la situazione del corallo

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la situazione del corallo
LOBODILATTICE URBAN EDITION
la poesia viaggia sui mezzi pubblici
Raccolte di poesia e illustrazione a cura della redazione
di lobodilattice, da sfogliare durante i tragitti urbani,
rigorosamente sui mezzi pubblici, dove saranno diffuse
gratuitamente, perché lasciare la macchina a casa significa
inquinare meno e avere del tempo da dedicare alla riflessione
sulla possibilità che un mondo migliore è possibile
Editore
Luca Saverio Beolchi
Progetto grafico
Marco Lamanna
tutti i diritti sono riservati e di esclusiva proprietà degli autori
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CORRESPONDANCES
a cura di Paola Silvia Dolci
INDICE
prefazione
la situazione del corallo
che altro dire?
il viaggio senza biglietto
morning glory
cirque n.5
oltrenauta
la delicatezza del limite
tentativo di poesia d’amore
una primavera dietro la collina delle zingare
magma
Autori
Alessandro Ansuini, Stefano Flenti, Mayko, Leonardo Pazienza, Prufrock, Spleen, Francesca Pellegrino,
Garbo, Stefano Lorefice, Isabella Anna Matera
[email protected]
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CORRESPONDANCES
PREFAZIONE
“Dieci Poeti Si Parlano Addosso”
cornice d’aria
disinvolto questo tessuto
quadretta un pensiero:
ma che bel gruppetto di sovversivi della parola. ho letto il testo e sono
rimasto allucinato, è magnifico. potrebbero averlo scritto solo in due,
kafka, e io.
L’ammiccante, malinconica e rabbiosa ballata del fiero deracinè.
Qualunque cosa tranne ciò che è. Costretto a vagare il tempo ciondola.
È un flaneur che non fa abbastanza rumore per darsi un nome. E non
ha spazio perché ha imparato a spintonare. Il nostro affezionatissimo
si porta avanti bevendo a sorsi avidi clessidre di occhi svuotati. Di
occhi chiusi. Poi aperti. Poi chiusi. Poi dischiusi. Poi chiusi mille volte.
Il nostro Affezionatissimo è del colore delle nuvole.
Qualunque cosa tranne ciò che è.
All’inizio ho avuto molti dubbi. Quel testo è lontano
da me. Ed io tendo ad amare, con la limitatezza del
pensiero, solo ciò che mi assomiglia. Tuttavia il gesto
dell’imperfezione genera sentimenti. Se poi nel testo
maturano oggetti sentimentali quasi aprendo una sala
cinematografica in certe promettenti parole, credo
che la pagina possa divenire un terreno lieve.
Nelle logiche impossibili è nascosto il valore vero delle cose:
dimostrabili come un teorema e quasi fredde come apparentemente
sono i numeri. “apparentemente” perché, come “dimostra” nel suo
ultimo verso, è vero ciò che la vita rende ad ognuno.Per quanto possa
sembrare assurdo l’enunciato, ne nascono deduzioni emotive, vere.
poetry body painting. Così la definisco, nella testa,
mentre la leggo. Si lascia osservare, scrutare e
nell’attimo lei ricambia. Non è l’atto, non è il
fare, ma è il mondo che si ferma intorno all’istante.
Una quinta semplice e complessa che viviseziona.
Leggerla è possedere una sua foto. Tutto è fermo nel
movimento e tutto si muove senza tregua, nello stesso
attimo contemporaneo. La sua è un’attitudine, una
propensione: è il vaso per le rose altrove sparse. I
corpi che fluttuano e la cura del tempo. Rimarcare il
ruolo e difenderlo con audacia. Lei è audace, nella
sua coincidenza perfetta di termini. Ammiccante (mai
vezzosa), sconcia (ma non volgare), imprevedibile,
da rossore prima e corpi nudi poi (gli stessi che
arrossiscono).Ama, indubbiamente ama. E ricerca.
Paesaggio, soggetto, storia, le briciole sotto il
suo microscopio sono amore travolgente di un attimo
o di sempre.
Ne esce dipinta impalpabile e forte, femminile e maschile ed è
plurale. L’artista, l’acquirente, il venditore, il muro. Nella sua
scrittura sostantiva il suo è il verbo essere.
