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Glossario Posizioni Fudo Dachi Questa posizione è anche conosciuta come Sochin dachi. Essa è una combinazione tra Zenkutsu dachie Kiba dachi, come mostra la fotografia, che indica una grande somiglianza con il Kiba dachi, eccetto che per la direzione dei piedi. Il Fudo dachi è una posizione solida e potente, come quella di un albero profondamente radicato, e può essere mutata in Kiba dachi cambiando semplicemente la direzione dei piedi. In essa entrambe le ginocchia devono essere piegate con la medesima angolazione e forzate verso l'esterno, e il peso va distribuito su entrambe le gambe. Il Fudo dachi è particolarmente efficace per parare un attacco potente e contrattaccare immediatamente. Zenkutsu Dachi (Posizione Frontale) Il peso è distribuito per il 60% sulla gamba anteriore, il rimanente 40% sulla gamba posteriore. Il ginocchio anteriore deve essere flesso, mentre il posteriore completamente disteso; entrambi i piedi devono essere orientati nella direzione di marcia; il busto deve essere eretto e perpendicolare rispetto al suolo. La testa si deve mantenere in linea con il busto; La distanza tra il piede anteriore ed il posteriore deve consentire la rotazione delle anche nelle tre posizioni principali (ammi, oi, gyaku) senza dover muovere la postura delle gambe; La larghezza o “corridoio” deve equivalere alla larghezza delle spalle. Negli spostamenti, sia avanzando sia arretrando, il busto rimane eretto, i piedi si riuniscono nella fase intermedia e si riallargano per ritrovare il “corridoio” . Kiba Dachi (Posizione del cavaliere di ferro) Considerazioni generali Per eseguire correttamente il kiba-dachi piegare le ginocchia, tenere il tronco perpendicolare al terreno e guardare direttamente in avanti. Questa posizione somiglia grossolanamente a quella tenuta da un fantino. Il kiba-dachi e forte sui lati ed e usato nell'applicazione di tecniche verso i fianchi. Per esempio, lo empi-uchi (percossa di gomito) e lo uraken-uchi (percossa col dorso del pugno) vengono lanciati da questa posizione. Punti da ricordare Tenere il tronco perpendicolare al terreno, senza inclinarsi né in avanti né all'indietro per non indebolire la stabilita. Forzare i piedi all'interno per superare la loro tendenza a dirigersi in fuori e far si che si mantengano paralleli. Assicurarsi che la posizione delle ginocchia corrisponda a quella indicata nella figura e che le piante dei piedi siano aderenti al suolo. Flettere le caviglie e le ginocchia affinché rimangano in posizione corretta. Tenere i fianchi bassi, mantenendo flesse le ginocchia. Tenere le natiche contratte, ma evitare di spingerle all'indietro, altrimenti il tronco si piegherebbe in avanti. Errori comuni La distanza tra i piedi e sensibilmente maggiore o minore di 80 cm. Ricordarsi che questa distanza varia secondo la struttura del corpo. Le piante dei piedi non sono saldamente aderenti al suolo. I piedi puntano all'esterno. Tenerli diretti in avanti e leggermente al1'interno. Le ginocchia puntano all'interno. Forzarle in avanti e verso 1'esterno cosi che una linea verticale tracciata dal loro centro cada internamente ai piedi all'incirca di fianco agli alluci. Il centro di gravita non si trova nel punto segnato nella figura. Una gamba porta piu peso dell'altra. Dividere il peso del corpo equamente su entrambe le gambe. Si lasciano rilassare le ginocchia. Contrarre le ginocchia e dirigere la potenza all'infuori, verso i lati, e allo stesso tempo contrarre le natiche. Hachichi Dachi (Posizione a gambe divaricate) Questa è forse la più naturale e confortevole di tutte le posizioni. Piazzare i piedi in modo tale che le caviglie abbiano una distanza pari circa alla larghezza dei fianchi, e dirigere le punte all'infuori con un angolo di 45°. Un piede non deve essere avanti all'altro e un eventuale linea retta dovrebbe intersecare entrambi i talloni. Hangetsu Dachi (Posizione a mezzaluna) Lo Hangetsu dachi sta a metà tra lo Zenkutsu dachi e il Sanchin dachi. La posizione dei piedi è la stessa dello Zenkutsu dachi, ma la distanza tra essi è, in questo caso, minore. Il modo di forzare le ginocchia all'interno è simile a quello del Sanchin dachi. Questa posizione è utile sia per l'attacco sia per la difesa, ma viene preferita per quest'ultima. Lo Hanghetsu kata, i cui praticanti partono dalla posizione Hanghetsu dachi, comporta una certa sensibilità ritmica. Heiko Dachi (Posizione a gambe divaricate e piedi paralleli) Questa è forse la più neturale e confortevole di tutte le posizioni. Piazzare i piedi in modo tale che le caviglie abbiano una distanza pari circa alla larghezza dei fianchi, e dirigere le punte all'infuori paralleli. Un piede non deve essere avanti all'altro e un eventuale linea retta covrebbe intersecare entrambi i