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DAN PERJOVSCHI - Ruin Politics
9 novembre – 8 dicembre 2012
Opening venerdì 9 novembre ore 18.30. Sarà presente l’artista con una performance
Palazzo Madama, Corte Medievale
Piazza Castello – Torino
Nel contesto del progetto It's Not the End of the World Artissima ha invitato l'artista rumeno Dan Perjovschi
a realizzare un intervento site-specific, a cura di Sarah Cosulich Canarutto, in uno dei palazzi simbolo della
città di Torino. Palazzo Madama, già sede del Senato del regno sabaudo e oggi sede del Museo Civico di Arte
Antica, rappresenta il centrum della città, ed è quindi lo spazio ideale dove ospitare un artista che fonda la
sua ricerca sulla riflessione critica sulla società.
Dan Perjovschi presenta una nuova serie di disegni realizzati direttamente sul pavimento della Corte
Medioevale di Palazzo Madama, uno spazio fortemente connotato dalla presenza di rovine d’epoca romana.
Proprio l’idea di rovina diviene punto di partenza per un’analisi dell’artista sulla società contemporanea,
spaziando da problematiche globali a questioni specificatamente europee per arrivare a toccare l’Italia con le
sue realtà e contrasti.
Perjovschi utilizza infatti il disegno per raccontare con pungente ironia e irriverente spontaneità meccanismi,
strutture e paradossi del mondo attuale. Attraverso immagini rapidamente abbozzate che richiamano la
tradizione della vignetta satirica, l’artista costruisce una sorta di viaggio tra i conflitti dell’uomo
contemporaneo. Dall’economia alla politica, dalla religione al mondo dell’arte, dal provincialismo alla
globalizzazione, i disegni dell’artista hanno la capacità di coinvolgere lo spettatore e a sottoporlo, attraverso
taglienti provocazioni, a costanti dubbi e interrogativi. Dal confronto tra storia e presente, individuo e
collettività, identità e appartenenza, l’opera di Perjovschi sottolinea stereotipi e contraddizioni del nostro
presente.
L’affascinante contesto della Corte Medievale di Palazzo Madama crea un dialogo inaspettato tra il lavoro
dell’artista e il passato e offre al visitatore ulteriore punto di partenza nell’interpretazione del messaggio. La
scelta di questo edificio storico, così importante per la città, deriva anche dalla volontà di coinvolgimento di
un pubblico non esclusivamente legato all’arte contemporanea, che nell’installazione di Perjovschi può
trovare interessanti e stimolanti spunti di riflessione.
Biografia Dan Perjovschi
Dan Perjovschi (Sibiu, Romania, 1961) vive e lavora a Bucarest. Tra le mostre personali di Perjovschi si
segnalano il Padiglione Rumeno alla Biennale di Venezia del 1999. Nel 2005 al Museo Ludwig di Colonia, nel
2006 l’esposizione alla Tate Modern di Londra e a Portikus di Francorforte. Al MOMA di New York e alla
Kunsthalle di Basilea nel 2007 e al Wiels Center for Contemporary Art di Bruxelles nel 2008, mentre nel 2009
è invitato dal Museum of Contemporary Art Kiasma di Helsinki, dal Vanabbesmuseum di Eindhoven in Olanda
e dalla Salzburger Kunstverein di Salisburgo. Nel 2010 Perjovschi lavora al San Francisco Art Institute e al
Royal Ontario Museum di Toronto. Tra le mostre collettive si segnalano le partecipazioni alle Biennali di
Istanbul, di Bucarest, di Siviglia nel 2006, alla Biennale di Venezia nel 2007, a quella di Mosca nel 2007 e
nuovamente nel 2010, alla Biennale di Sydney nel 2008 e a quella di Lione nel 2010. In Italia ha esposto nel
2008 a Palazzo Strozzi a Firenze in Arte, Prezzo e Valore, presso il MART di Rovereto all'interno di Eurasia e
al Centro d'Arte Contemporanea di Villa Manin a Udine. Nel 2009 è al Castello di Rivoli Museo d'Arte
Contemporanea nell'ambito della mostra What Is to Be Done?. Dan Perjovschi ha vinto nel 2004 il George
Maciunas Award.
