Scarica PDF - Adriano Colombo

Transcript

Scarica PDF - Adriano Colombo
Adriano Colombo
Leggere
Capire e non capire
Zanichelli 2002
Indice
Introduzione
4
1. Preliminari
1.1. La voglia e il bisogno di leggere
1.2. Alcuni limiti delle pratiche tradizionali
1.3. Le strategie di lettura
1.4. Modelli della comprensione
Un modello tassonomico
Elementi di un modello processuale
6
7
8
9
2. La competenza tecnica
2.1. Il problema
2.2. Misurare la velocità di lettura
2.3. Esercizi per migliorare la decifrazione
Appendice: Esempi di esercizi di decifrazione rapida
1. Testo a domande intercalate
2. Conta di parole in un testo
3. Abbinamento testi-titoli
4. Ricerca di un concetto in un testo
13
14
14
17
3. L'incomprensione nascosta
3.1. Due casi di incomprensione
23
3.2. Analisi di un testo
25
4. Competenze, incompetenze e difficoltà di comprensione
4.1. Lessico
Incomprensioni inavvertite
Formulare ipotesi
Polisemia, termini tecnici
La riflessione lessicale e il mito del dizionario
Appendice: Esempi di cloze su lessico specifico
1
28
32
4.2. Figure retoriche
Espressioni idiomatiche
Che fare?
33
4.3. Sintassi
L'attribuzione dei ruoli tematici
La lunghezza dei periodi
Le nominalizzazioni
Che fare?
37
Appendice: Attività per lo sviluppo della competenza sintattica di lettura
1. Esempio di "cloze classico"
2. Schematizzazione di periodi intricati
3. Scioglimento di nominalizzazioni
41
4.4. Coesione
I "fili" della coesione
Anafore nominali: "identità ostacolata" e capsule anaforiche
Anafore pronominali
Connettori testuali
I "nodi" della coesione
Che fare?
Appendice
1. Esercizi sulla coesione testuale
2. Ricomposizione di un brano
42
5. La costruzione di un modello del testo
5.1. Coerenza
5.2. Dal lineare al non-lineare
Appendice: Esercizio di schema da completare
5.3. L'integrazione delle conoscenze
Inferenze, schemi, sceneggiature
Scenari
L'integrazione di conoscenze specifiche
Appendice: Domande di aiuto per l'integrazione
5.4. Soggetti di enunciazione
La dimensione pragmatica
Intrecci di voci
La plurivocità nei testi argomentativi
49
51
52
55
55
59
59
5.5. Le aspettative del lettore
Razionalizzazioni, inferenze elaborative
Un esempio complessivo
Che fare?
Appendice: "Vero/falso perché"
63
5.6. Tipi e generi testuali
Questioni di tipologia testuale
La narrazione e il resto
Esposizione e argomentazione
Altri tipi testuali
70
2
68
6. La verifica della comprensione
6.1. La validità delle prove
Domande aperte o chiuse
Verifiche o esercitazioni?
6.2. La costruzione delle prove: avvertenze generali
6.3. Una tipologia di prove
Scelte multiple
Scelte binarie
Cloze
Ricomposizione di un testo, scaletta da ordinare
Prove a risposta "semiaperta"
"Vero/falso perché"
Questionari aperti
Colloquio
Riassunto
74
75
76
7. La lettura per lo studio
7.1. La lettura dei manuali
La comprensibilità dei libri di testo
Insegnare a imparare
Il metodo "SQ3R"
Appendice: Attività di approccio a un manuale di Storia
85
7.2. La meta cognizione
Metacognizione e lettura
Quattro aree di ricerca e di intervento
La sensibilità al testo
L'uso di strategie di lettura
7.3. La comprensione delle consegne degli esercizi
L'ordine di presentazione di dati e domanda
La "fissità funzionale del lessico"
Passaggio dalla lingua ordinaria a quella delle formule
Fenomeni fini di coesione
7.4. La comprensione di grafici e tabelle
Appendice: Un esempio di esercitazione di lettura di grafici
90
8. Migliorare si può
8.1. Il lavoro quotidiano in classe
"Leggere insieme"
Parlare di ciò che si legge
Il lavoro specifico sulla lettura
I contesti
La motivazione e il recupero
8.2. I progetti con intervento di specialisti esterni
Interventi di matrice psicologica
Il colloquio centrato sul lettore che pensa ad alta voce
Interventi di matrice linguistica
Considerazioni sui risultati
8.3. Congedo
Riferimenti bibliografici
89
94
96
97
98
101
104
105
3
Introduzione
Il tema di questo libro1 è la comprensione della lettura e l’analisi delle difficoltà che
possono insorgere nel processo di comprensione. Destinatari sono gli insegnanti di ogni
livello scolastico, ai quali si propongono una serie di strumenti di analisi del problema e di
intervento; questi si fondano su basi di esperienza e di ricerca che vogliono essere rigorose,
ma l’esposizione cerca di essere sciolta e cordiale, da collega a collega (anche chi scrive
proviene dall’insegnamento).
La preoccupazione per la comprensione e per l’incomprensione è ben presente alla
maggioranza degli insegnanti, anche se è sovrastata da un’altra preoccupazione più
pervasiva: quella per la motivazione al leggere, per come far sorgere e crescere il gusto per la
lettura. Questo aspetto è naturalmente centrale e prioritario per qualunque attività di
educazione alla lettura, ed esistono in proposito molte esperienze interessanti e spesso
coronate da successo (checché ne dicano quelli che amano gli atteggiamenti catastrofici e
non perdono occasione per generalizzare indiscriminatamente gli insuccessi della scuola, che
pure esistono). Ma l’attenzione al gusto per la lettura non dovrebbe mettere in ombra il
problema della comprensione: se non altro perché per godere della lettura bisogna in primo
luogo essere in grado di leggere e capire fluidamente.
In secondo luogo, un interesse troppo esclusivo per il gusto della lettura può portare a
concentrare l’attenzione su un solo genere di testi, quelli che si leggono essenzialmente per
diletto, quasi sempre testi di tipo letterario. Non bisognerebbe dimenticare che una parte
notevole delle letture che richiediamo a ogni allievo sono di altro tipo: manuali, esercizi,
altre fonti di informazione culturale, e che il successo negli studi dipende - in misura
crescente lungo la carriera scolastica - dalla capacità di leggere e capire rapidamente, e poi di
assimilare, questo genere di testi. Fuori dalla scuola, la vita quotidiana e l’esercizio pieno
della cittadinanza richiedono di leggere e capire una quantità di testi di informzione, testi
normativi, istruzioni per l’uso, comunicazioni professionali ecc. L’attenzione alla lettura che
si pratica per diletto e arricchimento personale dovrebbe dunque essere equilibrata da quella
per la lettura che è imposta da scopi pratici, la lettura funzionale. Una larga parte della
trattazione e degli esempi che seguono sarà dedicata a questo genere di testi e scopi di
lettura; il penultimo capitolo è dedicato tutto al tema della lettura per lo studio.
Il nucleo centrale del libro è un’analisi sistematica dei processi di comprensione,
scomposti in diversi livelli, dai più fini e locali (lessico, sintassi) a quelli che coinvolgono un
testo nel suo complesso, e dei punti di possibile difficoltà. Alla base c’è la convinzione che,
anche se la comprensione è un processo integrato, in cui tutti i livelli interagiscono, il modo
migliore di affrontare un problema è scomporlo nei suoi elementi.
I livelli di analisi sono essenzialmente quelli che ho appreso dalla frequentazione
delle scienze del linguaggio. Ma ho tenuto conto anche degli studi di matrice psicologica,
italiani (soprattutto quelli di Cesare Cornoldi e della sua scuola) e statunitensi. Quanto possa
essere fruttuosa un’integrazione fra i due approcci è dimostrato da un libro che resta a mio
parere fondamentale, anche se scritto quasi vent’anni fa, nato dalla collaborazione fra un
linguista (Teun van Dijk) e uno psicologo (Walter Kintsch), Strategies of Discourse
Comprehension, al quale si vedrà che attingo largamente. Ma il mio debito maggiore va alla
ricerca psicopedagogica di Lucia Lumbelli, conosciuta sui testi e attraverso una preziosa
esperienza di collaborazione con l’autrice condotta sotto l’egida dell’IRRSAE EmiliaRomagna.
1
Ringrazio Silvana Loiero, Franca Pallotti e Gabriele Pallotti per la lettura preventiva del dattiloscritto e per i
preziosi consigli che mi hanno dato per migliorarlo in vari punti. Gli errori, si sa, restano miei.
4
A questa esperienza ho attinto la maggioranza dei numerosi riferimenti a casi di
incidenti di comprensione realmente verificatisi che accompagnano l’esposizione teorica.
Altri esempi sono tratti dalla mia esperienza di insegnante, e da altre fonti. Personalmente,
riesco a comprendere la portata di un’affermazione teorica solo in quanto mi aiuta a spiegare
casi reali di comprensione e incomprensione, riallacciandosi alle esperienze che si possono
incontrare quotidianamente nelle scuole, e mi auguro che questo valga anche per coloro che
leggeranno.
Per ciascun livello, oltre all’esemplificazione vengono proposte strategie di intervento
didattico e materiali che esemplificano possibili attività mirate, collocati nelle appendici che
seguono molti paragrafi. Questi materiali in gran parte non sono pronti per l’uso, da
fotocopiare e portare in classe; tra l’altro, ragioni di spazio mi hanno indotto a scegliere
spesso materiali brevi e semplici. Si tratta appunto di esempi che vorrebbero stimolare
l’inventiva didattica dei colleghi, modelli che potrebbero essere ripresi con gli aggiustamenti
richiesti di volta in volta dalla situazione in cui le attività fossero concretamente proposte.
Sia il discorso teorico, sia le parti applicative non si rivolgono in particolare a una
specifica fascia scolastica. Credo che sia bene che ogni insegnante, dalla scuola elementare
alla scuola secondaria superiore, abbia presenti i problemi della comprensione nella loro
complessità; saprà poi scegliere, in relazione all’età e alla situazione dei suoi allievi, su quali
aspetti e quali attività concentrare la propria attenzione.
L’ultimo capitolo ripropone in sintesi i principali suggerimenti didattici disseminati
nel libro e presenta una breve rassegna di interventi mirati alla comprensione progettati e
condotti con la guida di esperti. I risultati di questi interventi, oltre all’esperienza artigianale
di molti bravi insegnanti, dovrebbero indurre a un qualche ottimismo sulla possibilità di
ottenere progressi anche su un terreno difficile come la comprensione, e in una parte almeno
di quei casi che a volte ci possono apparire scoraggianti. “Migliorare si può”, questo il
messaggio che vorrei affidare a questo libro.
5
Capitolo 1. Preliminari
1.1. La voglia e il bisogno di leggere
Si sente spesso ripetere che “gli italiani non leggono”, o “leggono sempre meno”; la
colpa sarebbe naturalmente della scuola, che non insegnerebbe a leggere o scoraggerebbe la
lettura. Queste affermazioni sono fattualmente infondate. E’ vero che le percentuali di lettori
sono ancora basse per un paese evoluto, ma sono in crescita: dal 1988 al 1998 le persone di
più di sei anni che dichiarano di leggere almeno un libro all’anno sono passate dal 36,6% al
41,9%2 (nel 1973 erano il 24,4%!); le fasce di età interessate alla scuola registrano le
percentuali più alte (59% nella fascia 11-14, 56% nella fascia 18-19, secondo dati del 1996 3).
Se ne può dedurre che il merito di questa pur lenta crescita della lettura spetta alla scuola e
all’incremento della scolarizzazione.
Chi conosce un po’ le nostre scuole sa che non mancano gli sforzi per promuovere
l’interesse e il gusto per la lettura (queste espressioni si riferiscono ovviamente in primo
luogo alla lettura di romanzi). E’ diffusa ad esempio la pratica di esigere la lettura di libri (a
casa, o durante le vacanze) e di chiedere di riferirne in classe 4. Le biblioteche scolastiche
sono ormai presenti in quasi tutte le scuole 5 e non è più così rara la figura di un insegnante
addetto esclusivamente ai compiti di bibliotecario e animatore6. Ci sono iniziative di
promozione della lettura, come concorsi interni o esterni alle scuole per la migliore
recensione. Da alcuni anni è poi in attività un Piano nazionale di educazione alle lettura7.
Sappiamo anche quali sono gli atteggiamenti, pure presenti nelle scuole, che tendono a
scoraggiare la lettura. Il disinteresse di alcuni insegnanti, ovviamente, e poi le pratiche
controproducenti, come l’imposizione di letture troppo difficili o che comunque esigerebbero
un’età più matura per interessare (i Promessi sposi letti alla scuola media o addirittura
elementare, autori come Svevo e Pirandello imposti al biennio a tutti e non a quei pochissimi
che potrebbero apprezzarli a quell’età); soprattutto, l’eccesso di informazioni di supporto,
eserciziari, analisi narratologiche caricate sui testi, fino a trasformarli da occasioni di piacere
in strumenti di tortura8.
2
Elaborazione su dati Istat (indagine Multiscopo), in «Insegnare», n. 1/2001, pp. 38-39. Notizie più recenti
apparse sulla stampa segnalano che tra il 1998 e il 2000 ci sarebbe stata una flessione; ma le cifre, sebbene tratte
ancora dalle indagini Istat Multiscopo, non sono confrontabili, perché evidentemente elaborate in modo diverso.
3
Elaborazione Aie (Associazione Italiana degli Editori) su dati Istat, in «Insegnare», n. 3/1999, p. 9.
4
Secondo un’indagine promossa dal GISCEL Emilia-Romagna nei primi mesi del 2001, alla quale hanno risposto
165 insegnanti, la relazione orale in classe su libri letti è pratica abituale per il 31% degli insegnanti elementari
(questa percentuale aumenterebbe probabilmente se non si tenesse conto delle prime classi), per il 47% nella
scuola media, per il 24% nelle scuole secondarie; aggiungendo coloro che dichiarano di praticare questa attività
occasionalmente, le percentuali salgono rispettivamente all’82%, 94%, 75%. Cfr. «Italiano & Oltre», n. 3/2001,
pp. 156, 158 (sezione tematica "La scuola impara a parlare").
5
Secondo un’indagine condotta nel 1997 dalla Biblioteca di Documentazione Pedagogica (reperibile sul sito
Internet www.bdp.it), delle 1226 scuole di ogni ordine e grado che hanno risposto il 97% disponeva di una
biblioteca. Bisogna però aggiungere che la promozione della lettura era indicata tra le “principali finalità” della
biblioteca solo dal 56% di queste scuole. In base ai dati sui frequentanti e sui prestiti, i ricercatori concludono che
il 14% della popolazione scolastica frequenta le biblioteche e prende in media quasi tre libri a testa in un anno.
6
Dalla stessa indagine risulta che il 22% delle biblioteche scolastiche disponevano di personale apposito a pieno
tempo; si trattava però di personale “DOA” e “ex articolo 13”, probabilmente addetto solo temporaneamente alla
biblioteca e senza una preparazione specifica.
7
Si vedano alcune informazioni in proposito in Tassi 2000, pp. 18-21; il libro documenta un’interessante
iniziativa di promozione della lettura a scuola, centrata sulla biblioteca.
8
Secondo un’indagine condotta dal GISCEL Emilia-Romagna sui libri di lettura e sulle antologie più adottate
nell’anno scolastico 1994-95, gli apparati (introduzioni, note, eserciziari, schede) occupavano circa il 30% dello
spazio nei libri di lettura della scuola elementare, dal 50 al 70% nelle antologie per la scuola media, dal 46 al 62%
in quelle per il biennio (vedi Colombo 1997, pp. 417, 419, 422). Contro la pratica dell’analisi dei testi, che uccide
6
Non mi soffermerò ulteriormente sulla questione della “voglia di leggere”, se non per
un aspetto: un prerequisito essenziale perché la lettura sia gradita e cercata è la comprensione
agevole di quel che si legge.
Il tema della comprensione ci rinvia all’altra faccia della lettura, quella che si pratica
non per diletto o per volontario arricchimento culturale, ma per ragioni pratiche: la lettura di
giornali, comunicazioni ufficiali, istruzioni e, nella scuola, di manuali e altri testi di studio.
E’ la faccia che possiamo chiamare della lettura funzionale, di cui si discute pubblicamente
un po’ meno, ma che è ben presente agli insegnanti, anche a quelli che non insegnano
Italiano: la capacità di leggere e capire rapidamente una quantità di materiali è un fattore
decisivo per il successo negli studi.
Anche in questo campo la situazione italiana è preoccupante (ma sembra che gli altri
paesi sviluppati non stiano meglio). Hanno destato un certo scalpore i risultati dell’indagine
internazionale Sials (Second International Literacy Survey), che ha valutato in vasti campioni
di popolazione il “letteratismo” (literacy), inteso come «la capacità di raccogliere e utilizzare
informazioni reperibili in testi scritti, in grafici, in tabelle ecc. e di eseguire operazioni,
calcoli, ovvero risolvere problemi». Dei cinque livelli in cui sono stati classificati i
rispondenti, gli Italiani ricadono nei primi due, considerati “a rischio” di analfabetismo
funzionale, per il 61,5% per quanto riguarda i testi in prosa, per il 68,7% quanto a grafici e
tabelle. Nelle classi di età più giovani e più scolarizzate le cose vanno un po’ meglio, ma
anche nella fascia compresa tra i 16 e i 25 anni i soggetti a rischio restano il 37,8% (testi in
prosa) e il 43,7% (grafici e tabelle) 9. Si tratta di persone incapaci, o quasi incapaci, di servirsi
di un orario ferroviario, di capire le notizie su un giornale, di comprendere i più semplici
messaggi scritti nella quotidiana vita sociale, oltre che, ovviamente, di leggere per studiare
(come possa, la maggior parte di loro, aver conseguito un titolo di studio è un mistero
doloroso).
Insegnare a leggere, a capire quel che si legge, è dunque un compito immane e difficile
della scuola.
1.2. Alcuni limiti delle pratiche tradizionali
Comincerò coll’indicare alcuni limiti della didattica della lettura così come è stata
tradizionalmente praticata (parlando di “pratiche tradizionali” mi riferisco a qualcosa che
nelle scuole c’è stato e in qualche misura c’è, ma non intendo certo che accada dovunque: la
realtà dell’insegnamento, in ogni campo, è abbastanza ricca, variegata e in movimento da
sfuggire a qualunque generalizzazione).
Primo. La lettura coltivata a scuola è quasi esclusivamente lettura ad alta voce.
Quando gli insegnanti dicono di un allievo che “legge bene” o “male”, intendono quasi
sempre l’esecuzione orale della lettura. Ci sono buone ragioni per questo: l’esecuzione orale
è percepibile e verificabile, mentre ciò che accade quando un allievo legge silenziosamente
sfugge a un controllo immediato e si può solo inferire approssimativamente per vie indirette.
Tuttavia non dovremmo dimenticare che il nostro obiettivo prioritario è un’efficace lettura
silenziosa: il buon lettore adulto legge quasi sempre silenziosamente (almeno dall’invenzione
della stampa in poi); quando i bambini imparano a leggere hanno bisogno di farlo a voce alta,
ma passano a una lettura silenziosa via via che progrediscono, e il lettore inesperto si
riconosce a prima vista dal fatto che ha bisogno di dire quel che decifra faticosamente, o
almeno di muovere le labbra.
il piacere della lettura, è nota la critica di Daniel Pennac (1993), puntuale e mordace, ma un po’ debole sul piano
propositivo.
9
Dati più analitici si possono vedere in «Insegnare», n. 7-8/2000, pp. 12-17; il volume che presenta la ricerca
complessivamente è Gallina (a cura di) 2000.
7
Una buona esecuzione orale, con intonazioni e pause adeguate, può essere indizio di
una buona comprensione, ma non sempre lo è: si può anche leggere “bene” (in questo senso)
senza capire molto. Come ha osservato Claudio Merini, «per alcuni bambini la lettura è una
specie di recitazione: essendo abituati a leggere quasi esclusivamente a voce alta di fronte ai
compagni e all’insegnante, si impegnano nel cercare di dare un tono appropriato, prestando
poca attenzione al significato»10. L’esecuzione orale è anche un modo per penetrare a fondo
la qualità dei testi letterari, in cui la componente ritmica è essenziale, e in questo senso è un
obiettivo avanzato11: non dovrebbe però essere, in questo caso, una lettura a prima vista, ma il
risultato di ripetute letture silenziose. Comunque la lettura normale, quella che si pratica
quotidianamente nello studio e nella vita, resta la lettura silenziosa; a questa mi riferirò da
ora in poi, come scopo prioritario dell’educazione al leggere.
Secondo. La lettura a scuola è prevalentemente lettura di testi letterari. Naturalmente
agli allievi si chiede di leggere una quantità di altri testi, soprattutto manuali, ma questa
lettura è raramente oggetto di un’attenzione didattica specifica: la lettura “vera”, che
interessa l’insegnante di Italiano, resta per lo più lettura letteraria 12. L’attenzione per la lettura
che ho chiamato funzionale, e in particolare per la comprensione dei libri di testo, da qualche
anno è certamente in crescita, ma resta probabilmente minoritaria.
Terzo. E’ ancora insufficiente l’attenzione per la verifica della comprensione di ciò che
si legge. De Mauro ha parlato di «una generale negligenza per ogni verifica puntuale della
comprensione [...] Un corale “Sì” della classe a un rituale “Avete capito?” dell’insegnante è
il massimo degli accertamenti»13. Forse c’è qui un eccesso di generalizzazione: l’uso di
questionari di verifica, a risposta aperta o chiusa, si è andato rapidamente diffondendo, come
testimonia anche la loro larga presenza in antologie e libri di lettura. Non sempre però queste
prove sono guidate da un’analisi attenta dei diversi livelli di comprensione, e la scelta delle
domande appare spesso un po’ casuale.
Quarto. La scuola tende a insegnare una sola strategia di lettura, sequenziale e
analitica. Gran parte dei nostri allievi conoscono un solo modo di leggere, riga dopo riga
dall’inizio alla fine, e di fronte alla richiesta di memorizzare quel che leggono spesso non
sanno fare altro che rileggere più volte allo stesso modo. La ricerca per contro ha messo in
luce che si può leggere in vari modi diversi, relativi a diversi scopi di lettura, e la scuola
dovrebbe tenerne conto. Soffermiamoci preliminarmente su questo punto.
1.3. Le strategie di lettura
Per introdurre questo tema ricorro a volte a una vecchia barzelletta. In un manicomio,
un matto parla a un altro di un libro che ha letto: «mi ha interessato», dice, «ma trovo che
l’autore ha introdotto troppi personaggi, e così non ha potuto descriverli e caratterizzarli
abbastanza». Il secondo matto trova l’osservazione acuta e chiede il libro in prestito: dopo
qualche giorno lo restituisce, dicendo che condivide la stessa osservazione critica; così
avviene con un terzo ospite del manicomio. A questo punto i tre si dicono: se abbiamo saputo
fare una considerazione critica di questo livello, confermata tre volte, vuol dire che i nostri
10
Merini 1991, p. 48.
La componente ritmica, “corporea”, di ogni testo scritto è al centro delle considerazioni di Frasnedi 1999, in
particolare pp. 87-106.
12
In una ricerca condotta presso l’IRRSAE Emilia-Romagna sui programmi svolti presentati dagli insegnanti di
Italiano nel biennio per l’anno scolastico 1984-85, analizzando i brani letti elencati in 184 programmi ho trovato
che dei 2230 citati meno del 3,5% erano di autori non letterari (IRRSAE Emilia-Romagna, L’insegnamento
dell’italiano nei bienni, “Materiali di lavoro” n. 2). Una sensazione simile si ricava dalle antologie per il biennio
analizzate dieci anni dopo nella ricerca citata (Colombo 1997). Diverso il caso delle antologie per la scuola
media, dove la percentuale di testi non letterari, in quattro dei cinque libri esaminati, era intorno al 50%.
13
De Mauro 1999, p. 13.
11
8
cervelli funzionano ormai bene, e che è tempo di dimetterci. Vanno dal direttore e gli
presentano la loro esperienza e la conseguente richiesta di essere dimessi. «Sciagurati»,
esplode il direttore, «sono due settimane che cerco l’elenco telefonico!».
La storiella serve a ricordarci che non tutti i testi si leggono allo stesso modo e per gli
stessi scopi. I modi di approccio a un testo scritto sono di solito classificati in quattro tipi,
che non sono naturalmente da intendere come rigidamente separati, perché possono spesso
ricorrere simultaneamente nell’atto di leggere.
A) La lettura orientativa (spesso indicata col termine inglese skimming, letteralmente
“schiumatura”) consiste nello scorrere rapidamente un testo, per cogliere i suoi temi
principali e farsene un’idea. E’ ciò che facciamo quando “buttiamo l’occhio” su un articolo
di giornale per decidere se vale la pena di leggerlo. In questa lettura l’occhio non si muove in
orizzontale, riga per riga, ma piuttosto in verticale o diagonalmente. Possedere questa abilità
è importante per chiunque debba far fronte a una quantità di materiali scritti: dal dirigente
(anche scolastico) subissato da comunicati, circolari, lettere, al ricercatore (o allo studente
impegnato in una ricerca) che scorre articoli e libri per individuare ciò che è pertinente ai
suoi scopi.
B) La lettura selettiva (in inglese scanning, “dare un’occhiata”) consiste nel cercare nel
materiale scritto una parola o un’espressione che interessa. I suoi usi tipici sono la ricerca in
elenchi alfabetici (tra cui i dizionari), la consultazione di orari ferroviari, e simili. Ma anche
in un testo di forma non schematica si pratica lo scanning ogni volta che si cerca di
localizzare particolari informazioni legate a una parola-chiave, o a un nome proprio.
C) La lettura globale, a differenza delle precedenti, ha natura sequenziale: il testo viene
letto con continuità, senza soffermarsi ad analizzarlo, a cercarvi intenzioni nascoste, a
riconoscerne i caratteri formali; l’attenzione è tutta assorbita dal contenuto immediatamente
evidente. E’ la lettura che pratichiamo tipicamente quando un romanzo ci avvince, o anche
quando leggiamo notizie di cronaca, o in ogni genere di lettura di svago14.
D) La lettura approfondita, o analitica, è quella che pratichiamo quando vogliamo
impadronirci a fondo dei contenuti e delle forme di un testo. Con le parole di Daniela
Bertocchi15, «è una lettura più lenta, con fissazioni e regressioni. E’ utilizzata dal lettore che
intende:
- cogliere con precisione i rapporti tra idee centrali e secondarie;
- cogliere come il contenuto è veicolato linguisticamente (attenzione al testo, e non solo al
contenuto);
- memorizzare anche elementi di dettaglio. Spesso è accompagnata da forme di
rielaborazione (sottolineatura, appunti, ecc.)».
E’ naturale che la scuola concentri la sua attenzione soprattutto su quest’ultimo tipo di
lettura: lettura per lo studio, lettura analitica di testi letterari. Ma non bisognerebbe
dimenticare che la lettura per lo studio trae vantaggio dall’utilizzare, in fasi diverse, anche le
altre tre strategie, e che per incoraggiare a leggere occorre dare ampio spazio anche alla
lettura globale, lettura di piacere.
1.4. Modelli della comprensione
Il cuore del nostro problema è come aiutare i nostri allievi a capire sempre più e
sempre meglio quello che leggono. Qui la difficoltà è che la comprensione non si vede, è
qualcosa che avviene nella testa del lettore: comprendere un testo significa formarsi una
rappresentazione mentale in qualche modo corrispondente alle intenzioni dell’autore. (La
14
15
Sul piacere della lettura, inteso come «emozione della mente», si può vedere l’analisi di Levorato 2000.
Bertocchi 1983, p. 168. Anche per i punti precedenti mi sono servito largamente di questo testo.
9
nozione di “intenzioni dell’autore” è controversa, soprattutto in campo letterario; ma per i
nostri scopi possiamo intanto prenderla per buona, così all’ingrosso).
Per questo ci è utile disporre di un qualche modello della comprensione: un modello,
cioè una rappresentazione schematica e astratta che presumiamo riproduca con una certa
approssimazione le operazioni che compie la mente del lettore per capire.
I modelli che sono stati proposti, in campo linguistico e psicologico, possono essere
ricondotti a due tipi: modelli tassonomici e modelli processuali 16. I primi si ispirano
all’analisi linguistica del testo, scomponendo l’attività del lettore in una sequenza di
operazioni che seguono in sostanza i livelli definiti dalla linguistica: il lettore decifra i segni e
riconosce le parole, attribuisce loro un significato, poi mette insieme i significati delle parole
in quelli dei sintagmi, delle frasi, fino a giungere al livello complessivo del testo; questi
modelli assumono dunque la forma di una lista gerarchicamente ordinata di operazioni, o
competenze. I secondi, orientati più alle mente del lettore che alle caratteristiche del testo,
vedono la lettura come un processo in cui diversi fattori entrano in azione simultaneamente,
in continua interazione: la forma di questi modelli è di solito un diagramma di flusso le cui
scatole sono collegate da numerose frecce diversamente orientate, a indicare un continuo
andirivieni della mente tra i diversi livelli 17.
Un modello tassonomico
Tra i modelli tassonomici, trovo ancora assai utile quello elaborato vent’anni fa da
Daniela Bertocchi. Esso scompone l’abilità di lettura in sei “competenze”, analizzate a loro
volta in più fini “capacità” (operazioni elementari).
Le competenze sono18, a un primo livello:
a) competenza tecnica: «consiste essenzialmente nel riconoscimento del rapporto tra segno e
suono, o meglio tra “insiemi grafici” e “insiemi sonori”»;
b) competenza semantica: «è la competenza che, in stretto rapporto con la precedente,
permette di riconoscere il rapporto tra significanti e significati» (banalizzando un po’,
potremmo dire: di attribuire un significato alle parole e ai loro nessi);
c) competenza sintattica: «permette di cogliere i rapporti sull’asse sintagmatico dei vari
elementi costitutivi della frase e del periodo».
Sovraordinate a queste sono le competenze di secondo livello:
d) competenza testuale: comprende le capacità di riconoscere la coesione testuale, di
discernere le singole unità testuali e i loro rapporti, «di individuare il tipo di testo di cui si
tratta e formulare previsioni adeguate»;
e) competenza pragmatico-comunicativa: comprende le capacità necessarie per ri-costruire il
messaggio dell’emittente, la sua intenzione comunicativa, e gli elementi di contesto
(oggetti del discorso, situazione comunicativa) che condizionano la formulazione del
messaggio; in interazione con la precedente, questa competenza consente di cogliere la
coerenza del testo;
f) competenza rielaborativa e valutativa: «comprende tutte le capacità che permettono al
lettore di utilizzare il testo per un proprio scopo, rielaborandolo opportunamente e di dare
giudizi di “adeguatezza” del testo, validità delle informazioni ecc.».
16
I due termini sono da intendere come convenzionali, sottolineano la caratteristica più evidente, ma non
esclusiva: i modelli che definisco “tassonomici” includono comunque un’idea della lettura come processo, e i
modelli “processuali” tengono conto di una tassonomia dei livelli linguistici.
17
Della Casa (1987) presenta criticamente alcuni esempi di modelli tassonomici (pp. 20-25) e un esempio di
modello processuale (p. 29); il suo modello, illustrato da svariati diagrammi di flusso, è presentato alle pp. 183
sgg. Un altro modello processuale sta alla base di van Dijk, Kintsch 1983. Ancora un esempio si può vedere in De
Beni, Pazzaglia 1995, p. 47.
18
Bertocchi 1983, pp. 78 sgg.
10
Anche se non possiamo supporre che un lettore segua in successione tutte queste fasi
nel processo di comprensione, la lista è un ottimo punto di riferimento per analizzare i diversi
problemi che il lettore affronta, per localizzare le sue eventuali difficoltà. Nelle liste di
capacità che specificano le competenze incontriamo poi molti punti degni di particolare
attenzione didattica. Ad esempio, sotto «B) competenza semantica»:
B2: durante la lettura, sa fare previsioni su ciò che segue e sul significato globale del messaggio.
B7: formula ipotesi, a partire dal testo, sul significato di un lessema che non conosce.
Sotto «C) competenza testuale»:
D5 riconosce i rapporti semantici tra unità testuali [...]
I. basandosi sugli indicatori interni al testo (connettivi, espressioni avverbiali, ecc.) [...];
II. basandosi sull’ordine in cui le unità si susseguono;
III. basandosi sugli artifici tipografici.
E ancora, sotto «F) competenza rielaborativa e valutativa»:
F1: ha chiaro lo scopo per cui legge un testo e, prima o durante la lettura, si pone delle
domande.
Questi sono gli evidenti pregi del modello. Il suo limite è di essere eccessivamente
analitico: le “capacità” individuate sono in totale 47, e nessuna mente di insegnante potrebbe
tenerle contemporaneamente presenti nel progettare un’attività didattica. Il modello è stato
elaborato nel quadro della didattica degli obiettivi di impronta comportamentista, che
presumeva (a volte ancora presume) di poter scomporre ogni prestazione richiesta a un
allievo in elementi minimi, operazioni semplici separatamente osservabili e valutabili (se poi
le capacità indicate siano tutte osservabili, è un altro discorso). Infatti le liste di capacità
servono all’autrice, nella presentazione di modelli di unità didattiche, per un’analisi degli
obiettivi tanto sottile da essere quasi inservibile nella pratica didattica. Come in altri lavori
dell’epoca, la Bertocchi e il suo gruppo hanno finito per mettere in luce l’impraticabilità
della didattica per obiettivi, proprio prendendola sul serio e sviluppandola in tutte le sue
conseguenze con un rigore che difficilmente si trova nelle enunciazioni generali dei
pedagogisti.
Elementi di un modello processuale
Presentare in forma integrale uno dei modelli processuali ci porterebbe troppo lontano:
la loro complessità mi sembra più utile a fini di ricerca scientifica che di pratica didattica. Mi
limiterò a indicare alcuni elementi comuni in genere a questi modelli e ricchi di implicazioni
per l’insegnamento.
La gerarchia dei livelli linguistici (dalla parola alla frase al testo) deve comunque
essere tenuta in considerazione. Ma accanto ai processi che si svolgono “dal basso all’alto”
(bottom-up, dalla parola al testo), operano continuamente anche processi “dall’alto in basso”
(top-down). Il lettore, in altre parole, elabora continuamente ipotesi sul senso complessivo di
un periodo o dell’intero testo, e in base a quelle interpreta le unità minori. Come scrivono
van Dijk e Kintsch, «la percezione delle lettere è influenzata dalle nostre conoscenze sulle
parole; il riconoscimento delle parole è influenzato dal contesto di frase in cui appaiono; lo
stesso processo di comprensione della frase è determinato dal ruolo della frase nel testo»19.
Che questo avvenga anche al livello minimo del riconoscimento delle parole è
19
Van Dijk, Kintsch 1983, p. 22 (traduzione mia). Si veda anche De Mauro 1999, p. 26: «Il ricettore non
percorre un tracciato lineare, dall’identificazione della frase [...] alla identificazione, entro la cornice del
significato, del suo possibile senso. E il ricorso a valutazioni di ordine pragmatico non avviene linearmente, solo a
un certo punto, dopo le valutazioni uditive, fonologiche, morfosintattiche, semantiche...» (il discorso, riferito
prevalentemente alla ricezione orale, vale anche per la lettura).
11
confermato da un’esperienza che credo comune a molti: accade di leggere una parola per
un’altra, e che ci si accorga dell’errore andando avanti nel testo; a quel punto bisogna tornare
indietro e rileggere la parola. Vuol dire che l’occhio aveva colto solo alcuni elementi della
configurazione grafica e in base a quelli, e alle aspettative sul significato della frase, aveva
costruito la propria “lettura”. In questi casi l’incidente provoca una regressione, e quindi un
rallentamento; ma si può supporre che in moltissimi altri casi la lettura sia velocizzata, e la
comprensione agevolata, da questo procedere per ipotesi basate su poche tracce grafiche.
Questo significa tra l’altro che la comprensione di ogni nuova frase è condizionata dai
significati che il lettore è andato via via ricavando dal contesto precedente. Mentre la mente
elabora i significati delle singole unità testuali, li usa contemporaneamente per costruire e
aggiornare gradualmente nella memoria un significato complessivo, o “modello del testo”, il
quale retroagisce a sua volta sulla comprensione delle nuove unità, creando aspettative,
ipotesi di senso. Come vedremo, l’incepparsi di questo delicato meccanismo è all’origine di
molte difficoltà dei lettori inesperti.
La costruzione di un modello mentale del testo comporta in sostanza due operazioni:
- ricavare dalle diverse porzioni del testo delle unità concettuali;
- collegare queste unità concettuali con nessi che spesso richiedono di ricomporle in un
ordine diverso da quello in cui appaiono nella successione lineare del testo 20.
I nessi tra le unità concettuali sono a volte impliciti nel testo, e il lettore li deve
ricostruire per inferenza. Come ha scritto Della Casa, «L’espressione testuale è una traccia
piena di buchi, dunque di omissioni informative, e uno dei compiti essenziali che il lettore è
chiamato ad assolvere è la loro ricostituzione, così che il senso possa essere composto nella
sua completezza»21. La quantità di implicito può variare da testo a testo, ma in ogni caso non
è mai possibile “dire tutto”: se volessimo esplicitare tutto ciò che è implicato in un comune
articolo di cronaca o in una paginetta di spiegazioni scientifiche, potremmo scrivere decine
di pagine.
Per colmare le inevitabili lacune informative del testo il lettore deve far ricorso non
solo alle informazioni che il testo stesso gli fornisce in altri luoghi (inferenze intratestuali),
ma anche e soprattutto ad altre informazioni che l’autore ha presupposto come parte di una
comune conoscenza del mondo (inferenze extratestuali). Questa base di conoscenze, che
Parisi e i suoi collaboratori hanno definito l’”enciclopedia” del lettore 22, è stata in seguito
analizzata dagli studi sull’intelligenza artificiale come un insieme di schemi depositati nella
mente, che entrano in azione ogni volta che il lettore incontra certi oggetti nominati nel
testo23.
Possedere le conoscenze presupposte dal testo, e richiamare quelle opportune al momento
opportuno, è uno dei problemi più intriganti che può trovarsi ad affrontare un lettore.
20
A questo punto è dedicato il paragrafo 5.2.
1987, p. 123.
22
Castelfranchi e altri 1979, p. 140.
23
Su questo vedi il paragrafo 5.3.
21
12
Capitolo 2. La competenza tecnica
2.1. Il problema
In un articolo del 1990, Mario Ambel segnalava un problema emergente nella
comprensione della lettura da parte dei suoi allievi di scuola media: «I miei allievi [...]
capiscono un testo scritto se ne ascoltano una lettura ad alta voce fatta in modo corretto o
espressivo, comunque meglio di quanto capiscano lo stesso testo se lo leggono
autonomamente e in modo silenzioso». L’ostacolo alla comprensione, nella lettura autonoma,
sembra risiedere nello sforzo che costa loro la semplice decifrazione del testo, dovuto a una
padronanza insufficiente di quella che nella tassonomia della Bertocchi è denominata
“competenza tecnica”: «l’esecuzione di questo aspetto del processo di lettura-comprensione
[...] risulta troppo faticosa, troppo poco automatizzata. Gli allievi investono troppe risorse in
queste componenti del processo a scapito della comprensione...»24.
Le osservazioni di Ambel sono confermate dagli studi recenti sulle difficoltà di lettura.
Attraverso un’ampia rassegna di tali studi, Gough, Hoover e Peterson giungono alla
conclusione che «decifrazione e comprensione possono essere separate, o almeno distinte», e
che «Il lettore esperto deve essere bravo sia nella decifrazione che nella comprensione [...].
Ma il lettore scarso può essere scarso in uno di tre modi: scarso nella decifrazione, scarso
nella comprensione, o scarso in entrambe»25. Non importa sottolineare l’importanza di
questa distinzione nella diagnosi delle difficoltà di lettura.
La comprensione di un testo richiede che i significati ricavati dalle parole e dalle frasi
vengano via via trasferiti in un magazzino di memoria, dove si integrano progressivamente;
se l’attenzione è tutta impegnata nel riconoscimento delle singole parole, non resta spazio
nella mente per questo delicato processo, che si inceppa 26. Personalmente, credo di capire
quel che accade a un lettore poco esperto se penso a me quando mi sforzo di leggere un testo
in una lingua che conosco poco: mi accade di riuscire a decifrare e capire, con fatica, ogni
singola frase, ma giunto alla fine di una pagina non ricordo quasi niente di quel che ho
letto27.
In conclusione, la semplice decifrazione, o competenza tecnica, non è la comprensione,
ma è un suo presupposto: se non avviene in modo rapido, fluido, automatizzata al punto da
non essere più consapevole, è molto difficile che ci sia poi una comprensione adeguata
dell’insieme del testo.
