PDF - Discepole del Vangelo

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Figure di donne nella Sacra Scrittura – Tamar
LE DONNE NELLA GENEALOGIA DI GESÙ
La genesi di Gesù era così (Mt 1,1-18)
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Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco,
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Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara
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da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb
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generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed
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da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
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Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone generò
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Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò
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Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia,
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Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia
e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
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Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele,
Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor,
Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd,
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Azor generò
Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò
Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è
nato Gesù, chiamato Cristo.
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In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino
alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
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Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe,
prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
INTRODUZIONE
Iniziamo, con oggi, un percorso – a cadenza mensile – su alcune figure di donne che la Bibbia ci
propone. Nell’anno liturgico che sta per avere inizio (Ciclo A) saremo accompagnati – durante le
celebrazioni domenicali – dal Vangelo di Matteo. È per questo che, nella prima parte di questi nostri
incontri, abbiamo scelto di fare riferimento proprio a questo primo vangelo, soffermandoci sulle donne
che la genealogia nomina. Si tratta di cinque donne che racchiudono cinque storie particolari, diciamo
pure – in un certo qual modo – “irregolari”.
Eppure si trovano all’interno della genealogia, ovvero del racconto delle origini di Gesù, il Figlio di Dio.
Perché la necessità, da parte di Matteo, di nominare, come uniche donne delle origini di Gesù, proprio
queste particolari figure?
L’ORIGINE DI GESÙ ERA COSÌ
Della nascita di Gesù Matteo racconta quasi “di striscio” al v. 25, mentre si sofferma ben 18 vv. sulla
genealogia.
Il primo evangelista si pone, dunque, come prima operazione, alla ricerca delle origini di Gesù. Il v. 18
del primo capitolo di Matteo esplicita, letteralmente, che “la genesi di Gesù Cristo era così”. Usando
l’imperfetto, era così, inserisce la nascita di Gesù in una precisa storia, nello scorrere di determinate
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Figure di donne nella Sacra Scrittura – Tamar
generazioni, nella serie di quelle nascite che l’hanno preceduto e che in un certo modo continuano a
vivere in lui, nuovo nato1.
La nascita di Gesù, dunque, come quella di ciascuno di noi, oltre ad essere evento preciso, avvenuto in
un dato momento, implica una storia precedente. Noi abbiamo una storia genealogica alle spalle,
portiamo in noi tratti di altri che ci hanno preceduto, abbiamo in noi tracce di un’altra storia, anzi, di
storie di altri. Nessuno esiste se non come relazione, inserito in un complesso di relazioni che lo
precede, lo accompagna, lo segue: noi siamo relazioni (al plurale). E quindi anche relazioni che ci
hanno preceduto, non solo quelle che costruiamo. Anche Gesù, in quanto uomo, è frutto di una storia
genealogica. La sua storia è una storia reale, umanissima, segnata anche dal peccato, abitata da
persone e da vicende di violenza subita e inferta, da storie di dedizione, ma anche di sopraffazione, di
generosità e amore, ma anche di grande egoismo.
Tra tali vicende vi sono anche queste donne, accumunate da alcune caratteristiche: donne (appunto e
cioè senza valore per la cultura di allora), straniere, prostitute (o che si sono comportate come tali), ma
aperte alla vita, fiduciose e affidate. Anche da queste donne ha avuto origine Gesù e proprio (e solo)
queste sono ricordate nella sua origine, diventando delle vere e proprie matriarche. Questo perché,
malgrado l’apparenza, esprimono, nella loro vicenda, una grande fede. Più che sulla storia di peccato di
queste donne, la genealogia di Gesù ci invita a porre la nostra attenzione sulla loro fede. Esse ci
insegnano che la storia a cui apparteniamo non è “nostra” perché la possiamo gestire secondo i nostri
pensieri, ma ci appartiene veramente solo se la sappiamo leggere ed accogliere alla luce del grande
progetto di Dio sulla nostra vita e sul mondo.
La presenza di Tamar, Rahab, Rut nella genealogia più che sottolineare la presenza del peccato, apre
uno spiraglio rispetto alla fatalità tragica del destino: anche in situazioni umanamente negative o
perdenti o impresentabili, lo Spirito Santo può agire.
Lei è innocente, non io: la vicenda di Tamar (Gen 38,1-30)
In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e si stabilì presso un uomo di Adullàm, di
nome Chira. Qui Giuda notò la figlia di un Cananeo chiamato Sua, la prese in moglie e si unì a
lei. Ella concepì e partorì un figlio e lo chiamò Er. Concepì ancora e partorì un figlio e lo chiamò
Onan. Ancora un’altra volta partorì un figlio e lo chiamò Sela. Egli si trovava a Chezìb, quando
lei lo partorì.
