i dibattiti di Putney

Transcript

i dibattiti di Putney
7
IL DIRITTO DI VOTO. I DIBATTITI DI PUTNEY, 29 OTTOBRE 1647
[Viene letto il documento detto il Patto. Poi si rilegge staccato il primo articolo]1.
Ireton: L 'obiezione a questo articolo è la seguente. È detto che la rappresentanza del popolo inglese ha da
essere distribuita secondo il numero degli abitanti. Questo mi fa pensare che voglia dire che ogni uomo che
abiti nel paese debba essere considerato egualmente, e debba avere un eguale voto nella elezione di quei
rappresentanti, delle persone cioè che compongono la Rappresentanza generale; e se questo è il
significato, allora ho qualche obiezione da fare. […]
Petty: Noi riteniamo che tutti quegli abitanti che non hanno pregiudicato il loro diritto innato debbano
avere un egual voto nelle elezioni.
Rainborough: […] io penso veramente che l'essere più povero che vi sia in Inghilterra ha una vita da vivere
quanto il più grande e perciò, signore, credo sia chiaro che ogni uomo il quale ha da vivere sotto un
governo debba prima col suo consenso accettare quel governo; e ritengo che l'uomo più povero in
Inghilterra non sia affatto tenuto a rigore a obbedire a quel governo che egli non ha avuto alcuna voce nel
creare; e son sicuro che, quando avrò ascoltato le ragioni in contrario, a quelle ragioni vi sarà chi risponda,
in quanto che dubiterei che sia un inglese chi dubitasse di queste cose.
Ireton: […] Penso che nessuna persona abbia diritto a una partecipazione nell'ordinamento degli affari del
paese, a determinare o a scegliere coloro che determineranno da quali leggi dobbiamo essere governati in
questo paese - nessuna persona ha diritto a ciò, la quale non abbia un interesse permanente fisso in questo
paese. Solo quelle persone, riunite insieme, sono propriamente i rappresentanti di questo paese e, per
conseguenza, anche coloro che devono creare i rappresentanti del paese, le quali nel loro insieme
comprendono tutti gli interessi reali e permanenti del regno. Altrimenti sono sicuro che non saprei dire
perché un forestiero che venga tra noi, o tutti coloro che vengono tra noi, mossi dalla necessità o dal
desiderio di stabilirsi qui, perche essi non potrebbero rivendicare ugualmente lo stesso diritto di qualsiasi
altro. Parliamo di diritto innato, ma in base a esso possiamo reclamare solo queste cose: gli uomini che
sono nati in Inghilterra godono dalla nascita il giusto diritto di non essere allontanati dall'Inghilterra, di non
vedersi negata l'aria o la residenza, e il libero uso delle strade e altre cose, di vivere fra noi - questo diritto
ha chiunque sia nato qui, sebbene per il fatto di esser nato qui non gliene derivi alcun altro di quelli
spettanti agli interessi permanenti di questo paese. Questo ritengo spetti a un uomo per diritto di nascita.
Ma che per il fatto d' esser nato qui un uomo debba partecipare a quel potere che dispone delle terre e d'
ogni cosa in questo paese, non mi sembra vi sia motivo sufficiente per affermarlo. Son certo che […] coloro
che scelgono i rappresentanti per fare le leggi da cui hanno da esser governati questo stato e questo paese,
son le persone che, nel loro insieme, comprendono gli interessi propri di questo regno; cioè, le persone
nelle cui mani è tutta la terra, e i membri delle corporazioni, che hanno nelle loro mani tutto il commercio.
[...] È vero, come è stato detto da un signore vicino a me, che l 'uomo più umile in Inghilterra dovrebbe
avere un voto nelle elezioni del governo sotto cui vive - ma soltanto se ha qualche interesse locale. lo dico
questo: coloro che hanno il più modesto interesse locale - gli uomini che hanno solo un reddito di quaranta
scellini l'anno, hanno effettivamente altrettanto diritto a eleggere un deputato per la loro contea, quanto
l'uomo che ha un reddito di diecimila sterline l'anno, o anche più, per grande che sia; e perciò se ne tiene
conto.[...]