Carenze come quella segnalata da Ambel vengono sempre più spesso denunciate dagli
insegnanti. Può darsi che una parte della responsabilità sia dei metodi di apprendimento della
lettura di tipo globale, che sarebbero troppo puntati sul significato e troppo poco sulla
decifrazione (come sembra accennare l’autore 28); può darsi che la maggiore responsabile sia
l’esposizione assolutamente preponderante a messaggi audiovisivi, la “nuova oralità” che
farebbe dell’orecchio, e non più dell’occhio, il canale privilegiato di accesso ai significati
verbali. Ma qui non ci interessa tanto un’attribuzione di responsabilità, quanto chiederci che
fare, quando al termine della scuola di base, o anche più avanti, ci troviamo in presenza di
allievi che ancora leggono sillabando, o comunque stentatamente, e dunque non possono né
24
Ambel 1990, p. 10, 11-12.
Gough, Hoover, Peterson 1996, pp. 3, 8 (traduzione mia).
26
«Finché non si automatizzano, i processi di decodifica tengono molto occupata la memoria di lavoro, cosicché
non rimane spazio sufficiente per un’adeguata elaborazione delle informazioni contestuali» (Merini 1991, p. 96,
cfr. anche pp. 55, 125). A questo proposito Monighetti parla di un «fenomeno dell’“attenzione divisa”» (1994, p.
14). Vedi anche De Beni, Pazzaglia 1995, pp. 95-99.
27
Un’esperienza del genere è definita «molto diffusa», e spiegata nello stesso modo, in Levorato 1988, p. 112.
Rinvio allo stesso testo (pp. 95-102) per un’analisi dettagliata dei processi qui accennati, che implicano
l’interazione tra memoria di lavoro (o a breve termine) e memoria a lungo termine.
28
Alcune conferme di questa ipotesi sono accennate da Merini 1991, pp. 65-66.
25
13
provare piacere, né apprendere dalla lettura.
2.2. Misurare la velocità di lettura
Tecnicamente, sappiamo che una lettura più rapida comporta un numero minore di
fissazioni dell’occhio sulla pagina e un aumento del campo visivo di ogni fissazione: nella
lettura l’occhio non procede sulla riga con continuità, ma a salti, e il lettore esperto riduce il
numero di questi salti perché a ogni fissazione coglie in un colpo diverse parole, mentre
quello inesperto è costretto a fissarsi su ogni singola parola, o anche sillaba 29. Esistono
esercizi per migliorare questa ginnastica oculare 30, ma ho l’impressione che siano più adatti
allo studio di optometria che all’aula scolastica. All’insegnante interessa creare situazioni
che promuovano una maggiore fluidità e rapidità di decifrazione, senza con questo entrare
nei campi propri di altri specialisti.
L’identificazione degli allievi che hanno difficoltà più o meno gravi di decifrazione è
abbastanza semplice. Già la lettura ad alta voce a turno, spesso praticata nelle classi, può
offrire molti indizi, ma preferirei che la diagnosi avvenisse in situazioni di lettura silenziosa,
dato che questa è il nostro scopo (parlo naturalmente di allievi che abbiano già superato la
prima fase di apprendimento, in cui la vocalizzazione è necessaria). L’insegnante può
chiedere agli allievi di leggere silenziosamente un brano tutti insieme; osservandoli, noterà
chi ha bisogno di tenere un dito sulle righe, chi muove le labbra, indizi probabili di difficoltà;
noterà soprattutto chi rimane indietro rispetto agli altri.
Una valutazione più precisa si può avere misurando la velocità di lettura in parole per
minuto. Basterà chiedere agli allievi di leggere (silenziosamente) per alcuni minuti un testo
di cui si sia prima contato il numero medio di parole per riga, e vedere a che punto ciascuno
è arrivato: moltiplicando il numero di righe lette per la media di parole per riga, e dividendo
per i minuti di lettura, si ottiene la velocità in parole per minuto. E’ importante che il testo
usato per questa verifica sia facile per tutti gli allievi, perché le difficoltà poste da parole sconosciute, lunghe, costrutti sintattici complicati, argomento non noto, influiscono ovviamente
sulla rapidità di decifrazione, che qui ci interessa isolare per quanto possibile.
La lettura è considerata lenta se resta al di sotto delle 250 parole per minuto, rapida
dalle 350 in su, molto rapida se raggiunge le 50031. Ma più di queste valutazioni medie, a un
insegnante interesserà paragonare le prestazioni dei suoi allievi e verificare i progressi di
ciascuno.
2.3. Esercizi per migliorare la decifrazione
E’ ovvio che il miglioramento della decifrazione richiede in primo luogo l’esercizio
frequente della lettura silenziosa; ma proprio chi ha difficoltà di lettura è poco motivato a
farlo, per cui si può innestare il classico circolo vizioso dello svantaggio: fatica o risultati
scadenti - scarsa motivazione - scarso esercizio - risultati sempre più scadenti. Un modo di
rompere questo circolo può essere basato sull’automisurazione della velocità di lettura: un
allievo che sia già motivato a superare le proprie difficoltà può essere invitato a leggere ogni
giorno per un certo tempo (un quarto d’ora, mezz’ora) un testo per lui facile e a misurare la
29
Per maggiori particolari si possono vedere Cardinale e Giachino 1981, pp. 35 sgg., e Merini 1991, pp. 19 sgg.
Se ne possono vedere alcuni in Frasca 1989, pp. 81 sgg.
31
Frasca 1989, p. 78. De Beni e Pazzaglia (1995, p. 55) danno invece 240 parole per minuto come velocità media
di un lettore esperto. Queste medie andrebbero ovviamente tarate in relazione all’età degli allievi; Cornoldi,
Colpo, Gruppo MT 1981 danno le velocità medie classe per classe dalla prima elementare alla terza media, ma
misurate in centesimi di secondo per sillaba (misura malagevole fuori da un laboratorio), sulla lettura ad alta voce.
I dati sono riportati in forma riassuntiva in Merini 1991, p. 126. Sulla base di una media calcolata artigianalmente
di 2,3 sillabe per parola, la velocità media misurata al termine della terza media (19,1 centesimi di sec. per sillaba)
equivale a 136 parole per minuto; ma bisogna considerare che a quell’età, per i lettori non scarsi, la lettura
silenziosa dovrebbe essere più rapida (di quanto, non so).
30
14
propria velocità in base al numero di righe lette; i risultati, riportati in una tabella o grafico,
potrebbero dargli la consapevolezza dei propri progressi e con questo compensare la fatica
che gli costa leggere, creando motivazione e innestando (si può sperare) un circolo virtuoso.
Altri esercizi si prestano a una pratica collettiva (almeno in una fase iniziale) anche in
funzione diagnostica. Essi si basano essenzialmente su due criteri:
 separare, per quanto possibile, il momento della decifrazione da quello della
comprensione: si tratta di allenare l’occhio a cogliere istantaneamente le configurazioni
grafiche che corrispondono a una parola o a un gruppo di parole, contando che questa
abilità venga in seguito trasferita in situazioni di lettura meno artificiali e più impegnative;
 puntare sulla competizione (gara di velocità) come fattore ludico di motivazione; gli
insegnanti che hanno sperimentato le tecniche che sto per presentare hanno in generale
riferito che gli allievi le praticavano volentieri, come un gioco nuovo.
Naturalmente la competizione non può essere ripetuta più volte, perché creerebbe
frustrazione negli allievi in difficoltà, che si vedrebbero regolarmente tra gli ultimi. Una volta
identificati i casi di difficoltà, l’esercizio dovrebbe essere continuato solo con questi allievi,
in situazioni di recupero individuale o di piccolo gruppo. Questa proposta si scontra con
un’opinione diffusa in molti insegnanti della scuola di base, e fondata su solide ragioni. Lo
svantaggio - sostengono - si radica per lo più in fattori di ordine psicologico e sociale
(motivazione, percezione di sé, relazione con gli altri ecc.), per cui è vano pensare di
colmarlo con l’esercitazione intensiva, che oltre tutto separa gli svantaggiati dagli altri; solo
coinvolgendo l’allievo in difficoltà nelle attività di classe, consentendogli di partecipare nei
limiti delle proprie possibilità al lavoro di tutti, si potrà superare gradualmente il suo
sentimento di emarginazione, frustrazione, ribellione, e una volta ottenuto questo il resto
verrà da sé. Non intendo contestare che lo svantaggio sia un fatto che investe la persona
globalmente, prima che una questione tecnica di abilità. Ma una volta che si riesca a superare
la disaffezione allo studio (tutto è inutile, se non si ottiene questo), una volta che un allievo
sia disposto ad affrontare le proprie difficoltà, mi chiedo se anche un insieme di tecniche non
possano aiutarlo, indicargli una strada, dargli la percezione della possibilità di migliorare.
Presento qui di seguito gli esercizi di cui sono forniti esempi in appendice a questo
capitolo.
1. Testo a domande intercalate32
Si prende un testo di facile comprensione (la comprensione, ricordo, non deve
costituire un problema), e lo si suddivide in blocchetti numerati di circa tre righe; perché
questo spezzettamento risulti naturale, bisogna che il testo sia composto di periodi brevi ed è
meglio che non contenga battute di discorso diretto. Dopo ciascun blocchetto si inserisce una
facilissima domanda di comprensione, con tre risposte alternative costituite da una parola
ciascuna. Gli allievi sono invitati a leggere il testo il più rapidamente possibile, sottolineando
via via le risposte corrette, cominciando tutti insieme al via! dell’insegnante. Alla scadenza
di un tempo prefissato, di pochi minuti, gli allievi consegnano i propri fogli e si verifica a
quale punto ciascuno è arrivato. Alcuni insegnanti preferiscono lasciare che tutti gli allievi
giungano alla fine del testo; in questo caso ciascuno consegna i suoi fogli quando ha finito, e
l’insegnante prende nota del tempo impiegato.
Non è il caso di preoccuparsi della banalità della risposta richiesta, che spesso sarà la
ripetizione di una parola del testo, o un’elementare parafrasi: non si tratta di una prova di
comprensione33. La funzione delle domande è di garantire che il testo sia effettivamente
32
Per quanto ne so, l’esercizio è stato inventato, molti anni fa, dall’allora direttore didattico Ennio Draghicchio;
ne ho trovati esempi in fotocopie anonime circolanti in scuole elementari.
33
A dire il vero, quando la risposta implica una parafrasi, non è in gioco più la pura decifrazione, ma anche
qualche elemento di comprensione lessicale (si vedano ad esempio le domande 3, 7, 8 della prova 1 in appendice).
15
letto, senza barare, e di registrare il punto a cui ciascuno è arrivato. Per questo non si tiene
conto delle risposte sbagliate, a meno che non siano così numerose da far pensare che siano
state segnate a caso. Se su una domanda si registra un numero di errori non minimo (ad
esempio, superiore al 15%), allora la domanda e/o le risposte alternative vanno rese più
facili.
Le domande hanno anche la funzione di spingere a un’utile ginnastica dell’occhio:
spesso, per la rapidità con cui si è letto, rispondere richiede di ripercorrere a colpo d’occhio il
blocco di testo precedente (skimming), o di riconoscervi una parola uguale a una delle tre
date come risposte alternative (scanning).
2. Conta di parole in un testo
È un classico esercizio di scanning: data una paginetta di testo, si chiede di riconoscere
e segnare nel più breve tempo possibile tutte le occorrenze di una data parola. Alcuni
suggeriscono di scegliere una parola “vuota” di alta frequenza, come che o di. A me pare
utile anche scegliere una parola più lunga e semanticamente “piena” (di cui si sia accertato
che ricorre più volte nel testo), per allenare al riconoscimento di configurazioni grafiche più
complesse e per avere una situazione più simile a quelle reali in cui si cerca una parola in un
testo o in una lista. In questo caso sarà bene precisare se si chiede di identificare un lemma,
comprendente diverse forme flessive (ad esempio fiume, fiumi), o soltanto una specifica
forma (fiumi).
3. Abbinamento testi-titoli34
Agli allievi vengono presentati, fotocopiati e montati su un foglio, alcuni brevi articoli
di giornale (notizie di cronaca, recensioni di film e simili), privati del titolo. I titoli sono
presentati a parte tutti insieme. Si chiede di abbinare a ciascun pezzo il proprio titolo, ad
esempio scrivendo un numero che sia stato assegnato a ciascun titolo, nel più breve tempo
possibile.
È bene che i titoli siano in numero superiore agli articoli, per evitare che l’ultimo sia
assegnato automaticamente, per chiusura delle alternative possibili. Bisogna anche che
articoli e titoli abbiano tutti la stessa larghezza, per evitare che questa diventi un criterio
estrinseco di abbinamento; si prestano a questo scopo le rubriche di “brevi” di cronaca che si
trovano in molti giornali, o quelle che presentano i film visibili la sera nei diversi canali
televisivi.
L’esercizio richiede una pratica di scanning quando, come spesso succede, il titolo
corrisponde a parole che si trovano nel testo (possibilmente non proprio nella prima riga,
perché in questo caso l’esercizio si “brucia” in poche frazioni di secondo); oppure una pratica
di skimming, quando per assegnare il titolo bisogna farsi un’idea del contenuto di tutto
l’articolo.
4. Ricerca di un concetto in un testo
Si tratta di una situazione di scanning simile a quello che attuiamo quando cerchiamo
in un manuale o in un testo di istruzioni una certa informazione. Dato un brano, si chiede agli
allievi di trovare nel più breve tempo possibile il punto in cui si parla di un dato argomento.
Se questo argomento è formulato nella consegna con parole che si trovano nel testo,
Se si mira a una verifica “pura” della competenza tecnica, si possono semplificare ulteriormente queste risposte.
Ma qui si mira a una velocizzazione di competenze comunque di basso livello, più che a una diagnosi scientifica
rigorosa. Gli psicologi che puntano a questa fanno leggere liste di parole inventate senza senso.
34
Ho trovato il primo esempio di questo esercizio in un’antologia per la scuola media: M. Ambel, S. Perrin
Sapino, Leggere per..., vol. I, Torino, S.E.I.
16
l’esercizio sarà di puro riconoscimento grafico, come il precedente; se l’argomento è
formulato con una parafrasi del testo, l’esercizio mette in gioco anche abilità di
comprensione rapida: in questo caso è importante che la formulazione sia tale da
corrispondere in modo inequivocabile a uno e un solo luogo del testo.
Di questi esercizi è facile inventare diverse varianti 35, utili per evitare la monotonia nel
caso di esercitazioni ripetute e frequenti. Un carattere che hanno in comune è la grande
rapidità di esecuzione: da pochi minuti (testo a domande intercalate) a pochi secondi (gli
altri). Questo è un vantaggio per l’uso in classe o in piccolo gruppo, perché permette
momenti brevi e frequenti di esercitazione che sottraggono poco tempo ad altre attività, ma è
uno svantaggio dal punto di vista del lavoro dell’insegnante: la ricerca di materiali adatti e la
loro confezione richiede un tempo sproporzionato a quello di uso; solo la creazione graduale
e collettiva di un archivio di materiali può sopperire a questo inconveniente.
Appendice
Esempi di esercizi di decifrazione rapida
1. Testo a domande intercalate
Consegna
Nelle pagine che seguono troverai un racconto suddiviso in tante piccole parti.
Alla fine di ogni parte c’è una frase da completare. Dovrai scegliere il completamento giusto fra i
tre disposti su una stessa riga.
ESEMPIO: Se la frase da completare fosse:
«Il racconto è diviso in parti
lunghe
brevi
variabili»
dovresti sottolineare il completamento brevi.
Leggi il più velocemente possibile. Vediamo quante parti del racconto riesci a leggere e segnare
nel tempo che hai a disposizione.
Non cominciare a leggere finché l’insegnante non dà il via!. Questa è una gara di velocità e tutti
devono partire insieme.
Probabilmente non riuscirai a leggere tutto: quando l’insegnante avrà calcolato sette minuti
esatti dal via!, dovrai fermarti subito là dove sei arrivato.
Ricordati: devi leggere più velocemente che puoi, ma devi anche segnare il completamento giusto
dopo ogni parte letta.
Non usare la gomma. Se vuoi cambiare risposta, fai una croce sulla risposta sbagliata e poi
segna la risposta che ti sembra giusta.
Testo
1) Vi racconto la storia di un uomo che abitava in un paese in provincia di Ferrara, era un falegname.
L’uomo abitava in
una casa isolata una grande città
un paese
2) Una sera, tornando a casa in bicicletta, veniva investito da una macchina di forestieri perché
35
Se ne possono vedere alcune in Serafini 1989, p. 51 sg.
17
pedalava troppo lentamente.
Il falegname stava andando in
macchina
bicicletta
motocicletta
3) Siccome nella macchina c’erano altri due passeggeri, e nessun testimone aveva assistito
all’incidente, è stato facile per il guidatore sostenere che il ciclista gli aveva tagliato la strada.
Il guidatore ha dato la colpa
al falegname
a se stesso
alla strada
4) Dopo alcune settimane d’ospedale il falegname si rivolge a un avvocato per essere assistito nel
processo.
Il falegname si è rivolto a un
medico
falegname
avvocato
5) Questo avvocato propone un accordo con la parte avversa, dubitando che la sola testimonianza del
falegname basti a vincere la causa.
L’avvocato ha proposto di fare
una partita
un accordo
una lite
6) Il falegname non capisce neanche la metà delle obiezioni dell’avvocato e insiste sul suo buon diritto
ad essere risarcito.
Il falegname voleva
un premio
una medicina
un risarcimento
7) Alla vigilia dell’udienza licenzia il legale e decide di affrontare il processo da solo.
Il falegname ha licenziato un
servitore
avvocato
operaio
8) Si presenta dunque da solo in tribunale, sostenendo che di avvocati non ce n’è bisogno in quanto lui
ha ragione e deve essere risarcito.
In tribunale si svolgeva una
causa legale
messa
cerimonia
9) Dopo la convocazione di un difensore d’ufficio, viene il momento in cui i passeggeri della
macchina sono chiamati a testimoniare.
I passeggeri della macchina vengono ascoltati come
giudici
difensori
testimoni
10) E qui il falegname, accorgendosi che ogni parola dei testimoni è falsa, rimane così stupefatto che
non vuol neanche più parlare col suo difensore d’ufficio.
I testimoni dicevano
poesie
bugie
verità
11) Quando infine il giudice lo invita ad esporre la sua versione dei fatti, dichiara di non avere niente
da dire e che tutto va bene così.
Il falegname ha fatto una dichiarazione
divertente
breve
lunga
18
12) Il falegname è dunque condannato a pagare i danni dell’incidente, oltre alle spese del processo.
La causa per il falegname era
vinta
persa
rinviata
13) Pochi giorni dopo vende al suo aiutante, che da tempo desiderava mettersi in proprio, la sua
bottega e la licenza d’esercizio.
E’ stata venduta una
farmacia
libreria
falegnameria
14) Torna a casa e resta seduto su una sedia per una settimana, rispondendo sempre nello stesso modo
alle domande della moglie: che ha caldo alla testa e non può parlare.
Per una settimana il falegname è rimasto
allegro
immobile
silenzioso
15) Per un’altra settimana resta seduto in un bar a guardare la gente che passa, e una sera invece di
tornare a casa si avvia fuori del paese.
Quella sera il falegname se n’è andato
in campagna
all’osteria
a casa
16) Si avvia a piedi verso l’argine del Po; e dopo molto camminare, nell’alba arriva ad una capanna
dove abita un pescatore eremita.
Il falegname è arrivato in riva a un
mare
lago
fiume
17) Questo eremita è un ex campione di automobilismo che, dopo essersi ritirato dalle corse, aveva
aperto un’officina dove venivano “truccati” i motori di vetture sportive.
Prima di diventare pescatore era stato
meccanico
calciatore
falegname
18) Stancatosi però di quel lavoro e dopo aver letto molti libri, s’era deciso a diventare eremita
pescatore e s’era ritirato a vivere in una capanna sulle rive del Po.
Il pescatore voleva stare
in città
in compagnia
da solo
19) La capanna dell’eremita era fatta di vecchie lamiere e altri materiali di recupero; sopra la porta un
pannello diceva GOMME MICHELIN.
L’abitazione dell’eremita era
grande
misera
splendida
20) Il falegname sa che l’eremita non vuole più parlare con nessuno. Dunque appena arrivato non gli
rivolge la parola, si siede e si mette a guardare il fiume.
I due uomini si mostrano
frettolosi
chiacchieroni
silenziosi
21) E’ d’estate, e per circa un mese i due vanno a pescare assieme e dormono nella stessa capanna
sempre in silenzio.
L’unica attività dei due era la
19
caccia
pesca
agricoltura
20
22) Una mattina il falegname si sveglia e l’eremita non c’è più, perché è andato ad annegarsi nel
fiume, sotto il vecchio ponte di Stellata.
L’eremita aveva deciso di
uccidersi
partire
cambiare lavoro
23) Quel giorno il falegname ha modo di assistere da lontano al salvataggio dell’eremita, che peraltro
nuota benissimo.
L’eremita è stato tirato fuori
dalla capanna
dal fuoco
dall’acqua
24) Avvolto in una coperta, viene portato via dalla moglie, a bordo d’una grossa macchina sportiva,
concludendo la sua carriera di eremita.
L’eremita è stato portato via in
treno
carriola
automobile
25) Il falegname è tornato in paese e ha chiesto al suo aiutante di assumerlo come aiutante, nella sua
vecchia bottega. Così è stato.
Il protagonista è tornato a fare il
dentista
pescatore
falegname
(Adattamento da G.Celati, Narratori delle pianure, Feltrinelli 1985)
Nota. Questa prova è stata sottoposta nel 1992 a undici classi quarte e quinte del Circolo didattico di
Sant’Arcangelo di Romagna. Nel tempo assegnato di 7 minuti, i bambini hanno raggiunto in media la ventesima
delle 25 domande; 40 bambini su 135 hanno completato la lettura e le risposte in meno di 7 minuti. Le risposte
corrette sono state in media l’89%. Alcune domande che avevano ricevuto meno dell’85% di risposte corrette
sono state in seguito modificate. Ringrazio la direttrice Marta Fattori per la collaborazione.
2. Conta di una parola in un testo
Consegna
Nel testo che segue, devi sottolineare o cerchiare la parola veicoli tutte le volte che compare, nel
tempo più breve possibile.
Non cominciare finché l’insegnante non dà il via!. Questa è una gara di velocità e tutti devono
partire insieme.
Testo
Le primissime biciclette furono costruite in Germania nel 1818: si chiamavano velociferi.
Non avevano pedali né freni e chi le guidava doveva spingerle avanti con i piedi. La prima
bicicletta a pedali fu inventata da uno scozzese, Kilpatrick MacMillan, nel 1839. A metà del
diciannovesimo secolo comparvero dei veicoli chiamati «scuoti ossa» e i bicicli. Questi ultimi
avevano le ruote anteriori grandissime e quelle posteriori molto piccole. Per questo motivo in
Inghilterra vennero chiamati «penny farthing», che vuol dire una moneta da un penny e una
moneta da un quarto di penny. Come succede per tutti i veicoli, i primi modelli subirono
successivi miglioramenti, fino a che, alla fine, la familiare bicicletta «di sicurezza» non venne
prodotta ad un costo relativamente basso, diventando un mezzo di trasporto largamente
diffuso. Agli inizi del ventesimo secolo andare in bicicletta fu di gran moda, e per molta gente
diventò un hobby. Non passò molto tempo e qualcuno inventò il modo di adattare un motore
alla bicicletta; ed ecco la motocicletta comparire sulle strade del ventesimo secolo per divenire
una presenza familiare e rumorosa.
(da Ph. Sauvain, L’uomo viaggiatore, trad. di R. Coen Pisani, Bologna, Zanichelli)
21
3. Abbinamento testi - titoli
A. Consegna
Qui sotto trovi tre articoli di giornale e poi quattro titoli, in disordine. Nel più breve tempo possibile,
indica i titoli dei tre articoli scrivendo nella casella bianca il numero corrispondente; naturalmente una
casella resterà vuota. Attendi il via! dell’insegnante per incominciare.
1.
Immagine
sottovalutata,
condizioni di lavoro gravoso: per
invogliare
i
giovani
ad
abbracciare
la
professione
infermieristica ci vuole un po’ di
pubblicità.
Lo
sostiene
l’assessorato alla Sanità della
Regione che ha proposto alla
giunta l’avvio di una campagna
promozionale che costerà 686
milioni tra inserzioni su quotidiani
e periodici, spot televisivi,
messaggi su radio piemontesi e
affissioni stradali i.
Vertice di Minsk
nuovo fallimento
per la Comunità
2.
Per porre fine allo sciopero delle
ferrovie,
che minaccia di
indebolire
una
economia
nazionale già in crisi, il
Congresso
americano
ha
approvato una legge che prevede
il congelamento della vertenza
per un periodo di 35 giorni in
attesa dell’arbitrato sulla disputa
sindacale: la Camera ha dato 248
voti favorevoli e 140 contrari, il
Senato 87 sì e 6 no.
Con lo spot
a caccia
di infermieri
Cisgiordania
Nuovo kibbutz
sfida il premier
3.
Si è concluso con un fallimento il
vertice dei Paesi della Comunità
degli Stati indipendenti (Csi) che
ieri a Minsk doveva fissare le
condizioni alle quali ogni Stato
membro della comunità avrebbe
potuto ritirarsi dalla «zona
valutaria» del rublo per avere una
moneta propria.
La conferenza degli undici della
Csi non è riuscita a trovare
un’intesa neppure su una politica
monetaria comune.
Una legge blocca
il grande sciopero
delle ferrovie
B. Consegna
Qui sotto trovi quattro presentazioni di film e poi cinque titoli, in disordine. Nel più breve tempo
possibile, indica i titoli dei film descritti scrivendo nella casella bianca il numero corrispondente;
naturalmente un titolo resterà inutilizzato. Attendi il via! dell’insegnante per incominciare.
I FILM DI OGGI IN TV
La leggenda della storia del cinema, il cult movie in
assoluto. Non si finirebbe mai di ammirare questo
disperato, tragico triangolo amoroso sullo sfondo di
Casablanca durante la seconda guerra mondiale.
Di Craig Baxley. A Detroit vengono uccisi due
sindacalisti e la moglie di un industriale violento e
corrotto. I buoni sono sul punto di essere sconfitti
finché non entra in azione il sergente Jackson, l’attore
Carl Wheathers, l’«Apollo Creed» di «Rocky».
Di Stephen King questo terzo appuntamento con
l’horror. Per il passaggio di una cometa le macchine si
ribellano all’uomo: coltelli elettrici aggrediscono
massaie, distributori di lattine sparano contro i
bambini, tir assediano un autogrill.
Di Tom Bary questa commedia australiana con Jeff
Fahey. Alice Richards vive un’esistenza spensierata.
Alla morte del padre tutto cambia, la tenuta di
famiglia rischia di finire nelle mani di un avido
creditore.
1. ACTION JAKCSON
2. BRIVIDO
3. CASABLANCA
4. L’EREDITA’ DI MISS RICHARDS
5. L’UOMO DEL PIANO DI SOPRA
22
4. Ricerca di un concetto in un testo
Consegna
Scorri il testo che segue e rispondi nel più breve tempo possibile a questa domanda: in quale punto
si parla degli effetti del calore sui veicoli?
Sottolinea la frase che risponde alla domanda.
Non cominciare a leggere finché l’insegnante non dà il via!. Questa è una gara di velocità e tutti
devono partire insieme.
Testo
In tutti i tempi, antichi e moderni, l’uomo ha dovuto progettare i propri mezzi di trasporto
tenendo in considerazione le condizioni del tempo. Il progettista navale fu costretto a
disegnare la sua nave pensando ai venti e alle tempeste che avrebbe dovuto affrontare in mare.
(Il vento infatti è l’agente atmosferico più pericoloso che l’uomo debba fronteggiare in
navigazione); sulla terraferma, invece, ha dovuto considerare gli effetti del freddo intenso,
come il congelamento dei radiatori con raffreddamento ad acqua, e l’inefficienza dei
lubrificanti in presenza di basse temperature. Nelle terre deserte l’uomo ha dovuto progettare
veicoli capaci di superare le tempeste di sabbia e la perdita d’acqua dovuta all’evaporazione.
Le alte temperature possono significare radiatori che bollono, superfici stradali che si
fondono, e dilatazione delle parti metalliche essenziali. Nel passato questi problemi furono
altrettanto importanti; i cani da slitta degli esquimesi, le renne dei lapponi e i cammelli dei
beduini furono usati per traino e trasporto in quanto animali adatti ad affrontare le condizioni
climatiche delle zone in cui vivevano i loro padroni.
(da Ph. Sauvain, L’uomo viaggiatore, trad. di R. Coen Pisani, Bologna, Zanichelli)
23
Capitolo 3. L’incomprensione nascosta
3.1. Due casi di incomprensione
Veniamo ora alle competenze di lettura superiori alla mera decifrazione, che
riguardano la comprensione del testo. Si è detto sopra che l’attenzione che la scuola dedica
alla comprensione è insufficiente, ma non si tratta solo della scuola: De Mauro ha osservato
che la massima parte dell’imponente mole di studi dell’ultimo secolo sui fenomeni linguistici
e semiotici li ha considerati dal punto di vista della produzione. Allo stesso modo, quando
nella scuola si parla di abilità linguistiche, quasi sempre si pensa immediatamente alla
scrittura, raramente si pensa alla comprensione dei testi (per non parlare della produzione e
comprensione orale).
Di questa duplice disattenzione è facile capire il motivo. La produzione linguistica si
risolve in un prodotto visibile e controllabile, mentre il “prodotto” dei processi di
comprensione non si vede: è qualcosa che avviene nella testa del lettore (e dell’ascoltatore).
E’ (scrive ancora De Mauro), «“l’altra metà del cielo” linguistico e semiotico»36.
E’ molto più difficile accorgersi degli errori di comprensione che degli errori di
produzione. Accade così che spesso diamo per scontata la comprensione, non ne valutiamo le
difficoltà, e ci sorprendiamo poi quando un incidente, o una prova di verifica, ci fa scoprire
che non era affatto scontata né facile. Un paio di esempi di simili sorprese potranno servire a
metterci in guardia.
Il primo riguarda un livello elementare di lettura, e lo traggo da un articolo di Cesare
Cornoldi37. Francesca è una bambina di seconda elementare, nella lettura ad alta voce non
mostra particolari difficoltà; sottoposta a un test di comprensione, dà invece solo due risposte
giuste su dieci. Mi pare interessante riprodurre una parte del testo della prova, e una delle
risposte della bambina: come si vede, le risposte erano formulate in modo non verbale, in
modo da neutralizzare in parte uno degli aspetti critici di questi test: se la comprensione
messa alla prova riguardi il testo da leggere, o non piuttosto il testo delle domande e delle
risposte. Secondo l’autore, «Il fatto che la bambina scelga l’immagine con un gesto di cui
non si parla nella storia, ma che riproduce coloritamente l’intenzione del boscaiolo, ci
sembra costituire una ulteriore conferma della capacità di elaborazione personale di
Francesca e al tempo stesso della sua difficoltà di elaborare i dettagli del brano».
Quel che dal canto mio vorrei sottolineare è che secondo criteri correnti molti
insegnanti avrebbero detto che Francesca «legge bene», dato che la sua lettura ad alta voce
era nella norma; solo una prova specifica rivela le sue difficoltà di comprensione, e ci avverte
che una corretta decifrazione è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per capire un
testo.
36
37
De Mauro 1999, p. 47.
Cornoldi 1994.
24
La volpe e il boscaiolo
Una volpe, che fuggiva davanti ai cacciatori,
giunse alla capanna di un taglialegna.
- Per pietà, nascondimi - chiese al
taglialegna.
- Entra nella mia capanna - disse l’uomo . Appiattati in quel cantuccio.
Pochi istanti dopo arrivarono i cacciatori.
Domandarono al taglialegna:
- Hai visto passare di qui una volpe?
- No - disse il boscaiolo - non ho visto
passare di qui nessuna volpe.
E intanto con la mano faceva segno che sì, la
volpe l’aveva vista e che anzi era lì, in quel
cantuccio della capanna.
[...]
Il secondo esempio è tratto dalla mia esperienza di insegnante, e riguarda aspetti più
sottili della comprensione. Nel terzo capitolo dei Promessi sposi, Renzo va dal dottor
Azzecca-garbugli e gli espone in maniera un po’ ambigua il proprio problema: «Vorrei sapere
se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c’è penale. [...] - Ho capito, disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito». Che cosa il dottore non avesse capito il
lettore lo comprende dal seguito della scena, centrata su un comico equivoco: i due non si
intendono perché l’avvocato crede di avere di fronte l’autore di una minaccia. Nel 1969
sottoposi a una classe prima di istituto tecnico una prova di comprensione sui primi otto
capitoli del romanzo manzoniano, letti nei mesi precedenti. Una domanda riguardava il passo
citato: «Che cosa non aveva capito il dottor Azzecca-garbugli?». Di trenta studenti, solo sette
segnarono la risposta attesa («che Renzo non era il reo, ma l’offeso»), undici segnarono una
delle alternative errate («che le minacce erano state rivolte a un sacerdote», «che il
responsabile del fatto a cui Renzo si riferiva era don Rodrigo», «che Renzo desiderava il suo
aiuto»), undici si astennero dal rispondere.
Vari fattori possono aver influito su questi dati: alcuni degli astenuti non avevano
raggiunto la domanda, che era l’ultima, per mancanza di tempo; alcuni forse non avevano
nemmeno letto il testo, altri potevano aver dimenticato quel capitolo, letto tempo prima.
Resta che almeno un certo numero aveva letto e non aveva capito ciò che l’autore sottace,
non aveva colmato la lacuna informativa con un’inferenza dal contesto seguente. Quante
volte questo sarà accaduto o accadrà oggi senza che l’insegnante se ne accorga? (compreso il
25
sottoscritto, in tante altre occasioni).
3.2. Analisi di un testo
Il fatto è che per noi lettori esperti non è facile renderci conto delle difficoltà che può
incontrare un lettore meno esperto. Questo punto è stato efficacemente chiarito da Lucia
Lumbelli: «per controllare l’adeguatezza di un determinato testo alla competenza cognitiva di
un lettore di cultura diversa è necessario che l’autore, o un eventuale revisore del testo [o un
mediatore culturale come l’insegnante, aggiungo], svolga una specie di autoanalisi del
proprio processo di lettura, richiami cioè alla propria consapevolezza i processi di
integrazione del testo da lui operati con facili automatismi nel corso della lettura». E questo
non è facile, perché «A differenza di altri ragionamenti, che possiamo fare circa il contenuto
di un testo o circa eventuali scelte stilistiche culturalmente significative, i passaggi di
pensiero che portano alle informazioni essenziali sono in genere così semplici ed ovvi, per
chi li compie, che vengono attuati senza accorgersene»38.
Da qui la necessità, se si vuole valutare la comprensibilità di un testo per lettori meno
provveduti, di compiere un’analisi “al rallentatore” del proprio processo di comprensione,
cercando di «pensare ad alta voce leggendo», meglio se in gruppo («interosservazione»).
Applicando questo metodo, Lumbelli è giunta a individuare sette categorie di potenziali
difficoltà testuali legate a processi inferenziali, definite da lei «nodi della comprensione»39.
A riprova, proporrò qui un esempio parziale di questo tipo di analisi applicata a un
testo a prima vista decisamente “facile”, tratto da un libro di lettura per la quarta
elementare40.
Il «rampichino»
Queste nuove due ruote hanno ormai soppiantato le biciclette tradizionali e stanno soffiando il posto
ai motorini. L’avanzata della «mountain bike» appare travolgente. Erano poche centinaia agli inizi
degli anni ‘80; un milione e mezzo alla fine del 1989; saranno due milioni - queste le previsioni entro la fine del prossimo anno.
E’ un fenomeno che ha colto di sorpresa gli stessi produttori che si sono affrettati, grossi e piccoli, a
cambiare strategia e produzione.
Ma tutti si approvvigionano abbondantemente in Estremo Oriente. E’ Taiwan la patria mondiale
della «mountain bike». Da laggiù arrivano navi cariche di container zeppi di parti che vengono poi
assemblate qui in Italia. Si tratta davvero di un grosso affare: una «mountain bike» può costare dai tre
milioni (per i modelli più sofisticati) alle trecentomila lire, con un giro di affari che, nella sola Italia,
ha toccato i mille miliardi.
Ma perché questo particolare modello di bici (inventato a San Francisco, città americana famosa per
le sue strade in saliscendi) ha incontrato questo immediato favore di mercato?
[...]
Un primo “nodo” che il testo può presentare alla comprensione va riferito alla
categoria che Lumbelli definisce «identità ostacolata»: esso si verifica ogni volta che un
referente, introdotto nel testo con una certa espressione, viene ripreso con un’espressione
diversa, di solito per ragioni stilistiche di variatio (si ricordi l’ossessiva avversione che la
nostra scuola inculca per la ripetizione a breve distanza di una stessa parola). Di
conseguenza, scrive Lumbelli, «il riconoscimento della identità tra due termini o due
espressioni linguistiche molto diverse risulta richiedere l’intervento di conoscenze,
microragionamenti o inferenze che solo un certo livello di competenza cognitiva e linguistica
38
Lumbelli 1989, p. 40 sg.
Lumbelli 1989, p. 42; pp. 43-50.
40
A. Zoi, D. Bruno Zoi, Officina, 4, Brescia, La Scuola, 1992. Le parole in corsivo rinviano a note esplicative,
qui non riportate.
39
26
può garantire»41.
L’oggetto che è tema del brano viene introdotto prima nel titolo come «Il
“rampichino”» (espressione che non ho mai incontrato altrove; ma la presenza di
un’illustrazione nella stessa pagina mi aiuta a individuare di che si tratta). Subito dopo è
nominato come «Queste nuove due ruote»: e qui il lettore deve prima capire che due ruote va
inteso come una sorta di nome composto (un’unità lessicale superiore nei termini della
semantica lessicale), altrimenti nella sua costruzione del “mondo del testo” entreranno
letteralmente due ruote, non una macchina; poi deve capire che la “due ruote” si identifica
col “rampichino”. Poco oltre il nome del referente è ancora variato, diventa «mountain bike».
Siamo sicuri che l’identificazione di uno stesso oggetto sotto tre diverse designazioni sia così
scontata per bambini di nove anni? per i più svantaggiati tra loro?
Restando nel campo della coesione testuale, il secondo capoverso si apre con
l’espressione «E’ un fenomeno che...». Si tratta di un caso di quella che i linguisti hanno
definito capsula anaforica42: un singolo sintagma nominale riprende il contenuto informativo
di tutta una frase o (come in questo caso) di un intero blocco di testo precedente. Il corretto
recupero di questo complesso referente testuale richiede quanto meno una certa esperienza di
lettura.
Ancora un problema di coesione può essere posto dall’inizio del terzo capoverso: «Ma
tutti si approvvigionano abbondantemente in Estremo Oriente». Il pronome indefinito tutti
può avere due tipi di referenza: può riferirsi al contenuto di uno specifico sintagma nominale
(come in questo caso: rinvio a «i produttori... grandi e piccoli»); ma può anche riferirsi a una
classe generica, di solito gli esseri umani (come in frasi del tipo “Tutti sanno che...”). Se il
nostro giovane lettore applicasse questo secondo tipo di integrazione semantica, potrebbe
pensare che in Estremo Oriente si approvvigionano “tutti” gli acquirenti della mountain bike,
direttamente; solo leggendo più avanti «Da laggiù arrivano navi cariche di container zeppi di
parti che vengono poi assemblate qui in Italia», e applicando retroattivamente questa nuova
conoscenza a «tutti si approvvigionano», potrebbe correggere la prima interpretazione.
Una difficoltà di ordine diverso può essere posta dall’uso di espressioni metaforiche.
Come più avanti vedremo meglio, i lettori più giovani e inesperti hanno la tendenza a
prendere ogni parola alla lettera. Di fronte alla frase «L’avanzata della “mountain bike”
appare travolgente», sarebbe il caso di verificare se qualche bambino di quarta elementare
non si rappresenti materialmente un gran numero di biciclette di questo tipo che avanzano
impetuosamente sulle strade, col rischio di travolgere pedoni.
L’ultimo problema che vorrei analizzare concerne l’aggiunta parentetica che compare
al quarto capoverso: «...questo particolare modello di bici (inventato a San Francisco, città
americana famosa per le sue strade in saliscendi)». Quale funzione attribuire
all’informazione posta tra parentesi? Un lettore esperto se la spiega col fatto che a San
Francisco si è avvertita l’utilità di una bicicletta adatta ad affrontare salite ripide; ma per
compiere questa inferenza bisogna appunto conoscere tale caratteristica della mountain bike;
chi non lo sapesse, non avrebbe altro appiglio nel testo che la traduzione del nome composto
inglese. Più avanti poi il lettore esperto capirà a quale scopo è stata inserita l’informazione,
quando leggerà (al sesto capoverso, qui non riportato) che «sono biciclette che solo
rarissimamente vengono usate per lo scopo primario: andare in montagna», e quindi è da
spiegare la ragione del loro eccezionale successo.
Ma immaginiamo un lettore bambino che non conosca l’inglese e magari viva in una
località di pianura, dove usa o vede usare correntemente la mountain bike; supponiamo che
per lui non sia facile integrare l’informazione posta tra parentesi con quella sullo scopo di
41
42
Lumbelli 1989, p. 46.