Giuda scelse per il suo primogenito Er una moglie, che si chiamava Tamar. Ma Er,
primogenito di Giuda, si rese odioso agli occhi del Signore, e il Signore lo fece morire. Allora
Giuda disse a Onan: «Va’ con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e
assicura così una posterità a tuo fratello». Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata
considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per
terra, per non dare un discendente al fratello. Ciò che egli faceva era male agli occhi del
Signore, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse alla nuora Tamar: «Ritorna a casa da
tuo padre, come vedova, fin quando il mio figlio Sela sarà cresciuto». Perché pensava: «Che
non muoia anche questo come i suoi fratelli!». Così Tamar se ne andò e ritornò alla casa di suo
padre.
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Anche per noi è così e vi è un momento della nostra vita nel quale sentiamo il bisogno, l’esigenza quasi di cercare il
senso del nostro esserci, di chiederci da dove veniamo, proprio perché intuiamo che, se siamo ciò che siamo, è perché
c’è una storia che ci precede e che, in un certo senso, ci ha formato, e ci forma ancora perché è dentro di noi . La
nostra storia porta i segni delle storie di altri che si sono incontrati, uniti, amati, hanno fatto il male, hanno subito
violenza, hanno vissuto malattie, che hanno intrecciato quella tela di fondo su cui siamo emersi noi quando siamo stati
generati.
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Figure di donne nella Sacra Scrittura – Tamar
Trascorsero molti giorni, e morì la figlia di Sua, moglie di Giuda. Quando Giuda ebbe
finito il lutto, si recò a Timna da quelli che tosavano il suo gregge e con lui c’era Chira, il suo
amico di Adullàm. La notizia fu data a Tamar: «Ecco, tuo suocero va a Timna per la tosatura
del suo gregge». Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse
intorno, poi si pose a sedere all’ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna. Aveva visto
infatti che Sela era ormai cresciuto, ma lei non gli era stata data in moglie. Quando Giuda la
vide, la prese per una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. Egli si diresse su quella
strada verso di lei e disse: «Lascia che io venga con te!». Non sapeva infatti che era sua nuora.
Ella disse: «Che cosa mi darai per venire con me?». Rispose: «Io ti manderò un capretto del
gregge». Ella riprese: «Mi lasci qualcosa in pegno fin quando non me lo avrai mandato?». Egli
domandò: «Qual è il pegno che devo dare?». Rispose: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone
che hai in mano». Allora Giuda glieli diede e si unì a lei. Ella rimase incinta. Poi si alzò e se ne
andò; si tolse il velo e riprese gli abiti vedovili. Giuda mandò il capretto per mezzo del suo
amico di Adullàm, per riprendere il pegno dalle mani di quella donna, ma quello non la trovò.
Domandò agli uomini di quel luogo: «Dov’è quella prostituta che stava a Enàim, sulla strada?».
Ma risposero: «Qui non c’è stata alcuna prostituta». Così tornò da Giuda e disse: «Non l’ho
trovata; anche gli uomini di quel luogo dicevano: “Qui non c’è stata alcuna prostituta”». Allora
Giuda disse: «Si tenga quello che ha! Altrimenti ci esponiamo agli scherni. Ecco: le ho mandato
questo capretto, ma tu non l’hai trovata».
Circa tre mesi dopo, fu portata a Giuda questa notizia: «Tamar, tua nuora, si è
prostituita e anzi è incinta a causa delle sue prostituzioni». Giuda disse: «Conducetela fuori e
sia bruciata!». Mentre veniva condotta fuori, ella mandò a dire al suocero: «Io sono incinta
dell’uomo a cui appartengono questi oggetti». E aggiunse: «Per favore, verifica di chi siano
questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». Giuda li riconobbe e disse: «Lei è più giusta di
me: infatti, io non l’ho data a mio figlio Sela». E non ebbe più rapporti con lei.
Quando giunse per lei il momento di partorire, ecco, aveva nel grembo due gemelli.
Durante il parto, uno di loro mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò
attorno a quella mano, dicendo: «Questi è uscito per primo». Ma poi questi ritirò la mano, ed
ecco venne alla luce suo fratello. Allora ella esclamò: «Come ti sei aperto una breccia?» e fu
chiamato Peres. Poi uscì suo fratello, che aveva il filo scarlatto alla mano, e fu chiamato
Zerach.
