICT, ma rilevante è anche il peso del settore farmaceutico, che come l’ICT ha profonde radici storiche sul territorio. Infine tra i nuovi settori spiccano anche la meccatronica e le microtecnologie. Il distretto di Genova nasce dalle competenze della grande industria a partecipazione statale (energia, automazione, siderurgia, cantieristica); oggi esistono circa 150 imprese con circa 7.500 addetti e le specializzazioni principali sono nei settore della microelettronica, robotica, ingegneria biomedicale, software e, in generale, in campi che hanno come comune denominatore la matrice tecnologica dell’ICT. Nel caso della Campania le politiche regionali per la creazione di centri regionali di competenza sono in qualche modo da collegare alle politiche di creazione e di finanziamento di distretti tecnologici. In Campania esistono alcune realtà tra le più avanzate del Paese dal punto di vista tecnologico. Gli investimenti pubblici e privati sono superiori alla media del Mezzogiorno e, per certi versi, in linea con quelli del Nord Italia. Recentemente è stato firmato un protocollo d’intesa per la realizzazione di un DT per l’Ingegneria dei Materiali Polimerici e Composti. Torino è uno dei DT più riconosciuti e affermati a livello nazionale. Determinanti sono stati la presenza di centri di ricerca industriale, di numerosi ricercatori industriali, di un forte investimento da parte delle imprese piemontesi nella ricerca privata e l’individuazione, nel settore del wireless, di una precisa vocazione. Anche a Padova è stato firmato un protocollo per la creazione di un distretto tecnologico (con un raggio d’azione regionale) sulle nanotecnologie applicate ai materiali. Questo accordo è stato favorito dalla forte concentrazione nell’area veneta di ricercatori nel campo delle nanotecnologie. Recentemente, inoltre, è stata creata la Veneto Nanotech S.C.p.A. ed è stata firmata una convenzione tra Regione e CIVen (consorzio interuniversitario per le nanotecnologie) per lo sviluppo di nanotechnology manager e per la costituzione del laboratorio NanoFabrication Facility. A Mirandola, in provincia di Modena, un singolo imprenditore (Mario Veronesi) ha costituito e ceduto a investitori stranieri una serie di nuove imprese high tech, nel campo del biomedicale. Ad oggi a Mirandola ci sono 74 imprese e quasi 4.000 addetti e circa il 74% del fatturato totale del distretto è realizzato da quattro grandi imprese (Gambro, Dideco, Mallinckrodt e Bellco). La presenza di grandi gruppi industriali farmaceutici dimostra che per un DT biomedicale è fondamentale l’accesso a canali di vendita su mercati esteri. In Emilia Romagna è stato firmato un protocollo d’intesa per la realizzazione di un DT HiMec (alta tecnologia meccanica), che si baserà tra l’altro anche sulla collaborazione delle quattro università della regione, del CNR, dell’INFM, dell’ENEA e di Aster. Infine, il caso di Lecce è relativo ad una zona del Mezzogiorno dove una giovane università è cresciuta, specializzandosi nelle tecnologie avanzate. A Lecce, il dinamismo di un rettore e di alcuni docenti e la creazione dell’ISUFI hanno dato origine all’embrione di un DT sulle nanotecnologie e sull’ICT, in un ambiente caratterizzato dalla modesta presenza di laboratori e di finanziamenti da parte di imprese estere. 98 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze Potenzialità e cautele in tema di DT Vale infine la pena dedicare un po’ di attenzione all’analisi delle potenzialità dei DT italiani e ad alcune necessarie cautele. Le potenzialità in Italia potrebbero essere rappresentate dai seguenti fattori: - la presenza di risorse umane qualificate a costi competitivi (per esempio, perché al Sud la vita costa di meno che nel resto d’Europa e perché più in generale il ricercatore italiano costa mediamente meno che un ricercatore tedesco o francese e questo potrebbe essere un motivo di attrazione di laboratori di ricerca industriale). Il rischio di formare “troppi” laureati in materie scientifico-tecnologiche probabilmente nel breve termine esiste perché è possibile che le imprese non li assumano immediatamente, ma è un rischio che potrebbe rivelarsi una importante opportunità in futuro. Le esperienze di Bangalore e dell’Irlanda mostrano infatti che la disponibilità di manodopera specializzata in campo scientificotecnologico, accompagnata dall’assenza