Vedi in proposito D’Addio Colosimo 1988.
27
andare in montagna, che incontra dopo due capoversi. Per lui la parentesi del quarto
capoverso rappresenterà una mera aggiunta che appesantisce il carico di informazioni da elaborare e un intralcio sintattico che spezza la domanda posta nel capoverso.
Due dei “nodi” della comprensione studiati da Lumbelli riguardano aggiunte
parentetiche: sono l’«aggiunta relativizzante» (che introduce limitazioni a un’affermazione
precedente, senza definirne la portata esatta) e l’«aggiunta problematizzante» (che riformula
un concetto con l’intento di facilitarne la comprensione, mentre in realtà la complica) 43. Le
rispettive definizioni non si adattano a un caso come questo, che non è affatto raro, e che
proporrei di definire “aggiunta di recupero” (o, più in breve, “aggiunta incasinante”): l’autore
sembra accorgersi che non è riuscito a dare un’informazione importante, e la inserisce dove
capita, in forma parentetica; ne risulta un inserto incongruo per il punto in cui appare, che
intralcia lo sviluppo informativo del testo. Nello scrivere, mi capita a volte di incorrere in
questa tentazione e di correggermi (se me ne accorgo in tempo). Nel caso in questione, si
direbbe che il problema si sia posto nel corso di una riscrittura condensata del testo di
partenza44; la necessità di condensare testi e informazioni in spazi ristretti è all’origine di
molti problemi di scrittura dei libri di testo.
Un’ultima precisazione. Le osservazioni fatte su questo brano non implicano di per sé
(tranne l’ultima) che esso sia scritto male; a un simile giudizio si potrebbe obiettare che le
letture proposte a scuola non devono evitare ogni difficoltà, che gli allievi devono essere
allenati ad affrontare problemi come le riprese con variatio, le ambiguità di referenza, le
capsule anaforiche, le espressioni metaforiche. Tutto giusto: quel che ho voluto sottolineare è
l’opportunità che gli insegnanti si attrezzino per essere in grado di prevedere queste
potenziali difficoltà, verificare se sono superate da tutti, aiutare chi vi restasse impigliato.
43
Vedi Lumbelli 1989, pp. 51, 56.
Come fonte è data «Bresciaoggi» (un quotidiano locale, suppongo), ma è probabile che il testo sia stato
adattato, come accade comunemente nei libri di lettura per la scuola elementare. Una spia può essere
l’annotazione che San Francisco è «una città americana», improbabile su un quotidiano, opportuna in un libro di
lettura.
44
28
Capitolo 4. Competenze, incompetenze e difficoltà di comprensione
In questo capitolo analizzerò alcune difficoltà ricorrenti che i lettori inesperti possono
incontrare nella comprensione. Per dare ordine al discorso, mi riferirò a uno schema
gerarchico delle competenze di lettura, uno schema “dal basso in alto” che ricorda da vicino
il modello tassonomico di Bertocchi sinteticamente presentato al paragrafo 1.4. Non vorrei
con questo dimenticare i limiti propri di questo tipo di modelli: non c’è dubbio che la
distinzione delle diverse competenze è un’astrazione, e che esse entrano in gioco
simultaneamente in ogni momento della lettura. Ma lo schema non vuole essere una
descrizione, tanto meno sequenziale, del processo di comprensione; vuole solo fornire un
riferimento per localizzare, per quanto possibile, i punti di possibile difficoltà del lettore.
Esso potrà servire per analizzare preventivamente i testi da proporre agli allievi, per tentare
di definire i meccanismi sottesi agli episodi di incomprensione, per progettare interventi
mirati di aiuto alla comprensione.
Di alcuni di questi interventi mirati saranno dati via via esempi, insieme ad attività
didattiche che possono avere un valore di diagnosi e prevenzione di alcuni problemi di
comprensione.
4.1. Lessico
Le difficoltà di comprensione lessicali sono in generale le più facilmente prevedibili e
osservabili, e quelle che si è più preparati ad affrontare: “spiegare le parole difficili” è un’attività che da sempre accompagna la lettura in classe. Sono anche quelle di cui più spesso il
lettore si rende conto immediatamente, in modo da poter chiedere un aiuto.
Incomprensioni inavvertite
Spesso, ma non sempre. Anche a proposito del lessico, come del resto, sarebbe bene
non dare per scontata la comprensione solo perché gli allievi non esprimono dubbi o non
chiedono spiegazioni. Traggo un esempio di incomprensione lessicale che avrebbe potuto
passare inosservata dai protocolli della ricerca a cui ho partecipato presso l’IRRSAE EmiliaRomagna sotto la guida di Lucia Lumbelli (vedi la scheda a pag. 29; d’ora in avanti citerò
questi materiali come “IRRSAE Lumbelli”).
Uno dei testi sottoposti agli allievi era un articolo di Furio Colombo intitolato E’
scoppiata la guerra dell’età («La stampa», 19.7.1993, rubrica «Intanto in America»).
L’articolo denuncia atteggiamenti di discriminazione verso gli anziani che si diffondono nella
società americana; il primo dato riportato è che dagli archivi degli ospedali «è venuta fuori
questa regola, praticata sui pazienti anziani: nessun intervento chirurgico importante viene
eseguito su pazienti che hanno più di 75 anni. Naturalmente vi sono eccezioni, ed è probabile
che le eccezioni siano più frequenti con i malati più abbienti. Ma la regola esiste».
Ecco come due allievi interpretano abbienti45:
1. A: [...] ma più spesso vengono fatti degli interventi a quelli che sono dei malati più
benestanti, che, come si dice, stanno meglio rispetto a quelli di 75 anni.
2. I: I malati più abbienti sono quelli...
3. A: ...che sono meno malati.
1. A: [...] Cioè, naturalmente ci saranno dei casi che si potrà operare con i malati più abbienti,
ma la regola esiste.
2. I: Ci saranno dei casi in cui si potrà operare, hai detto.
3. A: Sì, sono i malati più abbienti, cioè penso quelli che hanno dei problemi che se non
45
Nelle trascrizioni dei colloqui, la sigla A indica una battuta dell’allievo, I una dell’insegnante intervistatore. I
numeri si riferiscono alla sequenza delle battute nel colloquio.
29
vengono curati si potranno avere delle gravi conseguenze.
Senza l’intervento dell’insegnante (che correttamente ripropone “a specchio” all’allievo la
sua formulazione, per invitarlo a proseguire e fornire ulteriori informazioni), non ci si
sarebbe accorti dell’interpretazione data dagli allievi al termine abbienti, che in un primo
tempo si limitavano a riprodurre.
Il colloquio centrato sul lettore che pensa ad alta voce
Ho avuto per alcuni anni la fortuna di partecipare a una ricerca diretta da Lucia Lumbelli
presso l’IRRSAE Emilia-Romagna, avente per oggetto la diagnosi e la stimolazione dei
processi di comprensione di testi scritti da parte di allievi in difficoltà, dalla scuola
elementare al biennio secondario (vedi IRRSAE Emilia-Romagna 1995).
Il progetto prevedeva quattro fasi:
a) la scelta dei testi da proporre agli allievi e l’individuazione in essi di “passaggi critici” che
richiedessero al lettore integrazioni inferenziali;
b) il colloquio diagnostico: il testo viene scomposto in brevi brani; l’allievo è invitato a
leggerli e a dire, dopo ciascun brano, tutto ciò che ha compreso o non compreso, con una
sorta di “pensiero ad alta voce”; l’insegnante intervistatore deve aiutare l’allievo a
completare l’espressione del suo pensiero, essenzialmente con la tecnica dell’“intervento a
specchio”;
c) una volta accertata l’incomprensione, più o meno consapevole, di un “passaggio critico”,
l’allievo è invitato a una riesplorazione del testo;
d) se la riesplorazione non è sufficiente a condurre alla comprensione attesa, si può passare a
una fase di “domande di aiuto” e infine a una spiegazione.
Il colloquio deve essere condotto in modo “non direttivo”, o “centrato sull’intervistato”:
«un tipo di intervista che aiuti il soggetto a esprimere quanto più è possibile ciò che ha in
mente e riduca al massimo gli inconvenienti derivanti dalla sua scarsa abilità di produzione
verbale (che tende in genere ad essere pari o inferiore all’abilità di comprensione)»
(Lumbelli 1995, p. 18). Nella fase diagnostica, l’insegnante intervistatore deve evitare di
porre domande dirette, che tendono a condizionare la risposta e a porre l’allievo nella
condizione dell’interrogazione, in cui lo scopo non è manifestare i propri processi mentali
ma indovinare la risposta “giusta” attesa dall’insegnante; deve piuttosto intervenire con
riformulazioni e parafrasi di quanto l’allievo ha detto (“interventi a specchio”), con lo scopo
di incoraggiarlo a proseguire e «ottenere da lui ulteriori testimonianze circa ciò che sta
dicendo e/o facendo» (Lumbelli 1995, p. 115). Nelle fasi ulteriori le domande d’aiuto
dovranno essere accuratamente calibrate: in particolare si dovranno evitare le domande
chiuse (a risposta “sì/no”, o di forma disgiuntiva “o/o”), ma porre domande realmente
aperte, che stimolino processi di riflessione.
Ho seguito gli insegnanti di biennio impegnati in questa esperienza, e ho raccolto e
analizzato un ricco materiale di colloqui registrati e pazientemente trascritti (Colombo
1995); esso offre una casistica preziosa sulle comprensioni e incomprensioni di lettori poco
esperti, a cui attingerò ampiamente in queste pagine.
Formulare ipotesi
È da notare che i due ragazzi si sono comportati come normalmente si comporta il
lettore esperto di fronte a un termine che non conosce: hanno cercato di dedurre dal contesto
un significato plausibile. Questo comportamento non va scoraggiato: costituisce un
atteggiamento attivo di fronte alla difficoltà, da cui ci si può aspettare, col tempo, un
arricchimento del lessico posseduto; come in altri campi, l’errore è un segno, e insieme lo
30
scotto inevitabile, di un positivo sforzo di apprendimento.
Nel formulare ipotesi sul significato di un termine sconosciuto, il lettore esperto si fa
guidare da due tipi di appigli: il contesto e la forma della parola (analogie con parole note,
radici, prefissi, suffissi). Un’attività del genere dovrebbe essere promossa e guidata in classe.
Supponiamo ad esempio che in un manuale di Storia gli allievi incontrino questa frase:
«Nel movimento liberale non vi era un accordo unanime» 46, e che siano in difficoltà di fronte
al termine unanime. Prima di spiegarlo, o di invitare a consultare un dizionario, l’insegnante
potrebbe porre domande come: che cosa suggerisce l’inizio della parola un-? riconoscete il
pezzo -anim-? come può riferirsi questo ad accordo?
Polisemia, termini tecnici
A volte la difficoltà può essere costituita non tanto da una parola sconosciuta, quanto
dal mancato riconoscimento della particolare accezione in cui è usato un termine noto. La
polisemia è una caratteristica generale del lessico, in genere correlata alla frequenza d’uso:
quanto più un lemma è usato, tanto più si può prevedere che le sue accezioni si moltiplichino
e sfaccettino. Selezionare tra le accezioni quella più adatta al contesto è un’operazione che il
lettore esperto compie di solito automaticamente, ma richiede una flessibilità mentale che
non è scontata in un lettore inesperto. Una certa rigidità (propria della mente infantile, ma
che può perdurare negli anni) può portarlo a pensare che a una parola corrisponda uno e un
solo significato, e ad applicare quello che gli viene in mente per primo senza fare i conti col
contesto. Un antidoto a questo atteggiamento può essere fornito dalla riflessione sul lessico
(sulla quale mi soffermerò tra poco), che può abituare a prevedere la polisemia e a osservare
i diversi meccanismi con cui il contesto seleziona un’accezione tra quelle disponibili.
Il problema si pone in particolare per i lessici specialistici delle discipline. Quando i
termini tecnici sono stati creati appositamente, non costituiscono in genere difficoltà: saranno
per lo più parole nuove per gli allievi, ma il loro (unico) significato sarà appreso insieme ai
concetti disciplinari; se ci sono problemi nella loro interpretazione, non sono problemi
linguistici. Per questo sostituire al termine tecnico un sinonimo di uso comune (e polisemico)
può non essere sempre una facilitazione. In una ricerca di Gisella Paoletti i soggetti, alle
prese con un passo di un manuale di Educazione civica sui sistemi elettorali, hanno mostrato
difficoltà a interpretare «scegliere i propri rappresentanti» nel senso di “eleggere”. L’autrice
commenta: «mentre un termine non comune provocherebbe la consapevolezza della propria
non comprensione nel soggetto e quindi la ricerca del significato, un termine comune come
questo [...] lascia aperte troppe letture e provoca un’interpretazione fuorviante che però non
viene percepita come tale»47.
Ma in molti campi la terminologia tecnica è stata creata attribuendo un’accezione
particolare e univoca a termini che sono già di uso comune: basta pensare a termini della
fisica come peso, forza, energia, o alla differenza che corre in chimica tra sciogliersi e
fondersi, in geometria tra uguale e simile, differenze molto più nettamente definite che nella
lingua comune. Passare dalle accezioni comuni a quelle dei lessici specifici può non essere
facile48.
Un esercizio che può verificare e insieme promuovere la padronanza delle specificità
terminologiche è un tipo di cloze (creazione in un testo di “buchi” lessicali che l’allievo deve
riempire) mirato a questo scopo: si tolgono da un testo di contenuto disciplinare alcuni
46
La frase è tratta da un manuale usato nelle prime classi degli istituti professionali: De Bernardi, Guarracino, Il
mondo contemporaneo, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, p. 151.
47
Paoletti 1993, pp. 65-66.
48
Una conferma viene dalla ricerca del GISCEL Lombardia sul testo scientifico nella scuola media: in base a un
test, «per la grande maggioranza (3/4) degli allievi [...], FORZA e LAVORO “sono dei sinonimi, hanno cioè lo stesso
significato”» (1994, p. 70).
31
termini usati in accezione specifica e si presentano diverse alternative (o “toppe”) con cui
reintegrarlo. L’operazione di riempimento dei “buchi” verificherà la padronanza
terminologica, e la correzione sarà un’occasione per riflettere sui significati specifici in
relazione al contesto. Un paio di esempi di questo esercizio sono presentati in appendice a
questo paragrafo49.
La riflessione lessicale e il mito del dizionario
Gli errori di comprensione lessicale dipendono evidentemente da lacune del patrimonio
lessicale, di cui si denuncia una grave e crescente povertà negli allievi. L’opinione che sia
crescente può essere in parte vera, in parte può derivare (come accade per altre competenze
linguistiche) da un confronto improprio tra la scuola di massa attuale e quella più elitaria del
passato, in parte anche dal fatto che noi adulti non ricordiamo facilmente quanto ci abbiamo
messo ad acquisire le conoscenze lessicali che abbiamo (personalmente, ricordo che nella
prima adolescenza ho pensato a lungo che idoneo significasse qualcosa come “effeminato,
donnesco”, con un collegamento etimologico a donna).
Comunque sia di ciò, l’arricchimento lessicale è un compito prioritario dell’educazione
linguistica. Purtroppo in proposito non si possono suggerire strategie specifiche: le parole e i
significati si imparano a uno a uno, attraverso l’uso in contesto, con la lettura di una grande
varietà di testi, l’esempio orale dell’insegnante, le spiegazioni occasionali.
Il lessico di una lingua ha però anche alcuni aspetti sistematici, che possono essere
oggetto di una riflessione non occasionale. Da un lato ci sono i meccanismi di formazione
delle parole composte e derivate, dall’altro le relazioni di significato (polisemia e fenomeni
di estensione delle accezioni di un lemma, sinonimia e diverse connotazioni dei sinonimi,
diversi tipi di opposizione semantica, relazioni di inclusione); gli uni e le altre creano
famiglie di parole, reti di significati che aiutano la nostra memoria a organizzare il deposito
lessicale, ne facilitano la conservazione e l’accesso. Lo studio sistematico di questi fenomeni
può aiutare la comprensione lessicale in modo indiretto: non tanto col fornire nuove parole e
significati (il lessico non si apprende per liste fuori contesto), quanto col destare l’attenzione
sulle parole, “fare l’occhio” alla variabilità dei significati, suggerire piste nel formulare
ipotesi su un significato sconosciuto o difficile da afferrare.
Purtroppo la riflessione sul lessico resta uno dei settori più trascurati della riflessione
sulla lingua. Parlando con centinaia di insegnanti, ho avuto l’impressione che quasi mai essa
sia oggetto di un lavoro sistematico, programmato, verificato (mentre si continua a dedicare
una quantità di tempo a una mal fondata e in gran parte inutile “analisi logica”). Quanto ai
libri di testo, un’analisi recente condotta su sei grammatiche diffuse nelle scuole medie ha
mostrato che lo spazio dedicato al lessico poteva raggiungere al massimo il 10%,
precipitando in un caso allo 0,7%50.
Al posto della riflessione lessicale, impera nelle scuole il mito dell’importanza di
educare gli allievi all’uso sistematico di un vocabolario, come via maestra per arricchire il
lessico (non so se questo corrisponda a una pratica effettiva o a un senso di colpa per
qualcosa che si ritiene si dovrebbe fare). A questa convinzione oppongo due considerazioni:
 nel corso della lettura, di fronte a una difficoltà lessicale, è molto più istruttivo reagire
attivamente, fare ipotesi, “tirare a indovinare” (con tutti i rischi del caso), che ricorrere
passivamente a un aiuto esterno; inoltre le ripetute interruzioni per consultare un
dizionario ostacolano la costruzione delle relazioni semantiche che costituiscono l’unità
testuale; la didattica delle lingue straniere dovrebbe insegnarci qualcosa in proposito;
49
Per altre notizie sul cloze rinvio al riquadro inserito nel paragrafo 4.3 (p. XX).
S.C. Sgroi e altri, I libri di testo di educazione linguistica e i programmi del 1979, in Calò, Ferreri (a cura di)
1997, pp. 131-145 (tabella a p. 134).
50
32
 le definizioni contenute nei dizionari sono in genere più difficili del termine definito
(spesso per ragioni intrinseche e insuperabili): è probabile che l’allievo che se ne serve le
acquisisca mnemonicamente, senza un reale progresso di comprensione.
In conclusione, la consultazione di un dizionario è utile a chi ha già una buona
padronanza lessicale e può permettersi il lusso di “lavorare di fino”; più di rado è utile a chi
soffre di povertà di lessico.
Non intendo negare che sia opportuno insegnare agli allievi a consultare un dizionario,
a servirsene come fonte di informazioni soprattutto ortografiche e morfologiche. Può essere
pure utile usarlo, nell’ambito della riflessione lessicale, per condurre esplorazioni nel lessico
indipendenti da una specifica lettura, a partire dalle parole e dai significati che già si
conoscono: questo può aiutare gli allievi a farsi un’idea della complessità delle relazioni
lessicali. Dubito invece che l’uso sistematico del dizionario per risolvere le difficoltà in
situazione di lettura serva ad arricchire il loro lessico 51.
Appendice
Esempi di cloze su lessico specifico
1. (Storia)
Sviluppo industriale alla fine dell’Ottocento
L'industria capitalistica aveva conquistato un ruolo decisivo nell'economia mondiale e dava ora
tutta la sua impronta alla vita sociale.
Nei decenni successivi al 1870 le fonti di __________, base del dinamismo e della potenza della
civiltà industriale, si allargarono ulteriormente con la __________ dell'industria petrolifera e con
l'utilizzazione dell'energia elettrica. La __________ del petrolio, per la quale si formarono compagnie
destinate a grande sviluppo come l'americana Standard Oil e l'inglese Shell, raggiunse nel 1881 tre
milioni di tonnellate per salire a cinquanta milioni nel 1910. Il carbon fossile continuò a fornire la
parte maggiore dell'__________ per le macchine industriali, ma già con l'__________ della turbina
idraulica e della dinamo si era creata la possibilità di utilizzare l'energia elettrica di __________
idraulica. Questi anni furono un periodo di invenzioni tecniche senza precedenti, che nella maggior
parte dei casi provocarono un nuovo incremento dell'__________: nuovi procedimenti tecnici per la
__________ dell'acciaio, telefono, illuminazione elettrica, motore a scoppio e automobile, macchine
rotative per la stampa, prime esperienze di volo a motore, cinematografo.
(da R.Villari, Il mondo contemporaneo, Roma-Bari, Laterza 1973)
Parole da inserire:
energia
energia
industria
invenzione
invenzione
nascita
operazione
origine
produzione
produzione
scoperta
51
Questa impressione è confermata dalla ricerca psicologica; De Beni e Pazzaglia scrivono (rinviando a uno
studio di Carpenter e Just): «il patrimonio lessicale di un lettore è conseguenza della sua abilità nell’acquisizione
del significato di nuove parole e in ciò si rivela più importante la capacità di trarre inferenze che non un’ipotetica
attività di lettura del dizionario» (1995, p. 104).
33
2. (Scienze)
Il ciclo dell'acqua
Il primo anello della catena è l'energia che fa evaporare l'___________ del mare. Tutta
l'___________ che cade sulla ___________ del mare serve per far evaporare l'___________?
Ovviamente no: solo una piccola parte. La maggior parte dei ___________ vengono semplicemente
riflessi e ritornano indietro nello spazio. Dell'___________ solare che rimane nel mare, una parte
viene semplicemente assorbita dall'acqua e ne fa salire la ___________, una parte, molto piccola in
verità, viene fissata dal plancton marino con la fotosintesi, e servirà per la ___________ dei pesci e
degli animali e vegetali nel mare. Solo una parte servirà quindi a far evaporare l'___________.
L'___________ dipende molto dai venti, dall'___________ dell'aria, dalla temperatura ecc.: non si
può quindi dire in generale quanta energia va in ___________ dell'acqua.
(da Rinaudo, Pisani, La natura, il metodo, le idee, vol. 3, Torino, Loescher, p.80)
Parole da inserire
acqua
acqua
acqua
energia
energia
evaporazione
evaporazione
raggi
superficie
temperatura
umidità
vita
4.2. Figure retoriche
Sono imparentati ai problemi di lessico i problemi posti da alcune fra quelle che la
retorica tradizionale classifica come “figure di senso”: in particolare la metafora, l’iperbole,
l’ironia, e forse qualche altra. Queste figure richiedono al lettore di sostituire al senso
letterale delle parole un altro senso, il “senso inteso” 52. Si tratta di compiere un
microragionamento di questo tipo: “ciò che le parole dicono, preso alla lettera, è insensato o
incongruente col contesto; devo dunque cercare e sostituire un altro senso”; il quale potrà
essere ricavato per analogia (metafora), per riduzione di un’esagerazione entro i limiti del
ragionevole (iperbole), per allusione (ironia), ecc.53.
Questa operazione non è sempre facile né spontanea per tutti, in particolare per i più
giovani: i bambini e i ragazzi tendono a prendere tutto alla lettera. Personalmente, ricordo
che la prima volta che, da piccolo, lessi una frase come “la povera donna si toglieva il pane
di bocca per sfamare i suoi bambini”, pensai a un atto piuttosto schifoso.
Nei protocolli della ricerca “IRRSAE-Lumbelli” trovo diversi casi di incomprensione
del senso indiretto di espressioni metaforiche. Negli esempi seguenti viene preso per vero
perfino il contenuto di una similitudine, che in senso stretto non richiederebbe nessuna
operazione di sostituzione, dato che il senso letterale è esplicito e collegato a un senso
analogo attraverso un come o un’altra espressione simile 54.
Nella rubrica delle lettere a Oreste del Buono («La stampa», 21.8.1993), sotto il titolo
Uno, nessuno centomila identikit, compare una lettera che comincia:
Caro Del Buono, ma ha mai guardato gli identikit della polizia? I ritratti, quando va bene,
sembrano fatti da un dodicenne assai scarso in disegno.
52
Per questo Maurizio Della Casa definisce i traslati «impliciti di sostituzione» (1987, p. 130).
Questa spiegazione si ispira al «principio di cooperazione» formulato da Grice (1975, p. 204), secondo il quale
i partecipanti a uno scambio comunicativo si impegnano a rispettare certe “massime” che esigono che ciò che
viene detto sia veritiero, ragionevole, adeguato alle esigenze comunicative della situazione ecc. (l’autore si
riferisce alla conversazione, ma il principio si applica altrettanto bene ai testi scritti). Quando una “massima”
viene ostentatamente violata, scatta una «implicatura conversazionale», con la quale il destinatario ristabilisce un
senso compatibile col principio di cooperazione.
54
Un caso analogo è segnalato da Cesare Segre (in Lumbelli, Segre 1990, p. 84) a proposito della lettura del
racconto di Karen Blixen Il pranzo di Babette, sottoposto ad allievi di seconda Liceo Scientifico. Dove l’autrice
descrive la protagonista e un ragazzo che l’aiuta con la similitudine «come una strega col suo genietto familiare»,
un allievo interpreta: «le due sorelle pensano che Babette sia una strega...».
53
34
Due ragazzi interpretano così:
1. A.: [...] secondo lui sono identikit fatti da dodicenni che disegnano anche male [...] gli
identikit che vengono fatti da questi ragazzi [...]
3. A.: Cioè... un bambino potrebbe essere testimone e potrebbe essere lui a fare l’identikit e
per questo potrebbe non essere preciso.
Uno prende alla lettera anche la domanda retorica che apre il testo:
3. A.: Sì, gli chiede se ha mai visto gli identikit fatti dalla polizia. [...]
6. I.: Se ha mai visto qualche identikit, in pratica, e secondo te è possibile che lui non abbia
mai visto qualche identikit?
7. A.: Potrebbe averlo anche visto... (silenzio) ...lui non può sapere se l’ha visto o no.
Se questo può accadere per una similitudine o un’interrogazione retorica, possiamo
aspettarci che la difficoltà si accresca di fronte alle metafore, specialmente quando sono
originali, sofisticate, o montate l’una sull’altra, come spesso accade nella prosa giornalistica.
Nell’esempio che segue, tratto dalla stessa ricerca, c’è una metafora continuata di gusto
barocco, che ai nostri soggetti è risultata incomprensibile.
Qualcuno ricorderà lo spot televisivo con cui anni fa la Sip promuoveva il servizio di
avviso di chiamata, in cui si vedeva un’adolescente che chiedeva successivamente a due
amichetti «Ma quanto mi ami?», facendo aspettare il primo in linea. Lo spot suscitò qualche
polemica per il cattivo esempio morale che proponeva. In un articolo apparso su «La stampa»
(18.8.1993), intitolato Ma tu chi ami, ragazza Sip? Gabriele Romagnoli sostiene che lo spot è
per molti irritante perché ci ricorda gli episodi di infedeltà di cui tutti possiamo essere stati
responsabili o vittime, magari attraverso qualche telefonata “clandestina”. La conclusione è:
nella telefonia dei sentimenti la linea dell’infedeltà è pressoché perennemente occupata.
Consola e vendica tutti il fatto che la bolletta, poi, arrivi puntualmente e sia molto salata.
Nei tre protocolli di colloqui che ho, «telefonia dei sentimenti» non è parafrasato; «linea
dell’infedeltà» è riportato più o meno alla lettera, per cui non è possibile sapere come siano
state intese queste espressioni; «bolletta salata» è preso alla lettera da tutti e tre i soggetti, ad
esempio così:
43. A.: [...] conclude questo brano dicendo che, almeno, spera che arrivino bollette molto
salate, così, almeno, si spera che il mese dopo queste persone si limitino un po’ nelle
telefonate; insomma, conclude con una battuta.
Ancora più complicato è il compito di interpretazione posto dalle espressioni ironiche.
Qui il lettore deve capire che l’autore intende il contrario di quanto letteralmente afferma
(ironia antifrastica), o che si esprime come si è espresso o potrebbe esprimersi qualcun altro,
implicitamente chiamato in causa (ironia citazionale: come chi definisse il presidente
Berlusconi “l’unto del Signore”), o afferrare un riferimento implicito a un personaggio, una
storia, un detto proverbiale ecc. (ironia allusiva) 55. La difficoltà è accresciuta dal fatto che,
mentre nell’interazione orale di solito l’ironia è segnalata paralinguisticamente
dall’intonazione, nei testi scritti manca quasi sempre ogni segnale che aiuti il lettore
nell’interpretazione.
Che l’ironia non sia facilmente capita dai ragazzi, ogni insegnante lo ha potuto
constatare. Mi limiterò quindi a riportare un esempio tratto da una ricerca di Lucia Lumbelli.
Il testo usato per colloqui centrati sul lettore che pensa ad alta voce è il racconto di Rodari Il
pifferaio e le automobili.
55
Con questo non pretendo certo di aver classificato ed esaurito l’inafferrabile complessità di ciò che chiamiamo
“ironia”. Per un’analisi meno sommaria rinvio a Mizzau 1984.
35
In una città resa invivibile dal traffico, si presenta uno strano giovanotto, che promette di
liberarla dalle automobili (evidente trasposizione del pifferaio di Hamelin). Quando il
giovanotto si mette a suonare il suo zufolo, tutte le automobili parcheggiate si mettono
spontaneamente in moto e lo seguono verso il vicino fiume. La scena è descritta attraverso i
commenti di coloro che assistono; a uno che grida «La mia macchina! ferma, ferma! Voglio la
mia macchina!», un altro risponde: «Provi a metterle un pizzico di sale sulla coda...».
Per capire questa battuta il lettore deve a) ricordarsi il detto popolare “catturare gli uccellini
mettendogli del sale sulla coda”, b) riferirlo all’insolita situazione di “catturare” una
macchina, c) capire che il personaggio che parla vuole sottolineare ironicamente l’impotenza
in cui si trova il proprietario dell’automobile. Uno dei soggetti intervistati (non è indicato di
quale età), riesce a risolvere i primi due compiti, ma inciampa sul terzo:
[...] stavo pensando agli uccelli, perché di solito, quando si mette il sale, ho sentito, quando si
mette il sale sulle ali, non volano più, [...] forse se mettono il sale qui sulle macchine, non
vanno, non corrono, insomma 56.
Sarebbe un errore pensare che questo genere di difficoltà riguardi solo la lettura di testi
letterari. Anche molti testi espositivi ne sono pieni, compresi i manuali scolastici; bastino ad
esempio queste poche righe che traggo da un libro di Storia (l’argomento sono le
conseguenze del Congresso di Vienna):
Nel ridisegnare secondo i principi legittimisti le frontiere degli stati, le grandi potenze
avevano negato a numerosi popoli europei il diritto a vivere in una nazione unita e indipendente. In Italia, Polonia e Germania la mano dei diplomatici colpì con particolare
durezza.57
Quando, poco oltre, si troveranno ripetuti riferimenti ai pericoli della «polveriera dei
Balcani», non escluderei che qualche lettore più sprovveduto pensi a una materiale fabbrica
di esplosivi situata nei Balcani, che avrebbe potuto saltare in aria.
Espressioni idiomatiche
Hanno spesso origine metaforica le espressioni idiomatiche, quelle cioè il cui
significato non può essere dedotto dalla somma dei significati delle parole che le
compongono, ma va appreso in blocco. Basta riflettere un attimo per rendersi conto che la
nostra lingua, come ogni lingua, ne ha migliaia, da piantare in asso a rompere il ghiaccio, da
il canto del cigno a di sana pianta58. Esse possono essere disposte secondo una graduatoria
continua, dalle meno alle più analizzabili 59. Sono inanalizzabili quelle di cui si è persa
memoria della metafora, o proverbio, o storia, da cui ha preso origine, come tirare le cuoia
(dove oltre tutto compare una forma usata solo in questo contesto), fare fiasco (dove però
aiuta il fatto che fiasco ha ormai acquisito l’accezione di “fallimento” anche al di fuori della
locuzione - e con questo senso è entrato nell’inglese). Sono analizzabili quelle di cui ai più
resta percepibile l’origine, come la gallina dalle uova d’oro (da una fiaba), portare vasi a
Samo (metafora proverbiale), fino a casi come piangere sul latte versato, che è una metafora
probabilmente comprensibile anche a chi la incontrasse per la prima volta.
56
Lumbelli in Lumbelli, Segre 1990, p. 150.
De Bernardi, Guarracino, Il mondo contemporaneo, cit., p. 148 (i corsivi sono miei).
58
Il Grande Dizionario Italiano dell’Uso di De Mauro (Torino, U.T.E.T., 1999) ne registra oltre 63.000, di cui
55.000 appartenenti a linguaggi settoriali (cfr. la Postfazione, vol. VI p. 1177). Sono in numero minore quelli di
uso comune: De Mauro e Voghera (1996), basandosi sul corpus del Lessico di frequenza dell’italiano parlato
(Milano, ETASlibri, 1993), e dunque sulle 5.000 parole di più alta frequenza nel parlato, ne hanno schedate 1933.
Bisogna però notare che la definizione di “espressioni polirematiche” adottata da De Mauro non coincide del
tutto coi criteri seguiti qui.
59
Ho tratto quest’idea dai primi contributi raccolti nel reader a cura di Cacciari e Tabossi, 1993.
57
36
Naturalmente l’analizzabilità è relativa alle conoscenze di ogni singola persona: per me
passare la notte in bianco è stata un’espressione inanalizzabile fino a quando non ho
imparato che si riferisce all’usanza dei cavalieri medievali di vegliare in preghiera, vestiti di
bianco, la notte precedente l’investitura. Per un ragazzo in età scolare saranno inanalizzabili
molte più espressioni che per un adulto, e i loro significati saranno da apprendere,
lentamente, uno per uno. Con in più la difficoltà di interpretare i sottili giochi retorici
presenti in molte espressioni: in sudare sette camicie, toccare il cielo con un dito c’è una
metafora iperbolica; chi dice di un defunto che è passato a miglior vita se non è un credente
fa dell’ironia citazionale.
Un cenno, infine, al problema ulteriore che pongono le espressioni idiomatiche agli
allievi di origine straniera. È esperienza comune che nell’apprendimento di una lingua
straniera gli idioms sono tra le cose più difficili da acquisire. La difficoltà si accresce per chi
provenga da culture molto diverse dalla nostra perché, se tutto il lessico è impastato di una
specifica cultura, le frasi idiomatiche fanno riferimento a un repertorio di notizie, storie,
proverbi, che possono essergli del tutto sconosciuti. Pensiamo a che cosa possono dire
espressioni come portare vasi a Samo, ritirarsi sull’Aventino a chi non abbia mai visto un
museo archeologico, non abbia mai incontrato la storia e l’aneddotica romana.
Che fare?
Più ancora dei significati letterali, quelli metaforici o idiomatici sono altamente
idiosincrasici, offrono pochi appigli per un’esplorazione sistematica. Non resta che spiegarli
ad uno ad uno. Certo può aiutare lo studio delle figure retoriche di senso; questo studio è
diffusamente praticato nelle scuole, ma forse col limite di essere in genere considerato solo
dal punto di vista dell’approccio ai testi letterari; non bisognerebbe mai dimenticare che la
figuralità è propria della lingua comune almeno tanto quanto dei testi letterari, secondo
l’antico e citatissimo detto di Du Marsais: «si fanno più figure in un giorno di mercato in
piazza che in molti giorni di assemblee accademiche»60.
Qualche spunto didattico, per quanto frammentario, può essere:
 nell’ambito della riflessione sul lessico, lo studio delle estensioni di significato di matrice
metaforica o metonimica (come si passa da rete nel senso ordinario a rete ferroviaria? da
maschera “viso posticcio” a maschera della commedia dell’arte?);
 a volte può aiutare il racconto di vere e proprie storie di parole; l’esempio che prediligo
(anche se a qualcuno non piace) è la successione dei significati di casino (“piccola
costruzione”, “locale di ritrovo, circolo”, “casa di prostituzione”, “fracasso, confusione”,
“grande quantità”61;
 ancora in forma narrativa si potranno affrontare molte espressioni idiomatiche, citando il
proverbio o raccontando la storia da cui prendono origine.
Tutto questo non risolve il problema, ma può quanto meno destare negli allievi
l’attenzione per le mille possibilità di sensi indiretti con cui possono trovarsi a fare i conti.
60
C. C. Du Marsais (1676-1756), Des tropes, Genève, Slatkine, 1967 (cap. I); traggo la traduzione del passo da
B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 1988, p. 289.
61
Significati tutti, tranne l’ultimo, registrati con indicata l’epoca di apparizione nel Dizionario etimologico della
lingua italiana di M. Cortelazzo e P. Zolli, Bologna, Zanichelli, vol. I, 1979, sotto la voce casa.
37
4.3. Sintassi
L’attribuzione dei ruoli tematici
I significati assegnati alle parole vanno collegati nei significati delle frasi. In questo
senso, la prima operazione che il lettore compie è costruire nella mente delle
“proposizioni”62, in cui a un predicato (solitamente, ma non necessariamente, rappresentato
da un verbo) sono collegati gli argomenti che gli pertengono, ciascuno con un proprio ruolo
tematico: agente, esperiente (come “io” in mi piace...), oggetto, destinatario, strumento, ecc.
(per quanto ne so, nessuno è riuscito a chiudere in una lista esauriente questi ruoli, o “casi
profondi”).
I ruoli tematici sono espressi con mezzi grammaticali (ordine delle parole, preposizioni
o casi ecc.), ma non in modo biunivoco (basta pensare alle frasi attive e passive, che
scambiano i di agente e oggetto); e a volte per assegnarli è necessario ricorrere al significato,
alla nostra conoscenza del mondo: in una frase come «Tutta la pappa ha mangiato il
bambino!», solo la conoscenza del mondo (oltre a elementi intonativi che potrebbero non
essere registrati nella scrittura) ci permette di stabilire che l’agente è “il bambino”, l’oggetto
“la pappa”.
Qui può crearsi un inciampo per il lettore inesperto: le sue conoscenze e aspettative
possono essere in conflitto con gli indizi grammaticali e scavalcarli. E’ probabile che nelle
prime fasi di acquisizione della lingua i criteri semantici dominino su quelli grammaticali.
Secondo un esperimento riportato da van Dijk e Kintsch, per bambini di due-tre anni le
seguenti frasi hanno tutte lo stesso significato: «Il gatto inseguiva il topo», «Il topo era
inseguito dal gatto», «Il topo inseguiva il gatto», «Il gatto era inseguito dal topo»: «i bambini
sanno che il gatto insegue il topo - e questo è tutto ciò che queste frasi significano per loro»63.
Per ragazzi più grandi, nella lettura, il problema può presentarsi di fronte a strutture
sintattiche e concettuali di una certa complessità. Traggo un esempio da un protocollo della
ricerca “IRRSAE Lumbelli”, riferito all’articolo di F. Colombo È scoppiata la guerra
dell’età («La stampa», 19.7.1993), già citato al paragrafo 4.1.
Uno dei segni di avversione agli anziani nella società americana è che «ogni nuovo caso di
incidente causato da un anziano provoca titoli più grandi, nella cronaca cittadina. Se la vittima
è una persona giovane o un bambino, le Tv locali trasmettono anche i funerali.»
Uno dei soggetti interpreta così:
la persona anziana che ha fatto l’incidente si mette in evidenza solamente sul giornale cittadino
[...], mentre se l’incidente è provocato da dei giovani e qui sono travolti anche dei bambini,
vengono esposti a tutti, alla TV, praticamente con anche i funerali».
Più avanti, nel colloquio, il lettore corregge la sua interpretazione; ma in un primo tempo non
ha visto «incidente causato da un anziano» che assegna il ruolo di agente, forse guidato
dall’aspettativa che a causare incidenti siano di solito i conducenti giovani (poco prima
nell’articolo si era affermato che le statistiche dicono che gli anziani, più prudenti, provocano
meno incidenti). Notate poi come gli basti introdurre un solamente per “aggiustare” la sua
interpretazione del passo64.
62
Seguendo l’uso di logici e psicologi, intendo per “proposizione” un elemento non grammaticale, ma mentale; in
grammatica, mi pare preferibile parlare di “frasi” (semplici o complesse), ciascuna delle quali può rappresentare, a
livello di significato profondo, una o più proposizioni.
63
Van Dijk, Kintsch 1983, p. 30 (traduzione mia).
64
Un caso simile è riportato da Perfetti, Marron e Foltz (1996, p. 153, traduzione mia). A studenti americani di
college fu presentato un articolo che criticava duramente un negazionista della shoà; di fronte alla frase «una
simile persona tortura il passato nella speranza di rendere sicuro il futuro per i torturatori», una studente dice:
«mi chiedo se intendono la gente torturata o la gente che tortura». Qui può avere anche giocato il non capire la
38
La lunghezza dei periodi
E’ un dato di senso comune che la difficoltà di comprensione di un testo aumenta con
la lunghezza dei periodi (frasi semplici o complesse). Gli “indici di leggibilità” (come
l’indice di Flesch per i testi inglesi e l’indice “GULPEASE” elaborato per l’italiano 65), che
tentano di prevedere con criteri statistici la facilità/difficoltà media di comprensione di un
testo, includono la lunghezza media delle frasi tra i fattori determinanti. Il Manuale di stile
per la pubblica amministrazione afferma che «Un testo è chiaro se le sue frasi sono brevi,
cioè non superano le 20-25 parole»66.