La vicenda di Tamar e Giuda si innesta all’interno della storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, figli di
Giacobbe/Israele. Dopo aver narrato l’episodio in cui Giuseppe viene venduto a dei mercanti, il libro
della Genesi focalizza l’attenzione su uno degli altri fratelli, Giuda, dedicando un intero capitolo alla sua
vicenda familiare.
Giuda si separa dai fratelli e dal padre e si sposa con una donna cananea. Da essa ha tre figli. Per il
primo figlio trova una moglie anch’essa probabilmente straniera, Tamar. Il sangue di Israele si
“mescola” con sangue di altre popolazioni. Il sangue di Gesù è, dunque, anche sangue “straniero”.
La moglie “fedele”
Sposa del primogenito di Giuda, Tamar si ritrova presto vedova e senza figli (il narratore ci fa conoscere
che è il Signore a far morire il marito perché si è reso – non si sa in che modo – odioso ai suoi occhi).
Secondo la legge del levirato essa viene data come sposa al secondo fratello, Onan. Tale legge aveva
essenzialmente la funzione di garantire una continuità alla famiglia del morto, una discendenza, in un
certo qual senso un proseguimento della vita. Tamar, pur essendo straniera, si sottopone con
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Figure di donne nella Sacra Scrittura – Tamar
disponibilità alle leggi della famiglia di cui ormai è entrata a far parte. Anche se su di lei non c’è molta
considerazione, lei vive pienamente la sua appartenenza alla nuova famiglia (quante donne ci sono
ancora oggi attorno a noi che vivono situazioni in cui non hanno voce, o che non vengono considerate
in tutta la loro dignità e tuttavia rimangono al loro posto per il bene dei figli, della famiglia…).
Onan, il secondogenito di Giuda, prende Tamar come sposa, ma rifiuta di dare a lei (e più precisamente
al fratello morto) una discendenza. Vince il suo egoismo. Non è disposto a donare vita ad una creatura
di cui non può disporre, che non gli appartiene, e su cui non può avere il potere e la potestà. Per
questo male – ci fa sapere ancora il narratore – il Signore lo punisce con la morte. Tamar, dunque,
totalmente innocente, è vittima del male dei suoi mariti.
Ci dà modo di riflettere questo: il bisogno di disporre di noi stessi e degli altri porta alla morte, perché
va contro la nostra natura di creature. La nostra vita – ed il suo senso più profondo – non è legata alla
nostra autosufficienza, al bastare a noi stessi, al dominio su qualcosa o su qualcuno, ma trova la sua
identità più piena, trova la vita, nell’affidarsi a Q/qualcuno, nell’aprirsi agli altri, non nel trattenere per
sé, ma nel donare. È la logica di Tamar.
Rimane quindi in vita un ultimo figlio a Giuda. Spetta a lui prendere in moglie Tamar per garantire una
discendenza a Er. Ora, però, è Giuda ad avere un comportamento egoistico: convinto – anche se non lo
esprime esplicitamente – che la causa delle morti premature dei suoi figli sia Tamar (la sposa da lui
stesso scelta) pensa di preservare dalla morte l’ultimo figlio rimasto, evitandogli il matrimonio. Anche
Giuda, in fondo, pensa di avere il potere sulla vita. Inoltre, non è onesto nei confronti della nuora. La
mantiene legata a sé (altro egoismo, avrebbe potuto congedarla apertamente, dandole la possibilità di
prendersi un marito); allo stesso tempo, però, la “rispedisce” a casa come vedova (non si assume così
l’onere del suo mantenimento). La trattiene senza mantenerla, con una promessa (sposare il terzo
figlio una volta cresciuto) che già pensa di non mantenere.
Tamar, ancora una volta, obbedisce al suocero. Torna a casa, ma passa il tempo. Ormai capisce che
Giuda non ha alcuna intenzione di darla in moglie al figlio rimasto. Ma non per questo rinuncia a ciò
che le spetta. Anzi, più che un suo diritto, quello che cerca pare essere la giustizia e il diritto rispetto
alla famiglia di cui fa parte: dà ascolto e risposta al grido della vita. Tamar è l’unica che non pensa a se
stessa, ai propri interessi. Addirittura rischia la sua dignità e la stessa vita per questo. Paradossalmente
è proprio la nuora che cerca la salvezza per la famiglia di Giuda!
