farmacisti a tavola

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farmacisti a tavola
FARMACISTI…...A TAVOLA.
Una pagina di storia dell’alimentazione
Di Renzo Pellati
Nella Storia dell’Alimentazione ci sono 3 Farmacisti che hanno avuto
un’importanza fondamentale nel successo di 3 prodotti utilizzati in ogni parte
del mondo: la coca-cola, la patata e la margarina.
Quando si parla di globalizzazione, il primo nome che viene in mente è “cocacola”, perchè questa bevanda è consumata ovunque. Si stima che in ogni
istante, vengano gustate 40 mila bottigliette. Nel mondo ci sono più Paesi
consumatori di coca-cola rispetto a quelli che normalmente siedono all’ONU.
La frizzante bevanda ha attraversato, come vincitrice, crisi e rivoluzioni
culturali: da Mao a Castro, dai leader del Cremlino ai monaci tibetani, ai neri di
Harlem. I buongustai rabbrividiscono, però i giovani bevono coca-cola con
pizza, spaghetti, hamburger e patate fritte.
La bevanda nacque domenica 8 Maggio 1886 ad Atlanta. La inventò un
farmacista, John Pemberton, partendo da uno sciroppo di acqua, zucchero,
estratti vegetali che bisognava diluire al momento con acqua gassata. Il nome
deriva dai due componenti vegetali, foglie di coca e noce di cola. La prima
etichetta recitava: “ Coca-Cola Syrup and Extract “ successivamente abbreviata
in “Coca-Cola”.
In un primo momento il prodotto fu smerciato come rimedio per il mal di testa,
ma subito si notò che era una bevanda gradevole e rinfrescante. Come tale fu
reclamizzata sul quotidiano di Atlanta con parole invitanti “Coca-cola delicious,
refreshing, exilarating”. Tuttavia, durante il primo anno, furono venduti
solamente 25 galloni di sciroppo corrispondenti a 13 bicchieri al giorno, a 5
centesimi al bicchiere: un disastro, tenuto conto dei soldi profusi in pubblicità.
La fortuna della bibita è dovuta ad un socio, Asa G.Candler, subentrato
nell’impresa alla morte di Pemberton, che si dedicò alla diffusione del prodotto
studiando il mercato e aprendo uffici per la distribuzione a Dallas, Chicago, Los
Angeles. Con altri soci nacque la “The Coca-Cola Company”.
La miscelazione degli ingredienti voluti da Pemberton con acqua gassata creava
problemi di diluizione. L’indice di gradimento non era omogeneo.
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L’idea della bottiglietta si deve a Joseph A.Biedenharn, commerciante a
Vicksburg, una cittadina sulla sponda del Mississipi, che intuì nel 1894 la
praticità del confezionamento con garanzie dal punto di vista igienico.
Successivamente due avvocati di Chattanooga, nel Tennessee, ottennero nel
1899 da Asa Candler la concessione dell’imbottigliemento su tutto il territorio
USA: da allora partì il successo e l’inizio di uno dei più grandi business della
storia dell'’industria alimentare.
Gli ingredienti hanno subito nel tempo diverse modifiche, però al farmacista di
Atlanta va il merito di aver inventato quella miscela di componenti che forma il
bouquet inconfondibile della Coca-Cola.
L’UMILE PATATA
Anche il successo della patata è legato al nome di un farmacista: Antoine
Augustine Parmentier. Il suo nome si legge ancora nei raffinati menù francesi
(il potage Parmentier è un passato di patate).
La patata era arrivata in Europa nella seconda metà del Cinquecento: i centri di
origine sono Perù, Bolivia e Messico. Quando gli spagnoli invasero l’impero
Incas trovarono anche la patata, ma non ci fecero caso. Gli spagnoli cercavano
l’oro e trascurarono questa pianta che gli Indios coltivavano nelle zone di
montagna, facevano dissecare, trasformavano in farina e consumavano in
svariati modi cuocendola in acqua, sulla brace, con aromi speziati.