PAOLA PIVI - Tulkus 1880 to 2018
9 novembre 2012 – 6 gennaio 2013
Opening venerdì 9 novembre ore 10.00
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Piazza Mafalda di Savoia - Rivoli (TO)
Negli ultimi decenni l’interesse dell’arte contemporanea nei confronti delle immagini buddiste è cresciuto in
modo esponenziale. Dal fascino esotico del simbolismo iconografico buddista passando per approcci più
concettuali e filosofici, fino agli interessi più superficiali e di mercato, gli artisti hanno dovuto affrontare
questa pratica filosofica e religiosa e l’hanno usata per trasformare le immagini in qualcosa d’altro: le loro
opere d’arte. L’approccio di Paola Pivi a questo mondo di simbolismo filosofico e religioso segue una
traiettoria nettamente diversa e peculiare. Nel suo progetto Tulkus 1880 to 2018, a cura di Davide Trapezi,
l’artista ribalta l’approccio convenzionale al mondo buddista “straniero” creando una serie completa di opere
dove la presenza dell’artista viene come distillata e resa effimera in vere e proprie “opere d’arte senza arte”.
È come se l’artista avesse apprezzato la grandezza del soggetto, ricercando e raccogliendo la
“manifestazione” del suo viaggio artistico e lasciando che si esprimesse per quello che è, senza far nulla o
aggiungere, togliere o mutare il significato originario di queste immagini. I ritratti dei tulku tibetani
(considerati reincarnazioni dei maestri) che hanno attirato l’attenzione di Paola Pivi fanno parte della grande
numero di immagini religiose comuni a tutte le zone buddiste tibetane e alle aree dove il buddismo tibetano
è presente.
Il progetto Tulkus 1880 to 2018 vuole essere una summa di fotografie di tutti i tulku del mondo, dall’inizio
della fotografia a oggi. Si tratta di un lavoro colossale che ha visto un team di esperti internazionali al lavoro
per tre anni raccogliendo, cercando e catalogando migliaia di immagini nel mondo. Si tratta del primo
tentativo di censimento esaustivo dei tulku di tutte le scuole buddiste tibetane, condotto fin nelle aree
geografiche più estreme. Inoltre, è da ritenersi un’impresa unica e senza precedenti, che lega la ricerca
accademica al mondo dell’arte contemporanea nell’organizzazione e presentazione consequenziale di queste
immagini in un contesto di arte contemporanea. La raccolta sta avvenendo in tutto il mondo, con immagini
trovate in templi, musei, archivi, studi, ecc., ma anche prese in prestito da privati, scansionate e restituite, o
scattate da fotografi professionisti in templi o circostanze private. Queste immagini raccontano la diaspora
tibetana, descritta in un apparentemente caotico sistema visivo dove le immagini dei tulku parlano con lo
stesso potere di spiritualità al di là di passato, presente e futuro.
Paola Pivi mette assieme migliaia di immagini per creare una lettura visiva di questi esseri potenti, ma anche
- attraverso i sottili dettagli delle fotografie: particolari architettonici, decorazione di troni, oggetti religiosi,
oggetti comuni, abiti, posture, espressioni facciali, sguardi o linguaggio del corpo — creando una narrativa
dinamica e non convenzionale della storia della cultura tibetana. Al centro delle fotografie verrà anche
esposto uno straordinario e antico thangka tibetano attentamente selezionato che rappresenta un
importante tulku con il suo lignaggio: un simbolo del legame diretto di queste fotografie con l’antica
tradizione artistica dei ritratti dei tulku tibetani sacri, un memento della tradizione originale dello sguardo
misericordioso.
La mostra al Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea sarà composta da circa 1000 ritratti di tulku. Il
progetto verrà poi sviluppato in mostre successive in altre istituzioni internazionali per i prossimi anni fino al
suo completamento finale che comporta un obiettivo di oltre 1500 ritratti. La mostra seguente sarà allestita
nel 2013 al Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam.