talloni. Heisoku Dachi (Posizione naturale a piedi uniti) Tenere i piedi paralleli e che si tocchino l'un l'altro. Le ginocchia sono diritte ma rilassate. Kokutsu Dachi (Posizione arretrata) Il peso è distribuito per il 70% sulla gamba posteriore, ed il rimanente 30% sull’anteriore.Il piede anteriore deve essere in direzione di marcia, il posteriore va posizionato a 90° rispetto all’anteriore, con i talloni sulla stessa linea. Entrambi i ginocchi devono essere flessi ed in linea con i piedi. La lunghezza tra i due piedi deve essere il doppio della larghezza delle spalle. La larghezza o “corridoio“ non esiste essendo i piedi sulla stessa linea. Il busto deve essere eretto e perpendicolare rispetto al suolo. La testa si deve mantenere in linea con il busto rivolta in direzione di marcia. Il bacino deve essere ruotato in avanti. Musubi Dachi Musubi-dachi è uno delle posizioni più importanti in Shotokan. Questa è la posizione da cui ci chiniamo, sebbene molti commettere l'errore di inchino da heisoku-dachi. Questa è la posizione da cui siamo prua prima a un partner nel kumite, mostrando loro il massimo rispetto. Questa è la posizione che piegherà in quando si immette il dojo, mostrando completo rispetto al dojo e il sensei. E questa è anche la posizione da cui piegherà quando si esegue kata, pagando l'assoluto rispetto per l'arte stessa. Questo atteggiamento è imperativo e sebbene molto semplice, è fondamentalmente uno delle posizioni più importante nel karate. Come i venti principi insegnare 'Nel karate inizia con un inchino e finire con un inchino', ed è da questo atteggiamento che facciamo questo, solo il suo significato di evidenziazione Huchi Hachiji Dachi E’ come hachiji dachi, le gambe divaricate con le caviglie alla larghezza delle spalle, ma le punte sono rivolte in dentro in posizione naturale, con un angolo di 45° piedi in linea Shiko Dachi Shiko dachi (posizione del fantino) - Piedi circa larghezze spalla-a parte, dita dei piedi rivolte verso l'esterno a 45 º. Peso equamente distribuito su entrambe le gambe. ginocchia piegate profondamente e tirate indietro, per quanto possibile. Busto eretto. Parte inferiore delle gambe / stinchi circa verticale Teiji Dachi Posizione naturale a T Neko ashi dachi Posizione del gatto Renoji dachi Posizione naturale a L Sanchin Dachi Posizione della clessidra Kake dachi Posizione a “gancio”,la gamba anteriore e’ flessa, la gamba posteriore e’ dietro a quella anteriore e a contatto con essa, il piede posteriore ha il tallone sollevato, le ginocchia sono a contatto tra loro. Gankaku dachi Posizione della gru. Anche chiamata TSURU ASHI DACHI o SAGI ASHI DACHI Gassho Uke. Reigi Si intende il comportamento, per molti aspetti cerimoniale da tenersi nel Dojo. Ogni qualvolta si varca la soglia del Dojo è obbligo salutare rivoli verso la kamiza (altarino posto a nord del Dojo) con un profondo inchino. Per il saluto di inizio e fine lezione ci si dovrà disporre come segue: una prima fila rispetto alla kamiza (o shomen) riservata ai Maestri. Alle loro spalle da est a ovest i praticanti in ordine di grado/anzianità, lateralmente, ad est il il sempai. Il primo a scendere in Seiza sarà il maestro e successivamente al comando “Seiza” del Sempai Al successivo comando “Kirizu” i praticanti si riporteranno in posizione eretta (musubi-dachi) e dopo un nuovo inchino si possono cominciare gli esercizi. Saya no uchi de katsu E’ il principio che sta alla base dello Iaido, ma anche di tutte le altre arti marziali. Significa “la vittoria sta nel fodero della spada”, quindi nel vincere senza sfoderare la spada, riuscire insomma a sormontare con il proprio Ki l’avversario prima ancora di fare uscire la spada dalla saya, e quindi riuscendo a farlo desistere da ogni intenzione di attacco. Enzan no metsuke “Guardare le montagne lontane”. Significa focalizzare lo sguardo in lontananza; non fissare ciecamente ma piuttosto guardare tutto con la stessa intensità. Non necessariamente ogni piccolo dettaglio del nemico, ignorando così qualsiasi possibile minaccia. E’ necessario soltanto percepire la sua distanza ed il suo tempo. Il nemico di fronte a noi sarà al centro del nostro campo visivo ma non sarà il punto focale. Karate ni sente nashi E’ una delle frasi più note nel mondo del Karate. In genere viene tradotta con “Non c’è primo attacco nel Karate”. Questa massima è divenuta nota grazie agli insegnamenti di Gichin Funakoshi, fondatore dello Shotokan. KARATE significa karate NI è una congiunzione che collega gli ideogrammi soggetto agli ideogrammi aggiuntivi SEN significa "prima" vedi sen non sen (prima del prima) oppure sensei (nato prima) oppure sentei (da fare prima) TE vuole dire mano, non in senso anatomico ma inteso come uso della mano (colpo, attacco) NASHI è l'ideogramma chiave della frase: Nashi vuole indicare