Rainborough: Non trovo nessun passo nella legge di Dio che affermi che un Lord debba scegliere venti
deputati, e un gentiluomo soltanto due, e un povero nessuno: non trovo nulla di simile nella Legge di
Natura né nella Legge delle Nazioni. Ma trovo che tutti gli inglesi devono esser soggetti alle leggi inglesi, e
credo sinceramente non vi sia persona che neghi che il fondamento di ogni legge risiede nel popolo e, se
risiede nel popolo, bisogna che qualcuno sia responsabile della sua esclusione dal voto.
Inoltre ho pensato a un'altra cosa: in quale condizione miserabile e incresciosa verrebbe a trovarsi un uomo
1
Il testo dell'articolo a cui fa riferimento il verbale. era così formulato: «Il popolo inglese. attualmente ripartito in
maniera ìneguale in contee. città e borghi, per quel che riguarda l'elezione dei membri del Parlamento. dovrà essere
suddiviso in modo tale che non sussistano più ineguaglianze, ma soltanto in base al numero degli abitanti delle
circoscrizioni. Il Parlamento ora riunito, prima del suo scioglimento. dovrà provvedere a stabilire i particolari del
numero dei cittadini, del luogo e delle modalità delle votazioni»
1
che ha combattuto in questa guerra per il Parlamento! Bisogna riconoscere che molte persone che sono
state mosse ad abbracciare questa causa dallo zelo e l'affetto per Dio e il paese, hanno a tal punto
consumato le loro sostanze che, a giudicare da come vanno le cose dello Stato e dell'Esercito, non
riusciranno a mantenersi a galla se, una volta perse le proprie sostanze, o ridotte a un reddito inferiore a
quaranta scellini l'anno, un uomo non potrà accampare alcun diritto. E vi sono molte altre maniere per cui i
beni degli uomini (se così Dio stabilisce nella sua Provvidenza) vanno in rovina. Un uomo, se ha delle
proprietà, ha diritto a far le leggi, ma se non ne ha, non ha alcun potere; cosicché un uomo non può
perdere quel che possiede e che gli serve per mantenere la sua famiglia senza perdere insieme quel che Dio
e la natura gli hanno dato! Perciò io penso e sono sempre della stessa opinione, che ogni uomo nato in
Inghilterra non può e non deve, né per la Legge di Natura, né per quella di Dio, essere escluso dalla scelta di
quelli incaricati di fare le leggi sotto le quali egli deve vivere, e per quel che io sappia, perdere altresì la vita.
Penso dunque che non ci si possa molto impuntare su questo argomento dell'interesse.
Credo in verità che non esista attualmente in Inghilterra un prodotto o effetto maggiore della tirannia di
quello che provocherebbe questa esclusione. Non conosco infatti nulla di libero all'infuori del deputato di
contea, eccettuato il quale non v'è nulla nel Parlamento che sia immune dalla pienezza e dal colmo della
tirannia. Quanto alle corporazioni che avete menzionato, il loro diritto non potrebbe essere più contrario
alla libertà. Di che si tratta infatti, signori? Il re concede il privilegio sotto il Grande Sigillo di Inghilterra, a
una certa corporazione o città di inviare deputati. Quando una povera, misera corporazione, per
concessione del re, può mandare due deputati, quando cinquecento proprietari non ne mandano nessuno,
quando coloro che fanno le leggi sono convocati dal re e non possono agire se non convocati, veramente
penso che il popolo d'Inghilterra abbia ben poca libertà.