La ragione è evidente. Il lettore deve trattenere nella memoria di lavoro (o memoria a
breve termine) i significati della frase che sta leggendo, e solo giunto al suo termine li avrà
elaborati compiutamente, in modo da poterli trasferire nella memoria a lungo termine, dove
resteranno disponibili per l’elaborazione delle frasi successive. Più è lunga la frase, più
aumenta il carico di lavoro della memoria a breve termine, e la possibilità che il lettore si
smarrisca. Una sintassi lineare può in parte compensare la lunghezza del periodo,
consentendo di integrare almeno in parte i significati immediatamente, “da sinistra a destra”;
viceversa la presenza di incisi, di frasi o sintagmi incassati in altri di ordine superiore,
aumenta la complessità di elaborazione, perché costringe a tenere in sospeso il collegamento
dei significati fino a che le strutture sintattiche non sono compiute.
In modo abbastanza sorprendente, non conosco molti studi che abbiano preso in esame
difficoltà di comprensione connesse a fattori sintattici. Trarrò due esempi da un mio vecchio
lavoro nato dall’esperienza didattica 67.
Primo brano: «Se negli imperi antichi gli schiavi appartenevano soprattutto ai sovrani e ai
grandi signori, trattandosi dei loro prigionieri di guerra o dei loro debitori insolventi, in Grecia
lo schiavo è una merce che chiunque può facilmente procurarsi sul mercato, a un prezzo assai
conveniente. Lo schiavo non appartiene più dunque allo Stato, ma direttamente al cittadino
privato...»
Un’allieva, riesponendo oralmente, fraintese così:
in Grecia gli schiavi appartenevano ai sovrani e ai grandi signori.
Per districarsi nel primo lungo periodo (45 parole), l’allieva avrebbe dovuto afferrare il
valore oppositivo del Se iniziale (ma quale grammatica scolastica avverte che non tutte le
frasi introdotte da se sono ipotetiche?), e mettere in opposizione la prima lunga parte,
appesantita da una gerundiva incassata, con la frase principale in Grecia.... Ha invece
applicato una strategia lineare, collegando «appartenevano soprattutto ai sovrani e ai grandi
signori» a ciò che segue. Forse l’inserimento di un invece accanto a in Grecia... avrebbe
aiutato a ricostruire le relazioni.
Secondo brano: «Le condizioni di vita degli schiavi erano naturalmente assai diverse a
seconda dei proprietari e delle mansioni a cui erano adibiti, pur essendo in generale limitate ai
puri livelli di sopravvivenza».
In una sintesi scritta ho trovato il seguente fraintendimento:
le condizioni di vita degli schiavi erano assai diverse a seconda delle mansioni, che erano
limitate alla pura sopravvivenza.
Qui gioca ovviamente anche una difficoltà lessicale: l’allievo non sa che cosa vuol dire
metafora (invero sofisticata) “torturare il passato”.
65
Vedi Lucisano, Piemontese 1988.
66
Piemontese 1997, p. 40.
67
Colombo 1985, p. 14 sg. I due brani sono tratti dal manuale di storia per i bienni di M. Vegetti, Dalla
preistoria alla società feudale, Zanichelli 1980, capitolo «L’eccezione greca: libere città e mercato degli schiavi».
39
mansioni. Dal punto di vista sintattico, ha fallito nel recuperare il soggetto del gerundio pur
essendo limitate; invece di applicare il principio per cui, in generale, il soggetto sottinteso di
un gerundio è quello della reggente, ha applicato anche lui una strategia lineare: ha
recuperato il nome concordato (femminile plurale) più vicino, che è mansioni.
Come intervenire su questo genere di difficoltà? Può forse aiutare una
schematizzazione visiva delle strutture sintattiche (vedi l’appendice a questo paragrafo).
Nominalizzazioni
Spesso la complessità sintattica dei periodi è stata misurata contando il numero e la
profondità delle subordinate. Questa è solo una parte del problema: anche una frase semplice
può avere livelli diversi di complessità, dovuti soprattutto alla presenza di sintagmi nominali
dipendenti l’uno dall’altro.
Questo avviene tipicamente attraverso le nominalizzazioni. Per “nominalizzazione”
intendo non solo la presenza di nomi derivati da verbi o aggettivi, ma il fatto che il nome si
“trascina dietro” gli argomenti e altri complementi del verbo (o dell’aggettivo usato
predicativamente), i quali diventano complementi del nome. Osserviamo questo esempio:
L’assottigliamento delle spiagge deriva dall’indiscriminato prelievo di sabbia e ghiaia, per
milioni di metri cubi ogni anno, dal Tevere. («Repubblica», 10.5.1986)
Sotto questa frase “semplice” possiamo riconoscere due “proposizioni sottostanti” (che il
lettore deve elaborare come tali): “le spiagge si assottigliano” e “dal Tevere si prelevano
indiscriminatamente sabbia e ghiaia, per milioni di metri cubi ogni anno”. I soggetti dei verbi
si trasformano in complementi del nome retti da di, un avverbio diventa aggettivo, altri
complementi entrano a far parte, invariati, di un lungo e complicato sintagma nominale.
La nominalizzazione si è molto diffusa nella prosa, soprattutto dei giornali e dei
manuali; essa produce un effetto di condensazione che può essere comodo per chi scrive. In
particolare gli autori di libri di testo, che devono fare i conti con restrizioni di spazio, sono
spesso tentati di ricorrervi. Non bisognerebbe però dimenticare che questa comodità è pagata
dal lettore con un maggiore sforzo di elaborazione: la nominalizzazione elimina le
informazioni tipiche del verbo (persona, tempo), che alle volte sono da ricostruire; permette
anche di omettere alcuni argomenti del predicato più facilmente che la forma verbale, e
quando li esprime richiede uno sforzo maggiore per rintracciarli 68. Una certa cautela nell’uso
di questo costrutto sarebbe dunque da raccomandare, in particolare nei libri di testo,
istituzionalmente dedicati a lettori ancora in formazione; proprio nei libri di testo, invece, è
facile imbattersi in frasi di questo genere:
Il profondo rinnovamento spirituale, sociale ed economico, verificatosi in Europa e in
particolare in Italia intorno al Mille, aveva dato origine ad una rapida rinascita delle città
grazie soprattutto allo sviluppo del commercio, alla diffusione della moneta e alla formazione
di grossi capitali nelle mani dei mercanti.
(A.Brancati, Fare storia, vol 2, La Nuova Italia 1985, corsivi miei).
Che fare?
Possiamo criticare la tendenza alla complessità sintattica che affligge tradizionalmente
la prosa italiana. Ma dobbiamo anche cercare di addestrare i nostri allievi ad affrontarla.
Alcune strategie che potrebbero servire allo scopo sono:
 per spingere l’allievo a una lettura attenta ai nessi sintattici può essere utile l’esercizio di
cloze (si veda la scheda in riquadro): il lettore, per integrare il testo, deve percorrerlo
avanti e indietro, ricostruendone i nessi; deve inoltre fare attenzione alle chiavi
grammaticali che permettono l’integrazione (concordanze, relazioni semantiche che
68
Conferme dalla ricerca del GISCEL Lombardia (1994) sui manuali scientifici per la scuola media: la «densità
informativa» è posta tra i fattori che ostacolano la comprensione (p. 89); i risultati di un’apposita sezione di test
«sembrano confermare che le nominalizzazioni siano difficili da comprendere» (p. 82).
40
permettono di inserire una preposizione o congiunzione, ecc.)69
 in presenza di frasi intricate, se ne può fornire una rappresentazione schematica che metta
in evidenza le relazioni tra le parti costituenti, i diversi livelli di subordinazione, i
parallelismi ecc.;
 la nominalizzazione dovrebbe essere oggetto di attenzione nella riflessione sulla lingua
più di quanto non avvenga di solito; un buon addestramento può essere quello di
“sciogliere” le nominalizzazioni riformulando le frasi in modo che siano centrate sui verbi
più che sui nomi70.
Qualche esempio di queste attività si troverà nell’appendice che segue.
Che cos’è il cloze
Il cloze fu inventato nel 1953 dallo studioso americano W. C. Taylor come tecnica di misura
della leggibilità dei testi; il termine fu coniato alterando la grafia del verbo to close.
Il procedimento è semplice: da un brano, di solito di circa 300 parole, si toglie una parola
ogni cinque, sei o sette, creando dei “buchi” che i soggetti devono riempire (di solito il primo
buco viene creato dopo un intervallo maggiore, per dare modo al lettore di orientarsi). La
percentuale media di riempimenti corretti costituisce un indice della leggibilità del testo.
Lucisano (1992, p. 65) ha trovato una correlazione assai alta tra le prove di cloze e i classici test
di comprensione fatti di domande a scelta multipla applicati agli stessi brani.
Nato per valutare i testi, il cloze è stato presto applicato anche alla verifica (e stimolazione)
della comprensione dei lettori. A questo scopo possono essere introdotte diverse varianti
rispetto al cloze “classico”:
 cloze mirato: i buchi possono essere creati strategicamente, invece che casualmente uno ogni
tante parole: si possono ad esempio togliere selettivamente parole grammaticali (che
spingono a una riflessione sintattico-testuale) piuttosto che parole “piene” come nomi, verbi,
aggettivi (in genere più difficili da indovinare, appartenendo a classi aperte); oppure si
possono togliere parole piene relative a una terminologia specifica (come nell’esempio
fornito in appendice al paragrafo 4.1);
 cloze “a toppe”: nel caso si tolgano parole piene, si pone il problema di valutare alternative
plausibili anche se non identiche al testo originale (ad esempio sinonimi); una soluzione può
essere fornire una lista di alternative tra cui il soggetto deve scegliere, preferibilmente in
numero maggiore rispetto ai buchi da riempire;
 cloze grammaticale: si possono togliere parole tutte di una stessa categoria (ad esempio,
articoli), per introdurre una riflessione su quella categoria.
Il cloze può diventare uno strumento di riflessione sui processi di comprensione
(consapevolezza metacognitiva), oltre e più che di mera verifica, se le risposte date vengono
confrontate e discusse, chiarendo le ragioni delle scelte compiute.
Infine una piccola avvertenza tecnica: gli spazi bianchi che sostituiscono le parole omesse
dovrebbero essere tutti della stessa misura, per non fornire una chiave di soluzione estrinseca
(lunghezza della parola da introdurre).
N.B.: gran parte di queste informazioni e osservazioni sono ricavate da Marello (a cura di) 1989.
Appendice
Attività per lo sviluppo della competenza sintattica di lettura
69
Monighetti a proposito del cloze parla della «capacità di utilizzare la “ridondanza locale” di un testo, cioè gli
elementi linguistici vicini alla parola mancante» (1994, p. 152); anche Merini vede una connessione tra
prestazione nel cloze e competenza sintattica (1991, p. 122).
70
Di questo genere erano le prove usate dalle autrici della ricerca citata del GISCEL Lombardia; esse mettono in
dubbio la validità dei risultati (molto bassi), perché pare che molti ragazzi non abbiano compreso la consegna e
non fossero abituati a esercizi di «parafrasi guidate» (1994, p. 83). Un indizio in più che le cose davvero
importanti sono trascurate nell’insegnamento grammaticale corrente.
41
1. Esempio di “cloze classico”
Io ho avuto purtroppo un’infanzia senza cani. Mia madre apparteneva all’epoca in
____________ (1) erano stati appena scoperti i batteri ____________ (2) in cui la maggior parte dei
____________ (3) di buona famiglia diventavano rachitici poiché, ____________ (4) timore dei
microbi, si sterilizzava il ____________ (5) fino a eliminarne tutte le vitamine. ____________ (6)
così avere per la prima volta ____________ (7) cane soltanto quando fui abbastanza grande
____________ (8) ispirare sufficiente fiducia nella mia parola ____________ (9) onore che non mi
sarei ____________ (10) leccare da quella bestia.
(da K.Lorenz, E l’uomo incontrò il cane, Adelphi)
CHIAVE DI SOLUZIONE
(1) cui (2) e (3) bambini (4) per (5) latte (6) Potei (7) un (8) da (9) d’ (10) lasciato
Nota
In questo esempio, gran parte delle parole omesse (casualmente, una ogni sette) sono parole grammaticali. Le
parole piene (buchi 3, 5, 6, 10) sono facilmente inferibili, tranne latte. Non sarebbe difficile modificare le
omissioni per ovviare a questo inconveniente, oppure si potrebbero fornire “toppe” che consentano di scegliere
con criteri grammaticali (al buco 6 è necessario un nome maschile singolare, al 7 un verbo al passato e di prima
persona, ecc.).
2. Schematizzazione di periodi intricati
Ecco come potrebbero essere schematizzati i due periodi dati come esempio:
a) Se negli imperi antichi gli schiavi appartenevano soprattutto ai sovrani e ai grandi signori,
trattandosi dei loro prigionieri di guerra o dei loro debitori insolventi, in Grecia lo schiavo è una
merce che chiunque può facilmente procurarsi sul mercato, a un prezzo assai conveniente.
Se
negli imperi antichi
gli schiavi appartenevano soprattutto ai sovrani e ai grandi signori,
trattandosi dei loro prigionieri di guerra o dei loro debitori insolventi,
(invece)
in Grecia
lo schiavo è una merce che chiunque può facilmente procurarsi sul mercato, a un
prezzo assai conveniente.
b) Le condizioni di vita degli schiavi erano naturalmente assai diverse a seconda dei proprietari e delle
mansioni a cui erano adibiti, pur essendo in generale limitate ai puri livelli di sopravvivenza.
Le condizioni di vita degli schiavi erano assai diverse
a seconda
dei proprietari
e delle mansioni a cui erano adibiti,
pur essendo in generale limitate ai puri livelli di sopravvivenza.
42
3. Scioglimento di nominalizzazioni
Consegna: Diamo esempi di periodi resi un po’ intricati dalle nominalizzazioni (che sono
evidenziate). Provate a riscrivere i periodi in forma più sciolta, sostituendo le
nominalizzazioni con frasi dotate del verbo. Vi suggeriamo come impostare la riscrittura.
a) La concentrazione del traffico nel prossimo fine settimana sarà particolarmente elevata a causa di
fattori quali la coincidenza di fine mese con il fine settimana e la chiusura contemporanea dei
principali stabilimenti.
→ Il traffico nel prossimo fine settimana.... perché....
b) L’ostinato rifiuto del presidente sudafricano di fare ulteriori concessioni sull’apartheid deriva in
parte dalla sua convinzione di essersi già impegnato in riforme di ampio respiro.
→ Il presidente sudafricano.... in parte perché....
c) È probabile che i territori desertici e semidesertici siano la conseguenza di una cattiva utilizzazione
del suolo in epoca remota.
→ È probabile che ci siano territori desertici e semidesertici perché...
4.4. Coesione
Per “coesione” si intende l’insieme dei legami linguistici che tengono unito un testo.
Possiamo distinguere la coesione da un lato dalla coerenza testuale, dall’altro dalla struttura
sintattica.
Per “coerenza” si intende l’unità concettuale di un testo, ciò che consente di attribuirgli
un senso complessivo, di farne un riassunto, di conservarlo nella memoria. La coesione è
invece un insieme di relazioni “locali”, linguisticamente espresse, tra singoli elementi
testuali. In linea di principio i due aspetti sono indipendenti, per quanto strettamente
implicati. Un testo può essere perfettamente coerente anche in assenza di legami coesivi,
come in questo esempio: «Non andiamo al “Sole mio”. Ti fanno aspettare troppo» 71; la
coerenza è in questo caso interamente affidata alle inferenze del lettore). E si sono costruiti
esempi finti di testi ricchi di legami coesivi ma incoerenti.
Sull’altro versante, la coesione si distingue dalla sintassi: i legami coesivi
“attraversano” le strutture del periodo, non solo perché si possono stabilire tra periodi diversi,
ma perché anche all’interno di un periodo possono collegare elementi che si trovano a livelli
strutturali diversi. Basta pensare al caso tipico dei pronomi: un pronome può rinviare a
qualcosa che si trova in un periodo precedente, ma può anche rinviare da una frase reggente a
una subordinata, e viceversa. Da un lato stanno dunque i legami sintattici (coordinazione e
subordinazione) dall’altro quelli coesivi72.
Queste distinzioni hanno confini sfumati: dal punto di vista linguistico, alcuni elementi
(tipicamente le congiunzioni e, ma) possono avere a volte funzione sintattica di
coordinazione, a volte coesiva tra periodi; dal punto di vista psicologico, può darsi che
l’elaborazione richiesta al lettore sia dello stesso tipo per fenomeni di coesione, di coerenza e
di sintassi. Ho comunque preferito tenere distinti i tre livelli, se non altro per comodità di
esposizione: il paragrafo precedente è stato dedicato ai problemi di sintassi, il prossimo
capitolo affronterà aspetti di coerenza complessiva dei testi.
71
In Corno, Pozzo 1991, p. XIII.
Seguo qui l’impostazione dell’ormai classico libro di Halliday e Hasan (1976); si veda tra l’altro: «Ci sono certe
relazioni specificamente costitutive del testo che non possono essere spiegate in termini di struttura di costituenti;
sono proprietà del testo in quanto tale, e non di una qualche unità strutturale quale la frase semplice o il periodo»
(p. 7); «Le relazioni coesive in linea di principio non hanno nulla a che fare coi confini di frase. La coesione è una
relazione semantica tra un elemento nel testo e un qualche altro elemento che è cruciale per la sua
interpretazione» (p. 8; traduzioni mie).
72
43
I “fili” della coesione
Ciò che assicura la coesione di un testo è la ripresa degli stessi referenti, cioè il far
riferimento più volte a uno stesso oggetto del discorso (sia questo fisico o mentale). Quando
un punto del testo rinvia a qualcosa che è stato precedentemente menzionato, si parla di
“anafora testuale” (in un senso evidentemente diverso da quello che ha “anafora” in retorica).
L’insieme dei rinvii anaforici costituisce una trama, di solito assai fitta, di “fili” che tengono
unito il testo (il termine stesso, il cui etimo risale a texere, rinvia alla metafora di una
tessitura). La figura 1 tenta di evidenziare la complessità di questo intreccio in un semplice
paragrafo di un libro di testo.
“FILI” DELLA COESIONE TESTUALE
Questa laguna è il risultato di un millenario delicato equilibrio
geografico tra il mare e i fiumi. Questi accumulano continuamente
detriti alla loro foce e quindi [ ] rischiano continuamente di
interrarla; ma il mare, penetrando e defluendo due volte al giorno
per effetto dell’alta e della bassa marea, ripulisce la laguna dai
detriti, trascinandoli verso il largo.
(da Bacchi, Londrillo, La geografia oggi, Bulgarini, vol. I
Figura 1
Nella figura possiamo riconoscere i quattro tipi di legame coesivo:
anafora nominale: le ripetizioni di laguna, mare, detriti indicano la ripresa di uno stesso
referente (la freccia che punta verso l’alto, sopra la prima occorrenza di laguna, allude al
fatto che deve esserci un rimando a un’occorrenza precedente dello stesso nome, come
segnala il dimostrativo Questa);
 anafora pronominale: i pronomi la, li, che rinviano rispettivamente a laguna e a detriti;
 ellissi: il soggetto sottinteso di rischiano richiede di risalire a fiumi;
 connettori testuali: quindi, ma (che in questo caso non ha funzione coordinativa).
Vediamo ora per ciascun tipo di legame coesivo i problemi che possono porsi nella
comprensione della lettura.

44
Anafore nominali: “identità ostacolata”, capsule anaforiche
Il caso più semplice, che non dovrebbe creare problemi, è costituito dalla ripetizione
dello stesso nome, esemplificata nel testo riportato in figura. Ma la ripresa può avvenire
anche per mezzo di un sinonimo, di un iperonimo (“Un cane... L’animale...”), o anche di
un’espressione nominale non legata semanticamente all’antecedente, ma che comunque
richiama per inferenza lo stesso referente. E qui possono sorgere i problemi di “identità
ostacolata”: ne ha dato un primo esempio il brano commentato al paragrafo 3.2.
Ho incontrato un altro divertente esempio nel corso di una ricerca condotta col gruppo
bolognese del GISCEL negli anni ottanta 73. Agli studenti, di biennio secondario, chiedevamo
di produrre una parafrasi scritta di un brano, a memoria (vale a dire che il brano veniva
ritirato dopo la lettura). Uno dei brani, di divulgazione scientifica, descriveva il
comportamento nell’accoppiamento di un uccello australiano, l’”uccello giardiniere”. Per
attirare le femmine il maschio, poco fornito di attributi vistosi, costruisce un nido a forma di
capanna e lo orna di bacche, conchiglie e fiori:
qui canta e fa parate per attrarre le femmine che entrano, si fanno incantare e se ne vanno poi a
deporre per conto loro in un vero nido, mentre il don Giovanni, lasciata una femmina, è subito
pronto a ricominciare con un’altra.
(il corsivo evidenzia l’“identità ostacolata”).
La parafrasi prodotta da un’allieva cominciava così:
In questo testo vengono riportati i modi di accoppiarsi di due uccelli australiani: il giardiniere
e il Don Giovanni.
Un altro caso che può porre problemi è la “capsula anaforica”, anch’essa già
esemplificata al paragrafo 3.2: un sintagma nominale rinvia al contenuto di una frase o di una
porzione più ampia di testo. Citerò un caso in cui questa procedura richiede al lettore
un’elaborazione assai complessa, riferendomi ancora una volta all’articolo di F. Colombo E’
scoppiata la guerra dell’età già citato ai paragrafi 4.1 (p. XX) e 4.3:
[...] nel settore della motorizzazione civile, sta aprendosi silenziosamente una altro fronte che
riguarda gli anziani: quando togliere la patente?
Due correnti di notizie si muovono in senso opposto. Assicuratori ed esperti statistici
sostengono che gli anziani sono guidatori prudenti e che i test annuali o biennali per la verifica
psicologica dei guidatori sono sufficienti a garantire tutti dagli elementi pericolosi.
Ma la pressione sta diventando forte, e ogni nuovo caso di incidente causato da un anziano
provoca titoli più grandi [...]
Per interpretare la capsula anaforica la pressione il lettore deve:
- attribuire a pressione il senso astratto di “azione sociale”;
- inferire dai due capoversi precedenti che oggetto della pressione sono gli anziani;
- inferire che soggetto della pressione è la “corrente di notizie” opposta a quella descritta nel
capoverso precedente.
Dei tre soggetti intervistati nel corso della ricerca “IRRSAE Lumbelli”, due se la
cavano egregiamente, ma uno dichiara: «non ho proprio capito cosa c’entri, a cosa si
riferisca...».
73
GISCEL Bologna 1988, p. 303. Il brano era ripreso da Guerriero 1983, che lo aveva usato per un’analisi e una
verifica di comprensione della gerarchia delle informazioni.
45
Anafore pronominali
Ripescare nel contesto ciò a cui rinvia un pronome può non essere sempre semplice;
questo vale in particolare per i pronomi clitici lo, ci/vi, ne, che possono sfuggire
all’attenzione per la loro scarsa rilevanza grafica e che si prestano a usi molteplici.
In una ricerca condotta intorno al 1980, Monica Berretta sottopose dei brani ad alunni
di seconda e quarta media della scuola ticinese e di prima superiore della scuola italiana,
chiedendo di esplicitare il riferimento di pronomi evidenziati 74. Gli errori più frequenti
(superiori al 50%) riguardarono i seguenti casi:

il pronome lo riferito a una frase o a una porzione di testo più ampia (in modo analogo a
quanto avviene colle capsule anaforiche);
esempio: «[...] nonostante il flauto e l’apparente interesse musicale del cobra, i serpenti sono
in realtà completamente sordi. Non è alla musica che rispondono, ma ai movimenti del flauto.
Per provarlo [...]
Vengono indicati come antecedenti flauto, serpente, cobra.
L’errore può essere stato indotto dal fatto che le grammatiche ripetono che i pronomi
“sostituiscono un nome” (più propriamente, un sintagma nominale); personalmente trovo
poco chiaro l’uso di “sostituire”, che tra l’altro non copre i casi di riferimento deittico 75
(esclusivo ad esempio per i pronomi di prima e seconda persona); ma almeno si dicesse che il
rinvio può essere a un’intera frase, a un concetto comunque posto nel testo, come può
avvenire con lo, questo, ciò. Forse per non aver avuto questa indicazione, gli allievi hanno
cercato un nome a cui riferire lo. Se l’ipotesi è giusta, siamo in presenza di un bell’esempio
delle conseguenze di un cattivo insegnamento grammaticale.

il pronome lo riferito a un predicato nominale o al participio passato di un tempo
composto;
esempio: «il terremoto che ha colpito la Turchia è stato descritto con le sue immagini
terrificanti come, a suo tempo, lo era stato quello del più vicino Friuli.
Viene indicato come antecendente terremoto.

i pronomi ci e ne, che sono intrinsecamente polisensi e tra l’altro non danno informazioni
sul genere e numero dell’antecedente;
esempio: «La nostra attenzione viene per questa via facilmente destata anche da eventi lontani
nello spazio, e ci sentiamo partecipi della sorte di popolazioni che vi sono coinvolte. I grandi
problemi dunque non riguardano solo chi ne è direttamente colpito, ma tutti noi. Tutti ne
siamo moralmente compartecipi [...]».
Per vi viene indicato come antecedente “popolazioni”, per ne “noi”.
Altri dati sulla comprensione delle anafore pronominali si trovano nella più recente
ricerca del GISCEL Lombardia sulla comprensione dei manuali scientifici nella scuola
media. I sei quesiti sul tema danno risultati variabili, ma di nuovo i più bassi si riferiscono al
pronome ne: di fronte alla frase «Una forza di intensità F, applicata a un corpo, ne provoca lo
spostamento s dalla posizione iniziale», solo il 23% degli allievi individua corpo come
antecedente di ne, il 40% indica forza76.
74
Berretta 1981, pp. 119-124.
Si parla di rinvio deittico quando per individuare il referente di un’espressione bisogna riferirsi alla situazione
comunicativa (emittente, destinatario, tempo e luogo dell’enunciazione); la prima e la seconda persona sono
sempre deittiche in quanto l’”io” e il “tu” sono relativi a chi parla a chi in una data situazione; altri casi tipici sono
espressioni di tempo e di luogo come adesso, ieri, qui, là.
76
GISCEL Lombardia 1994, pp. 79-81.
75
46
A questi esempi si può obiettare che gli errori rilevati riguardano non tanto la
comprensione dei pronomi in contesto, quanto una definizione esplicita di ciò che va capito:
un allievo potrebbe aver capito il testo, ma non saper rispondere a una domanda che riguarda
più la sua consapevolezza del meccanismo coesivo che non direttamente la comprensione. È
probabile tuttavia che tra i due aspetti sussista una qualche relazione; un esempio di difficoltà
di comprensione connessa al pronome ne, immune da questi dubbi, sarà comunque
presentato nel paragrafo 7.3 (vedi a p. XXX).
Ellissi
L’ellissi del soggetto costituisce nel testo un “buco” che va riempito col rinvio a
qualcosa che è stato nominato in precedenza, e in questo senso è un fenomeno di coesione.
E’ però anche in parte un fatto sintattico, perché il recupero può essere governato da regole
strutturali: nel caso di subordinate implicite si recupera il soggetto della reggente, nel caso di
coordinate si recupera (ma non sempre) il soggetto della frase precedente. Del primo caso si
trova un esempio nel paragrafo precedente (p. XX), del secondo ne ho trovato uno in un
lavoro del GISCEL Piemonte77. La frase testata è:
L’acqua che viene estratta dal sottosuolo non solo è in parte sprecata e male utilizzata, ma in
alcune zone d’Italia [ ] sta diventando sempre meno potabile.
Agli alunni di una prima media è stato chiesto di individuare il soggetto di sta diventando:
solo quattro su quindici lo hanno saputo indicare in meno di quindici secondi. Il tempo è un
indice del lavorio che è stato necessario per ricostruire i nessi coesivi: evidentemente i
ragazzi hanno dovuto rileggere la frase. Si noti che il soggetto sottinteso dista ben 21 parole
da quello espresso; questo crea per la memoria di lavoro un carico eccessivo per lettori
ancora poco esperti.
Connettori testuali
I connettori testuali sono parole, o espressioni di più di una parola, che connettono una
porzione di testo a una precedente attraverso un rinvio anaforico. Quelli costituiti da una
singola parola sono di solito inclusi dalle grammatiche tra le congiunzione coordinanti
“copulative” (anche, nemmeno...), “avversative” (però, tuttavia, invece, anzi...),
“dimostrative” o “dichiarative” (cioè, infatti), “conclusive” (dunque, perciò, quindi...). Ci
sono buone ragioni per distinguere i connettori dalle congiunzioni coordinanti e considerarli
piuttosto avverbi, sulle quali qui non mi soffermo 78. A volte, viceversa, si includono tra i
connettori le congiunzioni subordinanti (le quali però non hanno un rinvio anaforico); qui
preferisco mantenere la distinzione tra il livello della sintassi e quello della coesione.
Quanto ai connettori costituiti da più di una parola, si tratta di espressioni come d’altra
parte, nonostante questo, in primo (secondo) luogo e simili.
I connettori hanno una funzione importante nella strutturazione del testo, in quanto
esplicitano i rapporti che l’emittente intende stabilire tra le cose che va dicendo o scrivendo.
Che questa funzione sia mal padroneggiata da molti studenti, è evidente dal modo in cui
77
GISCEL Piemonte 1997, p. 250.
Rinvio per questo a Colombo 1984. Qui mi limiterò a osservare che:
- le congiunzioni coordinanti (e, o, ma) devono occupare una posizione iniziale rispetto all’elemento che
collegano, mentre i connettori si trovano spesso all’interno di tale elemento;
- le congiunzioni si escludono reciprocamente, mentre i connettori possono cooccorrere con le congiunzioni (e
perciò, e infatti, ma invece, o piuttosto...);
- i connettori possono collegare membri non coordinati, come in questi esempi: «Erroneamente chiamato “re
della foresta”, il leone è invece il “re della savana”» (da reggente a subordinata); «...si mostrano aperti
all’influenza lisztiana, alla quale, però, sembra che si sia applicata una intelaiatura neoclassica» (da subordinata
a reggente).
78
47
usano i connettori nella propria produzione scritta: tutti abbiamo in mente gli infatti, i però, i
quindi usati spesso in modo del tutto casuale.
Quanto alla difficoltà di comprensione dei connettori, e dei nessi testuali che
manifestano, lo studio citato di Berretta include anche una breve sezione in materia 79: agli
allievi si chiedeva di parafrasare il significato dei connettori presenti nei brani presentati. Lo
spoglio degli errori non ha consentito di individuare regolarità, nel senso di una maggiore
difficoltà di alcune classi di connettori o tipi di relazioni testuali; sembra che le difficoltà
siano di tipo lessicale, connesse cioè alla comprensione del significato di ogni singola
espressione.
Questo rende difficile progettare un lavoro sistematico di aiuto alla comprensione.
Quel che si può fare è invitare a riflettere sul significato di ogni singolo connettore: tale
significato può essere esplicitato come un’avvertenza dell’emittente sul rapporto fra ciò che
sta dicendo e ciò che ha detto in precedenza, in questo modo:
- perciò, quindi (quando non temporale): “ciò che dico è una conseguenza di ciò che ho
detto”;
- infatti: “ciò che dico è una ragione per quanto ho asserito”;
- cioè: “ciò che dico è un chiarimento di un’espressione appena usata”;
- invece: “ciò che dico è in opposizione con quanto ho detto”;
- però, tuttavia: “ciò che dico è in contrasto con quanto ci si potrebbe aspettare da ciò che ho
detto”;
- eccetera.
A complicare le cose, si aggiunge la polisemia di alcuni connettori: quindi può avere un
valore temporale o di conseguenza causale, poi può indicare una successione temporale o
puramente discorsiva, e così via.
Va da sé che includere nelle stesse liste infatti e cioè, però e invece, o addirittura
oppure e ossia, come fanno per lo più le grammatiche, può solo servire a creare confusione.
I “nodi” della coesione
Quattro dei sette “nodi della comprensione” identificati da Lucia Lumbelli (se ne è
parlato al paragrafo 3.2) riguardano essenzialmente fenomeni di coesione. Dell’”identità
ostacolata” si è appena parlato; altri tre possono essere legati all’uso dei connettori, sebbene
si debba avvertire che l’approccio dell’autrice, di taglio psicologico, non è vincolato a
particolari categorie linguistiche: sono il “nesso non segnalato”, il “nesso distanziato”, il
“nesso mal segnalato”.
«Il nesso non segnalato corrisponde a quelle situazioni in cui una o più frasi che
veicolano un determinato contenuto informativo sono seguite da altre frasi, che forniscono
nuove informazioni, senza che sia dato alcun indizio sintattico del rapporto tra queste ultime
informazioni e quelle precedenti»80. L’autrice fornisce il seguente esempio, che si riferisce a
popolazioni primitive seminomadi:
Non conoscendo i sistemi di rotazione delle colture, di concimazione e di rigenerazione
periodica della terra, sono costretti, dopo un certo numero di anni, ad emigrare i cerca di nuove
aree fertili.
(P. De Sanctris Ricciardone, Il fardello dell’uomo bianco, Bergamo, Minerva Italica, 1978)
Qui abbiamo due informazioni collegate da un nesso sintattico generico (il gerundio). Per
metterle in relazione, il lettore deve inserire una terza informazione: che il terreno sfruttato
senza rotazione delle colture e senza concimazione si esaurisce in un certo numero di anni;
da qui la necessità di cercare nuovi terreni fertili. «Questa inferenza richiede [...] conoscenze
79
80
Berretta 1981, pp. 103-107.
Lumbelli 1989, p. 48.
48
enciclopediche che è illegittimo dare per scontate nel lettore-tipo del testo divulgativo»81
«La categoria del nesso distanziato mette l’accento sulla distanza che in un determinato
testo separa due o più informazioni, che invece devono essere collegate tra loro, perché sono
semplicemente l’una la precisazione dell’altra, perché l’una consente di giustificare, di
fondare, di argomentare l’altra, ecc.»82.
Traggo un possibile esempio, da un manuale di storia per la scuola media:
La presenza dei diavoli e delle anime dei morti nel Carnevale non è strana. Infatti, con questa
festa ci si propone di rendere fertile la terra e abbondante il raccolto. Per generare la nuova
spiga o la nuova pianta, il seme deve passare un periodo più o meno lungo sotto terra. Qui
secondo una credenza molto antica, precedente al Cristianesimo, nel buio del mondo
infernale, stavano i démoni, le anime dei morti».
(S. Paolucci, Storia, Bologna, Zanichelli, 19XX, vol. 2 p. 298, corsivo mio).
Il connettore infatti segnala che il proponimento di favorire la fertilità della terra e il raccolto
spiega la presenza dei diavoli e delle anime dei morti nel Carnevale; ma la spiegazione non è
data nella frase introdotta da infatti, bensì attraverso una catena di passaggi che occupano
due periodi, al termine dei quali il lettore deve risalire al connettore. Ancora una volta, si
impone un carico pesante alla memoria di lavoro83.
Quanto al «nesso mal segnalato», credo che possa essere pertinente questo esempio,
tratto da un libro di divulgazione storica sul Risorgimento:
Quando poi morì l’arcivescovo di Milano (ottimo arcivescovo, lo riconoscevano tutti, che
però aveva il torto di chiamarsi Gaysruck) e gli venne a succedere il bergamasco Bartolomeo
Romilli, le accoglienze furono trionfali [...]
(L. Bianciardi, Daghela avanti un passo, Milano, Bietti, 1969, p. 19, corsivo mio)
Qui il connettivo però segnala che tra l’essere un ottimo arcivescovo e il chiamarsi Gaysruck
deve esistere un qualche contrasto, o smentita di aspettative; ma per capirne la natura,
occorre riferirsi inferenzialmente a un insieme di informazioni lasciate implicite: che
Gaysruck è un cognome tedesco, che nel clima risorgimentale il popolo milanese non gradiva
un arcivescovo di origine tedesca o austriaca; per chi non compia queste inferenze il rapporto
segnalato dal connettore resta indecifrabile.
Un esempio più clamoroso è tratto da un manuale di storia per la scuola media:
Con Clistene la democrazia ad Atene era ormai consolidata e quindi i cittadini cominciavano a
temere la tirannia.
(Guarracino, Maragliano, De Bernardi, Nuova storia Edizioni scolastiche B.
Mondadori, vol. I p. 101, corsivo mio)
Qui il lettore, per spiegarsi il rapporto consequenziale posto con e quindi, dovrebbe fare
appello a un qualche principio generale; forse gli autori hanno pensato all’opinione di
Aristotele (Politica, V, 5), secondo cui la democrazia offre ai demagoghi il terreno più
favorevole per puntare alla tirannide, ma possiamo aspettarci questa inferenza da uno scolaro
di prima media? è più probabile che lui (o lei) pensi a un principio di saggezza popolare,
degno di Bertoldo, del tipo: “quando le cose vanno male rallegrati, perché possono cambiare
solo in meglio; ma quando vanno bene, temi il peggio”. Così si addestrano le giovani menti
alle sottigliezze dell’interpretazione storica.
81
Ibidem, p. 80.
Ibidem, p. 49.
83
Questi ultimi due esempi erano già commentati in Colombo, Cortellini, Sabatino 1989, p. 287.
82
49
Che fare?
I problemi di comprensione segnalati in questo paragrafo sono legati all’uso di termini
lessicali o grammaticali, per cui una strategia di prevenzione potrebbe basarsi (oltre che su
un insegnamento grammaticale corretto) su esercizi che chiedano di esplicitare i rinvii
anaforici di natura lessicale, pronominale o legata ai connettori (sulla scorta di quelli usati da
Berretta nella sua ricerca), o di scegliere tra connettori alternativi in un contesto dato.
Sappiamo che l’esercizio di per sé non garantisce l’acquisizione di una competenza in
situazione, e tuttavia richiamare l’attenzione sui legami coesivi potrebbe essere di qualche
utilità.
Un altro esercizio che può favorire la competenza sulla coesione è quello di ricomporre
un testo scomposto in pezzi forniti in disordine; i pezzi potrebbero essere tagliati in modo da
favorire l’uso di legami coesivi come chiavi per la soluzione.
Alcuni esempi dell’uno e dell’altro tipo sono forniti nell’appendice che segue.
Appendice
1. Esercizi sulla coesione testuale
A. Consegna:
Nei brani seguenti sono evidenziate in corsivo delle espressioni che rinviano a qualcosa che è stato
detto in precedenza, e sono segnate con [ ] le ellissi. Indica per ciascuna l’espressione nominale, la
frase o il concetto a cui rinvia.
Esempio:
Una nave da guerra tedesca traversava il mare, mentre un caccia bombardiere volava alto nel cielo.
Dopo essersi avvistati i due mezzi da guerra cominciarono a bombardarsi.
Risposta: “una nave da guerra tedesca e un caccia bombardiere”.
a) Io credo che tutti siano contro la guerra, e in particolare contro la guerra nucleare e contro gli
armamenti atomici; per questo penso che la pace non può avere diverse facce e diversi linguaggi.
b) Non potete restar buoni tutto il tempo quando siete sulla sponda del Lago Rotondo; e la ragione ne
(1) è che voi ve ne (2) dimenticate, e quando ve ne (3) ricordate, siete ormai così bagnati che poco
importa se vi bagnate un pochino di più.
c) Per molto tempo si è sostenuto che l’Africa fosse un continente senza storia, e che solo l’arrivo
degli europei l’avesse ridestata da un lungo sonno. Questa idea (1) si collegava all’opinione che si
aveva sugli africani in Europa: che si trattasse di esseri inferiori, di uomini il cui sviluppo mentale si
era interrotto dopo l’infanzia. Questo razzismo (2) era talmente diffuso che quando si scoprirono i
reperti di antiche civiltà africane la maggior parte degli studiosi pensò che quelle civiltà (3) fossero
opera di popolazioni non africane.
d) Cristina era impaziente di incontrare il professore. [ ] (1) Lo (2) attendeva nel salone e [ ] (3)
cercava di immaginarselo (4). Con lei (5) c’era anche suo (6) padre. L’atteso professore (7) arrivò in
perfetto orario; Cristina sentiva il cuore battere forte. Si presentò nel salone un ragazzo sui 30 anni,
vestito molto bene, alto, castano. [ ] (8) Era tutto diverso da come [ ] (9) se lo (10) aspettava.