il concetto di "non probabile" e comunque sta ad indicare la negazione di uno stato di essere. Per esempio: se in giapponese dobbiamo indicare una "vedova" pittureremo gli ideogrammi "oto" = marito e "nashi" = non probabile, che in questo caso la traduzione letterale vorrebbe essere "senza" e che comunque è una parola che nega uno stato d'essere. Otonashi significa vedova. Sen te Nashi sta a significare che si "nega che sia il primo colpo" Quindi karate ni sen te nashi = il karate è il primo colpo non probabile. Kihon Il kihon, nel karate, è l'insieme delle tecniche fondamentali. In italiano potremmo tradurlo con le parole "basilare" o "rudimenti". La parola kihon è composta da due sezioni: Ki (fondamenta o radici) e Hon (base). Visualizzando gli ideogrammi delle due sezioni si nota che Ki è formato da due parti, una che simboleggia la terra e l'altra rappresenta l'inizio; Hon, invece, mostra un albero le cui radici sono rivolte verso il basso. La parola Kihon ha dunque il significato della necessità di porre delle solide fondamenta, delle profonde radici per poter costruire qualche cosa di duraturo. Nella cultura giapponese viene data molta importanza alla preparazione prima di mettere mano a qualunque progetto ed è importante essere padroni delle basi di qualunque disciplina, prima di progredire in essa. Come in qualsiasi altra disciplina, anche nel karate, senza una perfetta padronanza degli esercizi i base, non è possibile progredire e raggiungere notevoli livelli di pratica. Le basi del karate, i primi esercizi insegnati all'allievo, portano a imparare il corretto uso del proprio corpo, sia esso in movimento o statico. Il Kihon, quindi, è la forma di allenamento base, di parata o di attacco, su cui si basa il Karate. Nella pratica del kihon si impara a migliorare la propria resistenza e a ottenere una maggiore rapidità nell'esecuzione; aiuta anche a rafforzare lo spirito combattivo e l'allievo apprende come gestire le "armi" del nostro corpo. Un elemento importante del karate è il kime. Il kime, nella pratica del Karate, può essere definito come "focalizzazione della massima potenza esplosiva del colpo" in un punto stabilito. Lo studio e la corretta comprensione di ogni singola tecnica, da parte dell'allievo, dovranno trovare quindi il loro naturale coronamento nello sviluppo del kime, conferendo ad ogni attacco e ad ogni parata la massima incisività, potenza e pulizia. Nessun praticante di Karate, dunque, può aspirare a progredire verso i gradi superiori della disciplina se non è in grado di applicare un buon kime durante l'esecuzione delle tecniche. Lo stesso principio si applica, a maggior ragione, nelle manifestazioni agonistiche, nelle quali il kime è uno degli elementi fondamentali di valutazione dell'atleta Ki Il termine cinese qi, in giapponese ki 気 o anche ci in coreano (forma più antica) è il nome dato all'energia "interna" del corpo umano ricorrente in tutte le aree soggette all'influenza culturale cinese (Giappone, Corea) ma spazia da ambiti prettamente filosofici alle arti marziali o lamedicina tradizionale cinese fino alla Geomanzia, Idraulica, Pittura, Calligrafia e poetica. In particolare il termine sinogiapponese 氣 Ki è l'elemento centrale costitutivo del vocabolo giapponese Aikido 合気道 (scritto in kanji) od anche 合氣道 (usando la grafia non semplificata), di cui il termine 氣 Ki costituisce il concetto essenziale. Traslitterazione Il termine Ki è presente sia nella lingua giapponese che in quella cinese. Dato che queste lingue condividono in parte il sistema di scrittura ma il giapponese utilizza pronunce adattate dei termini cinesi, le traslitterazioni nell'alfabeto latino non sempre risultano univoche. La traslitterazione dal giapponese è quindi Ki, secondo il sistema Hepburn, mentre dal cinese esistono due possibili traslitterazioni in uso: la prima segue il metodo Wade-Giles ed è C'hi, la seconda segue il metodo Pinyin ed è qì. Storia del Ki Il concetto orientale di KI è di difficile definizione. In Giappone, tale termine è usato quotidianamente a partire dall'instaurarsi della cultura cinese. Il KI esprime il concetto delle energie fondamentali dell'universo, di cui fanno parte la natura e le funzioni della mente umana. Nell'antica Cina, poiché era visto come la forza che originava tutte le funzioni fisiche e psicologiche, il concetto di KI venne ampiamente utilizzato nella medicina tradizionale cinese, nelle arti marziali ed in molti altri aspetti della vita. Il concetto di KI fu utilizzato per determinare il massimo livello della forza dei soldati, per scegliere in base a ciò il movimento militare idoneo. In seguito, lo studio dei KI divenne una forma di pratica di predizione del destino, mediante l'abilità dell'indovino di leggere il KI di un individuo. Nella cultura tradizionale induista