IN L`hacker: aziende occidentali «complici» della
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IN L`hacker: aziende occidentali «complici» della
VENERDÌ 30 SETTEMBRE 2005 il fatto OFFENSIVA Sono trentamila i funzionari che si dedicano esclusivamente a setacciare i messaggi che i cittadini si scambiano sulla Rete. E stanno per entrare in funzione nuovi sistemi di restrizione automatica dell’accesso alle informazioni presenti sul Web. Inoltre, alcune norme appena annunciate renderanno illegali le comunicazioni «religiose» MA I GIOVANI COMUNISTI LANCIANO I GIOCHI ELETTRONICI «PATRIOTTICI» Per il governo di Pechino la Rete non è soltanto una minaccia dalla quale difendersi ma anche un’opportunità per «infondere spirito nazionalistico e una corretta istruzione ai giovani». Questa almeno è la motivazione con cui La Lega dei Giovani comunisti cinesi ha lanciato un progetto di sviluppo di videogiochi di quelli chiamati in gergo «massive multiplayer online role-playing game (MMORPG)». Si tratta di veri giochi di ruolo che possono essere simultaneamente condotti sul Web da molteplici giocatori (anche diverse migliaia). La loro caratteristica è quella di indurre una forte immedesimazione dei partecipanti nel contesto che funge da sfondo all’azione. Non a caso due fra i primi "soggetti" prescelti dalla Lega – che ha investito nel progetto 6 milioni di dollari – vi sono la riedizione della Lunga Marcia e la rivisitazione della guerra sino-giapponese intercorsa fra l’invasione del 1937 e la fine della Seconda guerra mondiale. In particolare, i partecipanti a «Anti-Japan War Online» – questo il nome del gioco anti-giapponese – potranno rivivere le varie battaglie di quel periodo ma parteciparvi solo come soldati cinesi. «Ciò susciterà un forte senso patriottico in coloro che si troveranno a combattere contro gli invasori per difendere la madre patria», viene sottolineato dall’azienda incaricata dello sviluppo del gioco. (S.Gul.) 3 La passione per le nuove tecnologie in Cina è fortissima e i suoi ingegneri sono all’avanguardia nelle applicazioni commerciali. Il governo teme però che Internet diventi un veicolo per la circolazione di idee «pericolose». Un giornalista è stato recentemente individuato, e poi arrestato, grazie alle informazioni che Yahoo! ha fornito alle autorità REGIMI LIBERTICIDI DI STEFANO GULMANELLI l nome che le hanno dato (gioco di parole tra storia e tecnologia) è forse l’unico elemento non drammatico della vicenda: Great Firewall of China, Grande Muraglia elettronica cinese (in gergo informatico il firewall è l’insieme degli accorgimenti per proteggere una rete di computer). L’espressione indica il capillare sistema di controllo steso dal governo di Pechino attorno alle attività condotte su Internet dai propri cittadini – dall’invio di posta elettronica alla consultazione di siti Web alla ricerca di informazioni con i motori di ricerca (gli occidentali Yahoo! e Google, l’autoctono Baidu.com). Alle fondamenta di questo gigantesco «muro cibernetico» che avvolge il Paese vi sono, da un lato, gli oltre 30mila solerti funzionari statali dediti esclusivamente al monitoraggio dei messaggi scambiati dagli «internauti» cinesi e, dall’altro, un sistema tecnico di stringente sorveglianza automatica delle comunicazioni elettroniche. Quest’ultimo è capace di bloccare il raggiungimento di determinati indirizzi IP (l’equivalente del «numero civico» di un computer o di altri apparecchi connessi alla Rete) o di filtrare il contenuto di siti Web "indesiderati". Un sistema già piuttosto efficace ma destinato a divenire davvero insuperabile quando, in un futuro non lontano, verrà portato a compimento il progetto denominato «ChinaNet Next Carrying Network (CN2)». Nato per risolvere il problema della nell’uso di Punibile chiunque congestione Internet in Cina, dovuta alla crescita esplosiva degli diffonda «notizie utenti (a oggi quasi 100 contrarie alla milioni), CN2 prevede l’installazione in duecento sicurezza e agli città del Paese di nuovi interessi dello router (i dispositivi che governano il "traffico" su Stato». E i motori Internet), i quali verranno di ricerca Usa si dotati di filtri cosiddetti granulari di ultima autolimitano generazione, capaci per compiacere persino di «cancellare» alla vista sezioni sgradite di un le autorità certo sito Web senza inibire l’accesso al resto dei contenuti. A quel punto verrà stesa