2.3. L`architetto Giulio Ulisse Arata

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2.3. L`architetto Giulio Ulisse Arata
2.3. L’architetto Giulio Ulisse Arata
Come si è visto, l’architetto Giulio Ulisse Arata fu incaricato della progettazione e direzione dei
lavori e, in nome dell’amicizia personale che lo univa con Ricci Oddi, non pretese nessun compenso
pecuniario.
Egli nasce a Piacenza il 21 agosto 1881 e qui frequenta la scuola di Ornato e Architettura all’istituto
Gazzola, seguendo le lezioni di Camillo Guidotti. Diplomatisi nel 1899, trascorre due anni a Napoli,
dove espleta il servizio militare e si avvia alla carriera di decoratore e modellatore di stucchi. Tra il
1902 e il 1906 segue i corsi all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove le lezioni di Camillo Boito
lo influenzano profondamente, soprattutto per quanto riguarda sia la visione di un passato e di un
presente uniti senza soluzione di continuità, sia la certezza di poter ritrovare nell’antica tradizione
nazionale, soprattutto medievale, i germi della nuova architettura, e anche l’interesse per i problemi
di conservazione e di restauro. Ciononostante Arata si distacca dall’istituzione accademica, spesso
arroccata su posizioni reazionarie, e, in questi anni, mostra un profondo interesse per la cultura Art
Nouveau. Egli prosegue i suoi studi a Roma, dove si diploma nel 1906, e qui viene a contatto con
una cultura molto diversa da quella milanese, caratterizzata da un forte gusto eclettico dalla forte
matrice classicista.
Dal 1906 è stabilmente a Milano dove come “architetto- artista” collabora con molti piccoli
imprenditori edilizi limitando, spesso, il suo apporto alle sole facciate.
Un importante intervento è costituito dalla casa Carugati- Felisari edificata nel 1907- 1908 in via
Mascaroni 18 a Milano, dove troviamo molti elementi che caratterizzeranno le sue realizzazioni
successive e che costituiranno quello che Fabio Mangone1 ha definito lo “stile Arata” : un felice
connubio di elementi modernisti e secessionisti, di allusioni ad uno stile medievale fantasiosamente
reinterpretato e di moduli della tradizione accademica sottoposti, tuttavia, a distorsioni e a libere
interpretazioni, il tutto in un tessuto in qualche modo classicistico.
Dal 1907-1908 egli è attivo a Napoli. Particolarmente significative sono due opere di questo
periodo: il complesso termale di Agnano, dove troviamo quello che diventerà un vero leitmotiv
della poetica aratiana, e cioè l’attenzione all’inserimento paesistico della costruzione per giungere
ad una suggestiva integrazione di artificio e natura; e il Palazzo Mannajuolo in via Filangeri a
Napoli, dove si nota una rilettura della spazialità barocca unitamente alla ripresa di molti moduli
modernisti italiani ed europei (evidenti soprattutto nella splendida scala elicoidale).
Gli anni ’10 costituiscono il fulcro dello “stile Arata”: le case Berri- Meregalli in via Mozart e in via
Barozzi a Milano, dove le modellazioni floreali moderniste vengono unite a mascheroni mostruosi
di un fiabesco medioevo , a rustici bugnati di ispirazione manierista e a vivaci mosaici e dorature di
1
Cfr. F. Mangone, Giulio Ulisse Arata, opera completa, Napoli 1993.
sapore orientale. Significativa è anche un’intensa produzione di disegni e progetti sospesi tra realtà
ed utopia (non a caso uno dei due progetti inviati al concorso, bandito nel 1914, per la costruzione
della Cattedrale di Salsomaggiore viene intitolato “Utopia” e presenta connotazioni fantastiche),
dove prevalgono scenografici sistemi di ambientazione e implicazioni simboliche, come
testimoniano i vari progetti per il nuovo Cimitero monumentale di Piacenza, che non sarà mai
realizzato. A partire dal 1914 egli collabora assiduamente alle testate “Vita d’Arte”, “Pagine
d’Arte” ed “Emporium”, e compare tra i soci fondatori sia dell’”Associazione degli Architetti
Lombardi” (di cui è presidente Sommaruga) sia del gruppo avanguardistico “Nuove Tendenze”.
