Il contributo della scuola alla definizione dell`identità

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Il contributo della scuola alla definizione dell`identità
SCHEDA DI SINTESI
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L’incidenza della scuola nel processo di costruzione dell’identità
a cura di Vitaliano Pastori
«E’ fondamentale riconoscere l’influenza determinante della scuola
nel processo di costruzione dell’identità e il rapporto che esiste fra
esito problematico della prestazione scolastica ed elaborazione di
una immagine negativa di se stesso e della scuola.» (Jackson 1989)1
L’esperienza scolastica riveste un ruolo essenziale per la crescita della persona: pone all’adolescente una serie di compiti di sviluppo di rilevanza individuale e sociale, è in grado di incidere profondamente sul processo di costruzione dell’identità del soggetto.
L’incidenza si misura anzitutto in ragione della ricchezza e significatività degli stimoli culturali, dei modelli relazionali, delle conoscenze e competenze che può fornire all’adolescente, perché sia in grado di assumere il suo ruolo nella società. Le considerazioni sin qui svolte, le sezioni
successive, inerenti il curricolo e i saperi, la comunità scolastica e la dimensione locale e globale illustrano adeguatamente il contributo di alto
profilo che l’esperienza liceale può offrire a ciascun soggetto a supporto dell’elaborazione del proprio progetto identitario, originale e unico.
Meritano considerazioni a parte il concorso dell’esperienza scolastica alla creazione di una rappresentazione positiva di sé, che alimenti
l’autostima e – in secondo luogo - il ruolo della scuola per favorire il passaggio tra cicli di studio ovvero un positivo inserimento nella secondaria
superiore: un impegnativo compito di sviluppo, che si riproporrà, al termine del Liceo, con l’inserimento nell’Università.
Rappresentazione di sé e autostima
La valutazione da parte degli adulti (insegnanti e genitori) del modo in cui affronta e risolve (o non risolve) i compiti di sviluppo posti dalla scuola, come anche il confronto con i risultati degli altri coetanei che la frequentano, consentono all’adolescente di verificare la propria capacità di
essere all’altezza del compito e di saper trovare strategie adeguate alla risoluzione delle difficoltà; ciò «incide sul processo di costruzione della
propria identità da parte dell’adolescente»2.
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Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 253.
Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 249.
Deve costruire un’immagine positiva di sé (frutto sia delle informazioni che riceve dagli altri sia di costruzione mentale del soggetto che riflette
su se stesso); è un obiettivo importante, perché in questo modo percepisce di avere delle qualità socialmente valorizzate e si rende conto di poter interagire positivamente con l’ambiente sociale in cui vive:
«L’immagine di sé elaborata nel quadro dell’esperienza scolastica si alimenta attraverso l’interazione prolungata con alcuni adulti significativi
(gli insegnanti) e il confronto con alcuni coetanei che mostrano di superare con maggiore o minore difficoltà i diversi problemi posti dalla scuola;
è rispetto a loro che il soggetto valuta i propri risultati»3.
Lo studente che sperimenta l’insuccesso e vede dalle prestazioni dei compagni che in realtà «i vari compiti sono oggettivamente superabili»,
«interiorizza progressivamente l’idea che il mancato superamento dipenda da propria incapacità o da limiti personali». L’insuccesso minaccia –
nella percezione che ne ha lo studente - di svalorizzare la propria identità. Per questo la scuola è l’esperienza sociale che più può condizionare la rappresentazione che l’adolescente costruisce di se stesso, ma anche le sue scelte e il suo progetto sul futuro, perché, «passando progressivamente da una presa di coscienza delle proprie risorse e dei propri limiti in termini di competenze e abilità (cioè del proprio saper fare),
ad un giudizio su di sé come persona», arriva a «definire chi è e chi potrà essere in futuro».
«L’esperienza scolastica continua a svolgere un ruolo importante anche dopo il periodo della formazione; la rappresentazione di sé che lo studente si è costruito in relazione al proprio percorso di studi costituisce una dimensione importante della sua identità.» 4
Ciò deve richiedere ai docenti grande equilibrio nel dosare rimproveri e incoraggiamenti, valutazioni tecniche oggettive delle prestazioni inadeguate e insufficienti ed espliciti riconoscimenti di progressi e componenti positive comunque presenti nella prestazione, perché l’adolescente
non recepisca come rivolti alla sua persona giudizi negativi, che ne svalutino l’autostima. Si rivelano più efficaci pacate osservazioni e suggerimenti operativi su specifici aspetti inadeguati della prestazione, che motivino a impegnarsi per potenziare competenze e capacità. Spesso invece il giudizio drastico sulle scarse o inesistenti possibilità di successo dello studente è inopportuno, ed è smentito nel tempo, perché il modificarsi di variabili significative come «la maturazione personale, il cambiamento delle motivazioni e degli interessi», o anche «modificazioni nello
stile di insegnamento, nelle relazioni con gli insegnanti», possono far variare anche radicalmente il rendimento.
