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GIALLI E NOIR METROPOLITANI
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GIALLI E NOIR METROPOLITANI
collana diretta da:
Paolo Roversi
direzione editoriale:
Calogero Garlisi
redazione:
Elena Chiappara
Eugenio Nastri
comunicazione:
Gabriele Dadati
commerciale:
Marco Bianchi
progetto grafico: Studio Grafico Ceccherini, Milano
ISBN 978-88-95411-57-6
Novecento Editore è un marchio Novecento media s.r.l.
Copyright © 2014 Novecento media srl
via Carlo Tenca, 7 - 20124, Milano
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Riccardo Brun
L’ASSEDIO
Novecento Editore
“Il combattente migliore è quello che vanifica i piani del nemico; secondo viene quello che sa spezzarne
le alleanze; dopo colui che adotta lo scontro armato;
peggiore è infine chi ricorre all’assedio”.
Sun Tzu, L’arte della guerra
Prologo
Sette anni prima
Non c’è traccia di ordine, non c’è procedura riconoscibile.
L’aria è una nuvola grigia e densa di gas C4.
Quasi solida.
I colleghi si muovono come robot impazziti, i colleghi sono imprigionati in tute da combattimento imbottite e rinforzate, i colleghi sono truppa senza volto, tutti
uguali, alieni.
L’asfalto infuocato è chiazzato di sangue. Negli avvallamenti si raccoglie in pozze, ancora liquido.
Le grida, gli slogan, le invocazioni, gli ordini, i lamenti, le sirene, tutto si mescola in un unico rombo: un
rumore assordante che mescola acuti, bassi e fragore.
Caroselli di mezzi blindati senza direzione sostituiscono l’energia dei vasi da fiori sui balconi e delle bandiere fissate con cura alle ringhiere: asta, ferro, nastro
isolante; asta, ferro, filo di ferro; asta, ferro, corda, spago, cotone, improvvisazione.
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Per strada traiettorie spezzate, volontà spezzate, braccia spezzate. Di tanto in tanto volti levati al cielo come in
preghiera. La risposta è acqua.
Acqua che viene giù dai balconi a secchiate intermittenti. Tentativo vano di annacquare i lacrimogeni.
Non c’è ordine, non c’è procedura.
I colleghi picchiano con violenza chiunque gli capiti
a tiro, sembrano raccogliere la rabbia da qualche posto
segreto dentro i quadricipiti.
Questo è quello che uno può vedere.
Raccolgono rabbia.
Da qualche posto segreto dentro di loro.
Con collegamento istantaneo alla struttura articolare del movimento.
Iniezione naturale di adrenalina purissima.
La paura è stata la semina, si dirà dopo.
Oppure è questo, in casi eccezionali, il mantenimento dell’ordine? Questa la procedura?
L’agente scelto della polizia di Stato Salvo Amodio si
guarda intorno smarrito, si toglie il casco per respirare meglio.
Ma non respira meglio.
Respira veleno.
Tutta la città è avvelenata.
L’agente scelto Amodio, senza volerlo, senza saperlo,
senza capirlo, è nel centro degli scontri, nel centro del
caos, nel centro del conflitto del nuovo millennio.
La realtà è sospesa.
Al suo posto l’incredibile, l’irreparabile, l’orrore, la
storia.
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Genova, 20 luglio 2001.
Il suo battesimo.
Valzer per un morto. Sonate amare per i feriti. Un carnival di
urina e sangue e fumo e grida e pozze acide di residui liquidi di
gas…
Un furgone blu scuro si ferma sgommando a una trentina di metri da lui. È simile ai mezzi d’ordinanza, ma
senza scritte, senza insegne. Un gruppo di ragazzi vestiti
di nero a volto coperto si raduna davanti alla portiera
laterale. Sono tranquilli, rilassati, a loro agio.
Li chiamano Black Bloc. Blocco nero. Anarchici di
tutto il mondo, diceva la circolare.
L’agente scelto Salvo Amodio si asciuga il sudore con
il fazzoletto d’ordinanza, gli occhi bruciano, la pelle brucia, la città intera sta bruciando. La portiera del furgone si apre. Una mano passa spranghe e catene ai Black
Bloc. Salvo fa qualche passo in direzione del furgone. Si
guarda intorno, nel caos nebbioso e sincopato nessuno
dei suoi colleghi ha visto la scena. La mano ha finito la
distribuzione e si ritira come una murena nel buio fresco del furgone. Salvo vede per una frazione di secondo
un luccichio sull’anulare di quella mano. Un anello d’oro
con la forma di una figura allungata in perpendicolare al
dito, ma è proprio un attimo, è giusto un brillare lugubre
alla periferia della consapevolezza.
Un’aquila ad ali spiegate? Una croce?
Una spinta lo sposta. Un corpo di donna per poco
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non lo fa cadere, donna sui cinquant’anni, sporca, sudata, bagnata di sangue. Per non perdere l’equilibrio Salvo
si trattiene a lei. Per una frazione di secondo si tengono
in piedi appoggiandosi uno all’altra, quasi abbracciandosi, poi la donna si affloscia in ginocchio, afferra i pantaloni di Salvo, grida qualcosa con il volto pieno di sangue
e gli occhi chiusi. Grida forte, una domanda, ma Salvo
non capisce cosa. Un calcio la colpisce alla schiena. La
donna cade e si rannicchia in posizione fetale. Tre colleghi di Salvo iniziano a prenderla a calci. Il più anziano
prende Salvo per il collo, stringe forte dietro la nuca,
grida: “Amodio! Che cazzo fai? Non startene lì impalato!
Forza!”
L’agente scelto Salvo Amodio si fa forza e si muove:
sferra un primo debole calcio.
Forza…
E colpisce l’ordine…
Prende a calci la procedura…
Fantasmi nascosti nel buio, come quando era un bambino…
Il corpo della donna è morbido, cedevole, quasi inerte.
Come una borsa piena di magliette…
Come un sacco di frutta marcia…
Salvo inizia a piangere e colpisce sempre più forte.
Piange e colpisce. Piange e colpisce. Piange e colpisce,
finché non sente più la gamba, i pensieri, e la coscienza.
Il sangue, d’altra parte, non evapora.
Le bandiere sono pezze per tamponare ferite e costringere fratture.
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Addio all’energia gentile dei vasi da fiori.
Addio alle sante raccomandazioni della vigilia.
Genova, 2001.
Esattamente come un battesimo.
Nel sangue e nel disonore.
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