Il lancia-torpedini Bettica
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Il lancia-torpedini Bettica
45 Il lancia-torpedini Bettica ITALO CATI F ilo spinato, reticolati, ostacoli di ogni genere, squallida e snervante vita di trincea, irrigidimento delle linee contrapposte. A questo si era arrivati in modo progressivo dopo le prime battaglie della Grande Guerra. Su tutti i fronti, e in particolare su quello italiano, le armate di Cadorna durante le prime offensive isontine si erano trovate al cospetto di un nemico ben trincerato che poteva battere con fuoco di mitragliatrici dall’alto delle quote carsiche le truppe in avanzata, che inevitabilmente si trovavano avviluppate da un groviglio di ostacoli artificiali frenandone lo slancio con conseguenti perdite Descrizione 1. Coda 3. Maschio 5. Zoccolo 2. Vitone a galletto 4. Testa cilindrica 46 Carichette aggiuntive 1. Barra della carichetta aggiuntiva 2. Carichetta aggiuntiva 3. Carica di spinta 4. Barra della carica di spinta non indifferenti di materiale umano. Per ovviare a tale situazione, vennero impiegati dei nuclei di ardimentosi facenti parte delle cosiddette “Compagnie della Morte” composte di volontari, che protetti dalle corazze Farina e muniti di pinze e cesoie tagliafili, attaccavano con generoso sprezzo del pericolo i reticolati Austro-ungarici aprendo in essi dei varchi permettendo alla fanteria in attacco di insinuarvisi e di conseguenza impegnarsi per la conquista della postazione contrapposta. Anche i militari “arditi” dei reparti d’assalto avevano in organico dei nuclei di specialisti tagliafili, che però una volta aperti i passaggi effettuavano direttamente dei colpi di mano contro obiettivi già individuati e mirati in partenza. Tutte queste azioni molto pericolose procuravano non poche perdite agli organici di questi particolari nuclei, assottigliandone non poco le schiere. Occorreva trovare altri mezzi idonei allo scopo senza rischiare di più la vita di valorosi combattenti. Nasceva così a fattor comune su tutti i fronti europei la così detta “artiglieria da trincea” che aveva lo scopo con le sue armi a tiro curvo, effettuato da posizioni fisse di prima linea, di agire direttamente con successo contro fortificazioni e contro il famigerato binomio reticolato-mitragliatrice, a cui poco poteva il tiro teso delle artiglierie a grande gittata. Va detto che già da alcuni anni precedenti all’inizio del conflitto, i tede- 47 Descrizione della torpedine 1. Anima 2. Miccia di innescamento 3. Miccia di accensione 4. Innesco 5. Esplosivo 6. Tappo di legno schi, con largo intuito avevano previsto tale impiego, ed erano provvisti di minenwerfer da 17 cm di cui fornirono anche i loro alleati Austro-ungarici, che con successo le usavano contro le postazioni italiane. Per ovviare a tale problema, lo Stato Maggiore del Generale Cadorna nel 1916 approvvigionò la nascente specialità dei “bombardieri” con una serie di armi di produzione nazionale, come i vari lanciabombe e mortai Minucciani, Torretta, Carcano, Ansaldo e infine l’insolito, ma molto efficace, lanciatorpedini studiato e messo a punto dal capitano del Genio Alberto BETTICA di Torino. Questa particolare arma conteneva in sé tutti gli elementi per il tiro che dovevano essere adoperati in operazioni normalmente eseguite con le armi da fuoco ordinarie e che, per cause “emozionali”, durante il combattimento alle brevi distanze non potevano essere accuratamente svolte. Altre caratteristiche erano: - Piccolo peso, piccolo volume, facile assemblamento, costo limitato grazie ai materiali con cui l’arma veniva costruita, facilmente trovabili in commercio; - Notevole facilità nel tiro (otto colpi al minuto circa); - Gittata massima ed effetto schegge di 150 metri, con tiro eseguito con proiettili di peso uguale. Essendo i lancia-torpedini delle armi molto versatili, non abbisognavano di appostamenti speciali per il tiro e venivano inquadrati a sezioni nel numero di tre per reggimento di fanteria e a sezione unica nelle compagnie Arditi, con il compito di precederli e seguirli durante le azioni offensive essendo tali armi facilmente trasportabili (peso 19 kg) in quanto munite di passanti per il fissaggio delle cinghie di trasporto a mo’ di zaino. 