di una base industriale consolidata, ha reso possibile un’eccedenza di risorse umane qualificate che ha attratto la localizzazione di imprese multinazionali; - la presenza di centri di ricerca pubblici di elevato valore; questi centri in realtà esistono, e sono di livello internazionale, ma hanno spesso una configurazione a macchia di leopardo sul territorio nazionale; - la presenza di alcuni (purtroppo pochi) centri di ricerca industriale di grandi dimensioni che stanno assumendo una configurazione a network, per valorizzare le competenze sparse sul territorio, pur mantenendo il coordinamento con la loro sede centrale (il Centro Ricerche Fiat ad esempio lo sta facendo, come pure ST). Inoltre, per innescare un vero salto di qualità nei DT, vale la pena distinguere tra azioni di “ordinaria” e di “straordinaria” amministrazione. L’ordinaria amministrazione in Italia la fanno più o meno tutti i territori e all’estero ciò è ancora più vero; per ordinaria amministrazione si intende la creazione di uffici di trasferimento tecnologico nelle Università, l’attivazione di corsi di formazione per i manager del trasferimento tecnologico e programmi specifici per le imprese spin-off, azioni di marketing territoriale, ecc. Queste in realtà sono ormai condizioni di partenza necessarie, che non fanno più la differenza nella competizione tra territori. In realtà, il vero salto di qualità è la straordinaria amministrazione, intendendo con questa definizione: - un aumento rilevante del numero e della qualità di laureati in materie scientificotecnologiche in un certo territorio; - l’individuazione di mercati di sbocco extra regionali per i prodotti e i servizi high-tech locali (la fortuna di Bangalore è stata quella di trovare in quello americano un mercato di sbocco dalle potenzialità enormi per l’outsourcing della produzione di software e l’erogazione di servizi telefonici); - l’impegno nel determinare processi di rientro dall’estero, verso i loro luoghi di origine, di “cervelli” che si sono formati e hanno successivamente lavorato nelle aree più avanzate a livello mondiale; - un rilevante aumento dei finanziamenti a centri di ricerca giudicati eccellenti sulla base di esercizi di valutazione fondati su criteri standard in ambito internazionale; 99 ANDREA PICCALUGA - la presenza di accademici con approccio imprenditoriale ed un adeguato sostegno alle loro azioni; - un maggior impegno in attività di marketing territoriale e di comunicazione, anche verso l’estero. L’entusiasmo nei confronti dei DT deve essere però controbilanciato anche da alcune cautele, che riguardano i seguenti fattori: - la massa critica degli interventi; per fare salti di qualità e per generare discontinuità, infatti, è necessaria una certa massa critica; sarà possibile ai DT reperire le necessarie risorse economiche attraverso la combinazione di interventi del governo centrale e dei diversi attori su scala regionale e locale? - la selezione, a livello locale, di specifiche filiere scientifiche e/o industriali potrebbe anche risultare impopolare, generare scontento nel breve termine, ma rappresenta un passaggio quasi sempre ineliminabile ai fini del consolidamento e del successo di un DT con l’ambizione di essere riconosciuto come una realtà rilevante a livello internazionale; in altri termini, non c’è spazio per DT “generalisti”; - la governance dei distretti tecnologici; un domani chi svolgerà funzioni di coordinamento e indirizzo nei distretti tecnologici? I sistemi innovativi locali sono difficilmente governabili quasi per definizione, anche a causa del dinamismo e dell’eterogeneità dei soggetti che li compongono. Dobbiamo quindi prepararci ad affrontare una governance variegata, guidata da una sorta di “club del DT”, in cui probabilmente saranno i soggetti con maggiore personalità che si assumeranno le responsabilità in termini di gestione e indirizzo strategico. Un ultimo caso, particolarmente promettente, che vale la pena citare in sede di considerazioni conclusive, è quello del progetto Yamacraw ad Atlanta. Nel 1999, lo Stato della Georgia ha deciso di puntare sullo sviluppo delle tecnologie a supporto della banda larga. Dopo una prima fase di indagine, in collaborazione con ricercatori ed esperti del settore, si è identificato l’hardware, piuttosto che il software, come nicchia applicativa per i laboratori e