il termine con significato corrispondente è il vocabolo sanscrito Prana. Nella cultura tradizionale occidentale, il significato del termine latino spiritus di cui il vocabolo 氣 Ki è termine equivalente, traduce la parola greca πνευμα (pneuma, il soffio vivificatore) da πνειν (soffiare) e questa a sua volta traduce la voce ebraica rû:ăћ (accento sulla u e suono gutturale aspirato finale). La rû:ăћ ebraica (che a differenza degli altri termini è invece un sostantivo femminile), in relazione all'ambito della natura indicava il soffio del vento, in relazione all'ambito di Dio significava la sua forza di creare la vita e di imprimere un senso alla storia, in relazione all'ambito dell’Uomo ne indicava non solo il suo essere vivo, ma anche il suo respiro ed il suo alito. Il KI nella filosofia La possibile traduzione dell'ideogramma KI, è Essenza Individuale, cioè quella peculiare caratteristica che distingue ogni essere da tutti gli altri. Secondo una interpretazione spirituale o filosofica potremmo parlare di Anima, di Microcosmo, di Coscienza, di Psiche oppure più concretamente di Personalità, Individualità, Carattere, Identità. Ciò che importa stabilire ora è l'esistenza di una energia che muove dall'interno del nostro corpo (inteso come sistema Mente/Corpo) e gli permette di interagire con la realtà. La cellula è l'unità fondamentale della materia vivente, il suo cuore è il nucleo, il suo corpo è la membrana citoplasmatica. La membrana plasmatica non è solamente una barriera passiva tra l'ambiente esterno e quello interno della cellula, ma è capace di governare il passaggio delle sostanze che l'attraversano. Durante lo sviluppo dell'organismo, sono le cellule che evolvendosi e specializzandosi formano i tessuti. La cellula consiste quindi dei componenti essenziali, necessari al processo vitale, in grado di fornire a tutto l'organismo energia e materiali di costruzione. Il complesso delle reazioni che generano energia è detto respirazione interna, per distinguerlo dalla respirazione polmonare. Crescita, rinnovamento e riparazione sono le caratteristiche fondamentali di ogni tipo di vita. Nell' essere umano esiste una memoria di un passato antichissimo, un collegamento con i primordi della vita ed esistono misteriose e segrete, le istruzioni per edificare l'intera vita. Le cellule sanno perfettamente quello che devono fare la crescita, la vita e la riproduzione. Questa conoscenza è una forma di energia, ed è in questo senso che si intende il KI, come energia ancestrale, primordiale, come memoria, saggezza e armonia interiori, collegamento a tutti gli esseri precedenti e conseguenti. Il Ki è l'essenza, il seme, il germe, il nucleo dove si condensa il significato della vita. Come la cellula conosce il proprio scopo, sa chi è e cosa deve fare e lavora instancabilmente per essere sé stessa, anche l'essere umano ha un preciso compito nella vita. Cercarlo, scoprirlo, comprenderlo e realizzarlo è la chiave della felicità. Ki è quindi la Forza Vitale che scorre in ogni organismo vivente. In Sanscrito è conosciuta come Prana, nella Medicina tradizionale cinese si chiama Chi, e circola negli organi interni e nei meridiani generando i principali processi fisiologici come la respirazione, la digestione, lacircolazione sanguigna e linfatica, la secrezione e l'escrezione. Nelle arti marziali indica la capacità di concentrare e dirigere il potere personale durante il combattimento, (Kumite). Le pratiche yogiche di respirazione o Pranayama mettono in condizione di accumulare l'energia all'interno del corpo, attraverso la meditazione, i mudra, i mantra possiamo interagire con il nostro equilibrio psico-fisico. Il Ki (qì) nelle arti marziali « Nella pratica, quando il tuo avversario sferra un colpo, devi già essere in movimento. Dopo che l'hai visto muoversi, è già troppo tardi ed un falso movimento da parte tua è fuori luogo, perché il colpo del tuo avversario è quasi mortale. Muoversi simultaneamente con il colpo; si deve sentire l'intenzione dell'avversario. Ma, in realtà, non è questione di usare la mente, ci si deve muovere naturalmente, senza pensarci. Quando raggiungerai questo stato, riuscirai a muoverti simultaneamente con l'ordine. Se pensi troppo all'inizio del colpo dell'avversario, non ti renderai conto dei suoi movimenti. Solo quando la tua mente è tranquilla come una pozza d'acqua e sei fisicamente all'erta, potrai renderti conto dei movimenti dell'avversario e della sua respirazione naturale. In questo stato sentirai i cambiamenti di sentimento del tuo avversario » (Morihei Ueshiba - Fondatore della disciplina dell'Aikido) Il Ki 氣 di cui si tratta nella disciplina giapponese dell'Aikido, è rappresentato dall’ideogramma giapponese 氣 che, nei caratteri della scritturakanji, raffigura il vapore che sale dal riso in cottura. Nella