La storia, l`inizio di un insegnamento disciplinare

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La storia, l`inizio di un insegnamento disciplinare
LA STORIA: L’INIZIO DI UN INSEGNAMENTO DISCIPLINARE
LA STORIA: L’INIZIO DI UN INSEGNAMENTO
DISCIPLINARE
Serenella Carmo Feliciani
Vicende dell’insegnamento della storia
Scriveva Dario Antiseri nel 1986, all’indomani dell’introduzione dei nuovi Programmi
di storia nelle Scuole elementari che, fino ad allora, si era sempre pensato che il metodo di
insegnamento della storia consistesse nella sequenza racconto/lettura - memorizzazione –
ripetizione. Così veniva invece sintetizzata la novità introdotta dai nuovi Programmi: il
bambino deve imparare piuttosto a costruire il suo sapere storico, attraverso operazioni
tecniche e scientifiche, per giungere a una coscienza metodologica. Queste parole:
costruzione del sapere, competenze operative, coscienza metodologica e, si dirà anche
epistemologica, cominciavano così a girare nel mondo della didattica, anche se sembravano
poco incidere nella pratica quotidiana. L’origine di questa nuova proposta pedagogica – di
questo si trattava, di una proposta pedagogica che voleva essere totalizzante - va ricondotta al
costruttivismo pedagogico americano. Come evidenzia Onorato Grassi nell’articolo
Educazione e cultura («Il Nuovo Areopago» 4 2000, 19 e sgg.), dal costruttivismo l’educazione
viene identificata con il processo di apprendimento, ovvero con l’imparare un metodo, come
insieme di competenze operative. A questa sopravvalutazione del metodo (metodologismo)
corrisponde la svalutazione del contenuto. In questo processo il discente è sostanzialmente
autonomo e l’insegnante ha solo un compito di facilitatore.
Nel campo della didattica della storia, questa impostazione si accompagnò, negli anni
successivi, alla messa al bando degli avvenimenti e dei personaggi, a favore di una
impostazione sociologica; al rifiuto del racconto, delle date e della cronologia,
dell’eurocentrismo… Qui si avvertiva l’eco di impostazioni storiografiche quali quella delle
Annales che giungevano in Italia con buon ritardo, oltre che della storiografia anglosassone,
dove sembrava che la storia dovesse cedere il passo alle scienze sociali: ma ricordiamo che la
sociologia non è storia, la sociologia descrive situazioni-tipo, ignora ciò che è proprio della
storia, ovvero l’unicità dell’avvenimento nel tempo.
La “nuova didattica” trovò applicazione nei Programmi per gli Istituti professionali del
‘95, che venivano proposti come modello a cui avrebbero dovuto uniformarsi anche i Licei,
come tentò di fare nel 2001 il progetto De Mauro.
La reazione di quasi tutti gli storici italiani, al di là degli schieramenti ideologici, fu che
quest’impostazione avrebbe radicalmente ridotto la cultura storica del cittadino e distrutto
sempre di più il senso della tradizione. Molto grave, inoltre, era il fatto che il sistema
scolastico italiano avrebbe imposto una pedagogia e una didattica unica, minacciando la
libertà di insegnamento.
Sotto questo aspetto apprezziamo le Indicazioni Nazionali per la Scuola Primaria e
Secondaria di primo grado della Riforma Moratti.
Se entriamo nel merito degli OSA della Scuola Primaria e Secondaria di primo grado
possiamo dire che almeno si parla di storia (fatti, personaggi, eventi, istituzioni…) e non di
sociologia, si rispetta il criterio della successione cronologica, si evita l’astrattezza del
mondialismo, anche se su alcuni obbiettivi si può discutere.
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S. CARMO FELICIAN
6 marzo 2004
LA STORIA: L’INIZIO DI UN INSEGNAMENTO DISCIPLINARE
Ma è fuori discussione che occorra un rinnovamento dell’insegnamento della storia,
proprio a partire dai primi anni, per far fronte alla crisi che oggi esso evidenzia nelle scuole
superiori: è vero che una materia in passato piuttosto amata ora raccoglie scarso interesse già
presso i bambini? (Interessante il giudizio critico di H. Girardet sulla nuova didattica della
storia in Insegnare storia, Milano, La Nuova Italia, 2001).
Tale rinnovamento è affidato agli insegnanti.
Indichiamo 4 punti qualificanti di un rinnovamento della didattica nella Scuola
Primaria.
Disciplinarietà e metodo
Nei primi tre anni della Scuola Primaria si educa il bambino a prendere coscienza della
dimensione temporale dell’esperienza, a riflettere sulla propria storia, allargando l’orizzonte
dalla memoria personale a quella della famiglia, per giungere alla memoria collettiva (eventi
significativi ricordati dal calendario scandiscono il tempo). Tra III e IV si inizia lo studio delle
discipline. Non c’è contrasto, perché lo sviluppo della personalità e l’incremento del ra pporto
con la realtà vanno di pari passo. Nel nostro caso, lo studio della disciplina ha il fine di creare
una sensibilità storica, la capacità di percepire la dimensione storica della realtà.