le industrie locali. Si è ritenuto infatti che: - questo settore sarebbe stato caratterizzato da significativi tassi di crescita, - altri hotbed americani stavano sottovalutando la potenzialità dell’hardware per lo sviluppo della banga larga, - Atlanta evidenziava già per questo settore una spiccata competenza. L’investimento pubblico ha contribuito ad attrarre sul territorio le migliori risorse locali sullo sviluppo di queste tecnologie. Il risultato è stato misurabile: in pochi anni la qualità ed il numero delle pubblicazioni scientifiche di ricercatori locali nelle tecnologie sostenute dall’iniziativa Yamacraw sono aumentate sensibilmente sia in termini assoluti che in percentuali rispetto al totale degli Stati Uniti. Dopo la prima fase di aumento delle pubblicazioni e dei brevetti, si sono aggiunti gli investimenti di imprese e centri di ricerca privati, provenienti da altre realtà statunitensi ed estere, interessati ad attingere alle competenze nel frattempo sviluppatesi ad Atlanta. La speranza dei policy maker locali è quella di veder ora scattare ulteriori nuovi investimenti in R&S, secondo un auspicabile circolo virtuoso tra ricerca pubblica e ricerca privata. 100 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze Spunti per la discussione • Cosa sono i Distretti Tecnologici (DT)? • Perché li chiamiamo “distretti”? • E’ utile averli sul nostro territorio? (e nel Mezzogiorno in particolare?) • Che ruolo hanno nell’economia della conoscenza? • Ne esistono in Italia? • Che caratteristiche hanno? Chi sono i protagonisti nei vari casi? • Come rafforzarli o crearli quasi ex novo? Quale il ruolo delle politiche? • Quanto sono importanti nell’ambito delle azioni per fare recuperare terreno all’Italia sul fronte della competitività basata sulla scienza e la tecnologia? • Quali sono riferimenti internazionali significativi? • Quali le cose da fare e da non fare (in termini di policy) nel prossimo futuro? 13.11.2003 2 2 INNOVAZIONE SENZA RICERCA In Italia si è sostanzialmente adottato un modello di innovazione senza ricerca. Siamo consapevoli che ciò non può continuare già a partire da “oggi”, quasi sicuramente a partire da “ieri”. Ma, “la ricerca è necessaria per l’innovazione” oppure “la ricerca deve servire all’innovazione?” E’ bene ricordare che: - la ricerca di punta la fanno i ricercatori di punta; - più ricerca pubblica c’è, più ce n’è anche privata; - il passaggio da ricerca a sviluppo, o da ricerca a innovazione, può (deve?) avvenire senza forzature; - in quest’ultima fase, quella dell’innovazione, il privato deve giocare un ruolo fondamentale; - non ci deve essere fretta nell’ottenere applicazioni dalla ricerca, ma “più tiri in porta si fanno, più è probabile fare goal”. 13.11.2003 3 101 3 ANDREA PICCALUGA I CAMBIAMENTI NELLA RICERCA PUBBLICA Vengono formulate molte aspettative nei confronti della ricerca pubblica, che è cambiata intensamente negli ultimi anni: • la crescente importanza di nuove tecnologie, come le ICT e le biotecnologie, fortemente basate sulla ricerca di base; • l’emergere di nuove discipline, frutto della fusione o combinazione di discipline pre-esistenti (biotecnologie, bioinformatica, chimica computazionale, bioingegneria, ecc.); • la globalizzazione del settore della formazione e della ricerca; • la ricerca di “finestre” da parte delle imprese e la riscoperta delle competenze esistenti su base territoriale (anche su scala globale); • la riduzione dei budget per la ricerca; • la fine della guerra fredda (+impegno nella conversione, -investimenti complessivi); • ecc.. 13.11.2003 4 4 L’emergere della terza missione e dell’università imprenditoriale. Le conseguenze possibili (positive e negative) • • • • • Più contratti tra università e industria Più imprese spin-off e più brevetti delle università Più ricerca a breve termine, finalizzata Maggiore focus sui risultati Maggiore dinamismo delle università per aggiudicarsi risorse scarse • Ecc. 13.11.2003 5 102 5 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DEL “CICLO DELLA VALORIZZAZIONE” DA PARTE DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA ricerca scientifica $ risultato spin-off (brevetto) licensing 13.11.2003 sistema paese 6 6 I DISTRETTI TECNOLOGICI (DT) L’attenzione ai DT in Italia deriva da un insieme di fattori, tra i quali: • un diffuso (giustificato?) interesse nei