attorno all’ex Impero Celeste una cortina censoria quasi impenetrabile. Ma non è solo con la "cyberpolizia" e l’impiego di hardware sofisticato che Pechino stringe la morsa digitale sugli utenti cinesi della Rete. Un contributo determinante viene anche dalle leggi, nella misura in cui indicano quanto è o non è lecito comunicare online. Pochi giorni fa, il governo ha dato un ulteriore giro di vite, concedendosi mano libera nel giudicare «contrarie alla sicurezza e agli interessi dello Stato» le informazioni e le notizie che viaggiano sulla Rete. In questa categoria, assai generica e suscettibile di qualunque interpretazione da parte delle autorità, rientrano tutte i contenuti che «criticano le politiche religiose statali» – improntate alla promozione I La «guerra» cinese ai siti Internet Vietato dissentire dell’ateismo e al contrasto di ogni pratica di culto – o provider del servizio di posta elettronica, la configurabili come «predicazione in materia di fede». E, multinazionale americana Yahoo!. Un comportamento ancora, quelle atte ad istigare alla violenza etnica, che fa il paio con l’autocensura praticata dalle versioni riferimento ai movimenti separatistici che si sono cinesi di Google, MSN di Microsoft e, ancora, Yahoo!, le manifestati in alcune province, a partire dallo Xinjiang, quali dal loro vocabolario di ricerca hanno espunto parole fino all’ondata anti-giapponese diffusasi recentemente in poco apprezzate da Pechino, quali «democrazia», «libertà» alcuni forum cinesi. E, infine, le notizie che potrebbero e «Taiwan». L’ennesima conferma che, pur di essere portare a manifestazioni sociali o pubbliche, allusione ammessi alla divisione dei profitti promessi dal mercato nemmeno tanto velata a eventuali "commemorazioni" cinese, aziende e società occidentali non esitano a della sollevazione e della strage di Tienanmen. Ma al di là collaborare nell’aggiungere mattoni "elettronici" alla delle aree informative interdette, l’elemento centrale del «Great Firewall of China». provvedimento voluto dal Partito comunista è la disposizione secondo cui, per poter distribuire news o commenti online (via mail o con i GUERRA DI SPIE blog), è necessario essere registrati come «organizzazione produttrice di «ATTACCHI» DA PECHINO CONTRO IMPRESE AMERICANE informazioni». Poiché è prevedibile L’FBI SOSPETTA CHE IL GOVERNO SIA «A CONOSCENZA» che pochi soggetti privati Il nome in codice con cui l’Fbi (il Federal Bureau of Investigation richiederanno tale registrazione, per americano) ha aperto a loro carico un dossier è «Titan rain». Si tratta di non cadere sotto la lente della un gruppo di hacker i cui attacchi – lanciati contro i sistemi informatici di censura di Stato, ne consegue che strutture "sensibili" come l’azienda aeronautica Lockeed Martin o il inviare una e-mail a «contenuto laboratorio di ricerca militare Sandia – sono stati tutti individuati come informativo» – concetto alquanto provenienti dalla Cina. In tutti i casi accertati, lo scopo di queste elastico e variamente interpretabile penetrazioni è stata l’acquisizione di documentazione e di file di – diviene automaticamente reato. importanza strategica – il che li configura come veri atti di Un modo per legittimare «ex-post» il cyberspionaggio industriale. Fonti di stampa quali la rivista «Forbes» e il recente arresto del giornalista settimanale «Time» evidenziano come l’FBI – che per ora mantiene la dissidente Shi Tao, che proprio con cosa in sordina – sospetti che ad ispirare i «Titan Rain» sia lo stesso un messaggio elettronico aveva governo cinese. Ciò ha provocato peraltro una sdegnata replica inviato a giornali stranieri il dell’Ufficio informativo del Consiglio di Stato di Pechino. Rimane il fatto programma delle iniziative che il che è opinione diffusa tra gli analisti americani che sia nella sostanza governo intendeva approntare in impossibile condurre questo tipo di azioni all’insaputa delle autorità vista dell’anniversario di statali in un contesto cibernetico così rigidamente controllato come è Tienanmen. Episodio che ha fatto quello cinese. (S.Gul.) scalpore soprattutto perché il modo di risalire a Shi era stata fornito dal L’hacker: aziende occidentali «complici» della repressione «Oxblood Ruffin», ex consulente Onu, guida un gruppo che «regala» software per aggirare le barriere: ci si adegua per non perdere quote di mercato on è così che ci si immagina un hacker: 