disciplina dell'Aikido significa spirito, ma non nel significato che tale termine ha nella religione, bensì nel significato del vocabolo latino "spiritus", cioè soffio vitale ed energia vitale. Il riso, nella tradizione giapponese, rappresenta il fondamento della nutrizione e quindi l'elemento del sostentamento in vita ed il vapore rappresenta l'energia sotto forma eterea e quindi quella particolare energia cosmica che spira ed aleggia in natura e che per l’Uomo è vitale. Il 氣 Ki è dunque anche l'energia cosmica che sostiene ogni cosa. Nella disciplina dell'Aikido e più in generale nelle arti marziali giapponesi ed orientali, l'essere umano è vivo finché è percorso dal 氣 Ki dell'universo e lo veicola scambiandolo con la natura circostante: privato del 氣 Ki l'essere umano cessa di vivere e fisicamente si dissolve. Nella concezione delle arti marziali orientali, l'essere umano è pieno di vita, di coraggio, di energie fisiche ed interiori finché veicola il 氣 Ki in modo vigoroso attraverso il proprio corpo e lo scambio con la natura circostante è abbondante; quando invece nel suo corpo la carica vitale del 氣 Ki è carente, l'essere umano langue, è debole, codardo, rinunciatario. Nella pratica della disciplina dell'Aikido 会氣道, si ci si impegna per imparare a riempire il corpo con il 氣 Ki ed a veicolarlo energicamente; pertanto nell'Aikido 会氣道 è necessario comprendere bene la profonda natura del 氣 Ki ed imparare a riconoscerne le manifestazioni e gli effetti, i quali vanno sotto il nome di Kokyu. Per estensione di significato il 氣 Ki può essere associato a quella che i fisici del XVIII e XIX secolo chiamavano vis viva (forza viva), ovvero una sorta di fluido attraverso il quale l'energia ha la possibilità di trasferirsi da un oggetto materiale ad un altro. Secondo le antiche credenze, attraverso la respirazione il Ki si accumula e riempie tutte le parti del corpo, ma viene emanato solo quando corpo e mente sono sereni e distesi. Nell'aikido o nel taijiquan ogni gesto è un movimento di energia, nel Jūdō, nel ju jitsu non è importante la forza muscolare quanto l'abilità di gestire e direzionare il Ki. Secondo una trattazione scientifica corrispondente alla mentalità occidentale, il Ki potrebbe essere inteso come l'energia interna di un corpo. Inoltre è auspicabile un'inversione di tendenza nell'ambito delle arti marziali nella trattazione del Ki, in quanto secondo la metodologia sperimentale adottata dalla scienza, spiegazioni esoteriche sono ritenute assolutamente incoerenti e inconsistenti e al massimo adatte ad un pubblico di creduloni. La questione dell'armonia del Ki (o Ai-Ki) è un concetto orientale di una certa complessità. Si noti innanzitutto che tale questione è assolutamente diversa da quella di una mente (nel senso di Kokoro) salda e lucida, anche se entrambe si riconducono allo stesso principio: il miglior impiego dell'energia. Tale principio, enunciato e fermamente sostenuto da Jigoro Kano (Ki-Ai) fu concretamente realizzato da Morihei Ueshiba con la creazione dell'Aikido (termine composto dai vocaboli Ai-Ki-Do, ciascuno dei quali ha un suo proprio significato che, unito agli altri, genera un significato più complesso). Questa disciplina realizza l'Ai-Ki nella vita interiore dell'uomo e nella sua manifestazione esteriore: questa esteriorizzazione è denominata nella lingua giapponese con il termine Kokyu. La realizzazione dell'AiKi è infatti la manifestazione di uno stato di totale controllo del corpo che vive ed agisce in perfetta armonia con le leggi naturali e cosmiche. Tuttavia, sebbene questo stato sia raggiungibile sotto il controllo dell'esercizio della volontarietà in modo relativamente facile, il requisito fondamentale dell'Ai-Ki è l'assoluta spontaneità ed istintualità dei propri movimenti, per quanto precisi essi siano. Le azioni passano dallo stato di consapevolezza volontaria a quello di libera istintualità e perciò si dice che la mente (sempre nel senso di Kokoro) è ricettiva e conforme ad adattarsi alle situazioni. Nella disciplina dell'Aikido con il termine "istintualità" s'intende quell'istintività non naturale, cioè che nessuno possiede in modo innato e spontaneo, ma che un’abitudine frutto di un allenamento particolare può far penetrare nei meccanismi istintivi naturali e consolidarli ad essi, radicandoli nell’istinto naturale come se questi fossero stati conferiti insieme alla nascita. Per fare un esempio: sono reazioni istintuali le complesse reazioni istantanee fra di loro combinate ed armonicamente sincronizzate quali le azioni contemporaneamente esercitate su freno, frizione, cambio, acceleratore, volante, che quando siamo alla guida di un autoveicolo poniamo in essere in situazioni d’emergenza senza pensare ai gesti che compiamo, mentre il ritrarre istantaneamente la mano senza pensare