Gli anni della guerra segnano una stasi nell’attività di Arata, impegnato soprattutto come critico e
come docente all’Accademia di Belle Arti di Parma, ma nei suoi scritti si avvertono i sintomi della
crisi dello “stile Arata” dovuti alle nuove e forti istanze di nazionalismo, che implicano un minor
contatto con le correnti artistiche europee, e alla nuova esigenza di realismo, che suggeriscono
l’abbandono di certe divagazioni fantastiche; egli si fa portavoce di un nuovo ritorno all’ordine.
Nei progetti aratiani degli anni ’20 al decorativismo di marca Art Nuveau si sostituisce
un’irresistibile tentazione verso la grande scala e la magniloquenza, di cui il maggiore esponente è il
progetto del 1923 per Palazzo Korner, il primo grattacielo italiano, poi non realizzato per motivi
contingenti, tra cui il divieto di sfratto agli inquilini che occupavano il gruppo di case che doveva
essere demolito. Significativo è l’interesse di Arata, a partire da questo periodo, per la tradizione
anonima e popolare con l’intento di individuare quella “schiettezza” e quella “semplicità austera e
tradizionale” da contrapporre ai “formalismi dell’ingegneria moderna” 2, pensiero supportato dalla
certezza di individuare nelle architetture regionali certi caratteri metastorici, poco soggetti a
modificazioni temporali e perciò attuali. Quindi la necessità di ritorno all’ordine per Arata non si
traduce nei termini di una tradizione aulica, o nella rifondazione della regola classica, ma nella
riscoperta dei sistemi costruttivi e dei linguaggi vernacolari. Inoltre per Arata il “ritorno all’ordine”
non è finalizzato a trovare una nuova regola assoluta o a ricreare una nuova monumentalità, e in
questo si differenzia dai nuovi classicismi di area milanese o romana, ma intende fissare
l’attenzione sulla progettazione urbana, sottoposta a condizionamenti locali piuttosto che a norme
assolute. Questo è evidente nella ristrutturazione urbanistica del quartiere medievale di Bologna
(compreso tra via Toschi, via Foscherari, via Marchesana e via Piave) operata nel 1925- 1928 dove
vengono utilizzati materiali tradizionali come pietra, legno, terracotta e mattone, che si intonano con
l’ambiente circostante e permettono raffinati dettagli decorativi. Il “diradamento” della fitta
edificazione e il miglioramento della circolazione non sono ottenuti con sventramenti ma attraverso
2
G. U. Arata, La casa popolare sarda e la sua suppellettile, in “La casa”, III (1920), p. 167, che, insieme ad altri
articoli confluirà nel volume, scritto in collaborazione con Giuseppe Biasi “ Arte sarda”, Milano 1924.
gallerie e passaggi pedonali, con l’obbiettivo di ricostituire un ambiente pittoresco e di mantenere la
caratteristica scala urbana del borgo medievale. Negli anni ’30 si collocano anche realizzazioni di
ampio respiro come lo Stadio e la Torre di Maratona a Bologna e il Nuovo Ospedale Maggiore a
Milano.
A partire dagli anni ’30 la fortuna critica di Arata declina visibilmente: ormai viene considerato
come un architetto del passato e, egli stesso in parte artefice del suo isolamento, preferisce rifugiarsi
nella Storia e nel Restauro e si dedica alla stesura di testi di carattere divulgativo: tra il 1941 e il
1946 realizza per la casa editrice De Agostini di Novara i quattro fascicoli dei “Documentari
Atheneum” e gli undici volumi della collana “Italia monumentale e pittoresca”, per Hoepli pubblica
nel 1942 “Costruzioni e progetti” e “Ricostruzioni e restauri”, dedicati al bilancio della sua attività.
Importanti sono i restauri che egli esegue a Vinci della casa natale di Leonardo e del Battistero tra la
fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50; inoltre egli nel 1953 pubblica la monografia “Leonardo
urbanista e architetto”. Arata muore a Piacenza il 15 settembre 1962.