Ireton: [...] Formuliamo il quesito in questo modo: se un uomo può essere vincolato da una legge a cui non
abbia consentito. Io vi dirò che egli può e deve esserlo, anche se non l'approva e non partecipa alla scelta di
coloro che l'approvano, e ve ne spiegherò la ragione. Se uno straniero viene a vivere in questo paese, e
vuole avere la libertà di risiedervi, senza possedere un interesse locale, egli avrà, certo, come uomo, diritto
all'aria, all'uso delle strade, alla protezione delle leggi, e a tutto ciò, per natura; noi non dovremo cacciarlo
dalle nostre coste, impedirgli di vivere fra noi, o ucciderlo perché entra nel nostro paese, sia per via fluviale
che per mare. È questione di ospitalità, di umanità, ricevere quell'uomo fra noi. Ma se egli è accolto a vivere
fra noi, credo che possa ben contentarsi di sottostare alla legge del paese; cioè alla legge che è fatta da
coloro che hanno una proprietà, una proprietà fissa nel paese. Io penso che se un uomo vuole ricevere
protezione da questo popolo, anche se né lui, né i suoi antenati, anche i più remoti, abbiano approvato mai
questa costituzione, egli abbia il dovere di sottostare a quelle leggi e di obbedirvi fin tanto che continua a
viver in questo paese. Questa è la mia opinione. Un uomo deve esser soggetto a una legge, cui non ha
consentito, con l'unica riserva che, se non è soddisfatto, può andarsene in un altro paese. E lo stesso vale, a
parer mio, per quell'uomo che non ha un interesse permanente nel paese. Se egli ha denaro, il suo denaro
è altrettanto buono in un altro paese che qui; non ha nulla che lo fissi localmente a questo paese. Se
quell'uomo vuole vivere in questo paese o esercitarvi un mestiere, deve sottomettersi alla legge fatta dalla
gente che rappresenta gli interessi del paese. Tuttavia io riconosco quella che voi intendete come una .
massima universale, e cioè che in ogni regno, in ogni paese, l'origine del potere di fare le leggi, di decidere
quale debba essere la legge del paese, risiede nel popolo (ma per popolo vanno intesi coloro che
rappresentano gli interessi permanenti del paese) . Ma chiunque sia estraneo a esso, vale a dire, possa
vivere allo stesso titolo in un altro paese, è tenuto a rispettare la proprietà degli uomini che vivono nel
paese. Essi non mi obbligano a vivere in questo paese. Perché dovrei avere io il privilegio di decidere quale
deve essere la legge di questo paese?
Rainborough: […] E tuttavia io dico: che ne sarà di quei molti che si sono prodigati per il Parlamento
nell'attuale guerra, che si sono rovinati combattendo, rischiando tutto quel che avevano? Essi sono inglesi.
Non hanno ormai nulla da dire per sé?
Ireton: […] Siamo d' accordo che dobbiamo avere un governo rappresentativo e che la Rappresentanza
deve essere la più equa possibile.
Cromwell: [...] Se ci mettiamo a modificare queste cose, non credo che dobbiamo impuntarci su ogni
particolare proposta. I dipendenti, finche son tali, non vanno compresi tra gli elettori. Dunque, voi siete
d'accordo che chi riceve elemosina va escluso? [. . .]