confronti di percorsi di innovazione di tipo bottom-up (più efficaci? meno costosi?) • una maggiore propensione a valorizzare le relazioni esistenti a livello territoriale, anche nel campo della scienza e della tecnologia; da parte di Enti Pubblici di Ricerca (Epr) che sono oggi più imprenditoriali del passato, ed in alcuni casi anche da parte di grandi imprese • un maggiore spirito di iniziativa e una maggiore concorrenza in questo campo tra le regioni (su scala globale) • la necessità di elaborare progetti congiunti per fare massa critica nella R&S a livello locale • la crescente necessità di specializzarsi per ottenere risultati e visibilità • le positive esperienze dei cluster e dei DT all’estero • un effetto moda 13.11.2003 7 103 7 ANDREA PICCALUGA LA DIMENSIONE REGIONALE DELL’INNOVAZIONE • Non è certo una novità la riscoperta del territorio e della concentrazione spaziale delle attività high-tech ai fini dei processi innovativi. • Già nei DI si fa riferimento non solo ai meccanismi localizzativi e a processi di scambio, ma anche alle relazioni tra le imprese e alla circolazione di informazione e conoscenza, che vengono usate e riusate da più soggetti (il che è croce e delizia dei DI). • Nei DI i problemi semmai sono altri, tra i quali quello di mettere in connessione circuiti della conoscenza locale, tacita e specifica e circuiti della conoscenza generale, astratta e codificata. Circuiti globali Circuiti locali 13.11.2003 8 8 LE FILIERE DELL’INNOVAZIONE NEI DT • Nei DT le possibilità di uso e riuso della conoscenza sono forse più limitate dato che le filiere high-tech sono spesso globali (alcune possono però essere integrate a livello locale), e le relazioni tra le imprese meno intense. • Tuttavia, è ormai ampiamente riconosciuto che la concentrazione fisica di attività ad elevato contenuto scientifico-tecnologico è in grado di determinare processi di crescita economica (via crescita endogena e/o via attrazione di investimenti dall’esterno). 13.11.2003 9 104 9 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze DAI DISTRETTI INDUSTRIALI AI DISTRETTI TECNOLOGICI IN ITALIA • E’ nel Dna italiano ragionare in termini di “distretti”, ed è forse a ciò imputabile l’intenso utilizzo del termine distretto tecnologico (DT), affine a quella vasta gamma di esperienze di concentrazioni di attività hightech che è possibile osservare all’estero (Bangalore in India, Silicon Valley e Route 128 negli USA, Cambridge, Oxford, ecc.). • Si tratta però di esperienze MOLTO diverse tra loro, non sempre analizzate e commentate accuratamente. 13.11.2003 10 10 LE DIFFERENZE E LE ANALOGIE TRA DI E DT • Nei DI operano tante piccole imprese (e talvolta un’impresa leader); nei DT no. Nei DT gli attori hanno dimensioni molto diverse e non sempre collaborano o competono tra loro. • I DI sono molto numerosi in Italia; non ha probabilmente senso pensare ad un numero simile di DT, dato che ciò che conta è la massa critica e/o la specializzazione. • I DI sono nati “dal basso”, mentre per i DT il fattore innescante è stato quasi sempre un “super-investimento” (quali-quantitativo) in R&S o una “superperformance” di qualche organizzazione. • Mentre i DI non hanno avuto bisogno di un particolare sostegno pubblico, per lo sviluppo di qualche DT ciò è più necessario. 13.11.2003 11 11 105 ANDREA PICCALUGA LE CARATTERISTICHE DEI DISTRETTI TECNOLOGICI I distretti tecnologici sono caratterizzati da fattori quali: - la presenza di centri di ricerca pubblici, - la presenza di imprese high-tech grandi (nazionali e/o straniere) e/o piccole, - un elevato tasso di natalità e di crescita delle imprese, - la presenza di risorse umane qualificate, - uno spiccato spirito imprenditoriale nel campo delle tecnologie avanzate, - la disponibilità di strumenti finanziari adatti ad iniziative ad alto contenuto di innovazione. 