Caterina sorella di santa Chiara

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Caterina sorella di santa Chiara
Caterina, sorella di santa Chiara
(G. Gigliozzi, Francesco e la Povera Dama, pp.51-52)
Passò l’autunno e il gelido inverno. E con la prima neve passò di questa vita la
moglie del mercante, Madonna Pica. Ci era capitato più volte di incontrarla per le
strade di Assisi, mentre si avviava verso la campagna, forse per cercare il suo
caparbio figliolo nei pressi della chiesetta di san Damiano, da lui restaurata.
Le mani gentili erano ora spaccate dalla calce e indurite dai calli. Andava di
fretta Madonna Pica e portava alla bocca il fazzoletto di merletto mentre una tosse
stizzosa scuoteva la sua esile figura.
Più volte, accanto al fuoco nelle lunghe sere d’inverno la sorella mia Chiara, di
poco di me maggiore, mi disse che una gran pena stringeva il suo cuore ogni volta
che aveva la sorte di imbattersi per via in Madonna Pica e d’udire nel silenzio della
chiesa, durante la messa, quei suoi colpi di tosse, che sembravano dolorosamente
come incrinare l’aria.
E il figlio, nascosto nell’angolo più remoto del duomo, volgeva gli occhi scuri
verso la madre e vi si poteva scorgere bagliore di lacrime.
Pietro di Bernardone, il mercante, era impassibile al suo posto, quasi statua e
sembrava essersi ricreduto dal primitivo proposito di ricorrere alla giustizia. Ma
quando Madonna Pica, vestita del suo abito nero di broccato, il volto coperto da un
velo bianco, fu posta nella bara e calata nella fossa, la sua ira fu incontenibile.
Attribuì a Francesco la causa della morte della madre e il suo animo fu colmo di
vendicativi propositi. Invano mia madre e la sorella mia Chiara, ogni volta che se ne
presentasse l’occasione, cercarono di ripetergli che morte e vita sono nelle mani di
Dio…
Angelo, il suo secondo figliolo, non cercava di placare l’ira paterna; anzi ogni
volta che incontrava suo fratello si prendeva beffe di lui. Venne l’aprile. Cominciò a
rinverdire la rama e si riaprirono le finestre delle case al tiepido sole.
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E un pomeriggio, nelle prime ore, affacciandomi vidi gente che muoveva
presso la piazza del vescovado, nei pressi della nostra dimora. E affannata corse
Chiara a chiamarmi, perché l’accompagnassi sul sagrato di santa Maria Maggiore.
Mi sembrò smarrita, prossima ad assistere ad una vicenda che avrebbe segnato
per sempre la sua vita. Mentre frettolose uscivamo dall’uscio ci si accodò il resto
della famiglia, uomini compresi. Mio padre Favarone ci spiegò che ser Pietro di
Bernardone aveva fatto convocare il figliolo dinanzi ai consoli, ma al messaggero che
gli aveva recapitato l’intimazione a san Damiano, Francesco aveva risposto che il
Signore Iddio lo aveva ormai liberato da ogni schiavitù e che altra signoria non
riconosceva se non quella di Cristo e della sua Chiesa. …
Fu questa la causa che aveva indotto il Signor Vescovo Guido a convocare
Francesco e il padre suo Pietro sul sagrato di santa Maria Maggiore…
Ora il padre e il figlio erano l’uno di fronte all’altro…Messer Pietro gridò che
il figlio era pazzo, che aveva dilapidato il suo patrimonio e che quindi doveva essere
punito con severità, per essere d’esempio ad ogni figlio che osasse disprezzare
l’autorità paterna.
Avanzò il Vescovo Guido fra i due e chiese a Francesco: “Vuoi tu veramente
servire Iddio?”. Rispose Francesco: “Certo che lo voglio”. E il Vescovo allora:
“Restituisci a tuo padre ciò che non ti appartiene”.
Come sgusciando dai suoi abiti, che caddero a terra, Francesco apparve nudo al
chiaro sole d’aprile. Un cilicio stringeva i suoi fianchi. Fece dei suoi abiti un fagotto,
li porse al padre e subito gridò: “Fino ad ora ho chiamato Pietro di Bernardone mio
padre: ma ora gli rendo il suo denaro e tutte le vesti che ho di lui. E d’ora in avanti
non dirò più padre mio, Pietro di Bernardone, ma : Padre nostro, che sei nei cieli”.
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