Petty: A me sembra che il motivo per escludere apprendisti o servitori, o coloro che vivono d' elemosine, sia
2
che essi dipendono dalla volontà di altri uomini, e avrebbero paura di contrariarli. Giacché servitori e
apprendisti sono legati ai loro padroni, e così quelli che ricevono elemosine da porta in porta; ma sarebbe
bene che si stabilisse una regola generale per tutti quelli che non sono legati alla volontà di altri uomini. […]
Sexby: Vedo che sebbene il nostro fine sia stato la libertà, si è deviato da esso. Ci siamo impegnati in questo
paese e abbiamo rischiato la vita solo per recuperare i nostri diritti innati e i nostri privilegi di inglesi;
mentre, secondo gli argomenti sostenuti ora, non ne avremmo alcuni. Siamo molte migliaia di soldati ad
avere arrischiato la vita: abbiamo avuto poca proprietà nel paese quanto a terre, pure abbiamo avuto un
diritto di nascita. Ma sembra ora che, se un uomo non ha una proprietà fissa nel paese, non ha alcun diritto
in esso. Mi meraviglio che ci siamo tanto ingannati. Se non avevamo alcun diritto, non siamo stati che dei
mercenari. Vi sono molti nelle mie condizioni, come me rispettabili: può darsi che attualmente essi
posseggano ben poca terra, eppure quanto a diritti innati essi sono eguali a quei due che sono i loro
legislatori e a chiunque altro qui presente. Vi dirò in una parola la mia decisione. Son deciso a non
rinunciare di fronte a nessuno al mio diritto innato. Qualunque ostacolo si frapponga e checché si pensi non
lo cederò a nessuno. Se questo viene negato ai poveri, che vi ci hanno tanto contato, sarà il più grande degli
scandali. È stato detto qualche cosa di questo genere: che si concede ai poveri e a quelli di condizioni umili
il loro diritto innato, sarà la rovina di questo paese. Credo che questo non sia altro che mancar di fiducia
nella Provvidenza. Sono fermamente convinto che i poveri e i più umili cittadini di questo paese - parlo in
rapporto alla condizione dei soldati, in cui ci troviamo - siano stati lo strumento della salvezza del paese.
Dico, tenuto conto delle loro condizioni, e credo veramente, per quanto più hanno potuto; e le loro vite
non sono state considerate troppo preziose per comprare il bene del paese. E ora essi chiedono il diritto
per cui hanno combattuto. Coloro che agiscono per questo fine sono altrettanto alieni da qualunque
progetto d'anarchia e di confusione quanto coloro che vi si oppongono, e hanno dalla loro parte la Legge di
Dio e la legge della loro coscienza.
Ireton.[...] Io dico per parte mia che procedere improvvisamente a stabilire un requisito come quello degli
abitanti in generale, è come non fissare nessuna limitazione. Se voi allargate l'ambito della costituzione al
punto da concedere il diritto di voto nelle elezioni a tutti coloro che non hanno nel paese un interesse fisso
e permanente sul quale fondare la libertà in questo paese senza dipendere da nessuno, voi darete la
possibilità di eleggere il Parlamento non a uomini desiderosi di conservare la loro libertà, ma a uomini che
vi rinunceranno.
Sono sicuro che se mai le nostre inquietudini e insoddisfazioni potranno scomparire, sarà in questo. Se
esiste una base della libertà, è proprio questa: che chi deve eleggere i legislatori, ha da essere indipendente
da altri.
DESCRIZIONE DEL DOCUMENTO
Repertorio bibliografico Il documento è tratto da Puritanesimo e libertà, a cura di T. Gabrieli, Einaudi,
Torino 1956.
Tipo di testo Si tratta di un verbale (redatto da William Clarke, uno dei segretari del Consiglio di guerra e
del Comandante del New Model Army). Sono annotati gli interventi durante una riunione del Consiglio
generale dell'esercito cromwelliano a cui parteciparono ufficiali e soldati. Clarke raccolse verbali di riunione
e documenti importanti di questo periodo, e questa raccolta, (i Clarke Papers), rappresenta una delle fonti
principali per la storia politica, religiosa e amministrativa dell'esercito di Cromwell; il manoscritto in quattro
volumi, fu pubblicato per la prima volta alla fine dell'Ottocento.
Lingua originale Inglese.