13.11.2003 12 12 IL CONTESTO Per inquadrare il contesto, dobbiamo anche ricordare che in Italia: • l’esperienza dei PST (di fatto, proto-DT) è abbastanza discutibile; • sono pochissime le grandi imprese in grado di fare da innesco a un DT; • sono un po’ più numerosi gli EPR in grado di farsi promotori di DT; • vi è una grande varietà di territori e situazioni in cui EPR, enti locali, imprese, ecc. formano costituencies e giocano un ruolo diverso Quindi, è opportuno: • tenere conto della storia delle diverse aree • riconoscere la varietà di situazioni che si creano 13.11.2003 13 13 106 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze DEFINIZIONE DI DISTRETTO TECNOLOGICO • Nella letteratura economica, geografica, sociologica, ecc. il DT non è un’invenzione recente; • da molti anni c’è una vera e propria “inflazione” di studi su questo tema; • la dimensione territoriale dell’innovazione è ampiamente studiata e ritenuta importante; • learning region, associational economy, milieu innovateur, silicon valley, cluster, socio-technical alignment, ecc. sono solo alcuni dei termini utilizzati per discrivere fenomeni anche molto diversi tra loro; • all’estero si usa molto il termine cluster (reso popolare da Porter, ma sovente criticato da un punto di vista teorico). 13.11.2003 14 14 LE METODOLOGIE PER L’IDENTIFICAZIONE DEI DT Esistono in letteratura contributi che forniscono criteri “quantitativi” per l’identificazione di contesti locali di eccellenza scientifico-tecnologica. Uno schema possibile è quello che si basa anche su informazioni di carattere qualitativo, e mette in luce due categorie principali: - la specializzazione di un’area nell’high-tech - l’innovatività del sistema 13.11.2003 15 15 107 ANDREA PICCALUGA I FATTORI E GLI INDICATORI PER L’IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI TECNOLOGICI (Lazzeroni 2003) Fattori A) Specializzazione nell’high-tech B) “Innovatività” del sistema Indicatori utilizzati A1) Consistenza delle imprese high-tech • Indice di specializzazione nei settori high-tech superiore alla media nazionale • Distinzione tra high-tech industriale e high-tech terziario • Distinzione tra settori mediamente tecnologici e settori altamente tecnologici A2)Dinamica delle imprese high-tech • Variazione dei settori high-tech negli ultimi 5-10 anni B1) Disponibilità di risorse umane qualificate • Percentuale di laureati formati dalle università nelle materie scientifico- tecnologiche sulla popolazione totale superiore alla media nazionale B2) Presenza dell’università e di centri di ricerca pubblici e privati • Percentuale di addetti all’università e ai centri di ricerca nelle materie scientifico-tecnologiche sulla popolazione totale superiore alla media nazionale B3) Cultura imprenditoriale • Tasso di natalità delle imprese 13.11.2003 16 16 DALL’AUTOCERTIFICAZIONE AI CRITERI OGGETTIVI • In realtà, per passare da una sorta di autocertificazione a criteri oggettivi, occorre essere molto cauti e prestare attenzione anche a fattori non necessariamente presenti nelle statistiche ufficiali. • Inoltre, occorre chiedersi quali sono gli obiettivi di un lavoro di identificazione dei DT. • Infine, in un’ottica di policy, è necessario analizzare e distinguere tra DT esistenti, potenziali ed emergenti. 13.11.2003 17 17 108 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze I DISTRETTI TECNOLOGICI NEL MONDO Nel 2000 la rivista Wired ha individuato 46 Global Hubs of Technological Innovation. Di questi, nessuno in Italia, molti in paesi avanzati ed otto in paesi emergenti (Brasile, Cina, India, Tunisia, Sud Africa). 13.11.2003 18 18 BANGALORE Il successo di Bangalore nel software è basato, tra gli altri, sui seguenti fattori: - l’aumento del numero e della qualità dei laureati in materie scientifico-tecnologiche; - i bassi costi delle abbondanti risorse umane specializzate; - la presenza di centri di ricerca di elevata qualificazione; - l’elevato spirito imprenditoriale dei laureati e i contatti esistenti con imprenditori indiani attivi negli Stati Uniti; - la buona conoscenza dell’inglese e le condizioni climatiche favorevoli; - precise ed efficaci scelte di politica per l’innovazione a livello nazionale e regionale (privatizzazioni nelle TLC, agevolazioni fiscali, parchi tecnologici, creazione di associazioni di settore, ecc.). 13.11.2003 19 19 109 ANDREA PICCALUGA SILICON VALLEY E’ l’esempio più conosciuto al mondo. Presenza di menti particolarmente attive e motivate, Eccezionale tempismo nell’entrare in una traiettoria tecnologica emergente Ruolo dell’università (Stanford University), Disponibilità di risorse finanziarie (Venture Capital) e manageriali. 