e premeditare il gesto che si compie quando questa è scottata da una fiamma, questo è invece un gesto istintivo. Secondo la tradizione orientale e specificamente delle arti marziali giapponesi, esistono tre sedi naturali in cui il 氣 Ki si localizza che nella lingua giapponese sono denominate "tanden" 丹田, le quali non sono però delle vere e proprie sedi fisiche, materiali, corporee, ma sono dei punti virtuali dove viene localizzata la cosiddetta "presenza mentale" del praticante e precisamente: il "Kikai Tanden" 気海丹田, la sedeviscerale, il "Chudan Tanden" 中段丹田, la sede mediana ed il "Jodan Tanden" 上段丹田, la sede superiore. Il Ki 氣 è l'energia vitale che percorre i centri vitali e li rende funzionali e capaci di svolgere il loro compito essenziale per il mantenimento in vita dell'essere umano. Il Maestro Shingeru Egami (Shotokai) in un passaggio del suo libro Karate-Do Nyumon dice: Il problema della mente è profondo. La sua elevazione ad uno stato superiore, l'allargamento e la purificazione di se stessi, sono le ultime cose da conseguire per mezzo della pratica. Si devono allenare mente e corpo, perché diversamente la pratica non ha senso. Tentando di pulire la vostra mente dalle impurità della vita quotidiana, per mezzo del contatto spirituale con gli altri. La mente ed il corpo sono simili a due ruote di un carro, nessuna delle due ha il predominio. Questa è la pratica autentica. Ottenere qualcosa di valore spirituale nella vita è vera pratica. Entrando in contatto fisico con gli altri, si entrerà anche in contatto spirituale. Nella vita quotidiana bisogna arrivare a conoscere le nostre relazioni con gli altri, come ognuno di noi influisca sugli altri e come le idee si possano scambiare. Si devono rispettare gli altri e pensare bene di loro. Le persone devono essere mentalmente aperte e rispettose del benessere e della felicità altrui. In un combattimento, quando riuscirete a trascendere dalla semplice pratica, riuscirete ad essere una cosa sola con il vostro avversario. Kumite Kumi = incontro Te = mano ; traduzione letterale: incontro di mani Terminologia del kumite Kihon Fondamentale Kumite Combattimento Kihon-Kumite Combattimento fondamentale Kihon-Gohonkumite Combattimento fondamentale cinque passi Kihon-Sanbonkumite Combattimento fondamentale tre passi Kihon-Ippoonkumite Combattimento fondamentale ad un passo Jiyu-Ippon-kumite Combattimento semi libero un Passo Yakusoku-Kumite Combattimento convenzionale Jissen-Kumite Combattimento reale Jodan-Kamae Guardia alta Judan-Kamae Guardia media Gedan-Kamae Guardia bassa MizunagareKamae Posizione dell'avambraccio a flusso d'acqua Suihei-Kamae Guardia orizzontale Waki-Kamae Guardia laterale Sen Combattimento Deai Anticipo Mikiri Verificare Go-No-Sen Tai-No-Sen Sen-No-Sen Difendere, uscire completamente dall'attacco avversario Attacco al momento della partenza dell'avversario usando tecnica di difesa Attacco diretto prima che L'avversario decida di eseguire una qualsiasi tecnica Ikken hissatsu Significa “Uccidere con un solo colpo”. Jissen Kumite (Sportivo) È la tipologia di combattimento tipica del Kyokushin attualmente praticata nelle maggior parte delle competizioni sportive. Si tratta di regolamento a contatto pieno dove è possibile colpire l'avversario con tecniche di pugno nudo al corpo (dunque non al viso), di calcio (su tutto il corpo) e di ginocchio (senza clinch). Non si usano protezioni di alcuno tipo fatta eccezione per la conchiglia e il paradenti (facoltativo). Le tecniche di pugno sono tipiche del Kyokushin, mentre le tecniche di calcio e di ginocchio sono molto simili a quelle della thai boxe. Non sono previste tecniche di proiezione e lotta a terra. Kokyu, la pratica del respiro Attraverso la respirazione il Ki si accumula e riempie tutte le parti del corpo. Ma viene emanata come l'acqua che scaturisce inarrestabile solo quando corpo e mente sono sereni e distesi. Tutti noi per vivere dobbiamo assorbire ossigeno ed espellere anidride carbonica. In genere "ci dimentichiamo" di respirare e lo facciamo in modo automatico e casuale. Nelle arti marziali giapponesi, invece, si impara a svolgere questa importante azione con più consapevolezza. Una delle principali pratiche respiratorie si chiama kokyu, una respirazione addominale lenta, profonda e lunga da eseguire in modo naturale. Per apprendere il kokyu in genere si preferisce insistere sul controllo dell'espirazione e lasciare che l'inspirazione venga da sé utilizzando il naso. Sarà bene dunque, parlarne un po' di più. Nell'inspirazione i molari sono leggermente serrati, la lingua è in contatto con il palato e le narici si allargano. In questa fase l'ano è chiuso e si immagina che l'aria scenda più in basso dell'ombellico. Quando si inizia la pratica può essere utile contare mentalmente per rendere regolare