Datazione I dibattiti si svolsero dal 28 ottobre al 1° novembre 1647 a Putney, un sobborgo di Londra. Il 14
giugno 1645 il re Carlo I era stato duramente sconfitto a Naseby. Consegnato dagli Scozzesi al Parlamento,
non manifestava tuttavia l'intenzione di voler rinunciare all'assolutismo regio e alla politica ecclesiastica
episcopalista. Per contro in Parlamento la maggioranza presbiteriana sembrava disposta a riconciliarsi con il
re, sostituendo semplicemente all'anglicanesimo il presbiterianesimo, senza concedere ai puritani e alle
sette minori la libertà religiosa ma anzi sciogliendo l'esercito di New Model Army, troppo incline alle
posizioni puritane. I dibattiti si collocano in questa situazione assai delicata di conflitto. Pochi giorni dopo la
3
fine della riunione, di cui abbiamo stralci di verbale, il re (il 15 novembre del 1647) fuggirà in Scozia per
riprendere la guerra; il New Model Army sconfiggerà poi definitivamente il re a Preston il 17 agosto del
1648.
Soggetto emittente Il dibattito si svolse durante la riunione del Consiglio generale dell'esercito. Cromwell
discuteva periodicamente con i suoi comandanti in una sorta di "consiglio di guerra". Nella situazione di
crescente tensione i soldati avevano comunque formato consigli di loro rappresentanti, a cui si erano
affiancati quelli di ufficiali fedeli a Cromwell. Questo Consiglio generale, tecnicamente un allargamento dei
"consigli di guerra", era quindi formato anche da rappresentanti dell'esercito.
Nella parte di verbale che qui si prende in esame, siamo nella seconda giornata, il 29 ottobre, i due
interlocutori principali sono Ireton e Rainborough. Henry Ireton era a quei tempi un ufficiale di 36 anni,
aveva studiato al Trinity College di Oxford, aveva combattuto fin dall'inizio nel New Model Army, era stato
eletto al Parlamento nel 1645, aveva sposato la figlia primogenita di Cromwell. Farà parte dell'alta corte di
giustizia che processerà Carlo I. Thomas Rainborough era stato viceammiraglio della flotta che sorvegliava
I'Irlanda nel 1642, era poi passato, col grado di colonnello, all'esercito. Eletto deputato nel 1646, guidava la
fazione repubblicana del New Model Army, ostile a un compromesso con il re. Morirà nel 1648, assassinato
da un gruppo di realisti.
Scopo Durante la riunione del 29 ottobre, era stato presentato il testo del Patto del popolo, un programma
di riforma costituzionale redatto dai rappresentanti delle forze più radicali dei soldati e degli ufficiali, i
livellatori, affinché il Consiglio lo facesse proprio, presentandolo in Parlamento. È riportata la parte della
discussione sul primo articolo.
ANALISI DEL TESTO
Struttura
I due interlocutori più importanti che si fronteggiano in questa giornata sono Ireton e Rainborough.
Ireton condivide la posizione politica di Cromwell, appartiene al gruppo degli "indipendenti". I suoi
interventi si distinguono per uno stile comunicativo un po' rigido, poco duttile e aperto al confronto,
talvolta ripetitivo, ma lineare e con qualche punto di buona efficacia argomentativa.
Rainborough, a sostegno delle ragioni dei livellatori, anche se non ne è il portavoce ufficiale, è più intuitivo
e passionale, attacca a testa bassa, si appella spesso ai grandi principi e alle ragioni ideali.
Una terza voce è rappresentata da Maximilian Petty, un altro esponente delle posizioni dei livellatori, i cui
interventi, in genere brevi e non frequenti, sono tuttavia di notevole interesse, come vedremo.
In queste pagine di verbale (circa quaranta nel testo stampato), l'argomento è il primo articolo del Patto del
popolo, e in particolare l'espressione: «il popolo inglese [...], per quel che riguarda l'elezione dei membri del
Parlamento dovrà essere suddiviso [...] in base al numero degli abitanti». Tutti gli "abitanti" erano quindi da
considerarsi elettori? Ireton enuncia subito il principio che ripeterà in quasi tutti i suoi interventi: Hanno
diritto di votare ed essere votati solo coloro che hanno «un interesse permanente fisso in questo paese.