Il disegno di Tamar è apertamente ambiguo: con l’inganno vuole incastrare il suocero, approfittando di
un suo sfogo. La situazione è anche un po’ ironica. Giuda lascia in pegno alcuni oggetti personali per
poter godere della prestazione di quella donna ma, senza saperlo, lascerà un pegno molto più
personale: dove è inciso il sigillo personale più di un figlio? Ed è questo che accade. Giuda pensava di
liberarsi dalla nuora senza assolvere alcun impegno: ora si troverà per sempre legato a lei. Addirittura:
egli le è debitore della vita, della discendenza.
Tamar, ritornata a casa, ritorna alla vita di prima. Ma ora tutto è diverso. La sua gravidanza viene alla
luce e Giuda, il capofamiglia, che ha il potere su di lei, ignaro di tutto stabilisce per lei una dura
condanna: la pena del rogo (inusitata nella tradizione israelitica). È solo in questo momento che essa
svela la verità o meglio lascia a Giuda stesso il compito di esprimerla: i pegni che essa possiede
dimostrano la paternità del “pegno” che porta nel suo corpo. Tamar ottiene con l’inganno e l’astuzia
quello che le spetta per diritto.
Alla fine si svela il vero innocente. Questa storia pare scorrere su due livelli: il primo è quello umano e
più superficiale nel quale emerge una certa comprensione dei fatti: Tamar è dapprima vista come
donna cattiva perché causa di morte per i suoi mariti, e diventa poi donna infedele e adultera perché si
prostituisce. Essa non merita più di vivere. È in fondo quello che ha pensato Giuda. Forse è anche il
modo con cui anche noi alle volte guardiamo e giudichiamo le persone, considerando l’apparenza dei
fatti, ciò che emerge. Quanto è facile esprimere giudizi su storie e persone dando credito alle nostre
sensazioni. Lo sguardo che il racconto biblico ci suggerisce, invece, è uno sguardo contemplativo. Noi
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siamo fortunati perché conosciamo da subito la verità della storia di Tamar perché in quanto il
narratore ci mette a conoscenza di alcuni elementi (il male compiuto dai due fratelli, il pensiero di
Giuda…). Lo sguardo solo umano (oggettivo diremmo noi) non è sinonimo di “verità”. La verità si può
cogliere o almeno intuire solamente se ciò che vediamo e viviamo è messo sotto lo sguardo del
Signore. Il secondo livello, quello più profondo, infatti, che troverà luce chiara solo alla fine, è quello
della fede. Tamar è una sposa che accetta fino in fondo il suo compito, si assoggetta totalmente alla
nuova famiglia e alla sua legge. Con pazienza e disponibilità accoglie prima un altro marito e poi torna
a casa sua, rimanendo in attesa. Si dimostra poi donna coraggiosa, che cerca la giustizia non per sé, ma
per la famiglia di cui è entrata a far parte; per mantenere fede al suo impegno commette peccato.
Il delitto di Giuda è consistito nel reprimere la vita, come se avesse autorità di darla o di negarla. Giuda
pensava di conservare la vita custodendola, chiudendola; mentre la vita si salva dandosi,
comunicandosi. “Se uno vuol salvare la propria vita, la perderà”, dice Gesù (cfr. Lc 17,33). Giuda si è
chiuso nella sua ansia di sicurezza; mentre la vita continua nel rischio. Si tratta di un delitto contro la
vita. Paradossalmente, la nuora lo ha salvato e gli darà discendenza addirittura doppia.
Si tratta di una questione di fede e di amore. Giuda non si è affidato alla legge e, attraverso essa, alla
volontà di Dio, ma ha preteso di decidere qual era la strada da seguire. Tamar, invece, fedele con
azzardo al diritto che le spettava, ha con scaltrezza tentato tutto. Certo, Tamar è una peccatrice, non
per sé, però, ma per amore della vita. Per questo il Signore, che usa misericordia verso tutti, in
particolare i più peccatori, guarda con bontà a questa donna audace e la porta quasi in palmo di mano
garandendole la memoria perenne e universale inserendola all’interno del racconto evangelico delle
origini di Gesù (cfr. anche Mc 14,9 – unzione di Betania)2.
Sorella Viviana Tosatto
Discepole del Vangelo
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I testi da cui abbiamo preso spunto sono stati: L. MANICARDI, Giuseppe, «uomo giusto» (Mt 1,19). Dalla paternità di
Giuseppe alla paternità oggi, «La Rivista del Clero Italiano» 93 (2012), 421-439; L. ALONSO SCHÖKEL, Dov’è tuo fratello?,
Paideia, Brescia 1987, 289-299.
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