Ti presta i suoi occhi per vedere.
ho lette cose che m’hanno fatto avvenire qualcosa. Frasi da
flusso di coscienza. Flusso di coscienza in frasi. In quel momento
finale, che sembra arrivare troppo presto...c’è l’azione, il colpo
di reni che imprime spessore. Eccoci. Lo ringrazio di questo.
Quello che mi trapassa senza necessità d’essere spiegato.
immagini che hanno il tepore di un letto caldo
compone con i piedi scalzi e un vezzo un po’ straniato, come di rimmel
che sia sfatto, d’ombra seduce e non retorica nell’ombra. Bella come
la polvere d’ombretto che sia caduta per caso su un petalo incline più
degli altri al basso. In un vaso, alla finestra che si sporge. molti degli
autori che hai scelto sono fra i miei preferiti.
Tra soggetto e oggetto uno spessore sottile, dilatato e senza tempo. Un istante,
una connessione. Limite sottile tra uno e due.Un terzo, figlio di Achille,
freccia di Apollo.
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CORRESPONDANCES
LA SITUAZIONE DEL CORALLO
Alessandro Ansuini
Rovinare è la parola, l’atteggiamento,
il tuo modo di irrompere nella situazione
è rovinare, dentro, nell’attimo, scavalcare,
hai un’attitudine invasiva, una permanenza
ottusa e incantata, come una fotografia.
“Sono nan goldin con un occhio rosso
dopo essere stata pestata” dicevi
con i piedi a mollo dentro la piscinetta che
avevamo gonfiato e portato su
nella terrazza abbondanata, volevi essere
patti smith fotografata da mapplethorpe,
dicevi che era così sessuale mapplethorpe,
così nervoso, ricordava iggy pop, dicevi
sono nan goldin ma stavi cercando
la posa di patti smith, e mapplethorpe non solo
ha fotografato iggy pop, ma quando
penso a lui mi viene in mente un culo,
e qualcosa che entra, o esce, fruste,
o mani, e comunque, fra questi specchi,
tu, dove sei tu?
Dovrei portare un registratore con me
e parlarci dentro rivolgendomi a un terzo
dicendo, magari:
lei deve sapere che oggi, oppure, lei
deve essere informato del fatto
e annotare piccole cose, l’impaccio
della cassiera nel supermercato, o tutti
i miei problemi inerenti la volontà, l’impossibilità
di concentrare le forze verso
il gesto della volontà, desiderare
qualcosa e farla, immaginare qualcosa
e compierla, anzi, il terzo a cui mi rivolgo
dovrebbe essere una donna, dovrei dire
giulia, mi ricordi di prendere, oppure, giulia, oggi ho visto
immaginare una segretaria, un conforto, un rifugio,
comporre un’entità, un privilegio, un vizio,
confidarcisi, parlare, aprirsi
comunicare
(giulia, ricordami che devo fare la pulizia dei denti)
ammirare la natura è un altro atto di forza che vorrei costringermi
a perpetrare, la contemplazione, in fondo, è una questione
importante
e assolutamente trasversale, dalle raccolte di racconti di kafka
fino allo scopo ultimo dei monaci certosini, la contemplazione
assurge a ruolo di dottrina, essere un occhio appannato,
instancabile,
giulia, lei deve sapere che ho paura di guardare nei buchi degli
scarichi –
una stazione radio, un’antenna d’insetto, ricettori sensoriali sulla
ruota karmica i poeti hanno disdetto il patto sociale, questa
confraternita del dolore immaginato che si specchia
nelle pozzanghere e non riesce a stabilire un soddisfacente
e vicendevole rapporto con la propria sessualità fotografica
- giulia, mi ricordi di essere criptico e affascinante, come un
salvadanaio –
uscita dalla piscinetta e sdraiata nel sole non vuoi sentirmi parlare
del dolore, di gadda, della sottrazione del dolore alla generazione
che vive proprio sotto questo balcone, un vecchio in una stanza
ovale
pare avesse intuito questo e non sia riuscito, nonostante la sua
consapevolezza,
ad evitare il vietnam ad una serie di giovani procreatori americani,
millenovecentosessanta e qualcosa, colori più tenui, all’epoca,
e sotto la lingua una lingerie di chimica colorata,
i giovani di oggi vogliono piangere per una paese lontano, vogliono
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CORRESPONDANCES
difendere lo zibellino maltrattato dai cinesi, vogliono indossare
sciarpe bianche e nere ma non vogliono tirare i sassi, vogliono
sentire il dolore del dalai lama in esilio assediato dai cinesi –
giulia, ricordami di inviare un articolo con la modifica del concetto
di famiglia su wikipedia –
cosa posso dirti, sei sdraiata, così bianca, dotata di smalto,
inconsapevole, potremmo parlare per un’ora e divertirci per un’ora
io potrei pensare questo mentre lo facciamo e alla fine
dire che siamo apparsi così poco brillanti, eravamo rigidi,
tu diresti siamo stati bene, io così confortato nella pianificazione
anticipata di questa situazione mi sentirei a mio agio,
appena un attimo, e poi mi volterei verso il vino,
- giulia, il tempo passa?