Biografia Paola Pivi
Paola Pivi è nata a Milano nel 1971. Vive e lavora ad Anchorage, Alaska (USA). Si è imposta rapidamente sulla scena
internazionale con opere di grande impatto, a volte strabilianti nella loro semplicità. Ha ricevuto il Leone d’Oro alla
Biennale di Venezia nel 1999 per la miglior partecipazione nazionale al Padiglione Italia, assieme a Monica Bonvicini,
Bruna Esposito, Luisa Lambri e Grazia Toderi. Ha esposto presso importanti musei e gallerie, fra cui: Musée d’Art
Moderne de la Ville de Paris (1999), P.S.1 MoMA, New York (2000, 2001, 2003, 2007), MACRO, Roma (2003, 2010), CCA
Wattis Institute for Contemporary Arts, San Francisco (2005), White Columns, New York (2005), Kunsthalle Basel,
Basilea (2007), Palazzo Grassi, Venezia (2008), Tate Modern, Londra (2009), e Rockbund Art Museum, Shanghai (2012).
Ha partecipato a progetti di arte pubblica a Rotterdam nel 2010-2011 con Sculpture International Rotterdam e a New
York nel 2012 con Public Art Fund. Le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni permanenti fra cui quella del
Guggenheim Museum di New York, del Centre Pompidou a Parigi, del Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea e
della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino e del MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo a Roma.
VALERY KOSHLYAKOV - Homeless Paradise
9 novembre 2012 - 6 gennaio 2013
Opening sabato 10 novembre ore 10.00
GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Via Magenta 31 - Torino
In occasione del progetto It’s not the end of the world, la GAM presenta Homeless Paradise, un’installazione
site specific di Valery Koshlyakov, a cura di Gregorio Mazzonis e Anna Musini, allestita negli spazi di ingresso
al museo. Più precisamente si tratta di un secondo e nuovo accesso temporaneo, un piccolo insediamento
che si sviluppa sopra e sotto la pensilina all’entrata della GAM creando un collegamento ideale tra realtà
civile e mondo dell’arte. Con realismo e poesia Koshlyakov invita il visitatore in una città immaginaria, un
rifugio abitativo che gli uomini arrangiano per la loro sopravvivenza, come un’Arca di Noè, fatta di materiali
semplici e poveri. Un accampamento che sembra essere sorto spontaneamente, registrando il ricordo di
esperienze vissute, di un vagabondare randagio, di una condizione nomade. Il lavoro di Koshlyakov si adatta
e si permea di volta in volta sui luoghi in cui sorge: alla fase progettuale costituita da numerosi disegni e
bozze, l’artista affianca una meticolosa ricerca legata ai materiali - spesso elementi di recupero quali cartone,
ferro, legno, plastica, nastro adesivo - con i quali realizza sculture magniloquenti. Il senso di precarietà e di
provvisorietà che le opere suggeriscono stride con un’iconografia che affonda le radici nella memoria dei
monumenti classici e moderni della tradizione artistica europea. La bellezza delle vestigia del passato è
riproposta attraverso materiali essenziali che sembrano delle rovine immaginarie, reperti archeologici utopici
collocati in uno spazio-temporale indefinito. Oltre all’evidente riscoperta dell’arte antica, classica e moderna,
nel lavoro di Koshlyakov predomina il riferimento al costruttivismo russo, al suprematismo di Kazimir
Malevich così come ai disegni e ai progetti architettonici di Laszlo Moholy Nagy, El Lissitzky, Antonio Sant’Elia
e di Kurt Schwitters, in un’oscillazione tra passato e futuro, realtà e fantasia, rigore geometrico e casualità.