B. Consegna:
Scegliete il connettore (o espressione equivalente) più adatto fra quelli presentati in corsivo.
a) Con l’agricoltura nascono i villaggi, l’uomo diventa sedentario, deve abbattere le foreste, deve
attendere i frutti da una stagione all’altra, alle asce di pietra levigata sostituisce gli utensili di bronzo e
di ferro, deve infatti / tuttavia / perciò trovare i minerali, scavare le miniere, deve in sostanza / per
esempio / in realtà lavorare e soffrire in senso moderno.
b) Dal sottosuolo malese provengono vari metalli, tra cui lo stagno, di fronte al quale il rimanente
50
passa in seconda linea: in questo settore, infatti, / tuttavia, / anche la produzione malese è la prima del
mondo. Nel paese, insomma, / infatti, / inoltre, hanno sede grandi raffinerie.
c) Non a caso esiste da tempi remoti il detto “i fiumi sono il latte della civiltà”: fu però / perciò /
infatti da insediamenti lungo i fiumi che nacquero le più antiche forme di società organizzata.
d) Il ministro della Difesa ha minacciato di dimettersi; al contrario / malgrado ciò / inoltre molti
ritengono prematuro parlare di crisi del Governo.
e) A causa di un guasto ai motori, la nave Green Peace ha dovuto rinunciare alla clamorosa azione di
protesta contro gli esperimenti atomici della Francia nell’atollo di Mururoa. Comunque / infatti / di
conseguenza gli ecologisti della Green Peace si ritengono soddisfatti della grande eco suscitata dalle
loro iniziative.
C. Consegna:
Accanto a ciascuno dei connettori evidenziati scrivete la lettera che corrisponde al suo significato,
scelto fra questi:
A) “in aggiunta”
B) “di conseguenza”
C) “ho detto questo perché...”
D) “contrariamente a quel che si potrebbe pensare”
E) “al contrario”
a) Il divieto di fumare in ufficio, nei ritrovi e nei trasporti pubblici, contemplato dal provvedimento
Degan, è già qualcosa. Non dobbiamo tuttavia [ ] illuderci che la restrizione delle aree permesse al
fumo serva a ridurre il consumo di sigarette in generale.
b) Se un ago calamitato si orienta in una direzione molto vicina alla direzione Nord-Sud, è perché la
Terra agisce su di esso come farebbe un magnete. Lo spazio che circonda la Terra è dunque [ ] sede di
un campo magnetico.
c) Il violoncello è importante nell’orchestra sia come strumento melodico sia come strumento di
accompagnamento. Inoltre [ ] la sua voce preziosa, morbida, nobile e le sue eccezionali doti di
agilità fanno di questo strumento un eccezionale solista da concerto.
d) Mentre l’arpa degli Egizi si suonava da fermi, per la sua forma voluminosa, quella degli Assiri, più
piccola, era sempre portatile e si suonava perciò [ ] camminando.
e) Adesso chi aveva cercato di dimenticare parlerà di fatalità, di destino; è invece [ ] il caso di
ricordare i misteri, nemmeno troppo profondi, di una morte prevedibile.
f) Il film ha avuto secondo me un inizio piuttosto squallido; infatti [ ] narrava, senza una trama ben
precisa, le storie di vita quotidiana di alcuni americani.
D. Consegna:
Nel brano seguente sono evidenziati fenomeni di coesione dei principali tipi:
- riprese pronominali e nominali di nomi e di frasi;
- ellissi;
- connettori testuali.
Per ciascun punto evidenziato, dovete indicare quale è il suo significato, o a quale significato rinvia.
“Noi non saremo un gruppo parlamentare, ma un plotone di azione e di esecuzione” aveva proclamato
Mussolini, subito dopo le elezioni. [ ] (1) Ne (2) dettero immediatamente prova cacciando dalla
Camera il deputato comunista Misiano.
Era questi (3) noto in Italia come disertore di guerra. Per questo merito (4), soprattutto, [ ] (5) era
stato eletto deputato. I fascisti considerarono il fatto (6) incompatibile con la dignità nazionale.
Parecchi di loro (7) erano stati eletti deputati solo perché [ ] (8) avevano ucciso dei socialisti. [ ] (9)
Non potevano quindi (10) consentire lo scandalo. Sicché (11) l’on. Misiano fu aggredito in piena
Camera.
(E. Lussu, Marcia su Roma e dintorni)
Esempi di soluzione:
51
(1) = “del fatto che sarebbero stati un plotone ecc.”
(2) = i fascisti indicati con “noi”
52
Capitolo 5. La costruzione di un modello del testo
5.1. Coerenza
Nell’introduzione al paragrafo 4.4. ho accennato alla distinzione tra coesione e
coerenza testuale. In breve: per coesione intendiamo un insieme di fenomeni linguistici che
legano insieme porzioni di testo, per coerenza intendiamo ciò che ci consente di farci un’idea
complessiva, un’immagine unitaria di un testo, a un livello più mentale che strettamente
linguistico.
A proposito della nozione di “testo”, poi, bisogna intendersi. I manuali scolastici più
aggiornati, che la introducono, tendono a definire il testo in termini di “significato
compiuto”, “messaggio completo e ben preciso”, “una comunicazione intera” e simili. Non
sempre si distingue se queste sono raccomandazioni da fare a un allievo in vista dei testi che
ha da scrivere, o definizioni di ciò che un testo è in sé, sue proprietà oggettive, o addirittura
caratteristiche che permettono di distinguere un testo da un non-testo: come se prima
osservassimo questi caratteri in un certo pezzo di comunicazione orale o scritta 84, poi
decidessimo che è un testo.
In realtà non è così. In primo luogo i non-testi non esistono, meno che quando vengono
fabbricati appositamente come “esempi finti” a scopo illustrativo, e in questo caso li
chiamerei piuttosto “testi incoerenti”. In secondo luogo, quando affrontiamo la lettura (o in
certi casi l’ascolto) di un dato pezzo di comunicazione linguistica, abbiamo già deciso di
considerarlo testo, in base a certi segnali esterni come il supporto cartaceo, l’impaginazione,
il titolo ecc. (se scritto), o perché è annunciato in un certo modo e per il contesto in cui si
svolge (se orale).
Solo in base a questa decisione preliminare andiamo alla ricerca degli elementi che ci
consentono di costruirci un’immagine unitaria del testo: una trama, un’argomentazione, uno
o più temi di esposizione connessi e così via. Questi elementi sono intrinseci al testo nella
misura in cui l’autore ha avuto a sua volta l’intenzione di costruire un testo coerente, e ci è
riuscito; ma non sono prerequisiti costitutivi, definitori. Nell’analizzare certi articoli di
giornale, mi è capitato talvolta di pensare: “Ma qui l’autore non ha deciso di che cosa voleva
parlare!”; non per questo ho smesso di considerare quell’articolo un testo, ho solo espresso
una valutazione sulla sua maggiore o minore coerenza.
In conclusione, prima che una proprietà del testo la coerenza è un’intenzione
dell’autore e soprattutto un’aspettativa del ricevente, «un sistema di attese e di domande»,
come scrive Della Casa85. Questa conclusione è confermata dagli studi recenti sulla coerenza
testuale, che ne sottolineano la natura pragmatica (connessa alla situazione comunicativa, ai
processi di produzione e ricezione), più che linguistica. «Un testo scritto... deve la sua
coerenza a operazioni di interpretazione da parte del lettore. [...] Un testo (e anche un
discorso) può guidare il ricevente in modo più o meno efficace, ma la coerenza, come è
comunemente intesa, dipende dall’interpretazione»86.
Il punto è ricco di implicazioni per l’educazione alla comprensione. Senza un
atteggiamento attivo del lettore la coerenza testuale non esiste. Questo atteggiamento,
l’aspettativa di testualità, non è innato; ci si può anzi chiedere se i bambini più giovani,
anche in età scolare, ne siano capaci. Levorato riferisce di studi compiuti sull’abilità di trarre
inferenze, da cui risulterebbe che i bambini di meno di dieci anni ne sono privi. «Il limite
delle operazioni di codifica di questi soggetti potrebbe essere che le informazioni vengono
84
A dire il vero, ho qualche perplessità sull’estensione della nozione di “testo” a tutti i tipi di comunicazione
orale, compresi i più improvvisati, come la conversazione informale. Ma la questione non è pertinente qui.
85
1987, p. 35.
86
Sanford, Moxey 1995 (traduzione mia).
53
trattate isolatamente, non si integrano in un’unica rappresentazione semantica, in altri
termini, non sono sottoposte a elaborazioni sufficientemente profonde per scoprire la
coerenza tra le diverse informazioni»87.
Che nello sviluppo di una capacità mentale ci siano fasi evolutive immodificabili è
un’affermazione discutibile; ci si può sempre chiedere che cosa avverrebbe se gli stimoli
educativi fossero diversi. Quello che mi pare più certo è invece il carattere di «alta
artificialità» della competenza testuale, come scriveva Simone già nel 1978 88. E’ una
competenza non nativa, che va insegnata, abituando gli allievi ad avere aspettative di
coerenza, a porsi domande adeguate di fronte al testo.
5.2. Dal lineare al non lineare
Attribuire coerenza a un testo significa dunque costruirsi una rappresentazione mentale
unitaria del suo contenuto. Durante la lettura il lettore sceglie, conserva in memoria e collega
le informazioni più importanti e scarta quelle secondarie, giungendo a costruirsi quella che
van Dijk e Kintsch89 hanno definito una “macrostruttura”, o un modello mentale del
contenuto del testo. Sui caratteri formali di questo modello si discute molto, con sottili
distinzioni su cui non è necessario qui soffermarsi 90. Mi pare però che due punti rilevanti
siano acquisiti.
In primo luogo il modello mentale, che corrisponde in sostanza a ciò che ricordiamo di
un testo a una certa distanza dalla lettura, è indipendente dalla sua forma linguistica. Noi
ricordiamo ciò che un testo dice (o ciò che abbiamo capito che dice), più che la forma in cui
lo dice91. Questo dato ha portato Parisi e i suoi collaboratori a concludere: «Noi riteniamo
che la comprensione di un brano consista nell’utilizzare la forma linguistica delle frasi del
brano per ricavarne il contenuto, e poi buttar via (dimenticare) tale forma linguistica per
conservare soltanto il contenuto»92; o, con le parole di Della Casa, «Le unità di senso con cui
opera la mente del lettore [...] non corrispondono alle unità di lingua, né la loro composizione
appare isomorfa all’ordine linguistico»93.
Le ultime parole citate ci portano al secondo punto. Il buon lettore deve non solo
selezionare le informazioni più importanti, ma riorganizzarle in un ordine che può essere
diverso dalla sequenza lineare in cui appaiono. La linearità è intrinseca alla comunicazione
linguistica: possiamo dire o scrivere solo una parola per volta, una frase per volta. Ma ciò che
abbiamo da dire di solito non ha una struttura lineare: lo dimostra il fatto che quando
vogliamo schematizzare il contenuto di un brano di solito ricorriamo a uno schema ad albero,
in cui le informazioni o gli scopi comunicativi più importanti stanno in alto e le informazioni
di supporto si dispongono sotto a diversi livelli, oppure anche a rete, o a diagramma di flusso;
in ogni caso abbiamo bisogno almeno delle due dimensioni del piano.
UNA MAPPA TESTUALE
87
Levorato 1988, p. 338. Vari indizi in questo senso appaiono anche negli studi riportati in Scardamanlia,
Bereiter 1984.
88
Simone 1978, p. 21.
89
1983, pp. 52 sgg.
90
Si può trovare un’informazione aggiornata e accurata in proposito in Lorenzetti 1999.
91
Questa affermazione può essere messa in questione a proposito di testi letterari in cui l’elaborazione formale sia
altamente significativa, soprattutto testi poetici; naturalmente dal punto di vista di un lettore che sia sensibile alla
forma. Ma qui ci occupiamo (come la ricerca si occupa) di problemi che vengono molto prima di questo livello di
lettura.
92
Castelfranchi e altri 1979, p. 128. Alcune prove sperimentali di questa tesi sono citate in Sanford, Garrod 1981,
p. 64 e in Johnson-Laird 1983, p. 420.
93
1987, p. 99.
54
L’uomo del paleolitico è cacciatore e nomade
Durante centinaia di migliaia di anni, per sopravvivere, l’uomo si è comportato come
tanti altri animali, cioè è stato in primo luogo cacciatore e pescatore. Però l’uomo non
possiede capacità rilevanti rispetto ad altri animali che corrono più velocemente di lui, che
possiedono zanne e artigli che possono inferire ferite mortali; di conseguenza, l’uomo ha
dovuto ricorrere alla sua vera forza, che è l’intelligenza.
I primitivi, infatti, che inizialmente si nutrivano in prevalenza di vegetali, radici,
tuberi, bacche e simili, devono aver compreso abbastanza presto che un palo appuntito, una
pietra aguzza, sono strumenti capaci di aumentare notevolmente la forza, specialmente
contro gli animali più piccoli che, per certi aspetti, sono anche i più difficili da cacciare,
perché sono veloci, possono nascondersi facilmente e sottrarsi alla vista dell’uomo.
(da S. Paolucci, Storia, vol. I, Zanichelli)
l’uomo del paleolitico è stato a
lungo cacciatore e pescatore
prima era
stato
raccoglitore
come
altri
animali
l’uomo ha fatto ricorso
all’intelligenza
a differenza
di altri
animali
ha capito l’utilità
di strumenti
non possiede
capacità rilevanti
(per la caccia)
palo appuntito
pietra aguzza
specialmente
contro animali
piccoli
velocità, zanne
artigli
Figura 2
A titolo di esempio, nella figura qui sopra presento un possibile schema sintetico (o
“mappa testuale”, come usa dire) che si può ricavare da un brano di un libro di testo. E’ un
tipo di rappresentazione largamente diffuso, ma può servire per alcune considerazioni.
 Le parole collocate entro ogni casella corrispondono pressappoco a quelle che van Dijk e
Kintsch94 hanno definito “macroproposizioni”, cioè le unità di sintesi che il lettore ricava
dalle frasi del testo (si ricordi che per “proposizione” si intende un’entità mentale, per
“frase” un’entità linguistica); esse non corrispondono perciò necessariamente alle parole
del testo.
 L’ordine è gerarchico, di conseguenza non corrisponde all’ordine lineare delle frasi nel
brano; per esempio, l’informazione contenuta nella relativa parentetica «che inizialmente
si nutrivano...» si connette a quella data nella prima frase del brano, specificando che cosa
accadeva prima delle «centinaia di migliaia di anni» in cui l’uomo è stato cacciatore,
anche se nel testo è abbastanza distante da quella.
 La gerarchia ha due vertici, due “mete testuali” 95 di pari livello: una corrisponde al titolo
(nel seguito del paragrafo si parlerà dell’altra “meta” indicata nel titolo, il nomadismo),
l’altra corrisponde a un’informazione laterale rispetto al titolo, che a me pare però di pari
94
1983, p. 191.
Il termine “meta” (lo scopo più alto perseguito da un’azione comunicativa) compare in Castelfranchi, Parisi
1980, p. 395; gli autori ammettono che un brano possa avere più di una meta (p. 426).
95
55
importanza, in quanto introduce un carattere essenziale della specie umana e del processo
di ominazione: l’uso di manufatti.
È bene precisare che lo schema presenta solo una delle possibili sintesi che un lettore
può ricavare e conservare dal brano. Intanto il livello di generalizzazione è arbitrario:
potrebbe essere più analitico, e certamente sarebbe più sintetico se si considerasse una
porzione più ampia del testo; del resto è probabile che nella mente del lettore il modello del
testo diventi via via più sintetico a mano a mano che procede nella lettura. In secondo luogo,
la gerarchia delle informazioni potrebbe variare a seconda degli interessi del lettore 96; qui si è
pensato alle probabili intenzioni dell’autore e a un lettore che legge per studiare, ma lo
schema varierebbe per un lettore interessato alla storia degli strumenti, o alle caratteristiche
che l’evoluzione sviluppa in diverse specie animali nella lotta per la sopravvivenza.
Lo schema rappresenta un possibile prodotto finale della comprensione, non le
operazioni che portano a quel prodotto; va da sé che in una fase idealmente anteriore il
lettore avrà risolto altri problemi di cui si è parlato nei capitoli precedenti; ad esempio, al
livello della coesione, avrà assegnato uno stesso referente a «l’uomo del paleolitico»,
«l’uomo» e «i primitivi» (“identità ostacolata”), avrà integrato inferenzialmente alcune
lacune del testo, come quella indicata tra parentesi in una casella: «capacità rilevanti (per la
caccia)», ricavabile dal tema generale del brano.
Ma il compito conclusivo del lettore è ricavare dalla successione lineare del testo una
gerarchia informativa. In anni lontani, in una conversazione personale, Domenico Parisi mi
illustrò il punto con una similitudine che mi è parsa illuminante: è come se si avesse sulla
riva di un fiume una pila di oggetti disposti in un certo ordine, e si dovesse traghettarli con
una barca che ne può portare solo uno per volta; da una parte si dovrà decidere in quale
ordine imbarcarli (compito di codifica), sull’altra riva si avrà il problema di ridisporli in un
certo ordine (decodifica).
Che fare?
Il passaggio dalla linearità del testo a un ordine gerarchico è una delle operazioni più
difficili per un lettore poco esperto. E’ stato più volte osservato che, come scrive Merini, «Le
strategie di lettura immature dei lettori non esperti sono caratterizzate invece da un procedere
elaborando un frammento di testo alla volta, confrontandolo con le proprie conoscenze»97. Ne
possono nascere, come ogni insegnante ben sa, errori di comprensione, di cui analizzerò
qualche esempio nel paragrafo 5.5.
Per superare questa difficoltà, gli studenti dovrebbero essere educati essenzialmente a
fare due cose:
 ricavare da ogni porzione del testo una sintesi (frase tematica, voce di scaletta, e simili);
 collegare opportunamente queste sintesi.
Il problema è affrontato da suggerimenti didattici ormai diffusi e (spero) abbastanza
praticati: insegnare a sottolineare, a segnare titoletti a margine dei capoversi, insegnare a fare
mappe testuali, a riassumere ecc. Alcuni tipi di esercizio possono dare un contributo di
avviamento, nel senso che una parte del compito è già risolta e lo studente deve compiere
solo uno dei passi necessari:
 l’esercizio che chiede di indicare i punti del testo che contengono date informazioni,
presentate in forma parafrasata o riassuntiva stimola a compiere il primo passo, quello di
costruirsi una sintesi del testo pezzo per pezzo;
 va nella stessa direzione l’esercizio di riordinare le voci di una scaletta date alla rinfusa
96
«Diversi lettori troveranno prominenti, importanti, rilevanti o interessanti diversi significati, e assegneranno al
discorso diversi temi o un diverso nocciolo». Van Dijk, Kintsch 1983, p. 193 (traduzione mia).
97
Merini 1991, p. 47. Dati sperimentali in proposito in Scardamalia, Bereiter 1984.
56
abbinandole ai capoversi di un brano;
 l’esercizio di integrare una mappa testuale fornita con lacune spinge invece a formulare le
sintesi di parti del testo, collocandole al loro posto in uno schema predisposto.
Nell’appendice al paragrafo 6.3 (ai nn. 5.6.7) si troveranno esempi di questi tre tipi di
esercizi; in appendice a questo paragrafo fornisco un ulteriore esempio di schema da
completare.
Appendice
Esercizio di schema da completare
Consegna
Qui sotto hai un breve brano, seguito da uno schema (diagramma di flusso) che sintetizza i fatti
descritti nel brano in ordine di causa - effetto; alcune caselle dello schema sono vuote: riempile
con i dati mancanti.
DA DOVE VIENE TUTTA QUESTA ACQUA?
Gli oceani e i mari ricoprono la maggior parte della superficie della Terra, esattamente il
71%, mentre le terre emerse non costituiscono che il 29%. Da dove venne tutta questa
enorme massa d’acqua? Quando il nostro pianeta era una palla incandescente era
circondato da uno strato densissimo di vapori; circa 3 miliardi e mezzo di anni fa iniziò a
raffreddarsi e i vapori si condensarono e caddero sulla Terra sotto forma di pioggia. Così
ebbero origine gli oceani.
(G.Monaco, G.Mazzoni, Giorni anni secoli, vol 1, Zanichelli)
pianeta
incandescente
circondato
vapori
|
da
|
grandi piogge
|
5.3. L’integrazione delle conoscenze
Inferenze, schemi, sceneggiature
Un modello mentale del contenuto del testo non può essere costruito solo con ciò che il
testo dice esplicitamente. Un testo non può mai dire “tutto”, lascia sempre molto da fare alla
mente del lettore; se volessimo esplicitare tutto quel che un breve, semplice articolo di
cronaca lascia implicito o presuppone, questo diventerebbe simile all’Ulisse di Joyce. Come
scrive Della Casa, «Il testo è una traccia di segni che sta all’interprete attualizzare»98.
Le operazioni di integrazione del lettore sono dette “inferenze”, un termine che mi è
accaduto già di usare più volte, che è corrente nella letteratura psicologica, ma di cui non è
98
1987, p. 17.
57
facile incontrare una definizione; la più chiara che io ricordi definisce l’inferenza come il
processo mentale che produce una conoscenza nuova sulla base di conoscenze note.
Il processo inferenziale comporta che il lettore integri nei dati immediati forniti dal
testo in un certo punto altre conoscenze che deve richiamare dalla propria memoria: in parte
è la memoria di altri luoghi del testo, o il modello complessivo che il lettore ne ha ricavato
fino a quel punto, in parte si tratta di conoscenze generali, “enciclopediche”, sul mondo.
Per mostrare come l’appello alla conoscenza del mondo si radichi nelle pieghe più
minute del testo, si può partire da alcuni fenomeni di coesione, “locali” per definizione. Nel
paragrafo 4.4. ho parlato dell’anafora testuale, che assicura la continuità tematica attraverso
la ripresa del riferimento agli stessi oggetti. C’è un tipo di anafora nominale, variamente
definito “anafora associativa” o “indiretta”, o “referenza implicita” 99, in cui il rinvio non è a
ciò che è stato esplicitamente nominato, ma a qualcosa che è associato ad esso in qualche
modo. Per esempio:
Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne sur una
piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava
desinando, e non voleva esser frastornato.
(I promessi sposi, cap. V)
I due articoli determinativi evidenziati segnalano che gli oggetti nominati sono già noti;
anche se non sono stati menzionati, il lettore li ricava facilmente dalla conoscenza che un
palazzo di solito ha una porta, di solito ha un padrone.
Le conoscenze di questo tipo sono state definite da David Rumelhart “schemi”; essi
sono conoscenze strutturate, nel senso che a ogni significato sono associati un certo numero
di “buchi” (slots), che possono essere variamente riempiti dai dati testuali, e vengono a
costituire «una specie di teoria informale, personale, non articolata sulla natura degli eventi,
oggetti o situazioni incontrate»100.
Un tipo di schema continuamente citato è la “sceneggiatura” (script), definita da Shank
e Abelson «una successione, stereotipata e predeterminata, di azioni che definiscono una
situazione ben nota»101; l’esempio più citato è “andare al ristorante”, che implica sedersi a un
tavolo, chiamare un cameriere, ordinare, eccetera: tutti questi oggetti e situazioni possono
divenire referenti testuali senza essere direttamente nominati. Gli autori pongono accanto alle
sceneggiature i “piani di azione” e gli “scopi”: capire una storia implica capire che le azioni
dei personaggi sono progettate in vista di certi fini, che possono non essere menzionati
quando sono di conoscenza comune.
Un paio di esempi basteranno a chiarire come queste cose possano guidare inferenze
che stabiliscono la coesione testuale:
a) Piero pagò il conto e si rimise in tasca il portafogli.
b) Piero aveva fame e il pranzo non era pronto.102.
a) implica una sceneggiatura “pagare il conto” (parte a sua volta di una sceneggiatura
“andare al ristorante”, o “fare un acquisto”), in cui compare il portafogli; in b) la
sceneggiatura “pranzo” è richiamata da un piano di azione possibile nella situazione di aver
fame.
Piani e scopi sono inclusi da Domenico Parisi e collaboratori nella nozione della “rete
esplicativa” che un lettore deve costruire per connettere i dati fattuali presentati in un brano:
«comprendere X significa essere in grado di rispondere alla domanda “Perché X?”». Il
contributo di questi autori ha per noi l’interesse di formulare un’ipotesi su una carenza del
99
Vedi rispettivamente Kleiber 1990, Erkü, Gundel 1987, Conte 1988 p. 26.
Rumelhart 1980, p. 30. Questa idea è al centro del libro di Shank 1982.
101
Shank, Abelson 1977, p. 5.
102
Esempi tradotti e adattati da Kleiber 1990, p. 156.
100
58
lettore inesperto: «Si può pensare che chi “legge male” non possegga questa capacità in
misura sufficiente, cioè che si limiti a ricavare le singole conoscenze delle frasi del brano e
non si ponga la domanda del loro perché»103. E’ un dato di esperienza comune la povertà di
certe riesposizioni o sintesi di brani che li riducono a meri elenchi di fatti irrelati.
Ma c’è una difficoltà ulteriore che può nascere su questo terreno. Sceneggiature, piani
e scopi depositati nella nostra memoria riguardano ciò che consideriamo ordinario e
prevedibile. Ma è raro che un testo autentico si limiti a questo piano di normalità, come
fanno di solito gli esempi fabbricati dagli psicologi per i loro esperimenti. Come scrive
Shank, «non tutta la nostra conoscenza è contenuta negli script. [...] Le storie interessanti,
dopo tutto, non affrontano quel mondo quotidiano che gli script rappresentano. Le storie
interessanti affrontano situazioni romanzesche, problemi inconsueti»104. Può accadere allora
che un lettore tenda a normalizzare quel che il testo presenta, riconducendolo alle proprie
attese: invece di utilizzare le proprie conoscenze pregresse solo per colmare i vuoti del testo,
le sostituisce ai “pieni”, facendo dire al testo ciò che lui si aspetta.
Possono essere spiegati in questo modo alcuni degli errori di attribuzione dei ruoli
tematici di cui si è parlato al paragrafo 4.3. Similmente Garnham e Oakhill hanno trovato che
di fronte al frammento testuale
Il paziente era stato esaminato dal dottore durante il turno di guardia. L’infermiera pure.
alcuni lettori intendono che l’infermiera aveva pure esaminato il paziente 105. Qui si ha un
conflitto fra l’interpretazione guidata dai dati testuali, per la quale la sintassi impone di
recuperare l’ellissi verbale come “era stato/a esaminato/a”, e l’interpretazione guidata dalla
sceneggiatura in cui l’infermiera ha normalmente il ruolo di esaminare i pazienti.
Scenari
Sceneggiature, piani e scopi sono di solito invocati per spiegare la comprensione di
singoli passaggi testuali. Ma al di là di questi è stata elaborata un’idea più generale, che può
aiutare a spiegare la comprensione di brani più ampi. L’idea in essenza è che il lettore, nel
corso della lettura, si costruisce un modello non tanto del testo quanto delle cose che il testo
dice. Questo modello è stato variamente denominato “modello della situazione”, “modello
mentale”, “scenario”106, con distinzioni teoriche che qui ci interessano relativamente. Per me
il termine più suggestivo è “scenario”, connesso a “dominio di riferimento” (l’insieme delle
conoscenze su un argomento). Secondo gli autori che lo hanno introdotto, un lettore «in
primo luogo deve usare il testo per identificare un dominio di riferimento appropriato,
corrispondente in sostanza a ciò di cui il testo parla, e in secondo luogo deve usare il dominio
di riferimento identificato per interpretare il seguito del testo il più a lungo possibile»107.
Mentre sceneggiature, piani e scopi sono concepiti come un repertorio generale fissato
a priori nella mente, lo scenario è specifico del testo: include tali schemi nella misura in cui è
necessario richiamarli, ma include anche dati spaziali e temporali, personaggi e situazioni,
concetti astratti, ricavati dal testo. Se un lettore non richiama e utilizza questi dati al
momento opportuno, la comprensione può risultare compromessa, come appare da una serie
di protocolli della ricerca “IRRSAE Lumbelli”.
Un testo usato decine di volte per i colloqui centrati sul lettore è una lettera al direttore
103
Castelfranchi e altri 1979, pp. 138, 146.
Shank 1982, p. 149.
105
Garnham, Oakhill 1996, p. 317. L'equivoco è più facile nel testo inglese, dove l'ellissi del verbo è solo parziale:
«The patient had been examined by the doctor during the ward time. The nurse had too».
106
Per "modello della situazione" vedi van Dijk, Kintsch 1983, pp. 336 sgg. e Kintsch 1989; per "modello
mentale", Johnson-Laird 1983, pp. 372, 563; per "scenario", Sanford, Garrod 1981 pp. 109 sgg., Sanford,
Oakhill 1996. Vedi anche Lorenzetti 1999, pp. 151-156.
107
Sanford, Garrod 1981, p. 109 (traduzione mia).
104
59
comparsa su «Il Venerdì di Repubblica» del 6.4.1990 sotto il titolo Ma chi deve fermare le
stragi della notte?. L’autore polemizza contro coloro che attribuiscono alle discoteche la
responsabilità degli incidenti mortali che si verificano sulle strade nelle notti fra il sabato e la
domenica e propongono rimedi come la chiusura anticipata delle discoteche. Al terzo
capoverso però fa una concessione:
Certo, alla fine d’una serata rumorosa e intensa in tutti i sensi, si è un po’ storditi. Spesso
s’intrecciano rivalità, ripicche, desiderio di brillare di fronte agli altri rivali dimostrando la
propria abilità e coraggio. Insomma, si gareggia. E qualche volta si finisce col rimetterci anche
la vita, per eccesso di fiducia in se stessi e per “spacconata”.
In questo passaggio non c’è alcun riferimento agli incidenti stradali, ma qualunque lettore
avvertito connette “rimetterci la vita” allo scenario “ritorno a casa in macchina”, che è stato
instaurato dal titolo e dalle prime parole del testo, sebbene si siano frapposti cinque periodi
che parlano solo di ciò che avviene nelle discoteche. Ma per una parte dei nostri soggetti pare
che lo scenario non sia stato mantenuto. Molti non precisano il luogo in cui si verificano gare
e ripicche, ma usano espressioni tali da far supporre che pensino a risse che avvengono nelle
discoteche:
6 A.: In questo pezzo dice che alla fine di una serata che si è nelle discoteche ci si sente un po’
assorditi, perché spesso nelle discoteche ci sono delle rivalità: si vuol mettersi in mostra
ballando di fronte agli altri, facendo vedere che si è coraggiosi, che si è più forti degli altri. E
questa sfrenatezza potrebbe anche causare la morte solo per fare gli spacconi, per fare i buffoni
davanti agli altri.
In questo caso l’intervento a specchio dell’insegnante intervistatore produce un’integrazione
corretta:
7 I.: Hai detto che la sfrenatezza in discoteca potrebbe anche causare la morte per fare i buffoni
davanti agli altri.
8 A.: Sì, nelle strade, poi, quando si va fuori... 108.
In altri casi invece, di fronte a richieste di precisazione lo scenario “rissa in discoteca” viene
confermato:
3 A.: ...poi per delle rivalità, ripicche, per far vedere che loro sono superiori agli altri si mettono
a gareggiare uno contro l’altro, che alla fine può essere anche pericoloso.
4 I.: Si mettono a gareggiare uno contro l’altro, facendo cose pericolose.
5 A.: Fanno cose pericolose.
6 I.: Dove?
7 A.: In discoteca.
L’integrazione di conoscenze specifiche
Gli psicologi si sono occupati in genere dell’integrazione nel modello del testo di
conoscenze molto generali e stereotipiche (schemi, sceneggiature ecc.), o specifiche del testo
(scenari). Ma a noi insegnanti può interessare anche e più l’integrazione di altre conoscenze,
meno generali degli schemi e meno legate al singolo testo degli scenari, che spesso i nostri
giovani lettori sono chiamati a integrare in quel che leggono. Mi riferisco in particolare alle
conoscenze presupposte dai libri di testo (ma il problema può essere posto pure da passaggi
di testi narrativi). Anche un libro di testo non può “dire tutto”: il suo compito è fornire sì
conoscenze nuove, ma sulla base di conoscenze preesistenti, e il successo nell’apprendimento
si ha appunto quando le nuove si integrano alle preesistenti.
Il problema (e il testo) si fa difficile quando le conoscenze da richiamare non sono
tanto elementari, e sono presupposte senza nemmeno un rapido accenno che indirizzi la loro
108
Esempio già commentato in Colombo 1995, p. 65.
60
ricerca. Mi spiegherò con un esempio tratto da un testo di geografia per la scuola media.
Gli ambienti naturali dell’Italia
Clima e posizione geografica
[...]
L’esiguo spessore della penisola, la forma del bacino mediterraneo e le Alpi influiscono
profondamente sul clima e sui paesaggi d’Italia.
Gli influssi sono più evidenti se si analizza complessivamente la fascia continentale nella quale
è inserita l’Italia. Napoli e Roma, ad esempio, sono più a Nord di Pechino, che d’inverno è
molto più fredda, e sono alla stessa latitudine del deserto di Gobi, dove la temperatura in
inverno scende oltre i 20° sotto lo zero. In che modo il mare e le Alpi agiscono sul clima?
(G. Mezzetti, Geografia, vol. 1, La Nuova Italia)
Il testo pone un tema, enunciato all’inizio in forma affermativa e alla fine come problema,
che sarà spiegato nei capoversi seguenti. Per sollecitare l’allievo a porsi il problema, in
mezzo vengono forniti due esempi di come il clima italiano sia diverso da quello di altri
paesi inseriti nella stessa “fascia continentale” (concetto non del tutto chiaro a prima vista).
La funzione dell’esempio è del tutto implicita: l’allievo si trova di fronte a un doppio
paragone sulle temperature invernali da cui deve ricavare la generalizzazione che in Italia
l’inverno è meno freddo che in paesi posti alla stessa latitudine o anche più a sud. In più,
deve richiamare la conoscenza generale che di solito a nord fa più freddo che a sud.
Quale intervento si potrebbe progettare per aiutare gli allievi in difficoltà di fronte a un
passaggio come questo? La soluzione più facile, che non mi sentirei di consigliare,
consisterebbe nel dare immediatamente una spiegazione: in questo modo gli allievi
capirebbero probabilmente i concetti, ma non sarebbero stimolati a reagire attivamente alla
difficoltà del testo, dunque resterebbero sprovveduti quanto prima di fronte a futuri problemi
analoghi di comprensione. Un’ipotesi più produttiva potrebbe essere quella di preparare delle
domande di aiuto per l’integrazione, che stimolino a percorrere il ragionamento necessario a
colmare le lacune del testo. In appendice si troverà un tentativo di formulare domande di
questo tipo.
Appendice
Domande di aiuto per l’integrazione
Testo: vedi qui sopra.
Domande:
“Di solito l’inverno è più freddo nei paesi più a nord o più a sud? questa conoscenza ti serve per capire
il passo”.
“Qui c’è un confronto tra le temperature invernali di Napoli e Roma da una parte, di Pechino e del
deserto del Gobi dall’altra; questo confronto serve a porre un problema, che viene chiarito nei
paragrafi seguenti: in che cosa consiste esattamente questo problema?”
5.4. Soggetti di enunciazione
La dimensione pragmatica
Nel paragrafo precedente abbiamo considerato problemi di collegamento e integrazione
delle conoscenze fornite dal testo. La “rete esplicativa” che se ne ricava consiste di relazioni
causali e finali tra gli eventi e le situazioni enunciate. Ma comprendere un brano non
significa solo mettere in relazione una serie di dati di fatto: si capisce ben poco se non si
capisce con quale intento sono enunciati. Non mi riferisco solo allo scopo comunicativo che
61
dà un senso al testo nel suo complesso, ma agli scopi particolari per cui ogni singola
informazione è introdotta. A ogni passo il lettore avvertito si chiede non solo “che cosa
dice?”, ma anche “perché lo dice?”.
In questa prospettiva le diverse parti di un testo sono da intendere come azioni
comunicative governate da scopi; come scrivono Parisi e collaboratori, «essere in grado di
rispondere alla domanda sul perché di ogni frase in quanto azione (cioè sugli scopi del suo
autore nel dirla) significa ricostruire la gerarchia di scopi che governa il brano»109.
Entriamo con questo nella dimensione pragmatica della coerenza testuale, in cui è in
gioco la relazione tra le cose enunciate, l’enunciatore e i destinatari. Mi spiego con un
semplice esempio. In italiano possiamo dire altrettanto bene:
a) La strada è bagnata perché è piovuto.
b) E’ piovuto, perché la strada è bagnata.
In a) il connettivo perché stabilisce una relazione causale tra i fatti enunciati; in b), lo stesso
connettivo introduce una ragione per cui l’enunciatore può dire ciò che dice: è un connettivo
pragmatico (equivalente a un infatti), che mette in campo il gioco comunicativo
dell’enunciatore.
Molti connettori testuali hanno un valore pragmatico: oltre a infatti, gli avversativi (che
per lo più significano “ora ti dico qualcosa di diverso da ciò che ti potresti aspettare”), e,
almeno in parte dei rispettivi usi, dunque, insomma, soprattutto, in definitiva, e per di più,
ecc.
Ho già insistito (paragrafo 4.3) sull’importanza di richiamare l’attenzione dei lettori in
formazione sull’importanza di queste espressioni. Ma spesso le relazioni pragmatiche fra le
parti di un testo non sono enunciate esplicitamente, sta al lettore ricostruirle attraverso
inferenze che possono richiedere una certa finezza interpretativa.
E qui può sorgere una difficoltà. Molti lettori inesperti hanno la tendenza a cercare i
collegamenti tra le frasi esclusivamente sul piano dei dati fattuali, come illustra il seguente
esempio dalla ricerca “IRRSAE Lumbelli” 110.
L’articolo di Paolo Guzzanti I disoccupati nel presepe («La stampa», 5.9.1993) critica
una proposta di un dirigente della Camera di Commercio di Napoli, secondo il quale per
risolvere il problema della disoccupazione nella città bisognerebbe favorire l’artigianato e il
commercio nel settore dei presepi artistici, tradizionale a Napoli.
L’autore prende le mosse dal ricordo di una commedia di Eduardo in cui un personaggio, alla
domanda del padre «Te piace ‘o presepe?», risponde stizzito, perché a corto di denaro: «No,
nu’ mme piace». L’esordio serve all’autore per porre il tema del rapporto fra denaro e presepe
(«codificato anche in teatro») e passare quindi alla proposta della Camera di Commercio,
riverberando su questa una sfumatura ironica.
Si può stabilire una coerenza tra due dati così distanti come una scena del teatro di
Eduardo e una proposta di politica economica solo comprendendo a quale scopo l’autore
introduce la citazione. Questa prospettiva resta assente dalla mente di uno dei nostri soggetti,
che reagisce così:
25. A.: Ha pensato di mettere botteghe, così, luoghi dove potevano andare queste persone che
erano senza lavoro.
[...]
30. I.: Abbiamo detto che il rapporto è stato codificato in teatro: che rapporto?
[...]
42. A.: Fanno il presepe per metterlo nel teatro e...
109
110
Castelfranchi e altri 1979, p. 154.
Esempio già commentato in Colombo 1996.
62
Il ragazzo ha capito almeno in parte la proposta (25), ma non ha stabilito autonomamente
nessun nesso con la citazione teatrale; incalzato dall’insegnante con rispecchiamenti e
domande (30), lo cerca sul piano dei fatti, nell’incapacità di concepirlo al livello degli scopi
testuali.
Intrecci di voci
La struttura di un testo è dunque orientata dalla regia dell’autore, il quale seleziona e
collega i dati enunciati in funzione dei propri scopi comunicativi. La questione si complica
quando all’interno di un testo non parla solo l’autore, ma sono introdotte altre “voci”, che
orientano parte delle espressioni secondo particolari punti di vista, non coincidenti con quello
dell’autore. Per capire queste espressioni il lettore non deve chiedersi solo “perché lo dice?”,
ma anche “chi lo dice?”
Il fenomeno è stato studiato soprattutto nell’ambito dei testi narrativi, dove alla “voce
narrante” si possono alternare le “voci” dei personaggi, non sempre segnalate con le marche
del discorso diretto o indiretto 111. Che questo possa creare difficoltà al lettore inesperto mi è
stato segnalato dalle reazioni di alcuni studenti di fronte a un passo di un racconto della serie
Marcovaldo di Italo Calvino che noi lettori adulti, a prima vista, avremmo creduto “facile”:
Il bosco sull’autostrada.
E’ inverno, nella casa di Marcovaldo fa freddo, la legna per la stufa è finita e non ci sono soldi
per comprarne. Marcovaldo esce, con la debole speranza di trovarne in qualche giardinetto
pubblico. Il figlio Michelino legge un libro di fiabe che «parlava d’un bambino figlio di un
taglialegna, che usciva con l’accetta, per far legna nel bosco. - Ecco dove bisogna andare, disse Michelino, - nel bosco! - Nato e cresciuto in città, non aveva mai visto un bosco neanche
di lontano». Michelino e i fratelli partono dunque alla ricerca di un bosco; a forza di
camminare, giungono vicino all’ingresso di un’autostrada. «Ai lati dell’autostrada, i bambini
videro il bosco: una folta vegetazione di strani alberi copriva la vista della pianura. Avevano i
tronchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome piatte e estese, dalle più strane forme [...]. Rami a
forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, [...] costellate da un fogliame di lettere
dell’alfabeto. - Evviva! - disse Michelino, questo è il bosco! [...]. Così abbatterono un
alberello a forma di fiore di primula gialla, lo fecero in pezzi e lo portarono a casa».