Quando, con la conferma di una valutazione collegiale del Consiglio di classe, si riconosca la necessità di segnalare un riorientamento, per evitare di sottoporre l’adolescente a richieste eccessive e ad ulteriori frustrazioni, è opportuno che si cerchi un dialogo sereno e rispettoso con la
famiglia, a cui spetta comunque in ultima istanza la scelta. Debiti estivi e non promozioni sono sempre accompagnati da motivazioni analitiche,
da parte dei docenti, perché studenti e famiglie comprendano le finalità formative delle scelte del Consiglio di classe.
I compiti di sviluppo proposti dalla scuola sono – nella percezione che ne hanno gli adolescenti – i più impegnativi fra tutti quelli che devono affrontare nel loro processo di crescita. Le situazioni avvertite dagli studenti come più difficili da gestire sono raggruppabili in due ampie categorie:
1) difficoltà legate alle prestazioni scolastiche (competenze cognitive):
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Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 250-251.
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« a. difficoltà provenienti da fattori esterni al soggetto (per esempio, una lezione non chiara o la formulazione complessa di un quesito da parte dell’insegnante);
b. difficoltà connesse a circostanze particolari (come carichi di lavoro a casa o cumulo di interrogazioni in classe alla fine del quadrimestre);
c. difficoltà provenienti da situazioni percepite come minacciose o stressanti (per esempio compiti in classe non previsti o interrogazioni a
sorteggio).»
2) difficoltà «che mettono in gioco l’immagine di sé e le relazioni interpersonali» (competenze sociali), ovvero situazioni che
« a. comportano l’esposizione del soggetto alla valutazione da parte di altre persone, sia insegnanti che compagni (come ad esempio, le interrogazioni o la risoluzione di problemi alla lavagna);
b. fanno riferimento a conflitti interpersonali con compagni e docenti;
c. sono provocate dalla mancata comprensione o accettazione di regole sociali, scolastiche o espresse dal gruppo dei pari.» 5
Se le prime sono le più frequenti, sono le seconde che gli adolescenti avvertono come più gravi e problematiche sia da risolvere nel momento in
cui si presentano, sia per le conseguenze negative sullo sviluppo della personalità dello studente, che le interpreta come una minaccia
all’autostima, al punto da reagire adottando strategie di difesa della propria reputazione (nei confronti dei pari), anche creando situazioni nelle
quali costruirsi una reputazione positiva, «fondata su criteri di valutazione diversi da quelli scolastici».
Le due dimensioni cognitiva e sociale della situazione formativa e le relative difficoltà sono in realtà interrelate e si influenzano reciprocamente:
«le difficoltà di apprendimento possono … incidere negativamente sulla costruzione dell’autostima degli studenti e render problematici i loro
rapporti interpersonali; allo stesso modo difficoltà di relazione (con i genitori, con gli insegnanti, con i compagni) possono avere effetti negativi
sul rendimento scolastico.»6
La scuola risulta tendenzialmente più attenta a individuare e cercar di sanare (con interventi di sostegno o recupero) le difficoltà di ordine cognitivo; non sempre è altrettanto vigile nei confronti di problemi di ordine relazionale (spesso più difficili da individuare), a meno che non abbiano
ripercussioni vistose sulla disciplina.
Occorre acquisire una maggior attenzione allo sviluppo delle competenze sociali, esplicitamente messe a tema dai documenti programmatici
sulla formazione scolastica a livello non solo nazionale ma europeo, anche predisponendo appositi interventi educativi (si veda ad es. il corso
sulla mediazione dei conflitti per le classi quarte), per fornire agli adolescenti maggiori strumenti per far fronte ai compiti di sviluppo connessi
con l’esperienza scolastica. Se infatti lo studente vive una situazione problematica sul piano relazionale, «si trova a dover fronteggiare e supe-
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Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 252-253.
Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 253
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rare sia le difficoltà connesse alla prestazione scolastica, sia lo stress e il malessere che da questa situazione derivano» 7; rapporti interpersonali positivi – invece – sono di supporto alle difficoltà e ai disagi creati dagli insuccessi scolastici.