Biografia Valery Koshlyakov
Nato a Salsk in Russia nel 1962, vive e lavora tra Mosca e Parigi. Dal 1981 al 1985 compie gli studi artistici
presso la Rostov-on-Don Higher Art School e dal 1987 entra a fare parte del gruppo Art or Death costituito
da giovani artisti attivi tra il 1981 e il 1991 nella regione di Rostov-on-Don e ottiene subito grande successo
in reazione alla crisi che la cultura Sovietica stava attraversando in quegli anni. Gli esponenti del gruppo sono
oggi considerati tra i più importanti artisti russi sulla scena contemporanea e nel 2009 si è tenuta una
retrospettiva presso lo State Museum of Modern Art of the Russian Academy of Arts come progetto speciale
all’interno della Terza Biennale di Arte Contemporanea di Mosca (Third Moscow Biennale of Contemporary
Art). Valery Koshlyakov ha partecipato a grandi mostre internazionali quali Bienal de Sao Paulo,
Iconographias Metropolitanas, Sao Paulo, Brazil (2002), Il ritorno dell’artista, Venezia, 50 Esposizione
Internazionale Biennale d’Arte, Russian Pavilion (2003), Moscow-Berlin/Berlin-Moscow 1950-2000, Berlin,
Martin-Gropius-Bau; Moscow, State Historical Museum (2004), Russia!, New York, Solomon R. Guggenheim
Museum (2005), Bilbao (2006), Sots Art. Art Politique en Russie de 1972 à aujourd’hui, Paris, la Maison
Rouge (2007), Russian Povera, Perm, River Station Hall (2008), Counterpoint, Contemporary Russian Art,
Paris, Musée du Louvre, (2010-2011), In an Absolut Disorder. Russian Contemporary Art, Barcelona, Arts
Santa Monica, (2012). Tra le mostre personali più recenti vi sono: Iconuses. Choice of Scale, Moscow,
National Museum of Architecture (2001), Paysage, lieu de vie, Paris, Mairie de Paris, Hôtel d’Albret (2004),
Valery Koshlyakov, Roma, MACRO, Museo d’Arte Contemporanea Roma (2005), Iconuses. Dressing the
Space, St. Petersburg, The State Russian Museum (2005), Golden Age, Baden- Baden Kunstverein (2007),
Sarcophagus, Krasnoyarsk, Russia, Museum of Lenin (2008), Sarcophagus, Krasnoyarsk, Russia, Museum of
Lenin (2008), Valery Koshlyakov, Roma, Fondazione Volume, (2009).
ZENA EL KHALIL - Beirut, I Love You - A Work in Progress
9 novembre 2012 – 6 gennaio 2013
Opening sabato 10 novembre ore 12.00
Fondazione Merz
Via Limone 24 - Torino
La Fondazione Merz presenta la video installazione Beirut, I Love You - A Work in Progress dell’artista Zena
el Khalil, parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s not the end of the world.
Il lavoro nasce dalla collaborazione tra l’artista e il regista Gigi Roccati ed è realizzato intorno ai temi e ai
personaggi di un film lungometraggio ancora da realizzare ispirato all'omonimo romanzo e memoir
pubblicato da Zena el Khalil nel 2008; ne svela il processo creativo mediante una messa in scena ed
attraverso immagini documentarie, memorie personali e familiari.
Il video racconta una storia universale di amore tra due grandi amiche, ambientata sulla linea dei conflitti
globali, nel crepuscolo del secondo millennio; è un atto di resistenza che rivendica la bellezza contro la
costante minaccia della guerra. Con questo progetto Zena el Khalil mira a rompere gli stereotipi, costruendo
metaforici ponti tra Oriente e Occidente.
Durante l'invasione israeliana del Libano nel 2006, Zena el Khalil iniziò a tenere un blog;
beirutupdate.blogspot.com. Nel suo blog, Zena scriveva un resoconto quotidiano della vita sotto le bombe e
la stampa internazionale presto la definì la Anna Frank del Libano. Zena fu uno dei primi blogger molto
seguiti del Medio Oriente, quasi ad anticipare quello che sarebbe più tardi divenuto il citizen journalism, e
l'uso di internet nella primavera araba. Nel suo blog Zena non raccontava solo dell'invasione, ma anche della
sua famiglia e della sua migliore amica Maya, alla quale era stato recentemente diagnosticato un cancro. "La
prima notte in cui sono cadute le bombe ho iniziato un blog. Se dovevamo morire di una morte senza senso,
volevo assicurarmi che il mondo intero sapesse come e perché. Non volevo che diventassimo un altro
numero... un'altra statistica senza nome. Ho scritto tutti i giorni e proprio come Sharazade, credevo che
condividere le nostre storie potesse tenerci in vita." Dopo molte pressioni internazionali l'invasione si
concluse, ma poche settimane dopo Maya perse la sua battaglia contro il cancro. Come processo di
guarigione, Zena ha continuato a scrivere e due anni dopo è nato il libro di memorie dal titolo "Beirut, I Love
You". Da allora, el Khalil ha iniziato la collaborazione con il regista italiano Gigi Roccati, per adattare il suo
libro in un film lungometraggio. In questo processo, i due hanno partecipato a numerosi laboratori
internazionali di scrittura, vincendo tutti e tre i premi di produzione del prestigioso TFL - Torino Film Lab
Framework Awards, e aggiudicandosi anche il sostegno del Fondo Europeo allo sviluppo cinema di MEDIA.