Anche il resto degli europei non diede importanza a questo vegetale bitorzoluto,
sgradevole alla vista, al tatto, sporco di terra. Si credeva che le patate fossero
responsabili di alcune malattie infettive. Inizialmente fu anche commesso
l’errore di mangiare non i tuberi, ma le foglie ed i frutti velenosi con
conseguenti intossicazioni.
Parmentier aveva avuto modo di conoscere la patata in una strana situazione.
Mentre prestava servizio militare come farmacista nell’esercito del duca di
Richelieu che occupò l’Hannover (1757), fu fatto prigioniero dagli ussari
prussiani e finì in un campo di concentramento. In quell’epoca le patate erano
date solamente ai maiali e quindi in segno di disprezzo (e di economia !) i
prigionieri di guerra erano nutriti con sole patate.
Un uomo di poco spirito avrebbe odiato i pomi di terra per tutta la vita.
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Parmentier invece, tornato in patria, ne divenne il più accanito sostenitore.
Cominciò male: nel 1769, mentre era farmacista agli “Invalidi”, fu messo sotto
inchiesta per aver tentato di somministrare ai valorosi reduci un cibo di porcelli.
In seguito le cose si misero meglio: gli scienziati dell’epoca, da Lavoisier agli
Enciclopedisti, apprezzarono le sue ricerche.
Antoine Augustine Parmentier nacque nel 1737 a Montdidier, un paese della
vecchia Picardia. Essendo rimasto orfano, e non potendo frequentare un corso
regolare di studi, entrò come lavorante nella farmacia del suo paese. Ci rimase
poco poiché, avendo un parente farmacista a Parigi, costui lo chiamò e subito si
fece notare per le favorevoli disposizioni che dimostrava nella professione.
A vent’anni andò militare e fu aiutante del celebre Bayen, farmacista
dell’armata di Hannover. Ben presto Parmentier divenne “farmacista in
seconda” dell’armata stessa. In questa occasione fu fatto prigioniero ed ebbe
modo di conoscere le patate.
Ritornato a Parigi nel 1763 continuò gli studi e vinse il concorso di farmacista
per l’Ospedale degli Invalidi. Subito però sorsero dei contrasti con le Suore
della Carità per le direttive nella conduzione della farmacia. Infatti Luigi XV
nel 1777 lo nominò direttore e due anni dopo lo mise in pensione con una
retribuzione
pari
all’ultimo
stipendio.
Questo spiacevole episodio fu la sua fortuna. Infatti, libero dagli impegni di
lavoro, potè dedicarsi allo studio. In questo periodo pubblicò uno studio sulle
castagne, sul mais, sul pane, sulla patata, sulla composizione del sangue umano.
L’opera più importante che Parmentier produsse furono gli studi sul valore
nutritivo della patata. Si cercavano infatti dei vegetali che potessero rimpiazzare
i cereali nei momenti di carestia. Parmentier, con la collaborazione del
Ministero degli Interni, distribuì alcune varietà di patata nelle varie provincie
per osservare la resa ed eventuali effetti collaterali.
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I parigini, dapprima increduli, dovettero constatare che Parmentier aveva dato
un efficace contributo alle possibilità d’impiego della patata. Luigi XVI, per
confermare con la sua autorità il pieno assenso alla divulgazione del nuovo
alimento, apparve dinanzi alla corte in occasione di un grande ballo, il 25
Agosto del 1785, con un fiore di patata all’occhiello. Questa data si può
considerare come l’ingresso ufficiale della patata nell’alimentazione degli
europei.
Parmentier morì a 76 anni, nel 1813.
Nei suoi scritti si legge: “ La patata sarà di aiuto ai poveri durante l’inverno e
procurerà loro un nutrimento sano e sostanzioso”. All’inizio della rivoluzione,
quando venne a mancare il pane, si comprese l’importanza di queste
affermazioni.