l'inspirazione e l'espirazione. Nella pratica del Budo l'inspirazione è rapida, si tiene l'aria nei polmoni per poi decidere se c'è il bisogno di rigettarla rapidamente o, al contrario, lentamente. Bisogna prestare molta attenzione alla padronanza del kokyu, che non consiste solamente nel rinnovare l'aria dei polmoni, o nel rigettare le impurità. Durante la pratica è necessario avere coscienza del respiro per potersi riempire di un Ki puro. Questo irradiamento costante del Ki viene chiamato shisei. Il Ki immagazzinato esce con potenza quando il bisogno si fa sentire. Esercitarsi continuamente è l'unico modo per ottenere un buona respirazione e un giusto shisei. Bisognerebbe farlo non solo nelle lezioni, ma anche nella vita quotidiana: quando camminiamo, mentre aspettiamo il tram o sul lavoro. Perfino quando si va a dormire, ma bisogna esercitarsi con passione. Se una urgenza si presenta, il vostro kokyu ben allenato da una pratica costante sarà subito pronto. Il corpo nutrito di Ki dà vigore e quando si è in armonia con la natura (fusi in un sol corpo con l'Universo), questa energia lo invade e si può farla scaturire con una potenza tale da sorpassare la comune immaginazione. Se, però, la nuca, le spalle e le braccia sono contratte inutilmente, o se immaginate di essere forti o al contrario deboli, o se non credete che questa forza esista, allora si formeranno blocchi che non permettono al ki di passare. La forza della respirazione (kokyu ryoku) anche se si esprime tramite noi non è nostra. E' la forza della respirazione del cielo e della terra che supera la nostra identità per darci l'energia dell'Universo. Tachikata , posizione La posizione deve essere flessibile, con i piedi leggermente rivolti verso l'interno e appena piu' vicini fra loro che nella posizione frontale. Piegare leggermente le ginocchia e distribuire il peso in egual misura sulle gambe. La forza dovrebbe essere concentrata nelle piante e nelle punte dei piedi, ma tra i talloni e il suolo dovrebbe esserci la distanza di un foglio di carta. Me no tsukekata, direzione dello sguardo Se si fissa lo sguardo sul volto dell'avversario si perdono di vista le altre cose. Se si guarda il suo calcio si perdono di vista le sue braccia. Bisogna vedere tutto, dalla testa ai piedi. Per fare questo occorre fissare lo sguardo come se fosse diretto verso un oggetto piu' lontano, quasi sfocandolo. Maai distanza Quando ci si trova davanti all'avversario, il punto piu' importante nella strategia del combattimento e' la distanza. Da un punto di vista pratico il maai puo' essere definito come la distanza utile da cui e' possibile effettuare un attacco di pugno o di calcio; viceversa, è allo stesso tempo la distanza da cui con un minimo spostamento si puo' evitareun attacco. il maai varia in modo piu' o meno sensibile a seconda delle caratteristichefisiche e della tecnica di ognuno, ma idealmente significa mantenersi lontano dall'avversario standogli il piu' vicino possibile. Hodokoso koki o waza, momento psicologico per l'esecuzione della tecnica. Sia che l'attacco venga effettuato prendendo l'iniziativa in anticipo se no sen, sia prendendola in ritardo go no sen, la tecnica non avra' alcuna efficacia se non si sfruttera' un'apertura. Vi sono tre generi di apertura: apertura mentale, apertura nel kamae e apertura nei movimenti. I seguenti esempi si riferiscono a quest'ultimo tipo. A. Al'inizio della tecnica dell'avversario. Quando l'avversario avendo visto un'apertura, inizia a muoversi, attaccare immediatamente. La sua mente sara' concentrata sul suo attacco e non avra' sufficienti difese. In quel breve lasso di tempo si potra' avere un'apertura. B.Quando arriva l'attacco. Non appena le tecniche dell'avversario si arrestano dopo una serie continua di attacchi, avendo temporaneamente esaurito la strategia o dopo essere state parate, attaccare istantaneamente. C. Quando la mente e' immobile. Nelle arti marziali si insegna ripetutamenta a fare attenzione a non essere colti di sorpresa o ad esitare. Se si esita o ci si ritira davanti allo spirito dell'avversario nel momento in cui sta per partire il suo calcio o il suo pugno,non si riuscira' a lanciare il proprio attacco, il corpo diverra' contratto, e si creera' un'apertura mentale. In quel momento vi sara' l'occasione per un improvviso attacco che difficilmente potra' fallire. D. Creando un'apertura. Se non si trovano aperture da nessuna parte, è possibile impiegare una finta per distrarre l'avversario. Un movimento diversivo col piede, ad esempio, puo' distrarre la sua attenzione verso il basso rendendo possibile un attacco alto. Ci sono molti modi di farlo con la mano o con il piede, ma se si è maldestri l'avversario potra' trovare un'apertura. In pratica, occorre avere un grande controllo ed attaccare con determinazione al