55 anni, ex-consulente Onu (coautore dello studio intitolato «Struttura dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite») e un presente da conferenziere, Oxblood Ruffin (lo pseudonimo con cui è leggenda in Rete) appare ben lontano dallo stereotipo del giovane "smanettone" impegnato a penetrare indebitamente tutti i sistemi informatici che gli capitano a tiro. Eppure è il "portavoce" del più famoso gruppo hacker, presente dal 1997 nel cyberspazio con il pittoresco nome di Cult of the Dead Cow (cDc, Culto della Vacca Morta). Oggi – dopo un di- N scutibile passato di programmi sviluppati per attaccare il software di grandi aziende come Microsoft – i cDc sono diventati i "combattenti" per la libertà digitale di chi nel mondo è vittima di censure e restrizioni nell’uso di Internet. A partire dai cinesi, ai quali i cDc hanno donato un software che consente a chi lo adotta di aggirare la «Great Firewall of China», sfuggendo alla tracciabilità dei cybersegugi di Pechino. Oxblood, perché il vostro assalto alla Grande Muraglia elettronica? Per due motivi: il primo è che quella esercitata dalla Repubblica Popolare è per noi la peggior forma di terrorismo praticabile da uno Stato, perché esercitata contro la propria gente. Il secondo è che dinanzi a ciò il mondo si gira dall’altra parte. Anzi, la Cina ne esce premiata con nuove opportunità e nuovi benefici. In particolare, sottolineate voi, i più magnanimi nei confronti di Pechino sono i leader delle grandi aziende produttrici di hardware e software... Sono loro che forniscono a Pechino l’occorrente per il bavaglio elettronico degli utenti locali. La «Great Firewall of China» esiste grazie alla tecnologia prodotta dalle democrazie liberali. Il fatto è che per le aziende occidentali la Cina è un’enorme opportunità di business e la vogliono cogliere «a tutti i costi». E quando i media ne chiedono conto, le imprese negano o giustificano le loro azioni: «Dobbiamo rispettare le leggi, lo farebbe qualcun altro», e cose simili. Quindi, la battaglia per la libertà d’informazione in Cina e altri Paesi "blindati" elettronicamente è anche una lotta contro i partner tecnologici di tali regimi. Una lotta da condurre anche con attacchi tradizionali di tipo informatico? Attaccare quelle aziende in senso "tecnico" – cosa che sarebbe ampiamente nei nostri mezzi – sarebbe illegale. Meglio pubblicizzarne i misfatti e chiarire al maggior numero di persone che queste aziende cooperano con una dittatura. Tra l’altro, se fai qualcosa per la democrazia nel mondo, porti una ventata di libertà anche in casa tua. Ci sono hacker cinesi con cui collaborate nel vostro tentativo di "bucare" la censura di Pechino? In Cina gli hacker capaci di aggirare la «Firewall» non mancano, molti però non sono interessati a maggiori libertà quanto a procurarsi materiale pornografico. Abbiamo però contatti con alcuni hacker locali che cercano di aprire varchi di libertà nella Rete cinese. C’è chi non trova coerente il vostro presente di cyberpaladini dei diritti umani con il passato in cui attaccavate prodotti e interessi legittimi di grandi aziende... Non c’è nulla di illegale nel nostro passato, tant’è che nessuno dei cDc è mai stato formalmente accusato di crimini informatici. Stefano Gulmanelli NEL MONDO Arabia Saudita Il sistema di filtro della Rete adottato dalla monarchia araba è secondo solo a quello cinese. Le autorità wahhabite hanno ammesso ufficialmente il blocco di quasi mezzo milione di pagine Web considerate «pericolose». Corea del Nord La Rete, per i normali cittadini del Paese più chiuso al mondo, semplicemente non esiste. Solo qualche migliaio di appartenenti all’élite di regime vi hanno libero accesso. Cuba L’organizzazione «Reporters Sans frontier» parla dell’isola di Castro come di «uno dei Paesi più repressivi al mondo quanto a libertà di espressione online». Nepal Ai sedici Internet provider del Paese è vietato concedere l’accesso ad alcuni siti di informazione ritenuti scomodi per le autorità, alle prese con una attivissima guerriglia, che vuole rovesciare il governo in carica. Siria Numerosi i siti banditi e gli utenti della Rete imprigionati per aver fatto circolare via e-mail notizie vietate. Vietnam Sono almeno sette i dissidenti finiti in prigione per aver fatto della Rete un uso informativo «non consentito» dal governo, che esercita uno stretto controllo sull’informazione. (S.Gul.)