Come ti dicevo, rovinare, in un moto di crollo,
uno straripare convulso, insetticida, ti desidero
perché non c’è nient’altro da desiderare, o forse
sono qui per custodire un’integrità che non è solo mia,
fra me e te chi è appendice e chi ponte?
La situazione del corallo, o della monnalisa,
mi sono care e incantate per perfetta aderenza al silenzio.
Eppure nei pigmenti tu accatastavi le grida, dicevi
che un solo pigmento di colore era una grata di bocche
straziate - tu così drammatica, quattro sonetti e una rassegna
domenicale sul cinema russo, potresti essere così radical chip
oppure semplicemente impaurita, un caso comune di
sovrimpressione di personalità materna, siamo fatti in calco
profumati col talco da mani ancestrali che ci vogliono
rovinare dentro, allungare orribili ricurve maniospedale
dentro i nostri costati bunker bambini –
giulia, ho visto una bambina sbattere la testa contro un muro
giulia, ho visto un piccione parlare
giulia, ho una leggera tachicardia, mi prenoti un check up
giulia, il fatto di non avere nulla mi garantisce contro gli esattori
giulia, mi ricordi di creare una serie di personaggi per una serie
televisiva
(di almeno 12 puntate)
gulia, mi si chiudono gli occhi
(a questo punto c’è l’osservazione prolungata e netta
di un fiore finto, rosa, in un vaso verde, dal collo lungo
per un tempo indefinito, in cui pensavo
alla polvere)
e tu vattene, se non l’hai già fatto.
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CORRESPONDANCES
CHE ALTRO DIRE?
Stefano Flenti
Dal vento che scende le scale
questa prosa torna a fare spazio
si accerta che nelle cataste
non siano rimasti denti di morto – e altre cose
utili alla gioielleria – gli occhi dell’offensore
mani di Cristo benedicenti
è fin troppo recente, e nessuno ci avrebbe creduto
per la mania di fissare il soffitto
che hanno gli aspiranti suicidi
ho spiegato la lentezza della morte
ma resta una circolarità del corpo
le gambe risolte nelle braccia
e l’embrione nel suo contrario:
così saremo zelanti – non lasceremo
aria nella stanza, lucida per il suo riposo
dove annaspa un incendio.
il fuoco predilige gli angoli
e fugge il centro, dove preparo la stufetta
ai crampi di freddo – ma le cose essenziali non sono molte
raccolte in linee e pettini per riccioli
fuori dalla nostra condizione
o tra morte clinica e tassidermia
più quelle che nessuno mormora nel sonno
per eccesso di terrore
non c’è una terra che abbia pietà della memoria
del colore verdemorto
piantato diversamente dagli altri in scaffali obliqui
che lascia qualche riflesso
ma nessun effetto se non l’amore per le fosse
– in quanto spilli nelle variazioni
e teche piene di ali
allo stesso modo l’evento frequenta desolate regioni
e si crede non abbia più di una vita
quelli che sono venuti per il gesso delle nocche
avevano le loro lime e il cavo del palmo
non chiedevano nulla – se non la fine di uno scomposto
agitarsi, da essere vivente
non sono da odiare, perché questa storia del dolore
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CORRESPONDANCES
IL VIAGGIO SENZA BIGLIETTO
MORNING GLORY
Garbo
Leonardo Pazienza
Non mi parli più, è colpa degli occhiali scuri che perdono i treni e le
parrucche che si incastrano nelle portiere di macchine verdi come i
capperi che non so che gusto hanno, e forse non lo saprò mai.
Abbastanza triste.
Abbastanza grigio.
Come se l’autunno avesse deciso di fermarsi,
proprio in quel momento.
Dentro i suoi rami.
