Prof. Gustavo Strafforello Sardegna Corsica Malta I mari D`Italia in

Transcript

Prof. Gustavo Strafforello Sardegna Corsica Malta I mari D`Italia in
Prof. Gustavo Strafforello
Sardegna Corsica Malta I mari D’Italia
in La Patria Geografia dell’Italia
Unione Tipografico Editrice
Torino, 1895
Porto Conte. — A 10 chilometri a ovest da Alghero apresi il Porto Conte, ampio golfo, che può
accogliere intiere squadre al sicuro da qualsivoglia tempesta. È largo all’imbocco circa due miglia,
un po’ più nell’interno e allungasi oltre 4 miglia da capo Caccia alle rovine di Santimbenia.
Sulle coste est e ovest, a poca distanza, ha un fondo di 4 a 5 metri, e lungo le spiagge verso nord
non v’ha ancoraggio propizio per bastimenti grossi che a 650 metri da terra. Sulle coste suddette di
est e ovest protendonsi due piccoli promontorii, sul primo dei quali sorge la torre detta di Porto
Conte e sull’opposto quella di Trasmeriglio. Nel fondo, verso ovest, sono le rovine di Santimbenia.
Dal Trasmeriglio verso sud è la torre del Bulo e quindi, prima di arrivare al capo Caccia, la grotta
dell’Altare a mezzo la ripida costa, in cui vedonsi belle stalagmiti.
Isolette. — Girato capo Caccia si presenta una costa inospite, la quale non offre rifugio neanche ai
piccoli legni. Non molto lungi dal Capo, in fondo a una piccola insenatura, vedesi l’ingresso della
famosa Grotta di Nettuno ed a maestro-tramontana di essa, sorge l’isoletta Foradàda. È un colle
poco alto e di cui le rocce vanno disgregandosi, con poche erbe ed arbusti e in cui nidificano uccelli
marini. Ebbe tal nome, che significa forata o bucata, per essere attraversata nella sua larghezza da
est a ovest da una grande apertura. Presso al varco dalla parte est e dentro la caverna rinviensi acqua
dolce.
A tre miglia poi da capo Caccia altra isoletta detta Piana, che non è altro se non un pezzo di monte
staccatosi dalla costa, da cui resta diviso da un canaletto curvo, che è visibile solo a chi lo varca. Fu
detta Piana dalla superficie spianata; si alza poco dal livello dell’acqua; è dirupata nelle coste e può
aver la circonferenza di un miglio. Non vi crescono che pochi arbusti, e a’ suoi due lati, schiudonsi
due seni, ove si può gittar l’ancora co’ venti terrestri. Si trova poi il capo della Gessiera e
successivamente la spiaggia di Porticinolo e la piccola cala di Bantine-Sale ove termina il litorale
algherese.
Grotta di Capo Caccia. — La grotta delle stalattiti di capo Caccia fu visitata da Carlo Alberto nel
1829, allora principe di Carignano, e poi di nuovo nel 1841 e nel 1843 allorché divenne re di
Sardegna, visite ricordate da due iscrizioni; la Grotta dell’Altare, nel Porto Conte, venne visitata nel
1835 dal La Marmora in compagnia del cav. Ludovico Sauli e del padre Vittorio Angius, che vi
cercarono indarno gli avanzi degli antichi giganteschi animali, che vi abitavano.
La prima, detta Grotta di Nettuno, supera, in bellezza le altre tutte della Sardegna. Essa dista dodici
miglia da Alghero e s’apre verso ponente. Accessibile dalla sola parte del mare e nella sola stagione
estiva, a causa dei marosi del golfo, che ne impediscono l’ingresso nelle altre stagioni; è d’uopo
riunirsi in molti per godere tale incanto e ciò a causa dell’ingente spesa, che apporta una gita in
essa, occorrendo circa 2000 candele o fari per poter illuminare quello spazioso e pittoresco antro
marino. Il mese di luglio è l’epoca migliore per visitarla e bisogna attendere, che il mare presenti la
maggior sicurezza. La carovana d’ordinario parte alla mezzanotte dal porto d’Alghero, ove
s’imbarca su d’una goletta, per giungere all’alba all’ingresso della grotta, che si presenta imponente
e maestosa colla sua immensa rupe, che par voglia rovesciarsi addosso al battello. Colà giunta si
sbarcano i visitatori e le provviste — che si portano in gran copia per il caso, non di rado capitato,
che l’ingrossarsi repentino del mare, ne impedisca l’uscita — in una specie di vestibolo, il quale era
ornato da splendide concrezioni calcaree, strappate ed esportate da ufficiali di marina, e alcune delle
quali in oggi decorano le grotte artificiali della villa Pegli di Genova. Indi un piccolo scafo, guidato
da un marinaio e sul quale non possono stare che due sole persone, traghetta gl’individui all’opposta
riva d’un laghetto largo circa 100 metri, posto dentro la grotta. Tale operazione richiede parecchie
ore a seconda del numero delle persone. Intanto però gli altri marinai dispongono le candele nei
posti a loro ben noti e dai quali la luce, oltre ad illuminare completamente l’intiero ambiente, fa
spiccare tutto l’incantevole ed il meraviglioso, che quel luogo fatato presenta all’occhio sorpreso del
visitatore.