Biografia Zena el Khalil
Zena el Khalil è nata a Londra il 27 aprile 1976, vive a Beirut. Artista visiva, scrittrice e attivista culturale,
lavora con una varietà di formati che vanno dalla pittura all'installazione alla performance, dalla tecnica mista
al collage, alla scrittura. I temi centrali del suo lavoro includono la questione della violenza e quella della
sessualità, utilizzando materiali trovati nella sua città, Beirut. Immagini fotocopiate di miliziani e donne, di
civili e familiari sono impreziositi da fiori di plastica, glitter e brillantina, stringhe di luci, keffiyehs colorate,
soldatini di plastica, AK-47 giocattolo, arabeschi, perline, tessuti e altri oggetti che possono meglio
trasmettere la diversità e il caos della sua città musa e fonte d'ispirazione.El Khalil ha esposto a livello
internazionale a New York, San Francisco, Miami, Londra, Parigi, Tokyo e Dubai. Con mostre personali a
Lagos, Londra, Monaco, Torino e Beirut. Il suo lavoro è stato anche esibito presso istituzioni come il Mori Art
Museum, in Giappone; Institute du Monde Arabe, Parigi, la Fondazione Boghossian, Bruxelles, il Royal
College of Art, Londra, la National Gallery di Bosnia ed Erzegovina, Sarajevo; la Barajeel Art Foundation,
Emirati Arabi Uniti, l'Institut für Auslandsbeziehungen, Berlino, White Box, Monaco di Baviera e la Fondazione
Merz di Torino.
RAGNAR KJARTANSSON - The End–Venezia, 2009
9 novembre – 6 gennaio 2013
Opening sabato 10 novembre ore 11.00
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Via Modane 16 - Torino
L’opera di Ragnar Kjartasson è basata su una singolare commistione tra arte visiva, musica e teatro.
Costruite attorno a innumerevoli suggestioni e influenze, dai miti tradizionali islandesi alla musica lirica alla
cultura popolare contemporanea, le sue performance sono tipicamente strutturate sulla ripetizione ad
infinitum di un’unica formula, che si tratti di un gesto, una parola, un’aria musicale o un’immagine pittorica.
Questo dispositivo dà vita ad opere in cui durata e resistenza hanno un ruolo fondamentale, nella più
classica tradizione della performance e body art, ma non manca il riferimento alla pratica estenuante delle
prove teatrali, che Kjartansson conosce da vicino, essendo cresciuto in una famiglia di attori. Il gusto per la
teatralità, la messa in scena e la recitazione sono caratteristiche del suo lavoro, di cui l’artista è sempre
protagonista nelle vesti di diversi personaggi, dal cavaliere alla rock star, dal rivoluzionario all’incarnazione
della Morte. Ciò che accomuna questi personaggi è il carattere di eroe romantico, malinconico e
appassionato insieme, preso in un vortice di sensazioni struggenti. Kjartansson ritrae questa figura con un
misto di partecipazione e distacco, dramma e ironia, un atteggiamento ambivalente che caratterizza anche le
reazioni del pubblico di fronte alle sue opere.