13.11.2003 20 20 IRLANDA Specializzazione nel settore del software. Nel 1999 erano presenti circa 820 imprese con circa 25.000 addetti (+125% rispetto al 1991), localizzate prevalentemente nella regione di Dublino. Presenza di investimenti nazionali nella formazione di capitale umano e di politiche governative per attrarre investimenti stranieri (sgravi fiscali, contributi alla ricerca, ecc). Spostamento, e successivo ritorno in patria, di molti specialisti dell’IT in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Presenze di importanti società di software di rilevanza mondiale (Microsoft, Computer Associates, Oracle, Informix, Novell, SAP e Symantec). 13.11.2003 21 21 110 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze I DISTRETTI TECNOLOGICI IN ITALIA In Italia entusiasmo e dinamismo si mixano in una fase in un certo senso autoreferenziale, in cui diverse aree si “autobattezzano” distretti tecnologici per tre motivi principali: • genuina convinzione di poter generare processi di crescita “facendo squadra”, massa critica e in alcuni casi specializzandosi in specifiche filiere scientifico-tecnologiche; • possibilità di accedere a forme di finanziamento in grado di generare discontinuità positive; • effetto “moda” (essere DT è “in”). 13.11.2003 22 22 I DISTRETTI TECNOLOGICI RICONOSCIUTI DAL MIUR Sono sette i Distretti Tecnologici riconosciuti dal Miur*: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) Torino Wireless Veneto Nanotech Distretto sui materiali polimerici della Campania a Napoli, Distretto della microelettronica a Catania, Distretto Hi-Mec per la meccanica avanzata in Emilia Romagna, Distretto sulle bioscienze a Milano, Distretto tecnologico aerospaziale di Castel Romano * Aggiornato al giugno 2004 13.11.2003 23 23 111 ANDREA PICCALUGA TIPOLOGIE DI DISTRETTI TECNOLOGICI IN ITALIA Per provare a fare un po’ di chiarezza, e sulla base degli indicatori più utilizzati per la descrizione delle agglomerazioni ad elevato contenuto tecnologico e delle caratteristiche del sistema innovativo italiano abbiamo provato ad individuare sette categorie di distretti tecnologici. 13.11.2003 24 24 Grande impresa high-tech che innesca l’interazione con una ricerca pubblica già “robusta” Forte ricerca pubblica che genera uno sciame d’imprese, con crescente vocazione economica predominante nell’area Ricerca industriale e pubblica in via di integrazione, in presenza di processi di ristrutturazione industriale; crescente specializzazione s-t CATANIA PISA TORINO, GENOVA, NAPOLI Ricerca pubblica che crea condizioni di base e imprenditore schumpeteriano che innesca la crescita, con specifica vocazione hightech CAGLIARI Imprenditore schumpeteriano che avvia la crescita e successiva entrata di soggetti industriali dall’esterno MIRANDOLA Poli di eccellenza pubblici e privati in via di integrazione, in assenza di vocazione predominante MILANO, ROMA TRIESTE, Intervento pubblico che genera discontinuità, in presenza di constituencies PADOVA, EMILIA di varia natura 13.11.2003 25 25 112 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze LE CARATTERISTICHE DEI DISTRETTI TECNOLOGICI ITALIANI Forte ricerca Ricerca industriale e pubblica in via di pubblica che Grande impresa integrazione, in high-tech che genera sciame di Fattori/Tipologia di presenza di imprese con innesca distretti tecnologici processi di crescente l'interazione con ristrutturazione vocazione una forte ricerca industriale predominante pubblica Esempi Catania Pisa Torino, Genova Tipologia di città Città media Città piccola Città grande Presenza di Epr *** ***** ** Presenza di grandi imprese high-tech ***** * ** Presenza di piccole imprese high-tech ** **** ** Predominanza economica della vocazione high-tech *** **** ** Predominanza di una vocazione scientifico disciplinare **** *** ** Puolo dell'intervente pubblico *** ** *** Originalità ed efficacia delle collaborazioni pubblico-privato *** ***** ** Spirito imprenditoriale nell'area *** ** Ricerca pubblica che Intervento Poli di eccellenza Imprenditore crea condizioni di pubblico che base e imprenditore schumpeteriano che pubblici e privati in schumpeteriano che avvia la crescita e via di integrazione genera e attrae sciame di imprese in assenza di avvia la crescita con successiva entrata di sostenuto dalla vocazione specifica vocazione soggetti industriali ricerca pubblica dall'esterno predominante high-tech Cagliari Mirandola Milano, Roma Trieste Città media Centro minore Aree Metropolitane Città media ** * *** ** ** ** *** *** * ** **** *** ** ** **** ** *** **** ***** ** ** ** * *** ***** * * ** *** *** ***** *** ** 13.11.2003 26 26 I DT NELLA PROSPETTIVA DELLE POLITICHE PUBBLICHE DT ESISTENTI Rafforzare ulteriormente le basi del DT ed eventualmente sostenere processi di specializzazione DT EMERGENTI Generare discontinuità partendo dalle punte di eccellenza scientifica e tecnologica già esistenti DT POTENZIALI Selezionare (con rigore) e sostenere (molto) aree scientifico-tecnologiche che evidenziano potenzialità di crescita future 13.11.2003 27 27 113 ANDREA PICCALUGA IL CASO DI CAGLIARI (Ferrucci 2003, 2004) Nel 1990 viene costituito il CRS4 che svolge ricerca di base nel campo della fisica e della matematica. Nel 1995 Grauso fonda Video-on-line; finisce il monopolio Telecom; Soru fonda Tiscali. Molti dei nuovi imprenditori e degli addetti di Tiscali sono ex ricercatori del CRS4. L’università è in ritardo a formare le competenze necessarie, disponibili invece per precedenti investimenti “eccezionali” in ricerca di base. Fattori scatenanti: sovra-investimenti in R&S e un imprenditore brillante (Soru). 13.11.2003 28 28 IL CASO DI CATANIA (Di Guardo, Schillaci 2003) L’arrivo di Pasquale Pistorio determina il turnaround di Stm. Egli compie scelte strategiche e punta anche sulla ricerca made in Italy. A Catania esistevano competenze nel campo della fisica (Infn, Università) ed inoltre viene attivata la Scuola Superiore. Ad oggi esistono nella zona di Catania circa 60 aziende hightech che occupano circa 5.000 addetti (Etna Valley). Accanto alla presenza di Stm, anche altre grandi imprese hanno costruito o sono sul punto di farlo, una propria struttura sul territorio (Olin, Omnitel, Nokia, IBM, Telespazio, Openline, Computer Science Corporation). 13.11.2003 29 29 114 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze IL CASO DI PISA Rilevante presenza di centri di ricerca, soprattutto pubblici e la costituzione di interessanti partnership pubblico-private. Ad oggi la provincia di Pisa comprende oltre 200 imprese high-tech che occupano circa 6.500 addetti. La specializzazione principale del distretto è l’ICT (vocazione originaria di Pisa), ma rilevante è anche il peso del settore farmaceutico. Entrambi i settori hanno profonde radici storiche nel territorio. Tra i nuovi settori spicca la meccatronica e le microtecnologie. 13.11.2003 30 30 IL CASO DI GENOVA L’origine del distretto risiede nelle competenze della grande industria genovese a partecipazione statale (energia, automazione, siderurgia, cantieristica). INFM Ad oggi esistono circa 150 imprese che occupano 7.500 addetti. Specializzazioni nei settori della microelettronica, robotica, ingegneria biomedicale, software e, in generale, in campi che hanno come comune denominatore la matrice tecnologica dell’ICT. 13.11.2003 31 31 115 ANDREA PICCALUGA IL CASO DELLA CAMPANIA (Giannola (Giannola 2003) Vanta alcune realtà tra le più avanzate dal punto di vista tecnologico del paese. Presenza di investimenti, sia pubblici che privati, superiori alla media del Mezzogiorno e, per certi versi, in linea con quelli del Nord Italia. E ’ stato firmato un protocollo d’intesa (terzo in Italia) per la realizzazione di un Distretto Tecnologico sulla Ingegneria dei Materiali Polimerici e Compositi. Il distretto impiega 300 tra tecnici e ricercatori ed è previsto nei prossimi 5 anni un incremento occupazionale di 150 unità. Presenza sul territorio di grandi imprese delle TLC e dell’IT che occupano circa 20.000 addetti. Politiche regionali per la creazione di Centri Regionali di Competenza (CDC), operanti in specifici domini tecnologici con il compito di potenziare, trasferire e disseminare competenze. 13.11.2003 32 32 IL CASO DI TORINO Le condizioni di partenza per l’avvio del distretto sono state la forte presenza sul territorio di ricercatori industriali e il forte investimento da parte delle imprese piemontesi nella ricerca privata. Nel novembre 2002 nasce la Fondazione Torino Wireless quale ente promotore delle attività del distretto (Progetto Torino Wireless). Presenza sul territorio di centri di ricerca di grandi aziende (CSELT oggi TILab, Motorola, CRF, Alenia). 