Attraversato il lago, sette colossali colonne alabastrine, che ne sfiorano le pacifiche acque, sorgono
per annodarsi superiormente in una specie di cornice, formando cosi un grandioso proscenio di
questa sorprendente scena e nello sfondo le stalagmiti e le stalattiti, con una ricchezza di volute, di
arabeschi, di ghirigori, con un bizzarro incrociamento, con un raggrupparsi in mille diverse forme,
presentano la più ardita scena, che ingegno d’artista possa concepire. I raggi delle candele, battendo
su quell’artistico ricamo, ne fanno sprizzare milioni di scintille e il prisma dei colori si svolge in
tutta la pompa del suo splendore. A seconda del sito che si occupa la scena si trasforma, si muta,
come le vedute dello stereoscopio, e un numero infinito di quadri, che pennello umano non
saprebbe riprodurre, si presenta dinanzi allo sguardo estasiato dello spettatore.
Né qui s’arresta tutto il fascino incantevole, che presenta la Grotta di Nettuno. Una piccola grotta ha
delle concrezioni d’un colore azzurrognolo, effetto della rifrazione delle acque del mare; un
precipizio spaventevole e in pari tempo maestoso, una specie di tribuna incavata nella roccia, a cui
si ascende per una salita in mezzo a stalattiti, conduce ad una vastissima sala, di cui puossi toccare
la volta con la mano, mentre essa s’innalza a 30 metri dal livello del laghetto. I lumi, che
rischiarano, con riflessi dai mille colori, quelle colonne e quegli arabeschi, che pendono dalla volta
o s’innalzano dal suolo, e che si specchiano nelle tranquille acque di quel lago, rendono la scena
estremamente incantevole e lo spettatore si sente trasportato in un soggiorno di fate, che la fantasia
degli autori arabi hanno saputo intessere, o in un ballo di Proserpina, come scrive il Delessert, nel
suo libro Six semaines en Sardaigne.
Il Valery si mostra dolente di non aver potuto visitare la grotta d’Alghero, a causa del tempo, che
non permise una escursione là dentro e racconta che un antico comandante d’una fregata sarda,
v’introdusse un cannone per abbattere le colonne naturali, che guarniscono la prima sala, per
ornarne una casa di campagna, da lui posseduta a Nizza e che un capitano della marina reale inglese
più tardi rinnovò quel vandalismo. Profanazione cui non bastano le parole a stigmatizzare!
Il Tyndall ne fa una minuta ed esatta descrizione e dice che nei suoi molti viaggi mai spettacolo così
sorprendente si presentò alla sua vista. Il Peretti ed altri scrivono che merita la pena d’un viaggio in
Sardegna solo la vista della grotta di Nettuno; il cav. Forzani assicura che la celebre grotta di Fingal
in Iscozia, da lui visitata, non è paragonabile a questa. Il duca di Buckingham, nel 1824, la fece
illuminare a luce di bengala e si vuole che esclamasse fosse essa migliore di quelle celebri di
Antiparos e di Mahon.
Tutt’intorno al laghetto circola una piccola spiaggia formata di piccole conchiglie. Non è raro il
caso, in cui i visitatori, che a malincuore abbandonano quel luogo delizioso, sono costretti a passar
la notte nella grotta, fintanto che la bassa marea ne permetta l’uscita.
La seconda, detta Grotta dell’Altare, da un altarino diroccato che vi si vede, trovasi nel Porto Conte
e nello stesso monte in cui è la grotta di Nettuno, ed è una vasta caverna dal suolo inclinato e con la
volta che va incurvandosi rapidamente sino al fondo. Poche stalattiti pendono dalla volta in forma di
coni, ma dal suolo levasi un gruppo di gigantesche stalagmiti alte persino m. 6.50 e di vario
diametro.
(pagg. 317-319)