Solo quelle persone, riunite insieme, sono propriamente i rappresentanti di questo paese e, per
conseguenza, anche coloro che devono creare i rappresentanti del paese, le quali nel loro insieme
comprendono tutti gli interessi reali e permanenti del regno».
Più avanti precisa meglio quali siano le persone che hanno «un interesse permanente e fisso [...]: le persone
nelle cui mani è tutta la terra e i membri delle corporazioni che hanno nelle mani tutto il commercio».
Il problema è quello della cittadinanza: chi può godere dei diritti politici? Ireton distingue tre gruppi di
individui:
a) i proprietari terrieri e i membri delle corporazioni;
b) i nati in Inghilterra non proprietari;
c) i forestieri.
I primi hanno diritto all'elettorato attivo e passivo; i secondi e i terzi non hanno diritto di voto, anche se tra
loro s'insinua un'importante differenza: i cittadini inglesi non proprietari sono nelle condizioni di reclamare
alcuni diritti fondamentali quali il diritto "all'aria", al libero uso delle strade, alla protezione delle leggi. I
forestieri invece, non cittadini, questi beni non possono esigerli, ma solo desiderarli. Entrambi comunque si
devono sottomettere a leggi che non hanno contribuito a produrre.
4
La tesi con la quale inizia l'attacco di Rainborough è che non si è tenuti a obbedire a leggi per le quali non si
è intervenuti nella formulazione. La tesi di Rainborough, che sia fondamentale il patto che vincola i
contraenti, è profondamente radicata negli ambienti puritani: solo se si arriva attivamente al patto, i
contraenti sono tenuti a rispettarlo. «Tutti gli inglesi sono soggetti alle leggi inglesi» ma «il fondamento di
ogni legge risiede nel popolo, pertanto non lo si può escludere dal voto». Ireton non è d'accordo e sfodera
una stringente argomentazione: «Formuliamo il quesito in questo modo: se un uomo può essere vincolato
da una legge a cui non abbia consentito. Io vi dirò che egli può e deve esserlo, anche se non l'approva e non
partecipa alla scelta di coloro che l'approvano, e ve ne spiegherò la ragione. […] Uno straniero [...] o chi non
ha interesse permanente nel paese […] se non è soddisfatto, può andarsene in un altro paese [...] se
hadenaro, il suo denaro è altrettanto buono in un altro paese [...] altrimenti deve sottomettersi alla legge
fatta dalla gente che rappresenta gli interessi del paese che sono, come si è detto prima, coloro che hanno
un interesse permanente fisso in questo paese».
Il problema posto da questa discussione è di grande importanza. Da un Iato Ireton individua una
caratteristica fondamentale del diritto moderno, la sua territorialità, in ragione della quale nello Stato di
diritto tutti coloro che si trovano in un certo territorio devono sottostare alle leggi ivi vigenti,
indipendentemente dal fatto di aver contribuito a produrle. D'altro Iato Rainborough mette l'accento sulla
legittimità degli atti legislativi che si fonda non sul potere di derivazione divina del re, ma sulla sovranità del
popolo. Su questo principio è d'accordo anche Ireton, come vedremo in seguito, ma Rainborough incarna
l'esercizio della sovranità nella partecipazione politica; la capacità della legge di vincolare i cittadini deriva
dal patto, dall'accordo a cui sono giunti i cittadini medesimi. Perché una persona sia vincolata dalla legge,
occorre quindi che abbia dato il consenso attraverso il patto e quindi abbia contribuito a formularla. Non
solo, questo patto non è qualcosa di remoto, all'origine della società civile, ma di ben concreto e attuale: i
soldati che hanno combattuto e versato il sangue contro la tirannia e per il Parlamento sono stati i
costruttori materiali della nuova costituzione. Come possono essere esclusi dal diritto di voto? L 'idea che la
guerra combattuta contro Carlo I sia stata una guerra "costituente", che un nuovo patto sociale leghi ora
tutti coloro che si sono ribellati all'oppressione è diffusa fra i soldati dell'esercito, come testimonia
l'intervento di Sexby, uno dei presentatori del patto del popolo, sostenitore di un egualitarismo radicale.