48 DESCRIZIONE DELL’ARMA La struttura molto particolare, era composta da uno zoccolo di appoggio fatto di legno molto forte, che comprendeva una testa semicilindrica ferrata, su cui appoggiava e si muoveva il maschio, unitamente alla sua piastra ed al settore di elevazione. La coda veniva fermata a terra durante il tiro da sacchetti a terra, il maschio di acciaio era imperniato al centro della testa semicilindrica in modo da poter ruotare in un settore di elevazione di 40° circa. Tale movimento era frenato da un settore di elevazione fissato per mezzo di un vitone a galletto. DESCRIZIONE DELLA TORPEDINE Era costituita da un tubo di ferro il cui interno veniva diviso in due parti da un tappo fermato al tubo per mezzo di una strozzatura. L’anima, che veniva “investita” sul maschio al momento dello sparo, conteneva la carica di spinta, Dati sugli effetti ottenuti 1. Linea serventi portamunizioni e tiratori 2. Zona colpita da schegge 3. Linea trincee nemiche 4. Zona colpita con effetti di distruzione 5. Linea dei pezzi 6. Linea serventi portamunizioni (di rincalzo) 7. Zona ricoperta da schegge XX.XX. Linea dei reticolati 49 compressa contro il tappo da una barra. L’anima aveva due fori diametralmente opposti, uno per il passaggio della miccia di accensione, l’altro per l’accensione della miccia di innescamento. L’interno della torpedine conteneva la carica di scoppio costituita da esplosivo dirompente, compresso contro il tappo, sul quale, per impedire i contatti con la vampa della carica di spinta, veniva preventivamente disposta a forzamento una rosetta di piombo ed un cuscinetto di paraffina. La miccia d’innescamento faceva capo all’innesto, il quale era fissato nell’interno della carica di scoppio. All’esterno del tubo, le micce erano protette da una fasciatura di fettuccia. L’anima delle torpedini e la miccia di accensione venivano protette da un cappuccio di carta paraffinata. Le casse porta munizioni contenevano otto ordigni, l’accenditore della miccia e uno straccio per la pulizia. CARICHETTE AGGIUNTIVE Il potenziamento della gittata poteva essere aumentato per mezzo di carichette aggiuntive costituite da un pacchetto di 10 grammi di polvere nera che, incollate ad una barra collocata nella torpedine, faceva si che la stessa barra venisse a risultare a contatto con il maschio allorché vi era la “calzatura” sull’arma. Particolare da non trascurare era l’assicurarsi che le carichette fossero a contatto con la carica di spinta delle torpedini. ESECUZIONE DEL TIRO Ripari di fortuna in prima linea e anfratti del terreno risultavano ottimi per il posizionamento dell’arma in vista dell’esecuzione del tiro. Pochi sacchetti a terra servivano a proteggere il tiratore e le munizioni dalla vampa. Il tiro veniva eseguito in maniera molto semplice e senza nessuna indicazione speciale, bastava investire la torpedine sul maschio e provocare l’accensione della miccia. Lo zoccolo di appoggio che veniva fermato a terra con materiale di fortuna, dava l’elevazione sostenendo e dirigendo la torpedine al momento dello sparo. Essendo la rapidità del tiro maggiore di quella di rifornimento delle munizioni, occorreva preparare un numero di colpi sufficientemente congruo al caso, in base allo scopo che si voleva conseguire. La gittata poteva essere au- 50 mentata o diminuita variando l’elevazione, eseguendo il tiro più o meno curvo. INCIDENTI DI TIRO Le torpedini, generalmente, erano collaudate prima di essere incassate, tuttavia venivano ricontrollate prima del tiro ed eventualmente scartate se stentavano ad essere investite sul maschio. Altri inconvenienti potevano essere: - Mancata accensione della carica di spinta, causa il deterioramento della miccia. - Colpo corto o scoppio prematuro, causato da una falla nel metallo dell’arma. DATI SUGLI EFFETTI OTTENUTI Un lancia-torpedini, servito da personale provetto, poteva sparare 60 colpi in otto minuti circa. Ogni proietto scoppiando, come già detto in precedenza, esercitava un’azione distruttiva per un raggio di due metri circa, con effetto schegge di 150 metri. Si aveva, così, per ogni colpo una zona di efficacia di 10 metri quadrati e, un tiro sistematico e preciso in una rosa di 10 metri di diametro, complessivamente una zona di 150 metri quadrati dopo aver ricevuto 60 colpi risultava annientata in tutti i suoi obiettivi. Rapportando questi dati su tre sezioni inquadrate una per ogni battaglione per reggimento di fanteria, si aveva un totale di 18 armi che, poste a 10 metri una dall’altra ed avendo ognuna di esse una dotazione di 64 colpi sortiva i seguenti effetti: - Una striscia di 200 metri di lunghezza, profonda 14, che veniva colpita in otto minuti da 1152 torpedini, equivalenti a 3 tonnellate di ferro e 1000 kg di esplosivo, rappresentava 2800 metri quadrati su cui si esercitava, compenetrandovi, l’azione distruttiva; inoltre, vi era una zona lunga 500 metri quadrati e profonda 300 coperta di schegge. Come visto, l’effetto era veramente devastante e molto efficace, tuttavia queste armi furono ingiustamente non molto valorizzate: furono avvicendate progressivamente a partire dal 1917, sia dal lanciabombe francese Stokes, sia dalle bombarde, sempre di tipo francese, da 58 mm A e B e da 240 mm nei modelli corto e lungo, nonché dalle potentissime 340 e 400 mm.