momento opportuno. Un modo consiste nell'eseguire una serie continua di tecniche che non lascino all'avversario alcuna possibilita' di contrattaccare. Non appena la sua posizione comincera' a vacillare, lanciare istantaneamente l'attacco decisivo. I punti esposti devono essere studiati con attenzione praticando il jiyu kumite le tecniche tendono di per sè a diventare caotiche. Percio' l'allenamento dovra' essere coordinato tra la pratica del kata, dell'ippon, del jiyu kumite, etc. e particolare cura dovra' essere riposta nell'assimilazione completa dei fondamentali per arrivare a padroneggiare innanzitutto tecniche veramente forti. E' questa la cosa piu' importante. Tai Sabaki I tai sabaki , a differenza degli ashi sabaki, non servono semplicemente ad avanzare o indietreggiare rispetto al nostro partner/avversario, ma ci consentono di creare dei movimenti circolari in grado di evitare dei colpi o sbilanciare il compagno di pratica. Esistono numerosi tipi di tai sabaki, con molte variazioni; ora cominceremo a considerare gli spostamenti fondamentali. TAI SABAKI: KAITEN: Il movimento di kaiten consiste in un semplice cambio di posizione (che permette di girare lo sguardo di 180°) eseguito rimanendo fermi sul posto e ruotando sul proprio asse verticale. E' molto importante nell'esecuzione di questo semplice spostamento non alzare le punte dei piedi ma i talloni, usando come punto di appoggio dei piedi, durante questo movimento, la zona che potremmo definire la "radice" dell'alluce. IRIMI: L'irimì è in effetti un'entrata, un passo di avvicinamento. E' utilissimo per entrare nel centro del nostro avversario e da lì neutralizzare un attacco, sbilanciarlo o semplicemente evitare un colpo altrimenti devastante. E' molto usato nella formula completa di Irimì Tenkan. TENKAN: Il tenkan è uno spostamento circolare sul proprio centro; il piede che è avanti rimane fermo, e alzando leggermente il tallone fa da perno su cui il corpo girerà. Il piede che è dietro si sposta velocemente oltre il "piede perno" ma dal lato inverso rispetto al movimento di irimi. USHIRO TENKAN: L'ushiro tenkan (tenkan all'indietro) è uno spostamento molto efficace che ci permette di deviare le linee di forza di attacchi frontali e laterali. Consiste nello spostare il piede che si trova dietro lateralmente (non in avanti come nell'irimi quindi) e, facendo perno su quel piede, eseguire quindi un tenkan fino a trovarci a 45° rispetto alla posizione iniziale. Ichibyoshi (In un respiro) E' la capacita' di attaccare e colpire repentinamente senza movimento preliminare. Kokyu Kokyū (scritto in kanji) è un termine della lingua giapponese usato nelle arti marziali giapponesi ed in particolare nell’Aikido. Significa manifestazione od estensione del Ki all’esterno del corpo od anche esercitare il Ki fuori dal corpo. Le parole Kokyū-Hō e KokyuNage si riferiscono ad una parte fondamentale ed imprescindibile dell’Aikido e pertanto ricorrono molto sovente. Vi sono moltissime tecniche nell’Aikidō basate sull’estensione all’esterno del Ki 氣, specialmente in quelle numerose e molteplici tecniche chiamate tutte genericamente Kokyū-Nage ma che si diversificano moltissimo le une dalle altre per tipologia di risposta ad uno specifico attacco. Il Kokyū è quindi quel particolare movimento del Ki 氣che si manifesta esteriormente attraverso il movimento del corpo che segue il movimento del 氣 Ki; ciò vale sia quando si agisce come tori (cioè colui che esegue la tecnica di difesa) sia come uke (cioè il partner d’allenamento che si presta ad attaccare ed a ricevere l'effetto delle tecniche eseguite dal "tori"). Avere un forte Kokyū significa possedere un’elevata capacità di espressione e di controllo dell’estensione all’esterno del proprio 氣 Ki e padroneggiarlo in modo che il corpo irradi sempre il 氣 Ki in modo vigoroso in ogni circostanza: in tale modo si riese a muoversi ed a proiettare l'avversario senza fatica e con estrema naturalezza ed efficacia, per effetto dello sfruttamento dell'energia interiore e della forza fisica dell'avversario, piuttosto che per effetto dell’impiego della propria forza fisica ed energia interiore. Anche per portare gli atemi con efficacia (cioè i colpi a percussione portati con gli arti) è richiesto un forte kokyū e quindi non basta possedere una buona tecnica di atemi. Kihaku Spirito Henza waza Cambiamenti di tecnica Koshino Kaiten Rotazione dell'anca. Shomen Il bacino è in posizione frontale, le due anche sono su un piano orizzontale. Hanmi Il bacino è in posizione semi frontale, l'anca in avanti corrisponde alla gamba anteriore. Gyaku hanmi Il bacino è in posizione semi frontale; è il contrario di hanmi. L'anca in avanti corrisponde alla gamba posteriore. Jiku hashi Gamba anteriore e posteriore usate come perno Flavio Cugnasco & Innocenzo Guastamacchia