UNA TRAVOLGENTE INNOVAZIONE
L’olio, il burro, il lardo, fanno parte della cucina europea da secoli. La
margarina invece è un prodotto recente (poco più di un secolo) ed è nata grazie
agli studi un farmacista: Ippolito Mège Mouriés.
Ippolito Mège Mouriés nasce nel 1817 a Draguignan (nel Sud della Francia, il
padre è un insegnante) e, nello stesso paese è assunto come allievo farmacista a
16 anni.
Nel 1843 si trasferisce a Parigi, come assistente nella Farmacia dell’Ospedale
Hotel-Dieu. Successivamente si dedica a vari progetti di tecnologia
farmaceutica e alimentare. Nel 1869 deposita il brevetto per la produzione della
margarina.
In quel periodo Napoleone III bandì un concorso per la ricerca di una sostanza
grassa di costo più accessibile del burro e di migliore conservabilità (era un
tentativo di politica economica per risolvere la scarsità di alimenti).
Il prodotto messo a punto da Mège Mouriés era un’emulsione: nella
formulazione originaria, la parte acquosa era costituita da latte scremato, la
parte grassa dal sego (grasso bovino fuso e raffinato).
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Secondo Mège Mouriés, il grasso del latte si forma nell’animale a partire dal
grasso viscerale e sottocutaneo: di conseguenza, emulsionando il sego, veniva
imitata la produzione di burro con due vantaggi: costo ridotto e minor
irrancidimento.
Mège Mouriés diede il nome di “oleomargarina” al nuovo prodotto, in
considerazione del fatto che il grasso in emulsione appare al microscopoio
come una perla ( dal greco “margaron”).
La caduta di Napoleone III impedisce la divulgazione della margarina in
Francia. Il prodotto viene notato in Olanda che, all’epoca, era uno dei principali
centri di produzione del burro.
L’olandese Jan Jurgens acquista il brevetto nel 1870. Successivamente altre
industrie furono interessate alla novità, come ad esempio Van Den berg che,
negli anni successivi, diventò il più forte produttore di margarina.
Mège Mouriés muore a Neuilly nel 1880 benestante, senza trarre eccessive
rendite dalla sua scoperta.
La produzione della margarina subì negli anni successivi delle modificazioni
sostanziali, soprattutto per quanto riguarda la materia prima utilizzata.
In primo luogo si aggiunsero dei grassi vegetali: olio di cocco, palma, soia,
arachide, mais, sesamo, cotone. La trasformazione di olii liquidi (di semi perché
più economici) in grasso solido fu possibile grazie al processo di idrogenazione,
brevettato dal tedesco Wilhelm Nroman nel 1903. Addizionando idrogeno, gli
acidi grassi insaturi (caratteristici degli olii di semi) diventano saturi,
assumendo consistenza solida.
Un altro passo avanti nella produzione di margarina è stato compiuto nel 1924
da C. Van Loon con la messa a punto del processo di interesterificazione, che
aiuta a ridurre la produzione di acidi grassi “trans” (una disposizione spaziale
diversa da quelli “cis”, caratteristici del mondo naturale).
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I consumi domestici in Italia di margarina oggi sono modesti perché abbiamo
diverse abitudini alimentari (quasi un Kg pro-capite anno), ben lontani dai 16
Kg pro-capite all’anno dell’Olanda e dai 9 Kg della Germania. L’impiego della
margarina invece è consistente nell’industria dolciaria e in pasticceria perché in
questo settore sono richiesti processi di irrancidimento più lenti per favorire i
prodotti a lunga scadenza.
Concludo sottolineando come, nell’immaginario collettivo, il farmacista sia un
professionista apprezzato per le conoscenze di farmacologia. Poco noto invece
il fatto che, nel corso di laurea, il farmacista si dedica anche alla bromatologia,
una dottrina che approfondisce la composizione degli alimenti e rende la
professione di attualità per i numerosi problemi di educazione alimentare.In
passato queste conoscenze hanno dato risultati strepitosi: lo testimonia la Storia
dell’Alimentazione.
Renzo Pellati