Le discipline sono, infatti, un approccio conoscitivo organico e sistematico alla realtà, e
possiedono un metodo specifico, adeguato all’oggetto che si vuole conoscere. E’ importante
che l’insegnante abbia la consapevolezza di proporre un metodo. Il metodo storico mira alla
ricostruzione della realtà del passato sulla base delle tracce lasciate dagli uomini (Bloch:
conoscenza per tracce) e poi, a partire dai Greci, anche dei racconti degli storici (un popolo
entra nella storia quando ricorda).
Questo approccio iniziale alla storia conta molto: il bambino è introdotto alla
conoscenza del passato perché, innanzitutto, viene suscitato un interesse (il fascino del
passato) che nasce dal contenuto studiato, dalla sua significatività per il presente. Per questo è
astratto separare il metodo dal contenuto. L’introduzione al metodo avviene in modo
implicito e non artificioso. Il bambino non può fare esperienza diretta della ricerca storica
(l’utopia del piccolo storico!), ma è importante che faccia un’esperienza conoscitiva analoga a
quella della ricerca storica stessa (espressione che si ritrova nelle Raccomandazioni
ministeriali) e questo glielo può comunicare solo l’insegnante che ha un atteggiamento di
ricerca.
Con la disciplinarietà inizia anche l’introduzione allo studio (uso del manuale, imparare
a trarre informazioni).
Conoscenza elementare, ma mai falsa
La conoscenza di fatti, personaggi, istituzioni ecc. inizia a configurare quella trama
anche cronologica di riferimenti senza i quali la conoscenza storica è impossibile.
L’insegnante deve saper selezionare, come il pittore (l’esempio è dello storico Namier), i
dati essenziali, lasciandone altri sullo sfondo. Deve proporre una sintesi, individuando il
punto centrale, genetico. Non tutto, ma vero.
L’indagine storica procede attraverso una continua problematizzazione, revisione, ma
non bisogna cadere nell’errore compiuto dalla didattica dei paesi anglosassoni dove,
proponendo il metodo del detective e l’assoluta molteplicità di ipotesi sui fatti si è ingenerato nei
ragazzi un totale scetticismo. Il bambino ha bisogno di certezze. La problematizzazione va
proposta piuttosto come approfondimento: offrire dati essenziali, verificati, da approfondire.
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S. CARMO FELICIAN
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E’ grande l’importanza del sorgere della domanda, che è una verifica del fatto che si sta
lavorando in modo giusto (don Villa diceva che il suo modo di fare le verifiche era di chiedere
ai bambini di porre a lui delle domande).
Realtà del passato
Il passato non è soltanto la costruzione mentale da noi operata. Se fosse solo questo
giungeremmo a un relativismo insostenibile, come dimostrano le polemiche che sorgono
ogniqualvolta vengono negati fatti come l’Olocausto. La conoscenza storica è infatti
intenzionale, tende alla verità attraverso le prove documentarie ( v. M. Sordi, Il fatto storico e
l’insegnamento della storia, in «Il Nuov o Areopago», 3-4 2002 47 sgg.: la storia è un sapere
provabile).
Questo atteggiamento che distingue il virtuale dal reale viene favorito se si fa uscire lo
studio della storia da una dimensione solo verbale o libresca e lo si lega alla conoscenza di
luoghi, monumenti, documenti (marchi di realtà). La maggiore estensione del tempo dedicato
alla storia antica permetterà questi approfondimenti.
Occorre favorire una esperienza di contatto con le tracce del passato, anche attraverso
la dimensione estetica. Anche il fare è importante.
La conoscenza storica è affascinante proprio per la sua ricchezza: non può fare a meno
dei dettagli, che facilitano anche una dimensione immaginativa e quindi sono spesso quelli
che colpiscono, e si ricordano, di più. Il dettaglio, però, è significativo solo in relazione al
tutto, altrimenti è dispersivo: tocca appunto all’insegnante operare l’indispensabile sintesi.
L’insegnante e la storia
L’insegnante non è un mero facilitatore.
L’insegnamento è rapporto, e nel caso della storia va evidenziata la risorsa del racconto.
Nel racconto chi ascolta si affida al narratore: da questo nasce il piacere del racconto,
accompagnato da coinvolgimento cognitivo ed emotivo (v. G. Petter, Ragionare e narrare, La
Nuova Italia, Milano 2002, 3 sgg). La storia è significativa perché si compone in un racconto:
racconto di fatti significativi, che hanno un significato e danno significato alla trama.
L’insegnante propone così un passato significativo perché ha un rapporto col presente.
Questo non accade se l’insegnante non si pone lui le domande e non sa darsi ragione
delle risposte, unendo passione e criticità nello sguardo sulla storia.
Bibliografia:
D. Antiseri, L. Mason, L’insegnamento della storia, Torino, SEI, 1986
AA VV La storia nella scuola, a cura di S. Carmo, Milano, Marietti 2000, specialmente i
capitoli di A. Valvo e A. Caspani
O. Grassi, Educazione e cultura, in «Il Nuovo Areopago», 4, 2000
M. Sordi, Il fatto storico e l’insegnamento della storia, in «Il Nuovo Areopago», 3-4 2002
S.Carmo, Dentro la riforma. La storia narrata nella scuola primaria, in «Lineatempo» 3 2003
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