Se Rainborough attacca l'iniquità del sistema elettorale inglese (perché mai «un Lord debba scegliere venti
deputati, e un gentiluomo soltanto due, e un povero nessuno»), Ireton non è certo un sostenitore del
vecchio regime dei privilegi («Coloro che hanno il più modesto interesse locale - gli uomini che hanno solo
un reddito di quaranta scellini l'anno, hanno effettivamente altrettanto diritto a eleggere il deputato per la
loro contea, quanto l'uomo che ha un reddito di diecimila sterline l'anno, o anche più, per grande che sia»).
A questo punto per Ireton tutti gli aventi diritto al voto sono eguali, ma non tutti gli "abitanti" devono avere
diritto al voto. Rainborough e i livellatori invece fanno coincidere l'essere "abitanti", con il diritto di voto.
Ma a questo punto si presenta un nuovo problema: i livellatori sono veramente sostenitori del suffragio
universale? Se noi seguiamo l'appassionata difesa di Rainborough, non scorgiamo limitazioni al diritto di
voto. Tuttavia, accanto a Rainborough si staglia la figura di Petty, che in modo pacato sembra enunciare
posizioni non meramente personali, ma frutto della linea del gruppo dei livellatori. Ebbene, Petty nel primo
intervento su questo tema dice: «Noi riteniamo che tutti quegli abitanti che non hanno pregiudicato il loro
diritto innato debbano avere un egual voto nelle elezioni» e alla domanda di Cromwell, che ha appena
sostenuto che coloro che dipendono per la loro sussistenza da altri uomini non vanno compresi tra gli
elettori, «Dunque voi siete d'accordo che chi riceve elemosina va escluso?», Petty ammette: «A me sembra
che il motivo per escludere apprendisti e servitori, o coloro che vivono di elemosine, sia che essi dipendono
dalla volontà di altri uomini, e avrebbero paura di contrariarli [...] ma sarebbe bene che si stabilisse una
regola generale per tutti quelli che non sono legati alla volontà di altri uomini». Quindi il problema della
libertà di espressione del voto, dell'indipendenza nella scelta, condiziona e limita, ridimensionandola, la
proposta di suffragio universale dei livellatori.
Il sistema elettorale: un po' di storia Rainborough nel testo denuncia I'iniquità del sistema elettorale
inglese: Perché mai un Lord deve scegliere venti deputati, e un gentiluomo soltanto due e un povero
nessuno. […] Il re concede sotto il Grande sigillo di Inghilterra a una certa corporazione o città di inviare
deputati. Quando una povera, misera corporazione, per concessione del re, può mandare due deputati
quando cinquecento proprietari non ne mandano nessuno, quando coloro che fanno le leggi sono
5
convocati dal re e non possono agire se non convocati, veramente penso che il popolo d'Inghilterra abbia
ben poca libertà».
La Camera dei Comuni (House of Commons) era un'istituzione di origine medievale. Comprendeva gli
esponenti dei vari "corpi" che componevano il regno: i borghi (centri urbani con particolari statuti
economico-istituzionali), le contee, le università. I deputati erano l'espressione degli interessi del corpo
istituzionale-economico di provenienza. Dal 1430 avevano diritto di voto gli uomini che possedevano in
proprio della terra o che avevano una proprietà del valore di quaranta scellini. Si trattava di una forte
limitazione del numero degli elettori. Nel 1780 in Inghilterra questi erano duecentoquattordicimila su una
popolazione di otto milioni; in Scozia nel 1707, dove il valore minimo di reddito era elevato a cento sterline,
solo quattromilacinquecento persone su una popolazione di 2.364.000 aveva diritto di voto.