The End. Venezia, 2009, l’opera in mostra, è il frutto di una delle sue opere più ambiziose, realizzata per la
53° Biennale di Venezia, in cui Kjartansson ha rappresentato l’Islanda. In un periodo in cui il suo Paese era al
centro di un tracollo economico e finanziario senza precedenti, l’artista ha dato vita a un personaggio
decadente, privo di futuro, che trova in Venezia la città ideale per godere appieno della propria dolcissima
fine. Per tutta la durata della Biennale, sei lunghi mesi, Kjartansson ha vissuto i panni di un pittore
bohémien, che nel proprio studio sul Canal Grande passava il tempo dipingendo, giorno dopo giorno, il
ritratto dello stesso giovane modello. Questi, interpretato dall’amico e artista Páll Haukur Björnsson,
indossava solo un costume da bagno Speedo (e un accappatoio azzurro nei momenti di pausa), e si aggirava
languido nello spazio dello studio, fumando sigarette, bevendo birra, ascoltando musica e posando per
l’artista. Per i visitatori della Biennale che capitavano lì, la scena offriva un’esperienza surreale, in cui era
difficile distinguere tra realtà e rappresentazione. Kjartansson e Bjornsson facevano quello che ci si aspetta
da due amici artisti: bere, fumare, chiacchierare e produrre arte, ma il tutto era proposto in modo da
enfatizzarne il carattere di clichè, di ironica messa in scena. Giorno dopo giorno i quadri realizzati si
accumulavano nello spazio, insieme ai mozziconi e alle bottiglie vuote, in una processualità che per l’artista
era rilevante anche rispetto alle mutevoli caratteristiche del pubblico. Se infatti all’inizio il lavoro doveva
apparire più come “lo scherzo di un fannullone” a vantaggio degli addetti ai lavori che affollano i giorni
dell’inaugurazione, col tempo è diventato un vero spazio di creazione, frutto di un serio impegno esposto allo
sguardo della gente normale in visita. I 144 dipinti che compongono The End. Venezia sono la traccia fisica e
il documento artistico di questa esperienza. L’installazione ha l’aspetto di un’antica quadreria, in cui i muri
sono tappezzati di dipinti dal pavimento al soffitto, a sottolineare il carattere di maniacale accumulazione e
ossessiva ripetizione del medesimo soggetto, benché le scelte formali siano le più varie, dal realismo
dettagliato all’abbozzo quasi astratto, passando per innumerevoli citazioni di stili ben noti. Nel suo complesso
l’opera restituisce la performance con la nostalgica malinconia e l’esuberante passionalità che è la cifra
dell’artista. In occasione di questa nuova esposizione dell’opera Kjartansson offrirà al pubblico la possibilità di
conoscere un’altra fondamentale dimensione della sua identità, quella di musicista professionista. In Islanda
è infatti celebre come rockstar e ha fatto parte di molti complessi tra cui i Trabant, band di synth rock. A
Torino Kjartansson proporrà un concerto eccezionale, mettendo insieme una Superband costituita da alcuni
tra i più celebri musicisti della scena islandese, componenti di vari gruppi tra cui Sigur Ròs, Trabant, e Múm.
Biografia Ragnar Kjartansson
Nato nel 1976 a Reykjavík, Islanda. Vive e lavora a Reykjavík. Il lavoro di Ragnar Kjartansson ha ricevuto grande riconoscimento
internazionale ed è stato presentato in mostre personali e collettive in gallerie, musei e biennali. Nel 2012 il Migros Museum di
Zurigo gli ha dedicato la sua prima personale in Svizzera. Nel 2011 il suo progetto per Performa a New York, Bliss, una performance
musicale dal vivo della durata di 12 ore, ha vinto il premio Malcolm McLaren. Sempre nel 2011 il Carnegie Museum of Art ha
organizzato una personale, Song, ospitata in seguito dal Museum of Contemporary Art di North Miami e dall’ICA di Boston, e la
Frankfurter Kunstverein ha presentato la sua prima grande retrospettiva in Europa, Ragnar Kjartansson: Endless Longing, Eternal
Return. Nel 2009 ha rappresentato l’Islanda alla Biennale di Venezia. Kjartansson ha partecipato alla Triennale di Torino (2008), a
Manifesta 8 (2008) e numerose edizioni del Reykjavik Arts Festival (2012, 2008, 2005, 2004). Saggi e recensioni sul suo lavoro sono
state pubblicati da Artforum, Art in America, ArtReview, Frieze, Modern Painters, e The New York Times.