Un lettore adulto capisce immediatamente che Michelino e i fratelli hanno scambiato per
bosco un folto insieme di cartelli pubblicitari. Ma alcuni colleghi di Faenza, insegnanti nel
biennio di un istituto tecnico, notarono, attraverso dei riassunti, che diversi studenti si
limitavano a riferire che i bambini “trovano un bosco”. All’incomprensione può aver
contribuito un dato di esperienza: Calvino fa riferimento alla cartellonistica degli anni
cinquanta, molto più abbondante e fantasiosa di quella attuale. Ma un altro punto non meno
importante per la comprensione è che quando l’autore scrive «i bambini videro il bosco» o
«abbatterono un alberello a forma di fiore», non sta parlando a nome proprio: all’improvviso,
senza segnalazione verbale, la “voce” dei bambini subentra a quella del narratore.
Messi sull’avviso, abbiamo usato il racconto per colloqui centrati sul lettore che pensa
ad alta voce, ovviamente con studenti diversi da quelli che avevano fatto il riassunto. In tutti
e quattro i colloqui registrati il cambiamento di “voce” non è afferrato, pur in mezzo a
esitazioni e tentativi di razionalizzare l’incongruenza che ne nasce. Per esempio:
16. A.: Qui parla di Michelino e dei suoi fratelli che proseguendo la strada notano che ai lati ci
sono dei boschi, c’è un bosco. Qui vedono che il bosco è di tante forme, i rami hanno tante
foglie, di tanti colori... [...]
17. I.: Un bosco, hai detto, di tante forme.
18. A.: Sì, anche se secondo me queste sono le forme che immagina Michelino, essendo la
111
Il titoletto di questa sezione è evidentemente ripreso da un bel saggio in materia di Cesare Segre, Intrecci di
voci, Torino, Einaudi, 1991.
63
prima volta che vede un bosco.
[...]
23. A.: Sì, dice che è un fiore di primula gialla, secondo me è un paragone, la primula è
piccola... non penso che l’albero sia una cosa mastodontica.
Di solito l’incongruenza è compresa quando, più avanti, si legge che Marcovaldo, rientrato in
casa, vede bruciare «i resti del cartello pubblicitario». Ma qui importa notare che l’“intreccio
di voci” ha creato una difficoltà di comprensione alla prima lettura.
La plurivocità nei testi argomentativi
Sebbene scoperto sui testi narrativi, il fenomeno della compresenza di voci diverse è
tipico anche dei testi argomentativi. Dato che presuppone una controversia, il testo
argomentativo non contiene solo una tesi sostenuta da argomenti, ma una o più contro-tesi
attribuite a dei contraddittori più o meno individuati: con questi si svolge, all’interno del
testo, un serrato confronto attraverso quelle che altrove 112 ho chiamato “mosse
argomentative”: la confutazione, l’anticipazione di possibili obiezioni, la concessione, che
costituiscono una parte sostanziosa della struttura di coerenza. Di conseguenza la “voce”
dell’autore si alterna con quella di altri soggetti di enunciazione, e il passaggio dall’una
all’altra può essere segnalato in modo più o meno esplicito. La «domanda sul perché di ogni
frase in quanto azione» esige che si stabilisca preliminarmente se in quella frase l’autore
asserisce qualcosa o riporta un’asserzione altrui.
Nella ricerca “IRRSAE Lumbelli”, con gli studenti di biennio abbiamo usato testi
argomentativi, e abbiamo notato come i nostri soggetti mostrassero una certa resistenza ad
ammettere che in uno stesso testo siano compresenti opinioni opposte: tendevano a collocare
tutte le asserzioni su uno stesso piano, ignorando la dinamica argomentativa.
Un primo esempio113 si riferisce ai protocolli relativi a un articolo di G. Liuti apparso
su «Il Resto del Carlino» del 20.4.1990 col titolo Con gli spot non è più una partita. L’autore
critica vivacemente le interruzioni pubblicitarie inserite nella telecronaca di una partita
trasmessa da una rete privata; verso la fine dell’articolo scrive:
Si dirà che la telecronaca era registrata e le interruzioni pubblicitarie, essendo state aggiunte in
fase di montaggio, non ci hanno tolto neanche un secondo di gioco. Si dirà che in quelle pause
potevamo pur sempre ascoltare la radiocronaca della Rai, che andava in diretta e ci raccontava
la partita con mezz’ora d’anticipo rispetto alle immagini di Italia 1. Si dirà infine che senza gli
introiti della pubblicità le reti private non possono vivere. D’accordo. Ma la rappresentazione
televisiva dell’evento nel suo compiersi è immediatezza e continuità. Altrimenti alla
televisione viene tolta la sua ragion d’essere. E agli spettatori vien tolto il gusto di guardarla.
[...] Sport e spot, insomma, sembrano la stessa parola. Ma non vanno d’accordo.
E’ un tipico gioco di anticipazione di obiezioni, concessione parziale («D’accordo. Ma...») e
confutazione. Per il lettore che non sappia entrare in questo gioco, la soluzione più semplice
è allineare le varie affermazioni senza percepire la diversità dei soggetti d’enunciazione,
come nel caso seguente:
20. A.: Ah, allora dice che senza la pubblicità le reti private non possono vivere perché non ci
sono soldi, perché se vogliono la pubblicità devi pagare la rete, e dice che quando questo
evento è molto importante come ad esempio la partita di Milan contro il Bayern questi spot
non dovrebbero essere messi o dovrebbero essere messi alla fine.
Qui lo studente non sembra avvertire nessun problema nel fatto che sta attribuendo allo
stesso autore opinioni di diversa orientazione argomentativa.
In altri casi invece la contraddizione è avvertita, e si tenta di sanarla con varie strategie
112
113
Colombo 1992.
Anche questo esempio e il seguente sono commentati in Colombo 1996.
64
di compromesso, come accade tipicamente nei colloqui sulla lettera al direttore Ma chi deve
fermare le stragi della notte? già citata al paragrafo precedente. Eccone i primi due
capoversi:
Adesso la colpa degli incidenti d’auto e della strage del sabato sera, come la chiamano i
giornali, sarebbe delle discoteche. Basterebbe anticipare l’ora di chiusura o vietare la vendita
dei superalcolici in quei locali per evitare gran parte dei mortali incidenti che si verificano
appunto sulle strade soprattutto nella notte tra il sabato e la domenica.
Intanto voglio dire una cosa che mi risulta per conoscenza diretta: di superalcolici nelle
discoteche se ne bevono assai pochi. In molte sono proibiti; ma comunque i giovani ne bevono
assai pochi, perché non hanno soldi sufficienti e perché quel tipo di bevanda non rientra nelle
loro abitudini.
Qui il lettore deve capire che nel primo paragrafo l’autore non presenta un’opinione propria
ma altrui, in base ad indizi testuali poco vistosi: l’avverbio Adesso (che probabilmente ha un
valore pragmatico, del tipo “siamo arrivati al punto che...”), l’accenno ai giornali e i
condizionali sarebbe, basterebbe; solo se ha compreso questo potrà poi capire che il secondo
paragrafo ha una funzione di confutazione. I nostri lettori a cui sfugge questo gioco
argomentativo si trovano di fronte a due paragrafi che esprimono successivamente due
opinioni contrastanti. Gli estratti che riporto si riferiscono alla lettura del secondo paragrafo.
2. A.: Qua invece risulta che, per una conoscenza diretta, le persone nelle discoteche non
bevono molti superalcolici, sia perché non hanno i soldi, sia perché non fa parte delle loro
abitudini. Prima ha detto che bisognerebbe vietare la vendita dei superalcolici, qua ribadisce
che ne bevono pochi... forse quelle poche... non so... anche se ne bevono poche, sono già
eccessive. E’ meglio che vada avanti.
L’allieva cerca un compromesso, in mezzo ad esitazioni. Particolarmente interessante
l’ultimo segnale di disagio («E’ meglio che vada avanti»), che mostra all’opera una sorta di
monitoraggio metacognitivo. Nel caso che segue il compromesso è cercato attraverso
un’inferenza che introduce la distinzione, estranea al testo, fra “uso” ed “abuso” di alcolici:
11. A.: Quest’altro pezzo ci dice che non in tutte le discoteche vengono venduti alcolici, e poi i
giovani non ne bevono molti perché spesso non hanno i soldi per acquistarli e poi non rientra
neanche nelle loro abitudini bere alcolici...
12. I.: Quindi non in tutte le discoteche...
13. A.: Viene fatto uso di alcolici. Cioè più che altro viene fatto abuso, cioè vengono usati
molto i superalcolici.
5.5. Le aspettative del lettore
Razionalizzazioni, inferenze elaborative
«A un livello molto generale, il compito del lettore che comprende può essere
considerato costruire una rappresentazione mentale delle informazioni fornite dal testo che si
integri con le sue conoscenze, credenze e scopi»114. Rispetto ad altre definizioni che abbiamo
fornito finora, questa introduce una precisazione importante: noi non comprendiamo
veramente qualcosa se non lo colleghiamo a qualcosa che già sappiamo, crediamo, vogliamo.
Una conoscenza non può essere totalmente nuova: per farla mia, devo inserirla in un quadro
precedente di contenuti mentali.
Questo non significa però che ciò che apprendo da un testo possa solo confermare le
mie idee precedenti: se la comprensione ha successo, le nuove conoscenze modificheranno e
ristruttureranno in parte quelle precedenti, eventualmente per contrasto: imparo che qualcosa
114
Kintsch 1995, p. 140 (traduzione mia).
65
che credevo di sapere era in parte sbagliato, o che esistono opinioni diverse dalle mie. Ma
questo processo può anche interferire sulla comprensione: conoscenze, opinioni e desideri
costituiscono un quadro di aspettative su cui si proiettano i dati forniti dal testo, e può
accadere che il lettore si accorga solo di ciò che le può confermare, o addirittura sostituisca
ciò che si aspetta ai dati testuali.
Due concetti possono aiutarci ad analizzare il problema: quello di “razionalizzazione” e
quello di “inferenza elaborativa”.
Il primo risale a uno studio ormai antico, e ancora citatissimo, dello psicologo inglese
Frederic Bartlett sulla memoria. Bartlett fece leggere a soggetti adulti delle storie, e chiese
loro di esporre, a varie distanze di tempo, quanto ne ricordavano, per osservare le
modificazioni introdotte nel ricordo. Tra queste una delle più rilevanti è appunto la
razionalizzazione, che consiste nel «trasformare ciò che è relativamente poco familiare in ciò
che lo è». Notò anche che in questo processo un fattore importante è «l’atteggiamento o
l’opinione del soggetto in relazione a una particolare storia»115.
Quanto alle inferenze elaborative, esse «si verificano quando il lettore usa la propria
conoscenza sul tema in discussione per inserire dettagli aggiuntivi non menzionati nel testo, o
per stabilire connessioni tra ciò che sta leggendo ed elementi di conoscenza ad esso
relativi»116. In questo si distinguono dalla inferenze di cui abbiamo parlato finora, necessarie a
stabilire la coerenza del testo e dette perciò “inferenze-ponte” (bridging inferences)117. Non
necessarie immediatamente alla comprensione, le inferenze elaborative possono essere molto
utili per capire ciò che un testo implica e collegarlo alle conoscenze preesistenti. Ma
contemporaneamente possono introdurre distorsioni nella comprensione. «L’elaborazione
può anche distorcere un testo. La sorgente dell’elaborazione è un qualche schema di
conoscenza che viene usato per interpretare il testo, e se c’è una discrepanza tra lo schema e
il testo, è possibile che il testo venga adattato per conformarlo meglio allo schema»118.
Un esempio è fornito dai protocolli “IRRSAE Lumbelli” sulla lettera al direttore Ma
chi deve fermare le stragi della notte? già citata. L’autore della lettera, dopo aver confutato
la tesi di coloro che chiedono il divieto delle bevande alcoliche e l’anticipo dell’orario di
chiusura delle discoteche, sostiene che il vero rimedio sarebbe mandare la polizia sulle strade
a far rispettare i limiti di velocità e l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza. La questione
è affrontata in termini di provvedimenti legislativi o amministrativi, e non compare nessun
giudizio morale (educazione, responsabilità di chi guida). Eppure alcuni dei nostri soggetti
“leggono” nel testo giudizi del genere fino dai primi due paragrafi119:
25. I.: Allora, chi scrive l’articolo dove vuole arrivare quando dice che gli risulta che i giovani
bevono assai pochi superalcolici?
26. A.: Che forse è anche un po’ colpa loro.
27. I.: Colpa loro.
28. A.: Dei ragazzi, che ritornando a casa, per arrivare presto a casa, vanno veloci con la
macchina e possono verificarsi delle stragi.
L’allieva attribuisce all’autore le proprie opinioni, o forse quelle che si aspetta che lui debba
esprimere: possibile che un testo che mi fanno leggere a scuola, riguardante i giovani, non
contenga una predica morale?
115
Bartlett 1932, pp. 139, 141.
van Dijk, Kintsch, 1983 p. 51 (traduzione mia).
117
La distinzione è posta in questi termini da Garnham 1989.
118
van Dijk, Kintsch, 1983 p. 52 (traduzione mia).
119
Esempio già commentato in Colombo 1996.
116
66
Un esempio complessivo
Le incomprensioni dovute a interferenze delle aspettative del lettore riguardano più
spesso il senso complessivo di un testo che non il senso di singoli passaggi. Per questo non
sono facilmente rilevate col metodo del colloquio centrato sul lettore che pensa ad alta voce,
che mette a fuoco i processi che avvengono “in linea” durante la lettura, frase dopo frase;
può essere più appropriato allo scopo il porre domande sull’insieme del testo, a lettura
conclusa, che mirino ad aspetti essenziali del modello complessivo del significato del testo
che è rimasto nella mente del lettore.
Osservazioni di un certo interesse sono scaturite da uno studio compiuto nel 1986-87
dal gruppo GISCEL bolognese120. Nel 1986 una commissione nominata dall’allora ministra
della Pubblica istruzione Falcucci per la riforma dei programmi del biennio avanzò una
proposta che prevedeva di sostituire un programma di storia contemporanea a quello
tradizionale di storia antica. Su «La repubblica» del 12.11.1986 apparve un articolo
vivacemente critico di Beniamino Placido, sotto il titolo Le mummie non danno lavoro...,
preceduto dall’occhiello Cancellato dal ministro della Pubblica Istruzione l’insegnamento
della storia antica nel biennio delle medie superiori. L’occhiello, in sintonia del resto con
l’articolo, conteneva una grossolana semplificazione che scambiava una proposta allo studio
per una norma decretata, ma il punto non ci interessa qui. Riporto le parti dell’articolo
pertinenti alle domande che commenterò.
Dunque, che cosa è accaduto alla Falcucci? semplice: è stata raggiunta e sopraffatta dal ‘68.
Ma come: proprio lei, Franca Falcucci, ministro della Pubblica Istruzione, che ha sempre
detestato tutto ciò che sa di ‘68 e di sessantottismo? Ma certo: proprio lei.
[...]
Purtroppo non si è fatta affascinare dall’interessante ‘68 delle grandi contestazioni, ma dal ‘68
sbagliato delle rivendicazioni assurde: prima fra tutte, la “rilevanza”.
Perché dovrei studiare le faccende di Giulio Cesare, protestavano gli studenti in quell’anno, in
quegli anni? Sono forse “rilevanti” rispetto a quello che è accaduto ieri a Sesto San Giovanni,
rispetto a quello che accade oggi nel Vietnam?
Così la Falcucci: perché gli studenti del futuro, in un liceo riformato, dovrebbero studiare la
storia antica? è forse rilevante per il mondo del lavoro attuale? ed ecco che cancella - con
Decreto Presidenziale - l’insegnamento della Storia antica nel biennio delle medie superiori.
L’articolo proseguiva sostenendo, con una serrata argomentazione, la rilevanza culturale e
politica della conoscenza della storia antica, e concludeva sottolineando la necessità di
riprendere questa vecchia polemica sessantottesca nei confronti di Falcucci.
A tre classi di biennio sottoponemmo l’articolo, seguito da domande che intendevano
mettere a fuoco tre possibili “mete testuali”: la notizia commentata, il bersaglio della
polemica, la tesi sostenuta:
1. Qual è la notizia riportata nell’articolo?
2. Chi viene preso di mira nell’articolo?
3. Qual è la tesi fondamentale del giornalista?
(una quarta domanda, che qui trascuro, chiedeva di riportare gli argomenti portati a sostegno
della tesi).
Su queste tre domande, 26 risposte (su un totale di 64 studenti) furono giudicate errate.
Dieci di queste si potevano ricondurre a interferenza delle aspettative; ne riporto alcune,
precedute dal numero della domanda relativa.
1 “Gli studenti chiedono alla Falcucci di abolire la storia”
2 “Gli studenti che protestano per dover studiare le faccende di Giulio Cesare”
3 “Vuole mettere in risalto il bisogno che gli studenti hanno di conoscere il mondo intorno a sé
120
Colombo 1987.
67
e non ciò che è successo nel passato”.
In queste risposte mi pare evidente un processo di razionalizzazione condizionata dagli
interessi del lettore. Il fatto sorprendente, non previsto dagli schemi mentali degli studenti, è
che un ministro della Pubblica istruzione possa condividere l’antipatia che essi
evidentemente provano per lo studio della storia; la dissonanza viene eliminata sostituendo sé
stessi al ministro nel ruolo di avversari della materia. C’è un altro fattore, che sarei incline a
considerare conseguenza, più che causa, del primo: gli studenti si identificano con quelli del
‘68, ignorando la distanza temporale ben evidenziata nel testo; sanno probabilmente ben
poco di quell’anno precedente la loro data di nascita, e compiono una forzata attualizzazione,
una sostituzione dello scenario temporale, in modo che ciò che nel testo è un termine di
paragone storico possa diventare l’argomento centrale.
Con questo ho toccato un secondo aspetto essenziale della incomprensione: la
gerarchizzazione delle informazioni. Nell’articolo il riferimento agli studenti del ‘68, per
quanto enfatizzato, occupa un livello gerarchico relativamente basso: è introdotto come
termine di paragone ironico degli atteggiamenti del ministro, allo scopo di svalutarne la
figura e quindi l’iniziativa, con un argomento “ad hominem” che solo indirettamente
avvalora la tesi centrale: la rilevanza dello studio della storia. Nelle risposte riportate
l’informazione relativa agli studenti viene invece sollevata a tema, a bersaglio o a tesi,
comunque al vertice della gerarchia. Sembra confermata un’osservazione di Scardamalia e
Bereiter, secondo cui una strategia del lettore inesperto consisterebbe, una volta identificato
l’argomento generale del testo, nel connettere direttamente a questo le informazioni
particolari a una a una, senza gerarchizzarle, ma confrontandole immediatamente con le
proprie conoscenze: «La comprensione nei lettori immaturi mostra segni di essere per lo più
un processo che avviene in un solo passo, in cui i dettagli vengono confrontati una volta per
tutte con la conoscenza preesistente e valutati come importanti o non importanti, veri o falsi,
al momento del primo incontro»121.
La mancata considerazione degli scopi di ogni affermazione (“perché lo dice?”),
nonché dei soggetti di enunciazione (“chi lo dice?”), appare poi in queste altre risposte alla
domanda 3 sulla tesi centrale dell’articolo:
“Vuole dare una giustificazione all’abolizione della storia”
“Ha fatto bene il ministro dell Pubblica Istruzione a cancellare la storia antica dai programmi”.
Qui il giudizio del ministro sulla storia viene correttamente riconosciuto come oggetto
dell’argomentazione, solo che la tesi è esattamente rovesciata. Si può pensare che gli autori
di queste risposte si siano basati sul quarto e quinto capoverso del testo, dove le opinioni
contrarie alla rilevanza della storia antica sono riportate in forma incisiva; non hanno però
riconosciuto la presenza di un soggetto di enunciazione diverso dall’autore (pure
esplicitamente nominato: «protestavano gli studenti in quell’anno»), che attribuisce a tali
opinioni il ruolo di contro-tesi, e non le hanno integrate col testo seguente che le confuta.
L’ultimo errore che intendo commentare presenta una variante interessante,
riconducibile a un’inferenza elaborativa. Alla domanda sulla tesi sostenuta uno studente
risponde:
“Dice che resterà tutto come ora”.
Il processo soggiacente a questa interpretazione si può spiegare così: lo studente ha capito
che lo studio della storia antica è stato abolito; non potendo sapere che questa è una
grossolana semplificazione della realtà, deve inserire l’informazione nella sua conoscenza
del mondo, e l’esperienza gli dice che lui deve continuare a studiare la storia antica. Ne
conclude che il senso dell’articolo deve essere che il decreto ministeriale di cui si parla non
121
Scardamalia, Bereiter 1984, p. 388 (traduzione mia).
68
ha alcuna incidenza sulla realtà. Per chi conosce la storia dei rapporti fra programmi ufficiali
e pratica didattica, l’ipotesi non è affatto peregrina; soltanto, non c’è motivo di attribuirla a
questo testo.
L’episodio è istruttivo sul ruolo e sui limiti delle inferenze elaborative. Lo studente ha
connesso le informazioni del testo alla propria esperienza, che è sempre il modo migliore per
assimilare il contenuto di un testo. Ma non ha stabilito un limite tra le proprie elaborazioni e
le affermazioni che si possono sensatamente attribuire al testo. Avrebbe tutto il diritto di
affermare: “Da queste notizie e discussioni concludo che tutto resterà come prima”; sbaglia
nel momento in cui scrive: “(L’autore) dice che tutto resterà come prima”.
Che fare?
I problemi sollevati in questo paragrafo e nel precedente sono troppo complessi e
centrali nel processo di comprensione per poter sperare di affrontarli essenzialmente con
esercitazioni specifiche. L’attenzione alla gerarchia informativa, agli scopi, alla distinzione
fra contenuto del testo e attese del lettore dovrebbe pervadere ogni momento della didattica,
sollecitando a fare le domande e le osservazioni opportune. Qui mi limiterò a un paio di
avvertenze negative e a segnalare un tipo di esercitazione che può contribuire alla fedeltà
dell’interpretazione al testo.
Prima avvertenza. L’uso dei questionari di comprensione tende a portare l’attenzione
più sui singoli particolari che sul senso complessivo dei testi letti. Per ottenere un numero
sufficiente di domande (specie se a risposta chiusa) è quasi inevitabile concentrarle sui
particolari (il questionario riportato sopra è tra l’altro un tentativo di sfuggire a questo
rischio). Scardamalia e Bereiter si domandano: «E’ possibile che ci siano condizioni
scolastiche che favoriscono la persistenza di strategie di comprensione immature?», e
rispondono: «Un candidato probabile è la diffusa pratica scolastica di domanda-e-risposta
come pratica didattica per controllare ed esercitare l’apprendimento da testi. Mentre una
strategia di lettura che porta a una rappresentazione del testo fatta di argomento più dettagli
non può essere un modo efficace per acquisire autonomamente conoscenze sul mondo, può
essere un modo efficace di prepararsi ai test e alle lezioni a scuola»122.
Seconda avvertenza. Nei libri di lettura per la scuola dell’obbligo è abbastanza diffuso
l’uso di porre, su testi di tipo letterario, domande che invitano a manifestare le proprie
reazioni soggettive al testo, ad associarlo a esperienze personali e così via. Questo è
indubbiamente un modo di fruizione da incoraggiare; ma bisognerebbe distinguere
accuratamente le domande di questo genere da quelle di comprensione, per non autorizzare
la sostituzione delle proprie elaborazioni ai significati testuali. Spesso invece domande
dell’uno e dell’altro tipo sono proposte in una stessa lista, come se le operazioni che
chiedono al lettore fossero sostanzialmente le stesse.
L’attività didattica che intendo suggerire è un’invenzione di Graziella Pozzo, da lei
denominata “vero/falso perché”. Su un brano vengono poste domande del tipo “vero/falso”,
che però in questo caso significano “detto / non detto nel testo”; in più, allo studente viene
richiesto, in forma di domanda aperta, di motivare ciascuna risposta, cosa che si può
evidentemente fare solo ripercorrendo la lettera del testo e correggendo le modificazioni
elaborative che si possono essere introdotte nella memoria. La pratica è poi resa più attiva
attraverso un lavoro a coppie: un allievo motiva oralmente la propria scelta, l’altro ha il
compito di registrare per iscritto la motivazione, nonché di chiedere spiegazioni quando
questa non gli pare chiara. A ogni domanda, i due ruoli si invertono.
L’autrice motiva l’interesse della procedura in questi punti123:
122
Ibid., p. 404 (traduzione mia).
Cito da un foglio di lavoro usato in un corso di formazione in servizio tenuto a Palermo nel 1996. Ringrazio
Graziella Pozzo per aver consentito la riproduzione.
123
69
 la situazione interattiva motiva l’allievo a produrre ragionamenti in quanto c’è un
destinatario reale;
 la ricerca del ‘Perché’ richiede che l’allievo rilegga il testo in maniera più profonda;
 gli appunti presi dal compagno possono costituire un documento utile per l’insegnante che
voglia indagare sulla natura delle difficoltà degli allievi più deboli.
Appendice
“Vero/falso perché”
Testo
Allo stadio come in ufficio: tutti pronti al contropiede
Qual è il motivo per cui decine di milioni di spettatori sono rimasti attaccati al televisore durante le
partite del Mondiale? E perché ogni settimana, la domenica, si ripete, in misura più modesta, questa
stessa partecipazione? che cosa dà il calcio a coloro che lo guardano, che cosa offre loro, in che modo
li arricchisce?
Alcuni sostengono che non dà nulla, e contrappongono lo sport praticato allo sport spettacolo, che
sarebbe solo un gioco di emozioni, una ebbrezza fantastica, uno sfogo di istinti. Una specie di
orgasmo collettivo, in cui tutti scaricano le frustrazioni e i livori della vita quotidiana. Questi
pessimisti non ci vedono niente di positivo, ma solo una prova dell’irrazionalità umana.
I sociologi e gli psicologi sono invece più ottimisti, e sostengono la tesi che l’individuo ha bisogno,
periodicamente, di dimenticare la propria identità, di fondersi con la collettività. Nello stadio tutti sono
uguali. L’avvocato il medico, l’operaio e il suo direttore, il giudice e la casalinga, i ricchi e i poveri
dimenticano chi sono e provano una straordinaria ebbrezza di libertà. Si scatenano in eccessi, gridano,
si abbracciano, si fondono insieme a costituire un nuovo potente organismo sovraindividuale. Poi, a
casa, ciascuno torna a se stesso, alla vita di tutti i giorni.
In realtà la partita di calcio non è soltanto quella zona franca in cui milioni di individui vanno per
dimenticare le regole di comportamento della vita quotidiana, ma è anche una fonte di insegnamento
di valori e di moralità che poi servono proprio nell’esistenza normale.
Ripensiamo a una partita. I giocatori partono per un’azione, tessono pazientemente una trama
superando innumerevoli ostacoli. Superano una barriera, una seconda barriera, poi l’azione fallisce.
Devono ricominciare da capo e poi da capo ancora. Senza mai dimenticare la meta, senza mai lasciar
cadere la tensione, senza mai lasciarsi abbattere dall’insuccesso.
E’ esattamente quello che la vita richiede a ogni individuo. Qualunque meta noi ci poniamo, a
cominciare dall’essere promossi a scuola, dobbiamo compiere un numero enorme di azioni coordinate:
imparare un teorema, una poesia, superare una interrogazione, poi un’altra ancora, poi un compito in
classe, e così via, ricominciando daccapo ogni volta perché nessun risultato è definitivo. Non ci si può
mai fermare, riposare, distrarre.
La partita è una metafora della vita. O ne è una sintesi emblematica, esemplare.
Nella partita, quando hai successo, quando hai fatto un gol, corri il pericolo di fermarti soddisfatto,
di rilassarti. E invece quello è il momento del massimo pericolo, perché l’altro scatena la
controffensiva. Molti individui vengono sconfitti e molte imprese falliscono perché, dopo aver avuto
un buon risultato, credono di essere diventate invulnerabili e non ricordano che i concorrenti hanno già
studiato le loro mosse, hanno imparato da loro.
Un’altra norma morale che la partita insegna è che ti devi spendere, ci devi mettere passione e, nello
stesso tempo, devi avere un enorme autocontrollo. Hai sempre addosso un avversario, un marcatore.
Ma non puoi dargli un calcio, una gomitata, perché l’arbitro ti squalifica. E l’arbitro è inappellabile.
Come il professore che ti fa l’esame, come il dirigente che ti rimprovera. E può avere torto marcio, ma
non puoi gridare, non puoi insultarlo. Devi stringere i denti, accettare l’ingiustizia e correre avanti
ancora. L’eroe deve essere imperturbabile.
Nella partita, come nella vita, nessuno di noi è, in realtà, un giocatore isolato. Tutti abbiamo bisogno
del passaggio giusto. Nella partita il grande campione è un generoso, prepara l’azione per gli altri, li
porta alla vittoria.
Tutti questi valori, queste regole morali, noi le apprendiamo e riapprendiamo guardando una partita,
70
le facciamo nostre, le portiamo nella nostra azione quotidiana. Sono un esempio, un modello ideale,
che ci sostiene, ci guida nel difficile mestiere di vivere.
(Francesco Alberoni, «Corriere della Sera», 9.7.1990)
Consegna:
Il lavoro si svolge a coppie. Il primo studente deve indicare per la prima delle affermazioni seguenti se
è vera o falsa secondo l’autore del testo; poi deve motivare a voce la sua risposta. Il secondo studente
deve trascrivere la motivazione, chiedendo chiarimenti se lo ritiene necessario. Sulla seconda
affermazione le parti si scambiano: il secondo studente risponde il primo trascrive. Si continua con
questa alternanza di ruoli fino alla fine.
1. Lo sport come spettacolo è solo un modo di sfogare emozioni e istinti.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
2. Alcuni sostengono che nello stadio si dimenticano le differenze sociali.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
3. Come nella vita, nella partita ogni azione mira a raggiungere un obiettivo.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
4. Nella vita, quando hai raggiunto una meta, puoi finalmente rilassarti.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
5. Nella vita, devi dare tutto te stesso, rispettandole regole.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
6. La partita non insegna ad avere autocontrollo.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
7. Il campione non ha mai bisogno degli altri.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
8. I valori contenuti in una partita si rispecchiano nelle azioni quotidiane.
V
perché ________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
F
71
5.6. Tipi e generi testuali
Questioni di tipologia testuale
Nei paragrafi precedenti ho fatto riferimento a testi sia narrativi, sia non narrativi, e ho
notato in qualche caso la presenza di elementi e problemi di comprensione comuni. Con
questo non vorrei che restasse in ombra la rilevanza della diversificazione tipologica dei testi;
come scrive Bice Mortara Garavelli, «è solo all’interno di generi e tipi che si possono
ipotizzare ragionevolmente condizioni di coerenza»124.
L’importanza di queste differenze per il processo di comprensione è stata notata da van
Dijk e Kintsh, che parlano a questo proposito di “superstrutture” sovraimposte alla
“macrostruttura” che rappresenta il significato del testo, la quale è in parte condizionata da
esse. «Un’ipotesi diretta sarebbe che in certe circostanze le superstrutture possano facilitare
la comprensione, l’immagazzinamento in memoria e il recupero del discorso»; «Dato che
princìpi generali, regole o strategie, categorie e unità sono apprese dagli utenti della lingua
per ciascuna lingua e cultura, questi schemi di organizzazione diventano preprogrammati, per
così dire, il che facilita anche la comprensione»125. In altri termini, il lettore esperto si aspetta
certe strutture di coerenza da una narrazione, da un’esposizione o da un’argomentazione, e
queste attese regolano e facilitano (dall’alto in basso) il suo processo di comprensione.
Narrazione, descrizione, esposizione, argomentazione, istruzioni (in testi come
consegne di esercizi, istruzioni per l’uso, ricette) sono tipi testuali; dai tipi vanno distinti i
generi testuali, che includono categorie più specifiche come la predica, la lettera
commerciale, l’articolo di cronaca, il trattato e simili, nonché quelli che chiamiamo appunto
“generi letterari”. I generi sono spesso definiti come sottoclassi dei tipi: la predica si
ricondurrebbe al tipo argomentativo, l’articolo di cronaca a quello narrativo, il trattato a
quello espositivo e così via. Io non credo che questo approccio sia del tutto corretto. In primo
luogo è diversa la natura delle categorie: i tipi sono definiti con un procedimento a priori, in
base alle relazioni concettuali prevalenti all’interno di un brano (temporali nel tipo narrativo,
spaziali nel tipo descrittivo, concettuali nel tipo espositivo), o alle relazioni pragmatiche tra
emittente e destinatari (scopi dell’autore, risposte attese dai destinatari, che definiscono i tipi
argomentativo e istruttivo); i generi sono definiti invece empiricamente, in base alla presenza
di certe tradizioni testuali nell’ambito di specifiche culture. In secondo luogo, non è detto che
tutto ciò che si incontra in un dato genere testuale si possa ricondurre a un unico tipo: la
ricetta è un testo regolativo, ma ha anche un andamento narrativo; per fare un esempio più
complesso, in un trattato o manuale di storia si intrecciano tipicamente elementi narrativi,
espositivi, argomentativi126.
Non intendo dire che queste sottili distinzioni debbano diventare oggetto diretto di
insegnamento. Credo però che dovrebbero essere presenti alla consapevolezza di insegnanti e
autori di libri di testo: i manuali di educazione linguistica mostrano a volte un certo
schematismo, come se ciascun testo potesse essere inequivocabilmente assegnato a questa o
quella categoria; questo può valere (quasi sempre) per i generi, non per i tipi, che ten dono a
caratterizzare parti di testi più che testi interi, e presentano anche in sé non poche sfumature
e casi intermedi. Non essere preparati a queste complicazioni può ingenerare in insegnanti e
studenti un senso di frustrazione di fronte a un testo che non si lascia incasellare in schemi
troppo rigidi.
124
Mortara Garavelli 1983, p. 93.
Van Dijk, Kintsch 1983, p. 236.
126
Ho argomentato queste distinzioni in Colombo 1992.
125
72
La narrazione e il resto
Gran parte dei testi che si leggono a scuola hanno carattere narrativo (narrativa
letteraria) o prevalentemente espositivo, (manuali). L’attenzione didattica, quando si parla di
lettura, tende a concentrarsi sui primi, come accennavo all’inizio di questo libro, lasciando in
secondo piano la comprensione dei manuali. Ma non si tratta solo dell’insegnamento; anche
la ricerca sulla comprensione si è dedicata in larghissima misura ai testi narrativi, per un
insieme di ragioni: la maggiore limpidezza della loro organizzazione strutturale, spesso
convenzionalizzata, il prestigio della narratologia letteraria, la rilevanza antropologica di
molte narrazioni (miti, favole)127.
Queste stesse ragioni rendono più facile, in linea generale, la comprensione di un testo
narrativo. In primo luogo, per afferrarne la struttura basta ricostruire una successione
temporale (dunque lineare) di eventi e capirne le motivazioni; l’unica difficoltà, da questo
punto di vista, può essere data da un intreccio elaborato rispetto alla trama (o “fabula”), con
movimenti indietro e avanti nel tempo; ma non è necessario ricostruire uno schema
multidimensionale dei concetti, come accade per i testi espositivi e argomentativi. In secondo
luogo la narrazione è radicata profondamente nell’esperienza individuale e sociale: tutti ci
siamo familiarizzati con le storie fin dalla prima infanzia, prima ancora di imparare a
leggere, e non a caso le più antiche teorie sull’uomo e sul mondo hanno assunto la forma
narrativa del mito. Una conferma della maggiore facilità e naturalezza della narrazione può
venire anche dalla produzione scritta: è esperienza comune che i ragazzi tendono a dare ai
loro testi un andamento narrativo, anche quando la richiesta è di descrivere o esporre 128.
Esposizione e argomentazione
L’esposizione e l’argomentazione sono prodotti culturali più sofisticati, meno naturali,
e caratterizzati da una maggiore complessità strutturale; questo le rende in generale più
difficili e pone l’esigenza di un’attenzione particolare nell’educazione alla lettura. Tanto più
se si considera l’importanza che ha comprendere testi espositivi nell’istruzione a ogni livello,
l’importanza che ha l’argomentazione nella vita sociale, il rilievo che hanno entrambe per la
maturazione cognitiva. E’ dunque opportuno che alcune strutture ricorrenti in questi tipi
testuali siano fatte oggetto di insegnamento esplicito (naturalmente induttivo, a partire
dall’analisi di testi). Con questo non vorrei però incoraggiare un insegnamento troppo
precoce, data la complessità di queste strutture; credo che il livello più opportuno possa
collocarsi tra la fine della scuola media e l’inizio della secondaria.
Alcune strutture tipiche dei testi espositivi sono elencate da Pontecorvo e Pontecorvo:
i) risposta: si articola in problema e soluzione [...]
ii) causazione: indica una relazione causale tra antecedente e conseguente;
iii) confronto: evidenzia differenze e somiglianze;
iv) collezione: mette insieme idee o eventi per ciò che hanno in comune;
v) descrizione: dà informazioni ulteriori su un tema129.
Nessun elenco è perfetto. In questo ad esempio non trovo la relazione di specificazione (dal
generale ai particolari), che mi pare presente in molti brani espositivi (a meno che non la
vogliamo ricondurre alla categoria della descrizione). Più che una critica, questa vuole essere
una messa in guardia contro un’applicazione rigida di qualsiasi schema; l’analisi delle
strutture testuali richiede flessibilità, discrezione, sensibilità alle caratteristiche specifiche di
127
Vedi Levorato 1988, pp. 27-28.
La maggiore facilità della narrazione è confermata dalla ricerca «E’ dimostrato che la comprensione delle
storie è in genere migliore rispetto alla comprensione di altri tipi di testo» (Levorato 1988, p. 198). Vedi anche
Cataldo 1998, p. 4, che cita uno studio di Stein e Trabasso del 1981.
129
Pontecorvo, Pontecorvo 1986, p. 258, che si rifanno a lavori di B. Meyer.
128
73
un testo concreto130.
Vari aspetti problematici della comprensione dei testi espositivi sono già stati affrontati
nel corso di questo libro (si vedano in particolare i paragrafi 5.2 e 5.3); ulteriori indicazioni
didattiche si troveranno nel paragrafo 7.1 sulla comprensione dei manuali.
Quanto ai testi argomentativi (o prevalentemente tali), molte proposte correnti si
basano sull’analisi delle strutture logiche (o per meglio dire quasi-logiche)
dell’argomentazione. E’ diffuso ad esempio uno schema derivato da Toulmin, che distingue
categorie come “dati”, “garanzia”, “fondamento”, “qualificatori modali” ecc. 131 Credo che
sia più utile un approccio che punti piuttosto su strutture propriamente testuali: un testo
argomentativo contiene molte cose oltre all’argomentazione in senso stretto (come bene
insegnava la retorica antica). Un tipo di analisi che ho proposto altrove si basa sul carattere
pragmatico di questi testi, prendendo in considerazione le “mosse” che l’autore conduce nei
confronti del lettore e dei contraddittori (ideali o esplicitamente menzionati). Un possibile
elenco delle mosse che mi pare di riscontrare più di frequente in questi testi comprende:
a) mosse di esordio: presentazione del tema in discussione, richiami all’occasione in cui la
discussione sorge;
b) mosse di delimitazione dell’oggetto di controversia, come quella di “sgomberare il
terreno” di discussione da aspetti che l’autore non considera pertinenti;
c) mosse direttamente argomentative, tra le quali:
- la presentazione di una tesi, sia questa la tesi generale del testo o una tesi subordinata;
- la presentazione di una contro-tesi;
- la presentazione di premesse (“verità” generali o fatti particolari su cui si dà per scontata
l’adesione dell’uditorio);
- l’enunciazione di argomenti a sostegno diretto o indiretto della tesi, a confutazione
diretta o indiretta della contro-tesi;
- la svalutazione dei contraddittori (argomento ad personam); il suo reciproco è
l’argomento di autorità (l’autore mette in campo la propria competenza sulla questione
o cita pareri autorevoli;
- la concessione parziale alle ragioni dell’avversario, seguita di solito da una limitazione
del valore del punto concesso;
- l’anticipazione di ragioni che possono essere o sono state addotte contro la propria tesi o
qualcuno degli argomenti: in essa si può distinguere la presentazione di un’obiezione e
la sua confutazione;
d) una perorazione finale che, senza aggiungere elementi argomentativi nuovi, ricapitola i
principali punti trattati e mira alla mozione degli affetti 132.
Ovviamente, in un testo o brano argomentativo si troveranno solo alcuni di questi
elementi, e potranno trovarsene altri, tra cui alcuni riconducibili al tipo narrativo (la narratio
della retorica antica) o a quello descrittivo; vale anche in questo caso l’invito a non assumere
rigidamente nessuno schema di analisi.
Un episodio che sembra confermare che una riflessione esplicita (anche se non rigida)
su queste categorie può essere utile per la comprensione sarà riportato nel paragrafo 7.2.
Altri tipi testuali
130
Un altro approccio è usato dal GISCEL Lombardia (1994, pp. 26-39) nella sua ricerca sui testi scientifici per
la scuola media. Due brani di fisica sono analizzati secondo gli «atti linguistici» compiuti dal testo, come
«Posizione di un problema», «Asserzione», «Esemplificazione», «Generalizzazione», «Definizione» ecc. La rete
dei loro rapporti è rappresentata con diagrammi. Il metodo mi pare promettente, anche se l’applicazione ai due
casi specifici non mi è del tutto chiara.