E poi c’è di mezzo un tragitto che seppur metropolitano nell’intenzione
non sa di che numeri parla, e l’afa della gente che respira e guarda a
terra e poi fissa e poi a terra, e non sa che io arrivo per venire da te
che non so se poi mi apri la porta o ti metti a saltellare o stai zitto e
mi versi da bere e basta, e io non vedo l’ora e l’ora non vede me. E
io non vedo te perchè non mi guardi.
E magari non sei davvero a casa. Ma io ci sono e faccio finta che
dobbiamo ricominciare dalle prime battute e ti dico di leggere
Queneau mentre strabuzzi gli occhi perchè lo stai già leggendo,e tra
un po’ mi dici di stare zitta,ma io so parlare in silenzio anche e oggi
parlo perchè il vino rosso è rosso, e c’è un Corvo che voglio che mi
aspetti lì dov’è.
E ci sono sigarette che aspettano di essere fumate,e parole e
suoni e respiri che devono evaporare in stanze e penombre che ti
appartengono e a cui voglio appartenere per qualche minuto, e risotti
da far scuocere mentre il burro si scioglie nelle mani distratte e nei
singhiozzi impressi in pellicole trasparenti che nascondi nei cassetti
mentre mi disegni con una mano e con l’altra gesticoli e quando ti
stanchi canticchi e strimpelli e io mi addormento e tu mi guardi e
ti addormenti, e io mi sveglio e ti guardo addormentato e ti sveglio
quando ti sento russare e voglio che mi spalmi la marmellata sulle
dita perchè non hai comprato il pane e devo fare colazione che poi
riparto perchè so fare solo avanti e indietro. E tiro sospiri e me ne
vado.
Mentre me ne vado senza voltarmi perchè ho gli occhi lucidi di già,
tu mi dici “di già?”
Ed io ti dico che non è vero.
24/07/2005
Buenos Aires
Ogni respiro uno sguardo tra i tanti che si incrociano.
Ma il suo.
Come le righe rosa sul cotone.
Che io vedevo, che io guardavo.
Un altro respiro.
Una musica con le note opportune.
Tutto chiuso sbarrato inviolabile indicibile
incommensurabile
e spazio di danza per demoni vestiti
di nero.
NEgli occhi. GLi occhi. NEgli occhi.
guardandosi in faccia con il mattino,
che a dispetto delle tue occhiaie, sorride.
E lo fa di gusto, non ti prende in giro,
è dannatamenete sincero
e convincente
Sincero e convincente.
Strano che sia la stessa Milano di ieri,
almeno quanto possibile adesso,
in controntendenza, piegare gli angoli della bocca
senza l’ossesso del ritmo ma
soltanto per essere mattino anche tu.
Sii mattino adesso.
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CORRESPONDANCES
CIRQUE. PARETE n.2
Isabella Anna Matera
*
I numeri viaggiano paralleli nelle storie perfette.
*
C’è sempre un paragone esatto che rappresenta pienamente il
concetto che si vuole esprimere pur non azionando i soggetti della
scena. Una metafora che coincide con il disegno, il progetto del
cielo. Quasi come incollare la volta, una, al foglio e vedere che
sopravvivono, l’uno sull’altra. Nessuna amplificazione, neanche nel
battito delle ciglia. Il sincronismo tra il reale e l’immaginato, uno
specchio biunivoco comunque.
*
Due è un numero parallelo?
*
Per questo le mani di Viola si staccano dal muro: non ha nessun
bisogno di rappresentare una farfalla con le ombre delle sue stesse
piante. Palme. Può disegnarla. Con la mente, lei, è capace di far
vivere i colori delle cose. Di qualsiasi cosa, senza raccontarla in
giro.
*
Chi dei due è uno?
Chi di noi è uno, a questo punto.
*
punte, ricamando per terra infinite paia d’ali. Il pavimento, un
giorno, si sollevò e tutto coincise, come nel suo sogno. Danzava.
Lei non ci fece caso, eppure successe. In quel momento, diverso
dall’istante del desiderio. Lei non lo seppe. Ma successe,
esattamente come nel sogno della bambina. Lo visse, senza poterlo
mai raccontare.
*
Tre è numero (im)pari. Anche di notte.
*
Lasciami, dire.