13.11.2003 33 33 116 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze IL CASO DI PADOVA E’ uno dei tre distretti tecnologici “riconosciuti”, insieme a Torino e Napoli. L’ambito di specializzazione è quello delle nanotecnologie applicate ai materiali. Lo sviluppo del distretto è stato favorito dalla forte concentrazione nell’area veneta di ricercatori nel campo nanotecnologico (circa 250 già presenti e oltre 300 in formazione). Creazione di Veneto Nanotech S.C.p.A. Recente firma di una convenzione tra Regione e Civen (Consorzio interuniversitario nanotecnologie) per lo sviluppo di nanotechnology manager e per la costituzione del laboratorio NanoFabrication Facility. 13.11.2003 34 34 IL CASO DI MIRANDOLA (Lipparini (Lipparini 2003) Nasce da un’intuizione dell’imprenditore Mario Veronesi (fondatore di Dasco), che ha fondato “a ripetizione” nuove imprese creando dal nulla il distretto. Le imprese operanti sono 74 e impiegano circa 3.900 addetti. Il 74% del fatturato totale del distretto è realizzato da quattro grandi imprese (Gambro, Dideco, Mallinckrodt e Bellco). Determinanti nel distretto sono le vendite sui mercati esteri (negli ultimi tre anni le esportazioni sono aumentate del 60%, a fronte di una sostanziale stabilità delle vendite sul mercato interno). La specializzazione più importante del distretto è quella dei disposable per emodialisi (47% del giro d’affari complessivo), per i quali Mirandola vanta una posizione di leadership a livello internazionale. 13.11.2003 35 35 117 ANDREA PICCALUGA IL CASO DELL’EMILIA ROMAGNA La Regione Emilia Romagna e il MIUR sottoscriveranno un protocollo d’intesa per la realizzazione di un Distretto Tecnologico Hi-Mec (alta tecnologia meccanica). L’iniziativa prevede la collaborazione delle quattro Università della Regione, del CNR, INFM, ENEA e ASTER. INFM Lo strumento operativo previsto è quello dei laboratori a rete (net – lab). 13.11.2003 36 36 IL CASO DI LECCE In una zona del Mezzogiorno in declino industriale si sviluppa una giovane università con crescente specializzazione nelle tecnologie avanzate. Nel 1998 viene avviata l’esperienza dell’ISUFI, nell’ambito delle Scuole Superiori. Il dinamismo dell’ex Rettore Rizzo e di alcuni docenti portano alla crescita di alcuni laboratori di eccellenza. Si profila la creazione di un distretto delle tecnologie avanzate (nanotech, Ict), ricco della presenza di laboratori e finanziamenti di imprese estere. 13.11.2003 37 37 118 Il distretto tecnologico: lo strumento, le potenzialità, le esperienze POTENZIALITA’ DEI DISTRETTI TECNOLOGICI IN ITALIA • Presenza di risorse umane qualificate e a costi competitivi; • Presenza di centri di ricerca pubblici di elevato valore; • Presenza di (pochi) centri di ricerca industriali di grandi dimensioni; • Presenza di agglomerazioni di attività ad elevato contenuto tecnologico. 13.11.2003 38 38 PER UN “SALTO DI QUALITA’” NEI DISTRETTI TECNOLOGICI In quasi tutte le aree con una certa concentrazione di attività s-t vengono già implementati interventi di “ordinaria amministrazione”, con più o meno successo. Tuttavia, si rendono necessari interventi di “straordinaria amministrazione”, che potrebbero far leva su: aumento della dotazione di laureati in materie scientifico-tecnologiche; aumento nei finanziamenti a centri di ricerca giudicati eccellenti su standard internazionali; impegno nell’individuazione di mercati extra-locali, extra-regionali e possibilmente internazionali per le tecnologie sviluppate; presenza di accademici con approccio imprenditoriale; maggior impegno in attività di marketing e di comunicazione; impegno nel determinare processi di rientro di “cervelli” originari delle diverse aree (o almeno contatti scientifici e commerciali con loro). 13.11.2003 39 39 119 ANDREA PICCALUGA CAUTELE • Massa critica degli interventi • Selezione • Governance • Varietà delle situazioni 13.11.2003 40 40 UN ESEMPIO: IL PROGETTO YAMACRAW AD ATLANTA • Yamacraw (1999) is the State of Georgia's program to increase the presence of the computing industry, particularly in the next generation of hardware/software infrastructure, broadband (high-speed) communications systems, devices, and chips. • Attraverso ingenti investimenti sono stati attratti “talenti” da tutti gli Usa e dall’estero, ospitati nelle strutture di ricerca attivate dal progetto. • In seguito, sono aumentate considerevolmente le pubblicazioni scientifiche (nel “settore Yamacraw”) riconducibili all’area di Atlanta e si sono successivamente localizzati nell’area anche centri di ricerca provenienti dall’esterno. 13.11.2003 41 41 120