Tuttavia il problema, che si incontra anche nel corso del dibattito che abbiamo analizzato, non è solo la
ristrettezza della base elettorale, ma anche e soprattutto la distribuzione del tutto ineguale dei
rappresentanti dei vari ceti. Ciascuna località aveva il suo grande elettore (il grande proprietario terriero, il
proprietario imprenditore, talvolta la stessa corona, proprietaria di grandi estensioni di terre), che
selezionava il nome da proporre agli elettori per la ratifica. Le città inglesi che avevano diritto a esprimere
parlamentari, non sempre avevano anche un numero di abitanti adeguato al numero dei seggi loro
assegnati. Londra e Liverpool conservarono nel tempo il diritto a designare loro rappresentanti, insieme a
Dunwich, un antico porto medievale che a inizio Ottocento era ridotto a quarantaquattro case e trentadue
elettori, mentre Manchester (centottantaduemila abitanti) o Birmingham (centoquarantaquattromila
abitanti) non avevano alcun seggio loro riservato.
Parlamento e popolo
Il documento letto e messo in discussione all'assemblea del New Model Army porta il titolo "Patto del
popolo, per ottenere una pace sicura e sollecita, fondata sui principi del diritto comune e della libertà". Le
preoccupazioni dei moderati di fronte a questa proposta di riforma costituzionale dei livellatori sono
tutt'altro che infondate. Infatti perché un "patto del popolo"? La risposta la si legge in alcuni articoli e nella
parte conclusiva del testo.
«III. Il popolo è la fonte da cui deriva il potere del Parlamento».
Per questo è cruciale per i livellatori che il Parlamento sia eletto da tutto il popolo e non da un ceto
particolare. Il "Patto" scritto dal popolo è una specie di "carta costituzionale" che fissa le funzioni del
Parlamento e indica i principi fondamentali a cui il Parlamento si deve ispirare quando legifera. I diritti
naturali fondamentali sono enunciati nel patto e non possono essere pertanto disattesi da una semplice
maggioranza parlamentare.
Questa impostazione supera nettamente la precedente contrapposizione re- Parlamento, assolutismoparlamentarismo prefigurando il moderno costituzionalismo.
«IV. Il potere di questo e di tutti i futuri Parlamenti è inferiore soltanto a quello delle persone che lo hanno
eletto; le sue disposizioni hanno valore senza bisogno del consenso di qualsiasi altra persona. Esso avrà il
potere di approvare, mutare e abrogare leggi, istituire e abolire incarichi e comitati, nominare, allontanare,
chiedere un rendiconto ai magistrati e agli altri funzionari di qualsiasi grado; potrà dichiarare guerra e
concludere la pace, nonché trattare con le potenze straniere. Più in generale, il suo potere si estenderà
anche a tutto quanto non è espressamente dichiarato, o implicitamente riservato dagli elettori a se stessi.
Noi dichiariamo che questi sono nostri diritti naturali. Siamo perciò risoluti a conservarli, impegnandoci al
massimo delle nostre forze, contro qualsiasi forma di opposizione. [...]»
«V. È chiaro il motivo per cui noi desideriamo istituire un patto col popolo e dichiarare quali sono i nostri
diritti naturali, piuttosto che richiedere al Parlamento che li sancisca: nessun atto del Parlamento è, o può
essere, immodificabile, per cui non esclude con garanzia sufficiente - per la vostra e la nostra sicurezza -la
possibilità che un altro Parlamento si lasci corrompere e decida in senso contrario. Inoltre, il Parlamento
deriva il potere e la rappresentatività da coloro che glieli trasmettono. Il popolo deve quindi specificare in
che cosa consiste tale potere e tale rappresentatività, ed è appunto questo che si prefigge il nostro patto».
in I Puritani - I soldati della Bibbia, a cura di U. Bonanate, Einaudi, Torino 1975, pp. 168-171.
6