Alcuni volti capitano, nella vita. Sono errori inevitabili, come
i mangiafuoco che a vederli da vicino hanno i peli della barba
bruciati e un sorriso che fa tristezza anche agli specchi. Una
solitudine itinerante, la loro. Con l’odore di petrolio che buca tutto
intorno. Mentre nulla succede, se non nelle braccia stanche del
capitano del fuoco.
*
A cosa serve la luce?
*
Non tutto è degno di nota, credimi.
*
Neanche le equazioni. Un sorriso dispari e iniquo e poi un pianto,
leggero come polline.
*
Viola è la conferma: tre è pari.
Certi bambini sanno che il silenzio è il regno dei sogni, e che
se raccontati essi scoppiano come bolle. Lasciando la scia del
desiderio. Solitamente è viola. Viola, da bambina, ballava sulle
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CORRESPONDANCES
STEFANO LOREFICE
LA DELICATEZZA DEL LIMITE
Oltrenauta
Maiko
da “L’esperienza della pioggia”, Campanotto Editore
prendi i pochi pezzi rimasti
dove il corpo subisce lo scatto rabbioso del sangue
con le vertebre dure
schiacciate
ma comunque lì, a sopportarne il peso
è un corpo che si rende conto
di chi siamo noi
indietreggia
ritira
s’accorge del disordine
e che si può morire
scorticati
scavati dal sole
come pochi pezzi di pane
è nella mancanza il nostro andare incerto
è alla fermata degl’ autobus
ch’ è un raduno di gente senza criterio
nello scompiglio
precipitata via
in un viaggio che non si sa per dove
mascherato da un ridere sotto, nel basso delle facce
e dalla cortesia
di chi il ritardo lo sconta addosso
con una dignità che difende, ch’espone
che preme e se ne lì
come noi
attaccati a quel che si può
C’è una delicatezza estrema
fatta carne che riluce
lì proprio dove l’occhio trema
La bellezza del limite
La custodia del varco
Preziose cose
Quelle che tocchiamo
Coi polpastrelli cauti
La sanità dovuta delle reticenze
Il saper stare dritti
Sul filo che tentenna
Sull’azzardo posare con cautela
Il vaso per le rose altrove sparse
La mano casta e ruvida
Sulle irruenze della pelle
Il mare nelle tasche
Perché non si disperda
C’è una ricchezza antica
Nel contenimento
Il silenzio ai conventi
L’arancio dentro il tempio
Il cane maschio che protegge
E che dimora
La femmina che porta il latte
La porpora in aurora
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CORRESPONDANCES
C’è una costanza preziosa
Nel tremore e nel timore
Una carezza bella e senza nome
Per questo non occorre
Sfidare e giudicare
Ma nel grembo del lievito
Sorridersi e tenere
Le mani i piedi il ventre l’occhio
La limpida innocenza del non posso
Con molto amore si attraversa la natura
E con paura si fa strada a ciò che dura
Ciò che diventa legame
E fa calore
Nel buio della notte
E nel dolore
[TENTATIVO DI POESIA D’AMORE]
Prufrock
dunque nulla si saprebbe di te
oltre la cortina dei rami
il remo tirato a riposo dopo la pesca incolore
il variare terreno degli spigoli
che froda i movimenti notturni.
sapevamo il versante del mattino.
un’allusione sempre un’enunciazione di persiane
tu ti apri nelle stesse mani di ieri e di domani
la prima luce è retorica
la teoria di tetti neri oltre la finestra
di una camera da letto di provincia
dove ci riposa l’odore dei profili
delle cose e di noi.
i discorsi appaiono lontani
storpiati ed indulgenti,
dibattiti sulla collera dei comodini
svestiti di fretta dagli abiti che ci compongono
il parquet ha parole a spina di pesce
un trattato sulla stabilità degli oggetti
non basterebbe a provarci uguali a ieri.
i rami crescono ora dopo ora
puntandoci le dita addosso,
accarezzano i vetri con devozione pagana.
se tu sapessi l’avanzo di respiri
oltre il visibile e l’invisibile tra le lenzuola
che ci somma in un unico corpo
abbandonando il paesaggio delle forme a se stesso
un osservatorio di misure mortali e metodiche
noi da te
io dalla parte restante che ci ascolta
10
CORRESPONDANCES
un luogo equivoco rintracciabile tra le parole
voltare pagina è commettere reticenze
impiegare sempre lo stesso tempo per riscriversi
senza inventare mai nulla di verosimile
che possa accadere tra le pause dello schermo
quando le battute che precedono il sonno
processano lo spettacolo
proiettano un’idea capovolta e incontrollabile
di ciò che pensavamo di aver visto
o forse solo intuito tra gli spiragli delle imposte
ancora chiuse
non ancora frattura di parete. oltre la quale.