Il passaggio fra cicli di studio: l’inserimento nella secondaria superiore
Un impegnativo compito di sviluppo che l’adolescente si trova a dover affrontare all’inizio del corso liceale, come diretta conseguenza della
scelta scolastico-professionale compiuta al termine del primo ciclo di istruzione, è l’inserimento nella secondaria superiore. Un inserimento positivo è in grado di «facilitare il proseguimento dell’esperienza scolastica», mentre viceversa «un’esperienza problematica in fase di avvio» può
avere ripercussioni negative anche gravi fino a «compromettere in alcuni casi l’andamento dell’intera esperienza scolastica» 8.
«Di fatto le difficoltà connesse alla fase di transizione sono comuni a tutti gli indirizzi scolastici superiori e non strettamente dipendenti dalla correttezza della scelta effettuata. Lo studente, infatti, deve spendere notevoli energie per imparare ad ambientarsi, cioè a muoversi e a dominare
cognitivamente lo spazio nuovo in cui si inserisce, che si mostra più complesso rispetto a quello corrispondente nella precedente situazione
scolastica. All’adolescente del primo anno della scuola superiore è richiesto di gestire in modo adeguato il rapporto con i nuovi compagni e soprattutto con i nuovi insegnanti; nei confronti di questi ultimi egli deve spesso modificare lo stile di relazione collaudato con i docenti della scuola
dell’obbligo. Il numero degli insegnanti aumenta … e lo sforzo dello studente per differenziare le strategie di comportamento in funzione delle
richieste rivoltegli cresce proporzionalmente. La capacità di rispondere in modo differenziato alle diverse richieste che gli vengono rivolte dagli
insegnanti viene considerata dallo studente determinante per mostrarsi all’altezza della situazione e sperare di affrontarla positivamente. Ma
l’impegno di modulare la presentazione di sé sulla base di quelle che l’adolescente ritiene siano le aspettative degli insegnanti gli pone dei seri
interrogativi a proposito della propria identità e della propria coerenza.»9
Che strategie può attivare la scuola per supportare l’adolescente in modo che possa superare il compito con successo?
Dal momento che «l’inserimento nel nuovo contesto scolastico pone all’adolescente il problema di comprendere le regole di funzionamento e di
sviluppo del sistema organizzativo di cui è entrato a far parte», il primo compito della scuola consiste nel «rendere esplicite le proprie finalità»
e «rendere comprensibili allo studente le proprie richieste»; diversamente dovrà compiere tale scoperta «con tentativi ripetuti del tipo prova ed
errore», sprecando tempo ed energie, con risultati di scarsa efficacia.
I fattori che rendono problematica la transizione dal primo al secondo ciclo, dei quali i docenti devono essere consapevoli per attivare opportune
strategie, riguardano «un insieme di aspetti didattico metodologici (quali lo stile di insegnamento, il metodo di studio, il carico di lavoro che lo
studente deve sopportare, il numero delle materie previste, ecc.)» strettamente connessi però agli «aspetti relazionali e di comunicazione, soprattutto nei confronti degli insegnanti.» Un terzo fattore che entra in gioco, la «noia», il disinteresse, la scarsa concentrazione, le continue di7
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Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 254.
Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 248.
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strazioni e le chiacchiere, percepiti dai docenti come mancanza di motivazione, sono spesso giustificati dagli studenti attribuendo agli insegnanti
la responsabilità di non essere capaci di mantenere desta la loro attenzione. La motivazione, in realtà non è solo una condizione soggettiva dipendente dalla storia scolastica e dalla personalità dello studente; la spinta alla partecipazione, all’interesse, all’impegno è indotta anche in maniera rilevante dal clima delle relazioni interpersonali che si riesce a favorire nella classe.
La Scuola affronta questi problemi attuando un apposito progetto di accoglienza degli studenti delle classi prime (LINK). L’esigenza di
un’attenzione specifica a favorire la transizione si verifica anche il terzo anno, nel passaggio dal primo al secondo biennio, per i cospicui cambiamenti nelle materie, nei docenti, nei metodi e nelle richieste, che devono essere adeguatamente esplicitati e motivati agli studenti, prospettando loro il percorso triennale orientato all’acquisizione delle competenze richieste in uscita e verificate nel corso degli Esami di Stato.
Anche l’esplicita attenzione dedicata negli ultimi due anni di Liceo all’orientamento universitario, perché gli adolescenti affrontino con consapevolezza la scelta del proseguimento degli studi è finalizzata a favorire il positivo superamento del nuovo compito di sviluppo che dovranno affrontare con l’inserimento nell’Università.
Bibliografia:
 Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 245262.
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Maria Luisa Pombeni, L’adolescente e la scuola, in A. Palmonari (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 258.
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