131
Vedi Toulmin 1958. Lo schema è sintetizzato e illustrato da Ferreri 1988, pp. 322 sgg.
132
Cfr. Colombo 1992, p. 491 sg.
74
Pochi cenni basteranno per altri due tipi testuali che si incontrano frequentemente nella
prassi didattica, il descrittivo e il regolativo.
La descrizione è la prova più lampante che i tipi testuali non sono classi di testi
concreti, ma modalità di strutturazione che possono occorrere in parti di testi: non si
incontrano quasi mai testi interamente descrittivi, ma sezioni descrittive in testi narrativi o
manualistici (descrizioni tecniche). La descrizione è caratterizzata dall’organizzazione
spaziale dei suoi elementi, di solito visivi. Le sue strutture possono essere definite in base
alle scelte di ordine di presentazione: visione d’insieme / particolari o viceversa, primo
piano / sfondo o viceversa, sinistra /destra o viceversa, e così via. Credo che la descrizione
abbia una sua validità didattica sul piano della produzione testuale, per le operazioni
cognitive che sollecita, mentre non conosco studi o esperienze significative sul piano della
lettura, o difficoltà di comprensione specifiche.
I testi regolativi (caratterizzati sul piano pragmatico dallo scopo di far fare qualcosa,
sul piano linguistico dall’esigenza di un linguaggio massimamente univoco) costituiscono
invece una classe abbastanza definita: testi normativi, istruzioni per l’uso, consegne di
esercizi. L’ultima categoria è ovviamente la più presente nel lavoro didattico, ed è spesso
fonte di problemi di comprensione: quante volte un esercizio non viene svolto correttamente
solo perché non si è letta bene la consegna? Qualche cenno su questo problema si troverà nel
paragrafo 7.3.
75
Capitolo 6. La verifica della comprensione
6.1. La validità delle prove
Il discorso condotto fin qui ruota intorno all'esigenza di accertare quanto e che cosa sia
stato capito di un testo o brano; ho però più volte sottolineato quanto questa verifica sia
difficile, sia sempre indiretta in quanto non può "vedere" direttamente il suo oggetto, che è
nella testa del lettore, e di conseguenza sempre approssimativa e parziale.
Queste considerazioni dovrebbero indurci a considerare con un certo distacco critico
tutte le prove di verifica della comprensione. Se per validità di una prova intendiamo,
secondo l'uso dei docimologi, che una prova valuti effettivamente quel che intende valutare,
possiamo dire che nessuna prova di comprensione può essere perfettamente valida. Ciascuna
può però avere una sua utilità parziale, ed essere a volte preziosa, in relazione a specifici
oggetti e scopi di valutazione.
Per oggetti, intendo la valutazione di determinate sottocompetenze di lettura; nei
capitoli precedenti ho cercato di mostrare come alcune prove si prestano particolarmente a
valutare la comprensione del lessico, altre della coesione, altre di vari aspetti della coerenza
testuale.
Per scopi, intendo il fatto che si voglia valutare il livello di un singolo ragazzo (i suoi
progressi, la sua posizione rispetto alla classe), o il livello medio di una classe, o svolgere
indagini più ampie sui livelli di una scuola, di una regione, di una nazione. Quando gli scopi
della rilevazione sono essenzialmente statistici, e condotti su campioni numerosi, ci si può
accontentare di strumenti poco raffinati: gli errori di valutazione su un singolo caso saranno
probabilmente neutralizzati nei grandi numeri. Quando si ha la pretesa di valutare un singolo,
le cautele non saranno mai abbastanza: i risultati di una prova andrebbero incrociati con
quelli di altre di tipo diverso ("triangolazione" delle prove) e confrontati coi dati raccolti
nell'osservazione quotidiana dei comportamenti.
Domande aperte o chiuse
Le prove possono essere classificate a seconda del carattere più o meno aperto delle
domande che pongono. Sono aperte le domande la cui risposta deve essere costruita e scritta
(o detta) dal soggetto valutato, sono chiuse quelle in cui il suo compito si limita a scegliere la
risposta giusta fra un certo numero di alternative predefinite.
Le prove aperte hanno un limite di validità nel fatto che per rispondere l'allievo deve
mettere in opera non solo la sua comprensione del testo, ma anche le sue competenze di
produzione linguistica: una risposta può essere scadente non perché l'allievo non abbia
capito, ma perché non ha saputo dire quel che ha capito; la distinzione tra i due fattori è
delicata, e diversi valutatori possono avere opinioni diverse in proposito, cosa che rende
ovviamente meno attendibile la valutazione.
Le prove a risposta chiusa eliminano questo problema alla radice: l'allievo deve solo
segnare crocette o numeri, e le competenze produttive non sono in gioco; inoltre è
predeterminata una sola risposta giusta, per cui non possono esserci divergenze di
interpretazione: il conto delle risposte giuste è meccanico e può anche essere affidato a un
computer. In questo senso tali prove si dicono "oggettive"; è bene comunque ricordare che
l'"oggettività" riguarda il computo dei risultati, non la validità della prova, che dipende
esclusivamente dalla qualità delle domande e delle risposte preconfezionate. Ma i due
vantaggi di eliminare la produzione e della "oggettività" si pagano con svantaggi su altri
piani, sui quali mi soffermerò a suo luogo.
Fra i due estremi della totale apertura o chiusura esistono casi intermedi: sono quelli in
76
cui l'allievo deve scrivere una risposta, ma esiste una sola risposta inequivocabilmente giusta,
con poche alternative di formulazione, o anche nessuna se si tratta di scegliere alcune parole
dal testo di partenza. Chiamo "semiaperte" le prove di questo tipo.
Verifiche o esercitazioni?
Tutte o quasi tutte le attività che ho presentato nelle appendici dei capitoli precedenti si
prestano a essere usate come prove di verifica; eppure le ho presentate innanzitutto come
esercitazioni miranti a sviluppare la competenza di comprensione. In realtà, ritengo che tra
prove di verifica e attività di sviluppo non esista un confine netto, almeno per quanto
riguarda la comprensione della lettura. Dipende dall'insegnante decidere a quale scopo vuole
usare un dato strumento in un dato momento. In ogni caso, anche quando lo strumento è
usato come prova di verifica, esso diventa anche attività di sviluppo nel momento in cui i
risultati vengono commentati e discussi con gli allievi, e gli si chiede di spiegare perché
hanno dato determinate risposte.
Queste considerazioni valgono meno per le classiche prove chiuse a scelta binaria
(vero/falso) o a scelta multipla: è raro che un allievo impari qualcosa nello svolgerle, e nella
discussione dei risultati difficilmente il suo interesse va al di là del sapere qual è la risposta
giusta ed entra nella sottile analisi del perché altre risposte sono sbagliate.
6.2. La costruzione delle prove: avvertenze generali
La costruzione di una prova di verifica della comprensione è una faccenda delicata, da
non prendere a cuor leggero. Proverò a descriverla in una serie di passi, avvertendo che,
come in ogni descrizione di processi, la successione non va intesa in modo rigido: possono
esserci ritorni indietro, ripensamenti, idee nuove che vengono nel corso del lavoro, proprio
come quando si scrive un testo.
Una volta che si sia deciso che cosa si vuole valutare (una specifica sottocompetenza, o
la comprensione in generale), si sceglie il brano da sottoporre a prova, e il tipo di prova: le
due cose vanno spesso insieme, perché non tutti i brani si prestano a tutte le attività. Il brano
dovrà essere ovviamente di un livello di difficoltà adeguato a coloro a cui è destinato, e
questa prima valutazione generale temo non possa essere che impressionistica e fondata
sull'esperienza. Esistono gli indici di leggibilità, che valutano in modo rigorosamente
quantitativo la facilità/difficoltà di un brano, fondandosi sui fattori della lunghezza media
delle parole e dei periodi, che si sono rivelati buoni predittori della difficoltà 133; questi indici
possono servire a scartare a priori un brano che riveli una bassa leggibilità in relazione all'età
degli allievi, ma non possono dire nulla sulle difficoltà specifiche dipendenti dal contenuto,
dalle strutture di coesione e coerenza, e così via.
Dopo questa valutazione generale, bisogna procedere a un'analisi delle difficoltà
specifiche, che potrebbe essere condotta in base alle categorie indicate nei capitoli 4 e 5; essa
servirà a individuare i punti, le questioni su cui si vuole mirare la prova. Se lo scopo è di
valutare la comprensione nel suo complesso, bisognerà fare attenzione a che i quesiti siano
ben distribuiti sui diversi livelli della comprensione: si sa che è troppo facile fare tante
domande di comprensione lessicale, e difficile farne che mettano in gioco i livelli superiori.
Se lo scopo, o uno degli scopi, è valutare il livello della coerenza complessiva, è necessario
che chi prepara la prova si costruisca uno schema dei punti principali e delle loro relazioni,
tenendo conto anche di eventuali varianti accettabili.
Deve poi essere particolarmente curata la chiarezza dei quesiti o delle consegne.
«Come hanno dimostrato molte ricerche - scrive Lucisano - le procedure di valutazione
133
Per l'italiano il più affidabile è probabilmente l'indice GULPEASE (vedi Lucisano, Piemontese 1988 e Lucisano
1992), che può essere ricavato con un programma informatico (disponibile al sito www.eulogos.net) ed è stato
tarato in relazione ai diversi livelli di scolarità.
77
mettono in luce che spesso gli studenti non hanno tanto difficoltà nel comprendere i testi
quanto piuttosto nel capire che cosa viene richiesto loro di fare col/sul testo» 134. Far capire
che cosa si vuole non è sempre facile, e un errore su questo piano comprometterebbe la
validità della prova. Due avvertenze possono limitare questo rischio. La prima: far svolgere la
prova, prima di sottoporla agli studenti, a qualcuno che non la ha preparata (studenti di altre
classi, colleghi); chi ha scritto sa quel che voleva dire, e può non accorgersi di imprecisioni o
ambiguità, che solo un occhio estraneo scopre. La seconda: non dare molta importanza
valutativa a un tipo di prova che viene svolto per la prima volta; l'ideale sarebbe far
precedere alla prova nuova lo svolgimento collettivo e guidato di un'altra dello stesso tipo,
anche se breve. In ogni caso lo studente ha il diritto di sapere chiaramente che cosa si vuole
da lui.
Infine, credo che non sia opportuno mescolare alla rinfusa troppi tipi di quesiti in una
stessa prova, come si vede in molte prove circolanti nelle scuole e agli esami di stato. Non
dico di escludere in assoluto che una stessa prova contenga quesiti a risposta chiusa e alcuni
a risposta aperta; ma bisognerebbe almeno che i diversi tipi appartenessero a parti diverse e
ben scandite della prova. Questo per due ragioni:
- non chiedere allo studente una continua ginnastica di adattamento a consegne diverse;
- mettere insieme i quesiti che hanno criteri di valutazione omogenei, separare quelli che li
richiedono diversi.
6.3. Una tipologia di prove
Nella scheda qui a fianco presento una lista di possibili prove di verifica della
comprensione, approssimativamente disposte in una scala che va dalle più chiuse alle più
aperte (restano fuori le esercitazioni/verifiche sulla rapidità di decifrazione presentate in
appendice al capitolo 2, che non riguardano direttamente la comprensione). Qui di seguito le
commenterò brevemente; il discorso sarà più analitico per i tipi che non ho presentato nei
capitoli precedenti.
Scelte multiple
Le domande a scelta multipla (seguite cioè da tre, quattro, cinque risposte, di cui una è
la giusta, le altre sono "distrattori") sono così diffuse come test di verifica della
comprensione da essere quasi identificate con essa. Di solito si parla poco dei limiti
intrinseci a queste prove; ne indicherò alcuni.
a) La comprensione può essere facilitata dalla presenza di una risposta corretta, che
costituisce un suggerimento, per quanto mascherato tra i distrattori; è insomma più facile
riconoscere una risposta che costruirla nella mente. Io me ne sono reso conto nel corso
della ricerca "IRRSAE Lumbelli": sul testo Stragi della notte si era verificata la difficoltà
di quasi tutti i soggetti a riconoscere la presenza di una contro-tesi, e dunque di "voci"
diverse, nei primi due capoversi (vedi il paragrafo 5.4). Costruii un test a scelta multipla,
in cui una domanda verteva su questo punto: con mia sorpresa, quasi tutti i ragazzi
risposero correttamente, sebbene i distrattori contenessero proprio i fraintendimenti che si
erano verificati nei colloqui. Evidentemente la presenza della risposta giusta risolveva il
problema che tanti non avevano risolto nella lettura.
134
Lucisano 1989, p. 33.
78
b) Viceversa, le domande e
le
risposte
preconfezionate
possono
1. Prove a risposta chiusa
aggiungere difficoltà a
- scelta multipla;
quelle del testo (lo
- scelta binaria (vero/falso, sì/no);
scrupolo della precisione
- cloze classico;
può
indurre
a
- cloze mirato con toppe;
formulazioni
un
po'
- ricomposizione di un testo scomposto;
complicate); in altri
- scaletta da ordinare.
termini, può accadere
che
l'allievo
sbagli
2. Prove a risposta "semiaperta"
perché
non
ha
capito
la
- questionario semiaperto;
domanda e/o le risposte,
- schema da completare.
invece che il testo135.
c) Le domande tendono
3. Prove a risposta aperta
inevitabilmente
a
- "vero/falso perché";
concentrarsi
sui
- questionario aperto a maglie strette "di percorso";
particolari del testo più
- questionario aperto a maglie larghe;
che sulla sua struttura
- colloquio;
complessiva: le domande
- riassunto (con/senza testo disponibile).
di
comprensione
complessiva
non
possono essere più di una o due, e spesso "bruciano" la possibilità di farne altre, perché
non si può tornare due volte sullo stesso punto; i test risultano quindi quasi sempre
sbilanciati sui livelli più bassi della comprensione (parole, frasi). Questo può avere
conseguenze negative sugli atteggiamenti di lettura, scoraggiando la ricerca delle relazioni
profonde di coerenza136.
Questi limiti devono indurre a considerare con molta cautela i risultati di un
questionario a scelta multipla come valutazione della comprensione di un singolo studente.
Certo anche questo può fornire indizi importanti (e ottenuti in tempi rapidi, questo è un
vantaggio), soprattutto nei casi estremi di successo completo o di insuccesso grave.
La rapidità di somministrazione e la facilità di quantificare i risultati rendono invece lo
strumento adatto alle ricerche di tipo statistico, su grandi campioni 137. Qui contano i risultati
medi, non singoli, e delle medie ci si può fidare. Esistono inoltre tecniche statistiche per
eliminare, dopo la somministrazione a campioni di prova, le domande o i distrattori che
diano risultati troppo devianti o poco discriminanti. Quando poi un test è stato
standardizzato, cioè se ne conoscono i risultati medi su grandi campioni, può diventare uno
strumento utile per farsi un'idea del livello di una classe o scuola rispetto agli standard
nazionali138.
Un'ultima avvertenza. Costruire un buon test di comprensione a scelta multipla è
un'operazione lunga e difficile. Esiste una serie di regole precise da rispettare per evitare
La verifica della comprensione. Lista di prove possibili
135
Il problema è segnalato anche da Cornoldi, Colpo, Gruppo MT 1981, p. 34 sg. Per limitarne gli effetti, le
prove MT per le prime classi elementari danno una parte delle risposte in forma di figure, invece che verbale (si
veda l'esempio riportato al paragrafo 3.1, p. XX).
136
Vedi in proposito le osservazioni del paragrafo 5.5. (p. XXX), con la citazione da Scardamalia, Bereiter 1984.
137
Anche Paoletti (1993, p. 68), dopo aver sostenuto la superiorità dei protocolli di colloquio come verifica della
comprensione da parte di un singolo, ammette l'utilità dei questionari «nel caso in cui si vogliano raccogliere
informazioni su un grande numero di soggetti in un periodo di tempo limitato».
138
O anche per confronti internazionali. Si vedano gli interessantissimi dati della ricerca internazionale IEA-SAL
in Lucisano (a cura di) 1994.
79
ambiguità, sovrapposizioni o incatenamenti fra domande (nel senso che la risposta a una sia
presupposto per rispondere a un'altra), chiavi estrinseche di soluzione (espressioni come
"mai", "sempre", "tutto", "niente" e simili segnalano quasi sempre risposte sbagliate; la
risposta giusta tende a essere più lunga delle altre, ecc.)139.
Mi è capitato a volte di vedere violate queste regole anche in test costruiti da équipe
specializzate. Questo sconsiglia di costruire queste prove individualmente, in casa 140; se si
ritiene opportuno usarne, è meglio scegliere tra quelle già confezionate e tarate da specialisti.
Scelte binarie
Gran parte di queste osservazioni valgono anche per i quesiti "vero/falso" o "sì/no". C'è
da aggiungere che in questo caso non si deve dimenticare che c'è una probabilità del 50% di
imbroccare la risposta, quindi chi rispondesse a caso darebbe mediamente una metà di
risposte corrette. Due conseguenze:
- questi quesiti hanno senso solo se sono abbastanza numerosi (diciamo almeno una decina);
- se in una prova si alternano scelte binarie e scelte multiple, i punteggi devono tenerne
conto: se si dà un punto a ogni scelta binaria corretta, a ciascuna scelta multipla bisogna
attribuire un punteggio pari al numero delle alternative meno uno141.
Un uso della scelta binaria che mi pare sensato è quello in cui si chiede se una serie di
affermazioni sono o non sono ricavabili dal testo: serve a richiamare l'attenzione sulla
distinzione tra ciò che il testo dice o esige di inferire e le aspettative e inferenze elaborative
del lettore (vedi il paragrafo 5.5); se ne troverà un esempio nell'appendice a questo paragrafo
(esercizio 2). Un'estensione di questa attività è il "vero/falso perché" (cfr. l'appendice allo
stesso paragrafo 5.5.): ma con questo si esce dal campo delle risposte chiuse.
Cloze
Sul cloze ("classico" o "mirato") ho cercato di dare le informazioni essenziali nella
scheda di p. 40. Aggiungo qui, dal punto di vista della valutazione, che il cloze classico, in
cui non sono fornite alternative tra le quali scegliere la parola da reintegrare, è a risposta
chiusa fino a un certo punto: esiste come chiave di soluzione la parola che compare nel testo
originario, ma non si possono considerare senz'altro sbagliate le scelte di sinonimi, o che
comunque rendono un significato accettabile; questo introduce un elemento discrezionale
nella valutazione delle risposte, che si può trascurare in sede di esercitazione, ma può
diventare rilevante se si aspira a risultati "oggettivi".
Ho già indicato gli usi a cui il cloze mi pare più adatto: verifica dell'acquisizione di un
lessico specialistico (appendice al paragrafo 4.1), sensibilizzazione alle relazioni sintattiche
(appendice al paragrafo 4.3). Nell'appendice a questo paragrafo si troverà un altro esempio di
cloze classico (esercizio 3) e uno di un altro tipo di cloze mirato, che punta a verificare la
comprensione dei connettori sintattici e coesivi (esercizio 4).
Ricomposizione di un testo, scaletta da ordinare
A differenza delle altre prove a risposta chiusa, queste hanno per oggetto l'insieme del
139
Queste istruzioni sono indicate analiticamente da Lucisano 1989, pp. 88-96. Una buona sintesi si può leggere
ora in Ferreri (a cura di) 2002, p. 204 sg., dove si elencano i criteri seguiti per la stesura delle prove d’ingresso e
d’uscita della sperimentazione presentata.
140
Vedi ancora Lucisano: «la costruzione di prove di questo tipo non può essere una impresa di tipo individuale»
(ibid., p. 78).
141
Ho imparato questo criterio da Gattullo 1968, p. 269; nello stesso libro (p. 274) è suggerito un metodo per
trattare diversamente le risposte sbagliate (-1 punto) e le astensioni (0 punti), che trovo interessante, ma che
viene applicato raramente.
80
testo, non singoli aspetti o espressioni: verificano e stimolano la comprensione della coesione
e della coerenza. Questo vantaggio si ottiene al prezzo di un maggior tempo di esecuzione,
per cui collocare una prova di questo tipo accanto ad altre creerebbe qualche problema. Forse
per questo non ho notizia che siano usate come prove di verifica, mentre ho pochi dubbi sul
loro valore come esercitazioni.
Della ricomposizione di un testo ho dato un esempio nell'appendice al paragrafo 4.4;
della scaletta da ordinare si trova un esempio nell'appendice a questo paragrafo (esercizio 5).
Prove a risposta "semiaperta"
I due tipi di prova che ho classificato sotto questo titolo puntano alla comprensione
delle relazioni di coerenza del testo, cercando di isolarne alcuni momenti significativi.
Chiamo questionario "semiaperto" quello in cui si chiede di localizzare nel testo
informazioni date, naturalmente riproposte con altre parole (parafrasate o riassunte); le
domande sono dunque del tipo "In quale punto del testo si parla di X?", e le risposte possono
consistere nella semplice ripetizione di alcune parole del testo.
E' di questo tipo una delle esercitazioni che ho proposto per incrementare la fluidità di
decifrazione (vedi l'appendice al paragrafo 2.3, esercizio n. 3). Naturalmente in quel caso la
domanda è molto semplice, dato che quel che conta è la rapidità di esecuzione. Se proposto
in forma più articolata, con una serie di domande, l'esercizio mi pare possa fornire un buon
indice della comprensione del testo: non attiva la costruzione di un modello della coerenza
complessiva, ma ne attiva il primo passo, che consiste nel costruirsi una sintesi tematica
pezzo per pezzo. Nell'appendice a questo paragrafo si troverà un esempio (esercizio 6).
Si può considerare "semiaperta" anche la richiesta di completare uno schema che
presenta alcune relazioni strutturali fra i temi del testo; in questo caso è già compiuto il
primo passo nella costruzione di un modello della coerenza, mentre si chiede di compiere in
parte il secondo. Un esempio è stato fornito nell'appendice al paragrafo 5.2 (esercizio 2), un
altro si troverà in appendice a questo paragrafo (esercizio 7).
"Vero/falso perché"
Con questa attività (presentata in appendice al paragrafo 5.5) si entra nel campo delle
prove aperte: gli allievi devono dire, e a turno scrivere, la motivazione delle loro risposte. Il
fatto stesso che l'attività si svolga a coppie limita il suo valore come prova formale di
verifica, mentre credo che essa sia preziosa per stimolare una lettura attiva. Naturalmente, se
consideriamo la verifica non solo in senso fiscale, ma soprattutto come osservazione
continua, in tale senso questa attività può fornire indizi illuminanti: motivando il perché delle
loro risposte, gli allievi ci dicono qualcosa non solo sul risultato, ma sui processi di
comprensione e incomprensione.
Questionari aperti
I questionari aperti, quelli cioè in cui l'allievo deve scrivere una risposta, soffrono del
limite docimologico di tutte le prove aperte: le risposte rispecchiano non solo la
comprensione del testo, ma anche le abilità di scrittura dell'allievo. Sono in compenso spesso
lo strumento più efficace per indagare i livelli superiori della comprensione.
Il problema di una buona formulazione delle domande non è qui meno delicato che nel
caso dei questionari a scelta multipla; In sintesi, e come minimo, una buona domanda
dovrebbe:
- essere effettivamente aperta, non solo nel senso di escludere le formulazioni polari (a
risposta sì/no, o di forma "o... o..."), ma anche nel senso di impegnare chi risponde in
un'effettiva ricerca sul testo, in processi di pensiero non banali;
81
- essere chiara e precisa, cioè formulata in modo tale che faccia capire senza ambiguità che
cosa vuole chiedere, da avere in sé una gamma di risposte possibili;
- non essere suggestiva, cioè non far trapelare la risposta attesa; questo requisito può
facilmente entrare in conflitto col precedente: quanto più si cerca di precisare quel che si
chiede, tanto più si rischia di suggerire una risposta.
L'esperienza dimostra quanto sia difficile soddisfare insieme questi requisiti. Vale qui
più che mai il suggerimento che davo alla fine del paragrafo 6.2: sottoporre preliminarmente
il questionario a qualcuno (allievo o collega) che non abbia partecipato alla sua stesura, per
verificare la chiarezza delle domande ed eventualmente migliorarle.
Per la valutazione, bisognerebbe aver preparato modelli di risposta-tipo, liste di
elementi minimi che una risposta dovrebbe contenere, da confrontare con le risposte reali;
senza con questo respingere a priori elementi non previsti che si rivelassero pertinenti, perché
non dovremmo avere la presunzione di aver previsto tutto, o escludere che l'occhio di un
allievo possa scoprire qualcosa di interessante che non avevamo visto. Bisognerebbe poi, nei
limiti del possibile, separare il contenuto della risposta dalla sua formulazione più o meno
corretta ed efficace: stiamo cercando di valutare la comprensione, non la scrittura. Se riteniamo opportuno non mollare mai la presa sul controllo della scrittura (e ci sono buone
ragioni per farlo), dovremmo pensare a due valutazioni separate: comprensione del testo,
qualità della scrittura. Ho detto «nei limiti del possibile», perché mi rendo conto che a volte
una formulazione confusa impedisce di riconoscere che cosa effettivamente l'allievo ha
capito e voleva dire.
Un problema può essere la difficoltà di alcuni allievi a stare al tema della domanda, la
tendenza a interpretarla come se dicesse "dì tutto quel che sai a proposito di..." (come accade
tipicamente nelle interrogazioni). Un antidoto può essere fissare un limite alla lunghezza
delle risposte, predisponendo gli spazi o indicando un numero massimo di parole o di righe.
Trovo opportuno distinguere tra questionari "a maglie larghe" (poche domande sui
punti essenziali) e "a maglie strette" (domande più numerose, che entrano anche nei
particolari del testo). Il primo tipo mira a chiedere una sintesi del brano rubricata per voci,
una sorta di riassunto guidato, oltre che orientato dalle domande (ma ogni buon riassunto è
orientato in qualche modo). Un esempio del genere è quello riportato nel paragrafo 5.5.
Tra i questionari a maglie strette, trovo interessante quello che fu creato anni fa dai
colleghi dell'I.T.C. "Einaudi" di Piacenza, che lo definirono "questionario di percorso". Un
gruppo di insegnanti di Italiano e di Matematica (era uno dei primi esperimenti di
collaborazione interdisciplinare sui problemi della lettura) pensarono di verificare (ma più, di
esercitare) la comprensione di un libro di testo di matematica preparando su un capitolo un
questionario che seguiva passo passo l'andamento del testo esplicitando le azioni
comunicative compiute: richiamare conoscenze precedenti, introdurre un argomento,
definire, esemplificare ecc.; all'enunciazione di queste cose seguiva la richiesta di individuare
il passo relativo del testo e precisarne il contenuto. L'ipotesi era che una difficoltà di
comprensione sorga dal non chiedersi "che cosa sta facendo in questo punto il testo?", o
"perché dice questo?", nei termini che ho usato nel paragrafo 5.4.
Ho provato a costruire un esempio di questionario di percorso nell'appendice al
presente paragrafo (esercizio 8), nei limiti consentiti dalla brevità e semplicità del brano di
partenza.
Colloquio
Il colloquio in classe sul testo letto è la forma più diffusa di verifica della
comprensione. Se avviene in forma di conversazione collettiva, potrà essere una forma di
elaborazione cognitiva comune, di aiuto reciproco, ma non di verifica della comprensione,
82
che è individuale. Tra l'altro, si sa che in queste situazioni non tutti parlano, ed è probabile
che taccia proprio chi ha problemi di comprensione. Se il colloquio è nella forma
dell'interrogazione individuale, potrà servire a controllare che un testo sia stato
effettivamente letto, eventualmente a valutare le abilità espositive dell'allievo, ben poco a
valutare la comprensione. Infatti chi si sente interrogato non ha per primo scopo quello di
manifestare ciò che ha capito e non capito, ma di indovinare quale risposta si aspetta
l'insegnante e di nascondere le proprie eventuali carenze di comprensione. E' diversa
dall'interrogazione la richiesta di tenere una breve relazione orale di sintesi di quanto letto, a
scadenza prefissata142; in questo caso l'allievo non è condizionato da domande, l'interferenza
delle difficoltà di esposizione è ridotta perché ha avuto modo di prepararsi, e ciò che ha
capito ed eventualmente non capito può emergere meglio: in questo libro ho potuto citare un
caso in cui tale situazione ha rivelato un problema di comprensione (paragrafo 4.3), e sarebbe
bene che gli insegnanti prendessero l'abitudine di registrare e far circolare gli indizi di questo
tipo che certamente si manifestano durante il loro lavoro.
La forma di colloquio più affidabile per la verifica della comprensione e
incomprensione è sicuramente il colloquio centrato sul lettore che pensa ad alta voce così
come è stato definito da Lucia Lumbelli (vedi in proposito la scheda di p. 28), con la relativa
registrazione e trascrizione dei protocolli. Si tratta di un'attività molto dispendiosa in termini
di tempo e che richiede una preparazione apposita dell'insegnante; può quindi realizzarsi
come intervento mirato di aiuto in casi specifici, ma non è compatibile con l'ordinario lavoro
in classe. Per le situazioni comuni, un insegnante potrà però ricavarne alcune massime di
autocontrollo del proprio comportamento comunicativo: non sovrapporre le proprie
interpretazioni e spiegazioni a ciò che l'allievo dice, preferire alle domande le riformulazioni
"a specchio" come incoraggiamento a proseguire, tenere a freno insomma l'impulso a
invadere ogni spazio comunicativo che è così forte in noi insegnanti.
Riassunto
Anche il riassunto è una tecnica piuttosto imprecisa di verifica della comprensione:
diventa qui più che mai difficile separare quel che è dovuto alla comprensione da quel che è
dovuto alle abilità di rielaborazione ed esposizione. Con questo non escludo che anche il
riassunto possa offrire a volte spiragli preziosi su quel che è stato capito o non capito; ne ho
portato un esempio nel paragrafo 5.4.
Meno che mai vorrei sminuire il valore del riassunto come attività che integra diverse
competenze: lettura e comprensione, rielaborazione e sintesi, scrittura. Di questo genere
devono essere la maggior parte delle attività linguistiche a scuola, e credo sia da vedere con
favore la rivalutazione del riassunto che si è avuta negli ultimi quindici o venti anni (un
riassunto che si insegna a fare, naturalmente, e non che semplicemente "si fa fare"). Ho solo
qualche perplessità sulla sua estensione ai primi anni della scuola elementare: non so se la
complessità delle operazioni cognitive richieste, il senso stesso della coerenza testuale che è
presupposto, siano accessibili a bambini di sette-otto anni; e le attività troppo anticipate
possono bloccare la possibilità di comprenderle bene più tardi.
In conclusione, come scrive Benvenuto, «il riassunto scritto si presenta non più come
generico e poco attendibile strumento da utilizzare per la valutazione della comprensione
della lettura, ma come valido strumento che permette la valutazione di specifiche abilità che
intessono il riassumere: e la comprensione della lettura ne è solo una»143.
Una variante che si avvicina di più alla verifica della comprensione è il riassunto a
memoria, quello cioè in cui il testo viene letto e messo da parte prima di cominciare a
142
Questa attività è abbastanza diffusa nella forma di relazione su un libro letto; ho riportato alcuni dati raccolti
in proposito in un'indagine condotta nel 2000 dal GISCEL Emilia-Romagna nella nota 3 del cap. 1.
143
Benvenuto 1989, p. 217.
83
scrivere. In questo caso si osserva non tanto un'elaborazione cosciente di sintesi, ma la sintesi
mentale spontaneamente costruita durante la lettura. Ho citato un esempio nel paragrafo 4.4.
Appendice
Esempi della tipologia di prove
Per esemplificare la varietà tipologica delle prove di comprensione, ho provato ad applicarne un
gran numero a uno stesso brano, quasi per scommessa. Il brano è lo stesso usato per dare un esempio
di "mappa testuale" (paragrafo 5.2).
Gli esempi vanno presi come tali, e non come prove pronte da usare. Un primo limite che hanno
è che, per ragioni di spazio, il brano utilizzato è breve, e non offre materiale sufficiente per tutti i tipi
di prova: in situazione reale, ad esempio, raramente si userebbe una prova a scelta multipla di tre sole
domande. Un secondo è che non tutti i brani si prestano a tutte le prove, per cui alcune possono
risultare un po' sforzate, fatte per scommessa, appunto. Spero comunque che possano dare un'idea di
come si può lavorare per ricavare una prova da un brano.
BRANO
L'uomo del paleolitico
Durante centinaia di migliaia di anni, per sopravvivere, l'uomo si è comportato come tanti altri
animali, cioè è stato in primo luogo cacciatore e pescatore. Però l'uomo non possiede capacità rilevanti
rispetto ad altri animali che corrono più velocemente di lui, che possiedono zanne e artigli, che
possono produrre ferite mortali; di conseguenza, l'uomo ha dovuto ricorrere alla sua vera forza che è
quella dell'intelligenza.
I primitivi, infatti, che inizialmente si nutrivano in prevalenza di vegetali, radici, tuberi, bacche e
simili, devono aver compreso abbastanza presto che un palo appuntito, una pietra aguzza, sono
strumenti capaci di aumentare notevolmente la forza, specialmente contro gli animali più piccoli che,
per certi aspetti, sono anche più difficili da cacciare, perché sono veloci, possono nascondersi
facilmente e sottrarsi alla vista dell'uomo.
1. Questionario a scelta multipla
1. Di che cosa si nutrivano soprattutto gli uomini all'inizio della loro presenza sulla terra?
- di selvaggina e pesca;
- di prodotti selvatici della terra;
- di piccoli animali catturati;
- di insetti.
2. In che modo l'uomo ha dimostrato la sua intelligenza?
- rincorrendo animali piccoli e veloci;
- sottraendosi agli attacchi degli animali da cacciare;
- nutrendosi di vegetali e cacciando animali;
- inventando e usando strumenti per cacciare.
84
3. In quali capacità l'uomo è fisicamente inferiore ad altri animali?
- nella velocità e nella capacità di ferire;
- nella velocità e nell'intelligenza;
- nella capacità di ferire e nell'intelligenza;
- nella capacità di procurarsi cibo vegetale.
2. Questionario a scelta binaria
Quali di queste affermazioni si possono ricavare dal testo?
- alle origini della sua storia l'uomo è stato cacciatore e pescatore
- l'uomo è meno veloce di altri animali
- l'uomo ha compensato con l'intelligenza la mancanza di altre risorse
- la più grande invenzione dell'uomo primitivo è stata il fuoco
- l'uomo ha dimostrato la sua intelligenza inventando strumenti
- una pietra aguzza serve per cacciare gli animali più piccoli
- gli animali più piccoli sono in generale più intelligenti
- l'uomo può nascondersi facilmente agli animali feroci
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
No
No
No
No
No
No
No
No
3. Cloze classico
Durante centinaia di migliaia di anni, ________ sopravvivere, l'uomo si è comportato ________
tanti altri animali, cioè è stato ________ primo luogo cacciatore e pescatore. Però ________ uomo
non possiede capacità rilevanti rispetto ________ altri animali che corrono più velocemente ________
lui, che possiedono zanne e artigli, ________ possono produrre ferite mortali; di conseguenza,
________ uomo ha dovuto ricorrere alla sua ________ forza che è quella dell'intelligenza.
________ primitivi, infatti, che inizialmente si nutrivano ________ prevalenza di vegetali, radici,
tuberi, bacche ________ simili, devono aver compreso abbastanza presto ________ un palo
appuntito, una pietra aguzza, ________ strumenti capaci di aumentare notevolmente la ________ ,
specialmente contro gli animali più piccoli ________ , per certi aspetti, sono anche più ________ da
cacciare, perché sono veloci, possono ________ facilmente e sottrarsi alla vista dell'________ .
4. Cloze mirato alla comprensione dei connettori
__________ centinaia di migliaia di anni, __________ sopravvivere, l'uomo si è comportato
__________ tanti altri animali, __________ è stato in primo luogo cacciatore e pescatore.
__________ l'uomo non possiede capacità rilevanti rispetto ad altri animali ________ corrono più
velocemente di lui, che possiedono zanne e artigli, che possono produrre ferite mortali; __________
l'uomo ha dovuto ricorrere alla sua vera forza __________ è quella dell'intelligenza.
I primitivi, __________, che inizialmente si nutrivano in prevalenza di vegetali, radici, tuberi,
bacche __________ simili, devono aver compreso abbastanza presto __________ un palo appuntito,
una pietra aguzza, sono strumenti capaci di aumentare notevolmente la forza, __________ contro gli
animali più piccoli che, per certi aspetti, sono anche più difficili da cacciare, __________ sono veloci,
possono nascondersi facilmente e sottrarsi alla vista dell'uomo.
Parole da inserire:
che
come
che
di conseguenza
che
durante
cioè
e
infatti
per
perché
però
specialmente
85
5. Scaletta da ordinare
Consegna
Qui sotto trovi, in disordine, dei titoletti che corrispondono alle principali affermazioni fatte nel brano;
disponili nell'ordine che le affermazioni hanno nel brano.
A. alimentazione dell'uomo alle origini
B. scoperta degli strumenti per cacciare
C. elementi di superiorità dell'uomo rispetto ad altri animali
D. elementi di inferiorità dell'uomo rispetto ad altri animali
E. uomo del paleolitico cacciatore e pescatore
F. utilità degli strumenti nella caccia a certi animali
6. Questionario semiaperto
1. Riporta la parte del testo che descrive la forma più antica di alimentazione dell'uomo.
2. Riporta tutte le espressioni che si riferiscono a capacità naturali di alcuni animali che l'uomo non
possiede.
3. Riporta le parole che spiegano in che modo l'uomo ha dimostrato la sua intelligenza.
7. Schema da completare
Due periodi nell'alimentazione dell'uomo primitivo:
primo periodo:
__________________________________________
secondo periodo: __________________________________________
perché _________________________________________
L'uomo ricorre
alla sua intelligenza
infatti _________________________________________
8. Questionario a maglie strette "di percorso"
- la prima parte del brano introduce un confronto basato su somiglianze e differenze; quale confronto?
quali somiglianze? quali differenze?
- quale conseguenza deriva dalle differenze?
- in che modo l'uomo ha dimostrato la sua intelligenza?
- a quale scopo il testo spiega che gli animali più piccoli sono più difficili da cacciare?
86
Capitolo 7: La lettura per lo studio
La lettura è da secoli il veicolo essenziale di gran parte di ciò che si apprende, e credo
sia destinata a rimanerlo a lungo: checché ne dicano gli entusiasti dei nuovi strumenti
informatici, interattivi, multimediali, per ora gran parte di ciò che si impara si impara
attraverso la lettura. Gran parte delle letture degli studenti hanno per scopo l’apprendimento,
e le carenze di comprensione dei testi e di metodo nel loro studio hanno notoriamente
conseguenze gravi sull’insuccesso scolastico.
L’argomento è vasto e sfaccettato, e non posso qui darne una trattazione organica.
Comincerò coll’esporre alcuni suggerimenti che vengono dalla didattica delle abilità di
studio, per poi risalire agli studi sulla metacognizione che ne costituiscono lo sfondo teorico;
concluderò con una rapida esplorazione di due aspetti particolari del problema che forse non
ricevono un’attenzione sufficiente: la comprensione delle consegne degli esercizi di
matematica, la comprensione di grafici e tabelle.
7.1. La lettura dei manuali
La comprensibilità dei libri di testo
Prima che delle difficoltà degli studenti, bisognerebbe parlare delle difficoltà
intrinseche ai libri di testo. È noto che non sempre i loro autori appaiono consapevoli del
fatto che «si muovono in una forma di comunicazione asimmetrica»: si rivolgono cioè a
lettori che per definizione sono a un livello molto inferiore quanto a conoscenze specifiche e
a competenze linguistiche, per cui «è chi scrive che deve sforzarsi di tenere conto dei bisogni
o delle lacune del suo lettore-tipo e quindi di adeguare il proprio linguaggio a quei bisogni
stessi»144.
L’analisi della comprensibilità dei libri di testo, scrive Merini, «ha il pregio di mettere
in discussione un atteggiamento diffuso tra insegnanti e ricercatori che consiste nella
tendenza a cercare le cause delle difficoltà di comprensione in qualcosa che non funziona
nella persona del lettore. Vi sono al contrario testi scolastici per i quali c’è da stupirsi - tale è
la loro scarsa comprensibilità - che alcuni alunni riescano a capirli»145.
Sono stati elaborati diversi strumenti di analisi che possono aiutare un insegnante nella
scelta di testi più comprensibili 146. Anche alcune analisi presentate in questo libro possono
servire allo scopo. Ma questo non può bastare a risolvere il problema: anche se riuscissimo a
risparmiare ai nostri studenti complicazioni inutili, sappiamo che una certa misura di
difficoltà nell’approccio ai manuali per loro resterà, ed è bene che resti perché senza il
superamento di difficoltà non si ha progresso intellettuale. Inoltre la comprensione non è
tutto: quell’integrazione mentale di conoscenze nuove che chiamiamo apprendimento
richiede un lavoro specifico sui testi, nel quale è opportuno che gli studenti siano aiutati e
guidati.