la realtà dell’amore è un’opinione di sposa passiva
smistata sulle pene scaltre di madre
operosa amorosa e doverosa
e quindi appassita tra i turbamenti del bosco.
ma ti riconoscerei dovunque te ora e qui
nella supremazia pacata dei frutteti
da donna a sera
nella continuità di un reato minore
finita in una sala d’aspetto che mi impreca
seduta tra la folla e inseducibile
cosa che saprei baciare ovunque ti pensi
da sera a donna
tra le lenzuola che rigano il vinile della passione
e l’orlo del letto che mi conclude
in ogni luogo di te
UNA PRIMAVERA DIETRA LA COLLINA
DELLE ZINGARE
Francesca Pellegrino
Non direi male del nulla
se non fosse che ci vive
nella bocca
adesso che levo vele di tende
a nastro
oltre la retorica delle
primavere inaudite
senza più congiuntivi
per sognare la pace
delle foglie. Ci pensavi?
Erano nostre,
eppure eravamo
imperfetti di rimmel
dietro le colline delle zingare
e mai che una perla
fosse al suo posto.
Ci credevi alle dita
che non abbiamo mai saputo?
Io si, ogni giorno
che ho suonato usci
pregando ventagli di porte
ad aprirsi e
finalmente
vento.
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CORRESPONDANCES
MAGMA
Spleen
(...) Questi specchi caduti al di dentro, tutte le individualità
amate, odiate, (tra)lasciate e sperse per chissà che altrove, a chi
vuol levare le ali in me: come tendermi la mano nella mia folle
dilatazione? Detesto le saggezze, nuclei senza nervo nè motivo.
Presagio un sapore diverso, come gli occhi di una folla viziosa e senza
meta... C’è forse una ragione per aspettare parole appropriate,
intendimenti, idee precise? Mescola, confondi, disobbedisciti, vivi
solo la contraddizione, resta piuma sospinta dal vento... Sono qui
da...qualche mese? Milano?
Boudoir di fanfaroni del minuto, esagitati del perfettibile, più lenti
che dischiusi.
Andiamo con ordine. Uno per volta fatevi uccidere d’amore, se sarete
gentili... Se mi picchierete, sarò un agnello. Lor signori intendano
che per il vostro Affezionatissimo il tempo ciondola in forme senza
nome. Amo come volti di voi, le espressioni ultime, ciò che si rivela
senza reticenze e compromessi, segmento le voci, le espressioni
e attitudini come cibo particellare: nel corpo non mi resta che un
vago sapore di saccarina. Sulla scalinata del passante uno scemo,
l’ho visto bene, correva per ripescarsi un pezzo di tempo: come
un biglietto nuovo, non sapeva che farsene, epitaffio gaudente... A
pensarci, m’aggiro attorno alle giornate da delatore, i miei colori
sono le impossibili tonalità cangianti degli occhi chiusi. Io riaperto,
so schiantarmi nel sorriso di chi dispensa dal lacrimare. Provo, vicino
agli uomini e distantissimo da me, un tumulto così profondo da
gelarmi la carne e il pensiero. E in questa onda squassata, scostata
solamente, splendori e tenebre sono a tal punto separati dal loro
mondo, che non è possibile dimenticare nè ricordare: ho perso la
grazia della malinconia...
la bellezza: paradosso di mostrare l’assoluto nella forma , di
oggettivare l’infinito sopraffatto dall’emozione estetica. Per questo
ogni ideale del “bello” in sè secerne una quantità impossibile di
illusioni: dacchè questo reale dovrebb’essere qualunque cosa,
tranne ciò che è. Come la parola che s’inguaia d’essere ancora
sopportabile
il sottile: gioco di quisquilie leggere, imbonitrici, dal tocco calibrato,
quand’è non faticato. Condizionamenti, (il vero nome dei giorni),
affetti, calcoli, aspettative portano all’innaturalezza di smentirsi.
prefiggersi scopi: in un mondo esattamente individuato, perfino i
muri si metterebbero a ridere... Così piacevole non riuscirsi!
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LOBODILATTICE URBAN EDITION
“...la poesia viaggia sui mezzi pubblici...”
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