Insegnare a imparare
La tematica delle abilità di studio, di origine anglosassone, ha preso piede in Italia da
una dozzina d’anni e ha avuto una rapida diffusione (non so, veramente, con quanto impatto
pratico sull’insegnamento), perché è venuta incontro alla diffusa sensazione che molti
studenti usino metodi di studio improduttivi, o addirittura non abbiamo la minima idea che lo
studio possa essere affrontato con metodo. Non si contano ormai i manualetti rivolti allo
144
Lumbelli 1989, p. 40.
Merini 1991, p. 53.
146
Si veda Pozzo 1986; GISCEL Lombardia 1988, pp. 260-265; Zambelli (a cura di) 1994, pp. 16-39.
145
87
studente o all’insegnante147, ricchi di suggerimenti pratici che non starò a ripetere
analiticamente, dando per scontata la loro conoscenza. Mi limiterò a ricordare alcuni punti
sensibili, trascurando le raccomandazioni che riguardano la pianificazione dello studio e dei
suoi tempi e limitandomi al tema pertinente qui, la lettura per lo studio.
Usare i libri di testo. Questa raccomandazione può sembrare banale, ma non è
scontata: la matematica, per esempio, si impara tradizionalmente dalle spiegazioni
dell’insegnante e relativi appunti, mentre il manuale è usato solo per gli esercizi; ho anche
l’impressione che nella scuola elementare i sussidiari non siano molto usati (e si può capire,
considerando quanto sono a volte brutti). Non dubito che spesso i ragazzi imparino meglio
dalle spiegazioni dell’insegnante che dai libri; ma il problema è che in questo modo non
vengono guidati verso un apprendimento autonomo. Lo studente che si iscrive a corsi
universitari di matematica senza aver mai affrontato il difficile linguaggio dei manuali di
questo campo si troverà in difficoltà; e molte delle difficoltà che rendono traumatico il
passaggio dalla scuola elementare alla media sono connesse all’improvvisa richiesta di
maggiore autonomia nello studio.
Insegnare a maneggiare un libro di testo: capire come è fatto, come si articola, come
usare l’indice, come servirsi degli apparati di cui i libri di testo sono oggi ricchi: illustrazioni,
tabelle, glossari e quant’altro. Le carenze degli studenti in questo sono spesso denunciate; ad
esempio, nella ricerca del GISCEL Lombardia sui manuali di scienze per la scuola media si è
notato che «l’attenzione degli allievi è concentrata essenzialmente sulla parte espositiva e
non vengono messe in atto strategie di lettura flessibili che permettono di recuperare in
glossari, didascalie, note, informazioni collegate al testo ed essenziali per la sua
comprensione»148. Varie attività sono state proposte per affrontare il problema; ad esempio
Bertocchi propone un questionario sull’indice di un testo, in cui l’allievo deve indicare dove
pensa di trovare la risposta a una serie di quesiti 149; Mariani propone una serie articolata di
quesiti, in parte dello stesso tipo, in parte miranti a far identificare la natura e lo scopo dei
diversi tipi di apparati 150; Cornoldi e collaboratori presentano schede sull’uso delle immagini
e didascalie e delle carte geografiche 151.
Attività di pre-lettura. L’apprendimento richiede di integrare conoscenze nuove in
quelle che già si possiedono, modificandole se del caso; è dunque bene, prima che un
argomento nuovo sia affrontato su un testo, sollecitare gli allievi, attraverso una
conversazione collettiva, a ricordare e organizzare ciò che già sanno o credono di sapere.
Questa attività si può concretare in una “mappa mentale” (a rete, o a stella), costruita
collettivamente alla lavagna, che sintetizza le idee affiorate e le loro relazioni. La lettura è
poi efficace se è guidata dalla ricerca delle risposte a questioni che si sono poste (questa per
me è anche un’esperienza personale: ricordo qualcosa di quel che leggo - in ambito
saggistico - se leggo stimolato da un problema; non ricordo niente quando leggo solo perché
penso che dovrei farlo, per tenermi al corrente ecc.). La conversazione preliminare dovrebbe
dunque sollecitare a porsi interrogativi e problemi 152.
147
Mi limito a ricordare, tra i primi usciti, Frasca 1989 (rivolto agli insegnanti; da questo è desunto il titoletto
della presente sezione), Serafini 1989, Mariani 1990 (rivolti agli studenti); tra i più recenti, Paoletti 2001 (rivolto
soprattutto a studenti universitari). Cornoldi, De Beni, Gruppo MT 1993 presenta un vasto programma di
schede, suddivise in 21 aree di atteggiamenti metacognitivi, alcune delle quali includono la lettura per lo studio.
148
Zambelli (a cura di) 1994, p. 89.
149
Bertocchi 1983, pp. 214-220. Un’attività di analisi dell’indice di un libro di testo è descritta in Ferreri (a cura
di) 2002, pp. 126-128.
150
Mariani 1990, pp. 44-53.
151
Cornoldi, De Beni, Gruppo MT 1993, pp. 80-87.
152
Ottimi esempi di queste attività si trovano in F. Cicardi, La comprensione del testo scientifico nella scuola
elementare, in Zambelli (a cura di) 1994, pp. 109-139 (in particolare pp. 134-136) e F. Mandelli, L. Rovida, Il
testo scientifico nella scuola media: proposte didattiche, ibid. pp. 141-172 (in particolare p. 145). Questi due
88
Operazioni di selezione e sintesi delle informazioni. Mi riferisco alle attività del
sottolineare, segnare titoletti a margine, prendere appunti, sintetizzare il contenuto di un
capitolo o paragrafo in tabelle o diagrammi. Come ricorda Paoletti, i limiti della nostra
memoria possono essere allargati «se il materiale da apprendere viene riorganizzato in gruppi
e gerarchie che aumentano la coesione e le dimensioni delle unità di apprendimento»153. Le
persone della mia generazione hanno imparato a farlo (se lo hanno imparato) da sé e a
proprie spese; è un bene che ora si incomincino a insegnare queste cose. Trattandosi di una
didattica ormai largamente nota, mi limito a poche osservazioni.
 La sottolineatura. Alla proposta di insegnare questa attività, più che ad altre, alcuni
obiettano che il sottolineare è qualcosa di altamente soggettivo, che ciascuno ha il suo
modo, e dunque non c’è niente da insegnare. Non intendo certo negare le scelte
individuali, purché resti fermo lo scopo del sottolineare, che è di poter recuperare
rapidamente le informazioni che si sono considerate più importanti, ogni volta che si torni
sul testo. Alcuni sembrano invece usare la sottolineatura come una specie di richiamo
enfatico a sé stessi, durante la lettura, e finiscono per sottolineare quasi tutto il testo (o per
ricoprirlo di evidenziazioni multicolori). Questo rende più difficile, invece che facilitare,
il ritorno sul testo. Credo allora opportuno insegnare, con esempi pratici, che si sottolinea
solo dopo aver capito bene un passo, che la sottolineatura è selezione e va usata
parcamente. Nei manuali si trovano in proposito esercitazioni specifiche 154.
 La costruzione di schemi è un’attività che favorisce notevolmente l’assimilazione dei
concetti; richiede di penetrare in profondità nelle strutture di coerenza del testo, per cui
credo che non sia opportuno, possa anzi essere dannoso, cominciarla troppo presto, alla
scuola elementare. E’ un’attività complessa, a cui pochi possono arrivare spontaneamente:
perciò va insegnata e continuamente assistita. Esiste una varia tipologia di schemi,
ciascuno dei quali è più adatto a determinati testi o brani: le tabelle a doppia entrata
servono là dove vengono presentati dati di varie categorie riferiti a diverse situazioni (ad
esempio: ordinamenti politici, economia, religione presso diversi popoli antichi); i
diagrammi di flusso sono adatti a descrivere processi; i diagrammi ad albero si prestano a
sintetizzare testi che presentino una forte organizzazione gerarchica dei concetti (spesso i
testi argomentativi, se sono ben strutturati), le mappe testuali a rete sono utili per una
varietà di testi (ma su queste c’è stata negli ultimi tempi un’enfasi eccessiva).
In appendice a questo paragrafo presento un’ipotesi di attività di approccio a un
manuale di Storia, elaborata nel 1994 per i colleghi di un istituto professionale di Palermo;
l’attività è pensata per una fase iniziale dell’anno scolastico, su uno dei primi capitoli del
manuale.
Il metodo “SQ3R”
Oltre a queste indicazioni generali, è opportuno suggerire che agli studenti si presenti
un metodo per lo studio a casa? La questione è controversa: non esistono prove sperimentali
che una tale indicazione dia risultati positivi; ma bisogna considerare che gli esperimenti
degli psicologi per lo più verificano gli effetti a breve scadenza di un intervento breve, di una
o poche ore, perché gli effetti di interventi più complessi sarebbero perturbati
dall’interferenza di variabili non controllate, come altre esperienze e attività didattiche; e
allora non sorprende che il primo effetto di un intervento che turba abitudini consolidate per
molti non sia positivo. Perplessità di ordine diverso sono avanzate da Cornoldi: «La mia
contrarietà nasce dal timore che un metodo di studio insegnato debba valere nella stessa
maniera rigida per tutti gli studenti e per tutte le occasioni e che esso voglia sovrapporsi e
lavori sono raccomandabili nel loro insieme per tutta la tematica della lettura per lo studio
153
Paoletti 2001, p. 54.
154
Vedi Frasca 1989, pp. 56 sgg.; Serafini 1989, pp. 76 sgg.
89
annullare le conquiste che gli studenti hanno già fatto»155.
Perplessità analoghe vengono avanzate da molti insegnanti. Io continuo a credere,
tuttavia, che la proposta (non l’imposizione) di un metodo possa giovare: l’importante è dare
l’idea (estranea a molti studenti, e proprio ai più svantaggiati) che metodi di lavoro possono
esistere; dopo di che ciascuno potrà adattare il metodo suggerito ai propri stili di
apprendimento e alle diverse circostanze, o costruirsene uno proprio.
Un metodo che ha avuto ampia diffusione, e che lo stesso Cornoldi mette tra le
proposte «snelle o poco impositive»156, attenuando la sua avversione, è quello battezzato con
la sigla SQ3R, che sintetizza con le iniziali cinque operazioni successive157:
- Survey (“scorri rapidamente, dà un’occhiata d’insieme”);
- Question (“poniti domande”);
- Read (“leggi”);
- Recite (“riformula”);
- Review (“riguarda”).
1. La prima fase consiste in una scorsa preliminare al testo (nella forma dello skimming): si
colgono velocemente i titoli e titoletti, le didascalie delle illustrazioni, le frasi iniziali dei
capoversi, le parole e frasi evidenziate tipograficamente. Lo scopo è farsi un’idea del
contenuto, che implica anche richiamare le conoscenze che già si hanno in materia. Si è
verificato sperimentalmente che la tecnica di dare una scorsa preliminare al testo, prima
della vera e propria lettura, consente una migliore comprensione sia ai lettori più abili che
ai meno abili158.
2. La seconda fase è porsi domande, sulla base della prima idea che ci si è fatti del testo; nei
casi migliori si tratterà di veri problemi (“che legame può esserci fra il tema X e il tema
Y?”), ma possono servire anche domande più elementari (“che cosa dirà di X?”). Ho già
accennato all’importanza che ha leggere avendo in mente delle domande; una conferma
emerge da un recente lavoro di Anna Rosa Guerriero e Francesca Romana Sauro, che
hanno proposto ad allievi di terza media e di biennio un materiale di studio in forma di
ipertesto, di schede cartacee e di testo continuo; in una fase venivano poste domande di
comprensione, in una successiva si chiedeva di enumerare i temi principali del materiale
studiato: è risultato che gli argomenti più ricordati, indipendentemente dalla forma
testuale proposta, erano quelli su cui si erano poste domande 159.
3. Segue una lettura analitica. Quello che mi preme sottolineare è che si propone di farla una
sola volta, circondata da altri approcci variati al testo. Molti ragazzi ritengono che per
studiare un brano la cosa migliore sia rileggerlo più volte: questo può favorire una
memoria puramente verbale della superficie del testo, in vista di una ripetizione
meccanica160. Qui si mira invece a un’elaborazione mentale dei contenuti, che farà
conservare nella memoria i concetti essenziali, indipendentemente dal ricordo di parole e
frasi.
4. La quarta fase consiste nel ridirsi mentalmente ciò che si è imparato, verificando che cosa
risulta chiaro e che cosa no, quali delle domande poste preliminarmente non hanno ancora
una risposta soddisfacente. Si pongono così nuovi quesiti, più specifici e approfonditi.
155
1995, p. 332.
Ibid. p. 333.
157
Vedi Frasca 1989, pp. 36 sgg. e Cornoldi, De Beni, Gruppo MT 1993, p. 10; una variante si trova in Mariani
1990, pp. 55 sg.
158
De Beni, Pazzaglia 1995, p. 107.
159
Guerriero, Sauro 2000, p. 115.
160
E’ vero che, come ricorda Paoletti, questa strategia può essere «efficace quando in sede di test viene chiesto di
ricordare le informazioni così come si presentano nel testo originale» (2001, p. 40). Che è quanto dire: a verifica
stupida, studio stupido.
156
90
5. La fase conclusiva è un ritorno selettivo a punti specifici del testo, guidato dai nuovi
quesiti. Questo lavoro potrebbe essere facilitato da un uso razionale della sottolineatura
nel corso della fase di lettura.
Come tutte le procedure formalizzate, questa è utile se usata in modo intelligente e
flessibile: possono modificarla mille variabili relative al testo, al compito specifico, alle
propensioni dello studente. L’importante è che lui o lei abbia l’idea che una procedura può
esserci, che è bene decidere che cosa fare prima e che cosa fare dopo, invece che tuffarsi alla
cieca in una lettura e memorizzazione sequenziale.
Appendice
Attività di approccio a un manuale di Storia
(Testo di riferimento: De Bernardi-Guarracino, Il mondo contemporaneo, Edizioni Scolastiche
Bruno Mondadori)
Prerequisito
Si dà per già svolta una unità didattica di approccio al libro di testo (conoscenza della struttura di
unità, capitoli e paragrafi, schede ed esercitazioni, uso degli indici ecc.).
Fasi di lavoro su una parte iniziale del testo
Si prende ad esempio l’Unità 4, capp. 1-3: “La Restaurazione difficile”.
Prima fase (10 minuti)
1. L’insegnante prepara una lista di parole-chiave dell’Unità, distinte in:
- termini di valore trasversale rispetto al tempo, e attuale; ad esempio:
. Nazionalità
. Liberale, -ismo
. Restaurazione (con la minuscola)
. Reazionario
. Diplomatico
ecc.
- termini specifici per la storia del periodo; ad esempio:
. Santa Alleanza
. Restaurazione (con la maiuscola)
. Congresso di Vienna
ecc.
2. Consegna agli alunni l’elenco, con queste avvertenze:
- l’obiettivo più importante che dovrete conseguire al termine dell’Unità è di saper usare correttamente
questi termini;
- fate attenzione al ricorrere dei termini della prima lista nell’informazione e nel dibattito politico di
questi giorni; appuntate e portate a scuola frasi tratte da giornali e TG in cui ricorrano queste parole.
Seconda fase (2 ore)
1. L’insegnante
- introduce brevemente ai temi dell’Unità: l’introduzione dovrebbe essere enunciazione di domande,
non di risposte: dovrebbe sollecitare interesse, senza ancora spiegare i contenuti;
- chiede di richiamare alla mente ciò che gli alunni già sanno (o credono di sapere) sull’argomento:
tecnica del brainstorming, costruzione di una mappa mentale collettiva.
91
2. Lettura in classe di uno o più paragrafi, mirante alla comprensione analitica; sarebbe bene
cominciare la lettura dalla sintesi finale (“Per fare il punto”) e dalla serie dei titoletti, sollecitando gli
allievi a porsi domande su a che cosa possono riferirsi (questo metodo sarà raccomandato quando si
chiederà ai ragazzi una lettura autonoma).
Comprensione analitica:
- ci si ferma su ogni termine che i ragazzi non comprendono;
- di fronte al termine sconosciuto, si sollecitano i ragazzi a fare ipotesi sul significato, mostrando loro
che spesso qualcosa già sanno o possono capire, in base alla forma della parola e al contesto:
Esempio: «Nel movimento liberale non vi era un accordo unanime»: che cosa suggerisce
l’inizio della parola un-? riconoscete il pezzo -anim-? come può riferirsi questo ad accordo?
- fare attenzione particolare ai termini metaforici, che spesso esigono una spiegazione doppia, del
senso letterale e di quello inteso nel contesto:
Esempio: «La “polveriera” dei Balcani»
3. Sui termini dell’elenco distribuito ci si sofferma più a lungo, con spiegazioni che mostrano i contesti
in cui la parola può ricorrere, usando anche gli esempi che i ragazzi dovrebbero aver portato.
Si giunge a una definizione, che i ragazzi trascriveranno su un quaderno a fogli mobili o uno
schedario, che costituirà il loro glossario dei termini storici e di scienze sociali.
Terza fase (2 ore)
1. L’insegnante prepara e fa trascrivere uno schema riassuntivo dei concetti principali del capitolo
(mappa testuale): lo schema dovrebbe essere incompleto, cioè contenere solo le voci principali, da
integrare con specificazioni.
In alternativa: si procede collettivamente per aggiunte e correzioni alla mappa mentale fatta
all’inizio.
2. Se i ragazzi sono in grado di farlo, si assegna la lettura individuale (a casa o anche in classe) delle
parti non lette: lo schema da completare costituisce una guida alla ricerca delle idee essenziali.
3. Verifica collettiva di ciò che si è capito dalla lettura, confronto dei completamenti proposti per lo
schema, costruzione definitiva dello schema, eventuali integrazioni del glossario.
Eventuale costruzione di una cronologia (se l’unità contiene avvenimenti importanti, date di
riferimento).
Quarta fase (mezz’ora)
Prova di verifica: dovrebbe mirare soprattutto all’acquisizione del significato delle parole-chiave, con
item come:
- completamento di una frase con un termine-chiave (scelta multipla);
- dato un termine in contesto, scelta fra quattro diverse definizioni (scelta multipla).
7.2. La metacognizione
Lo sfondo teorico della didattica delle abilità di studio è negli studi sulla
metacognizione. Si tratta di un campo di ricerca psicologica in impetuoso sviluppo da circa
25 anni, che ha per oggetto «l’insieme delle attività psichiche che presiedono al
funzionamento cognitivo»161: non tanto l’attività cognitiva in sé (acquisizione ed elaborazione
di conoscenze), quanto le conoscenze che si hanno su di essa e i processi mentali che la
controllano. L’interesse per questa direzione di ricerca si spiega con le attese che mobilita:
l’ipotesi di fondo è che il successo nell’apprendimento sia legato alla metacognizione e che
possa essere migliorato intervenendo su questa.
161
Cornoldi 1995, p. 17; per quanto segue cfr. p. 31.
92
Nonostante il moltiplicarsi degli studi, il campo di ricerca resta mal definito, è
«estremamente eterogeneo e controverso»162 (ma questo accade di frequente nell’ambito
delle scienze umane). Il punto più controverso è se per metacognizione si debba intendere
solo «il controllo deliberato e consapevole delle proprie azioni cognitive»163, o se il concetto
si debba estendere anche a processi parzialmente o interamente inconsapevoli e a conoscenze
implicite 164.
Metacognizione e lettura
Una buona parte degli studi sulla metacognizione hanno per oggetto la lettura, e in
particolare la lettura per lo studio. In questo campo i confini tra processi inconsapevoli e
consapevoli sono sfumati: come ha bene chiarito Lumbelli, a un estremo abbiamo i livelli di
elaborazione inferiori (decifrazione, accesso ai significati lessicali, riconoscimento dei nessi
di significato più semplici), che sono interamente automatizzati nel lettore esperto (ma
possono non esserlo nel lettore alle prime armi); all’estremo opposto i processi superiori
(«elaborazione macrostrutturale, costruzione del succo o del riassunto o della morale del
testo»), che sono consapevoli o facilmente richiamabili alla coscienza; in mezzo stanno quei
processi che sono «sufficientemente complessi da correre un forte rischio di intoppo e quindi
di blocco del pilota automatico, con conseguente richiamo alla coscienza dell’elaborazione
del testo già tentata»165.
Un’interessante lista delle attività metacognitive che possono intervenire nel corso
della lettura è stata proposta di Ann Brown:
1. chiarire gli scopi della lettura, cioè capire le richieste del compito, sia esplicite che
implicite;
2. identificare gli aspetti di un messaggio che sono importanti;
3. distribuire l’attenzione in modo che la concentrazione possa essere focalizzata sulle
aree di contenuto più importanti piuttosto che sui particolari meno significativi;
4. monitorare le attività in corso per determinare se la comprensione si sta verificando;
5. impegnarsi nella revisione e nell’autointerrogazione per stabilire se si stanno
raggiungendo gli scopi;
6. intraprendere azioni correttive quando si scoprono deficienze nella comprensione;
7. riprendersi da interruzioni e distrazioni166.
Tracce di attività di questo genere, compiute spontaneamente, si trovano nei protocolli della
ricerca “IRRSAE Lumbelli”, quando alcune allieve, di fronte a problemi di comprensione e a
conseguenti stati di perplessità, si dicono «E’ meglio che vada avanti», «Non capisco bene,
ma se vado avanti capirò meglio»167. Queste allieve mostrano di avere una consapevolezza in
più, rispetto a quelle elencate dalla studiosa americana: che la comprensione globale del
testo, o comunque di passi successivi, può reagire positivamente su quella di un singolo
passo.
162
Ibid. p. 12.
Brown 1980, p. 453 (traduzione mia).
164
E’ questa l’opinione di Cornoldi 1995, cfr. p. 39.
165
Lumbelli 1995, p. 145 sg.; su questa base l’autrice imposta il suo programma di intervento, che innesta nel
colloquio diagnostico centrato sul lettore che pensa ad alta voce (vedi la scheda a p. XX), momenti di colloquio
di aiuto, in cui il lettore, di fronte a una difficoltà di comprensione, è orientato a compiere un percorso di ricerca
sul testo.
166
Brown 1980, p. 456 (traduzione mia).
167
Vedi Colombo 1996, pp, 195 e 205.
163
93
Quattro aree di ricerca e di intervento
Le differenze di livello metacognitivo tra i lettori sono state classificate in quattro
gruppi di variabili, che si riferiscono alle conoscenze del compito di lettura, alla “sensibilità
al testo”, all’uso di strategie e alle conoscenze sulle differenze individuali e su sé stessi 168.
Tra le conoscenze del compito di lettura è cruciale la consapevolezza che si legge per il
significato. Varie ricerche hanno accertato che i bambini più piccoli e i soggetti con
difficoltà di lettura tendono a credere che gli scopi principali della lettura siano una
decifrazione corretta, una buona e rapida esecuzione della lettura ad alta voce, il ricordo del
testo parola per parola; mancherebbe cioè l’idea che si legge per acquisire un’idea
complessiva del significato del testo, sganciata dalla sua superficie verbale. Queste carenze,
secondo alcuni autori, si possono imputare almeno in parte all’insegnamento scolastico,
troppo preoccupato della decifrazione e dell’esecuzione orale della lettura. Un tale
orientamento si rafforzerebbe nei confronti dei soggetti in difficoltà, in presenza dei quali gli
insegnanti sono indotti a concentrare l’interesse sulla decifrazione 169. Un’implicazione
didattica può essere che quando si cerca di migliorare la decifrazione con attività specifiche
(come quelle suggerite in questo libro al capitolo 2), esse dovrebbero essere equilibrate da
una costante attenzione alla comprensione del significato.
Le conoscenze sulle differenze individuali e su sé stessi si riferiscono soprattutto alla
capacità di autovalutare il proprio livello di prestazione nella lettura, di distinguere i propri
punti forti e deboli. Non sorprende che le indagini abbiano confermato che «i soggetti con
problemi di comprensione avevano assai minore consapevolezza delle loro difficoltà» 170. Il
punto sembra tuttavia più rilevante per le diagnosi condotte da équipe specializzate che per la
pratica didattica quotidiana.
La sensibilità al testo
Sotto la voce sensibilità al testo vengono raggruppate cose come la capacità di stimare
la difficoltà di comprensione di un testo, quella di individuarne i punti principali, quella di
accorgersi di incongruenze inserite in testi costruiti appositamente; quest’ultimo è un
paradigma di ricerca molto sfruttato, che ha messo in luce come i lettori meno esperti
tendono a non rendersi conto delle incongruenze171.
Un punto che mi pare di particolare interesse è la capacità di riconoscere un tipo o
genere testuale e di valersi dei suoi schemi di coerenza caratteristici per costruire il
significato (vedi in proposito il paragrafo 5.6). Dato che è improbabile che questi schemi
vengano acquisiti spontaneamente (tranne quelli della narrazione), in questo caso una
riflessione esplicita può rivelarsi particolarmente utile. L’ipotesi è confermata da alcuni
episodi dei protocolli della ricerca “IRRSAE Lumbelli”.
Il testo Stragi della notte - di cui ho riportato la parte iniziale nel paragrafo 5.4 - parte
dalla contestazione dell’opinione che per evitare gli incidenti stradali in cui molti giovani
perdono la vita il sabato sera, di ritorno dalle discoteche, bisognerebbe vietare la vendita di
superalcolici in quei locali e anticiparne l’orario di chiusura. Dopo una lunga confutazione,
l’autore avanza la propria proposta:
La vera e sola prevenzione sarebbe quella di far rispettare i limiti di velocità e le cinture di
sicurezza, cioè far intervenire in modo efficace e sistematico la polizia della strada.
Giunto a questo punto, un allievo dice:
168
La classificazione risale a Brown e collaboratori (vedi De Beni, Pazzaglia 1995, p. 79 sg.) ed è adottata da
Cornoldi (1995, p. 278).
169
De Beni, Pazzaglia 1995, pp. 112-114.
170
Cornoldi 1995, p. 294.
171
Cornoldi 1995, pp. 282-283.
94
30. A.: Sì, questa è la tesi, per lui il rimedio è [...]
Verso la fine del colloquio l’allievo è sollecitato dall’insegnante a ritornare sulla parte
iniziale del testo, per verificare se ha chiaro che le opinioni ivi discusse non sono quelle
dell’autore:
41. I.: Allora, un attimo, mi sembra che tu abbia detto, all’inizio, che un rimedio potrebbe
essere quello di...
42. A.: Anticipare l’ora di chiusura e non vendere superalcolici.
43. I.: E poi dice che non sono rimedi efficaci.
44. A.: Sì, perché questo qua dice che lo dicono i giornali, cioè è una controtesi172.
È evidente che in classe si è parlato della struttura dei testi argomentativi e che l’allievo se ne
serve per orientare la sua comprensione del testo.
Un altro episodio significativo si verifica a proposito dell’articolo I disoccupati nel
presepe, che critica una proposta di un dirigente della Camera di Commercio di Napoli (vedi
paragrafo 5.4., p. XXX). Nel riesporre un passo dell’articolo, un allievo dice:
6. A.: Questo può essere un... chi è che parla? il presidente degli artigiani? No, è sempre lui. In
pratica dice che [...]173
L’allievo ha avuto evidentemente modo di fare esperienza della presenza di “voci” diverse
nei testi argomentativi (vedi paragrafo 5.4, p. XXX), e richiama questa conoscenza come
strumento di monitoraggio della comprensione nel corso della lettura.
L’uso di strategie di lettura
Tra le strategie di lettura, un primo gruppo è costituito da quelle a cui un lettore ricorre
quando incontra una difficoltà di comprensione. De Beni e Pazzaglia 174 ne indicano tre:
1. tener presente il punto cruciale nella speranza che si chiarisca e proseguire nella
lettura;
è la strategia che abbiamo visto all’opera negli esempi di pensiero ad alta voce citati;
2. rileggere il testo;
questa può sembrare l’idea più ovvia che viene di fronte a una difficoltà: eppure in una
ricerca citata dalle stesse autrici risultò che ragazzi di prima e seconda media (o delle
equivalenti classi americane) non vi ricorrevano spontaneamente, solo quelli di terza lo
facevano; se ne può desumere che anche questo è un consiglio che dovrebbe essere dato
esplicitamente;
3. consultare altre fonti.
Quest’ultima strategia può includere attività diverse, non tutte ugualmente raccomandabili.
E’ certamente utile la consultazione di altri manuali, testi divulgativi o enciclopedie,
ovviamente di livello adatto al lettore, quando la rilettura non abbia dato frutti. Se invece si
tratta di consultare un dizionario, in proposito ho già espresso i miei dubbi (vedi pag. XX); se
di consultare un lettore più esperto, un adulto, un insegnante, questa mi pare una soluzione
pigra, che non mobilita le risorse del lettore, a cui bisognerebbe ricorrere solo dopo aver
tentato senza successo altre strade.
Un secondo gruppo di strategie riguarda la capacità di variare l’approccio al testo in
funzione delle esigenze e degli scopi di lettura (rimando alla sintesi del paragrafo 1.3). Anche
172
Colombo 1996, p. 206.
Colombo 1996, p. 205.
174
1995, p. 90 sg.
173
95
questa non è una strategia messa in atto spontaneamente dai lettori; alcuni studi indicano che
essa matura gradualmente con l’età, ma non in tutti: a degli studenti di scuola superiore fu
chiesto di leggere dei testi con lo scopo di farsi un’impressione generale o di cogliere i
dettagli; solo i migliori lettori mostrarono di saper variare il modo di leggere in funzione
della richiesta, e comunque «né i buoni né i cattivi lettori avevano mai sentito parlare di
differenziare la lettura in base agli scopi»175.
Questi dati risalgono al 1967, ma potrebbero essere ancora attuali, almeno nella scuola
italiana. Cornoldi ha denunciato la scarsa sensibilità di molti insegnanti sul tema: «Per molti
insegnanti il modo ottimale [di leggere] è uno solo, e richiede nell’allievo una incredibile
pazienza e attenzione, per fare nello stesso momento tutto quello che si potrebbe fare di
fronte ad un testo scritto, e cioè riconoscere l’idea centrale, i collegamenti, il significato delle
parole poco note, i dettagli rilevanti, la struttura del testo, le inferenze possibili, ecc. In poche
parole questi insegnanti credono che leggere bene significhi compiere in un’unica volta tutte
le operazioni che si possono, in alternativa, compiere per leggere bene in modi differenti, a
seconda di scopi diversi»176.
Attività per lo sviluppo di strategie diversificate di lettura sono incluse in un
programma per la promozione degli aspetti metacognitivi della comprensione del testo
presentato da De Beni e Pazzaglia. Ho trovato interessante l’uso di immagini metaforiche per
caratterizzare le strategie: una tartaruga rappresenta la lenta lettura analitica, un coniglio la
lettura orientativa veloce, una rana la lettura a salti alla ricerca di informazioni date; questi
simboli sono usati sia negli esempi di come si può leggere per diversi scopi, sia negli esercizi
che chiedono di indicare la strategia più opportuna per le varie parti di un testo, in
riferimento a un compito dato177.
7.3. La comprensione delle consegne degli esercizi
Nell’ambito della lettura per lo studio, si parla poco del problema della comprensione
delle consegne degli esercizi, in particolare di matematica. Eppure è ben noto che spesso i
fallimenti nella risoluzione dipendono da una lettura errata della consegna. Credo che alla
sua comprensione dovrebbe essere dedicata un’attenzione specifica, separata da quella
rivolta all’esecuzione dei calcoli, che troppo spesso assorbe tutto l’interesse degli studenti (e
forse a volte degli insegnanti).
Conosco un solo lavoro dedicato specificamente a questo tema, più alcuni appunti
contenuti in un mio vecchio articolo 178. Su queste fragili basi proverò a indicare alcune
questioni che mi sembrano di rilievo.
L’ordine di presentazione di dati e domanda
Consideriamo questi tre esempi (da un manuale di geometria per la scuola media):
In un trapezio avente l’area di 624 mq, le due basi sono una 72,4 m e l’altra 83,6 m.
Determinate la misura dell’altezza.
(Dati - domanda).
Calcolate l’area del trapezio che ha la base maggiore di 580 cm, la base minore 3/5 della
175
De Beni, Pazzaglia 1995, p. 94.
Cornoldi 1995, p. 280 sg. Nel contesto del presente libro, queste parole possono essere intese come un invito
a non considerare le attività qui proposte, che coprono quasi tutto lo spettro delineato dall’autore, come oggetti
di lavoro didattico da perseguire costantemente e simultaneamente, ma come un repertorio tra cui scegliere di
volta in volta gli oggetti di attenzione e di lavoro, a seconda delle esigenze e degli scopi di insegnamento.
177
De Beni, Pazzaglia 1995, pp. 187-192. Le stesse metafore sono impiegate in una scheda del programma
presentato in Cornoldi, De Beni, Gruppo MT 1993, p. 105 sg.
178
Ferreri 1988; Colombo 1985. Sulle difficoltà linguistiche nello studio della matematica è da vedere Plazzi
2001. E’ probabile che altro si possa trovare nella letteratura degli specialisti di didattica della matematica, che
purtroppo conosco poco.
176
96
maggiore e l’altezza 3/4 della base minore.
(Domanda - dati, i quali sono in parte da ricavare, costituiscono domande parziali).
Il perimetro di un trapezio isoscele è 360 cm e la sua altezza è 77,9 cm. Calcolate la lunghezza
dei lati obliqui sapendo che l’area misura 7011 cmq.
(Dati - domanda - dato).
Come si vede, l’ordine di presentazione non aiuta l’allievo a distinguere che cosa gli si
fornisce come dato e che cosa gli si chiede di trovare. Particolarmente insidioso mi pare il
terzo caso, che parte dalla sequenza dati - domanda, ma aggiunge un dato ulteriore alla fine,
con la formula “sapendo che...”.
Non intendo dire che l’ordine di presentazione dovrebbe essere standardizzato per
facilitare il compito; anzi, credo che un obiettivo importante dell’insegnamento matematico
sia la capacità di dare ordine a dati e problemi che la realtà può presentare in modo casuale.
Ma gli allievi dovrebbero essere addestrati a identificare dati e domande, separando questo
punto da quello dell’esecuzione dell’esercizio. Potrebbero servire dati presentati in modo
volutamente confuso, eventualmente dati sovrabbondanti tra cui scegliere quelli pertinenti al
problema179.
La “fissità funzionale del lessico”
Così Silvana Ferreri definisce la tendenza di alcuni allievi a reagire meccanicamente a
certe parole, traducendole immediatamente in operazioni. L’esempio è dato dal seguente
problema:
Quanti soldi avevi in tasca se hai speso L. 2800 in giornaletti, L. 500 al bar, L. 800 in figurine
e ti restano L. 300?
Solo un terzo degli allievi (di scuola media) ha risposto correttamente eseguendo
un’addizione, gli altri hanno fatto una sottrazione, probabilmente messi fuori strada dalla
parola restano180.
Passaggio dalla lingua ordinaria a quella delle formule
I seguenti errori mi furono segnalati da un collega di un istituto tecnico commerciale.
Di fronte alla consegna «Due numeri x e y sono tali che la somma dei loro quadrati è uguale a
...», alcuni allievi scrivevano (x + y)2 = ...; viceversa interpretavano la consegna «Due numeri
x e y sono tali che il quadrato della loro somma è uguale a ...» scrivendo x2 + y2 = ...
Qui l’errore è nell’ordine delle operazioni: prima il quadrato e poi la somma, o
viceversa. E’ da notare che in questi casi l’ordine delle parole voluto dalla lingua è l’esatto
contrario dell’ordine delle operazioni da compiere: “la somma dei quadrati” significa: prima
eleva al quadrato, poi somma; “il quadrato della somma” significa: prima somma, poi eleva
al quadrato. Può darsi che da questo conflitto tra ordine delle parole e delle operazioni nasca
qualche difficoltà per i ragazzi, che potrebbe richiedere attenzione didattica. (Tra parentesi:
quando si parla di “ordine logico” come requisito di un buon uso della lingua, si dimentica
come a volte l’ordine imposto dalla lingua non sia affatto “logico”) 181.
Fenomeni fini di coesione
In un discorso matematico, ogni parola conta. Certi legami coesivi possono avere un
peso che sfugge a una lettura poco attenta, a uno studente non educato alle esigenze del
179
Un caso inverso fu usato nella ricerca di cui riferisce Ferreri 1988: agli allievi (di scuola media) venne
presentato tra gli altri un falso problema con dati non pertinenti; solo il 10% se ne accorse, mentre gli altri si
buttarono a fare operazioni coi numeri disponibili.
180
Ferreri 1988, p. 319 sg.
181
Ho analizzato questo caso e i due seguenti in Colombo 1985.
97
linguaggio matematico. I due esempi che seguono provengono dalla stessa fonte dei
precedenti.
Problema: «Alla morte del padre il figlio riceve in eredità L. 12.000.000. Ne deposita L.
3.000.000 presso una banca...»
Errore: i 3.000.000 non sono stati considerati parte della somma iniziale.
Qui non è stato preso in considerazione il Ne, con valore partitivo, che rinviando alla somma
iniziale vi include la seconda cifra come sua parte. Ho già osservato al paragrafo 4.4 (p. XX)
come ne sia un pronome potenzialmente difficile da interpretare.
Problema: «La base e l’altezza di un triangolo misurano rispettivamente: 10 e 30 (...)»
Errore: base fatta uguale a 30, altezza a 10.
Il connettore rispettivamente, molto usato in matematica, esige in quel contesto
un’operazione non semplice: applica i dati che seguono a quelli che precedono, nello stesso
ordine. Si può parlare di un’accezione tecnica, non molto presente negli usi correnti della
parola (del resto non frequente in sé); sarebbe allora sensato insegnare questa accezione
esplicitamente, invece che contare su un improbabile apprendimento spontaneo.
Mi rendo conto che quelli che ho dato sono solo spunti sparsi, ben lontani da una
riflessione didattica sistematica. Ma questa si potrà avere solo se su questi temi si avvierà una
collaborazione sistematica tra insegnanti di Italiano e di Matematica.
7.4. La comprensione di grafici e tabelle
Grafici e tabelle sono sempre più usati non solo nella comunicazione tecnica e
scientifica, ma in quella quotidiana, a cominciare dai giornali. Sono anche molto presenti sui
libri di testo, ma c’è da chiedersi quanto se ne avvalgano studenti che, come si è visto, si
servono poco di glossari, didascalie, note (vedi in proposito il paragrafo 7.1).
C’è anzi da chiedersi, prima di tutto, quanto queste forme di comunicazione scritta
siano comprese, dagli studenti e dagli adulti. I dati non sono confortanti. Per quanto riguarda
gli adulti, l’indagine Sials (Second International Literacy Survey), citata al paragrafo 1.1, ha
verificato tre abilità: comprendere testi in prosa, ricavare informazioni da grafici, tabelle,
formulari, risolvere problemi di vita pratica che richiedono semplici calcoli. I risultati
peggiori, in Italia, si sono avuti nel secondo settore 182. Del resto, l’esperienza comune
conferma questa carenza: io ho conosciuto adulti laureati che non sapevano leggere un orario
ferroviario.
Quanto agli studenti, l’indagine internazionale IEA-SAL (International Association for
the Evaluation of Educational Achievement - Studio sull’Alfabetizzazione alla Lettura),
condotta tra il 1989 e il 1992, ha verificato in studenti di scuola elementare e media la
comprensione di testi narrativi, testi informativi e testi detti “pragmatici” (schemi, moduli,
piantine e simili). Di nuovo, i ragazzi italiani hanno dato i risultati peggiori nel terzo tipo di
testi183.
C’è dunque una lacuna da colmare nell’insegnamento. A chi tocca? certo in parte
all’insegnante di Matematica 184, ma mi sembra che l’insegnante di Italiano non possa
considerarsene estraneo; credo che la lettura e comprensione dei testi schematici sia da
considerare “lettura” a pieno titolo.
Per quanto ne so, non c’è abbondanza di proposte didattiche in materia 185. L’attività
182
Vedi Gallina (a cura di) 2000, pp. 61, 65.
Vedi Lucisano (a cura di) 1994, p. 41.
184
Due indicazioni sul tema si trovano nelle proposte curricolari elaborate dalla “Commissione De Mauro”
all’inizio del 2001, riferiti alla Matematica nel primo biennio e nel seguente quinquennio della scuola di base
allora prevista.
185
Al momento di dare l’ultima revisione al mio testo, posso fortunatamente correggere questa affermazione: la
183
98
principale dovrebbe essere proporre schemi e tabelle accompagnati da questionari che
invitino a ricavarne informazioni. Conosco un solo manuale che propone una serie
sistematica di esercizi del genere186, e da questo ricavo l’esempio presentato in appendice a
questo paragrafo.
Appendice
Un esempio di esercitazione di lettura di grafici
(da L. Mariani, Strategie per imparare, Bologna, Zanichelli, 1990, p. 206 sg.)
I seguenti grafici del clima utilizzano un diagramma per evidenziare l'andamento della
temperatura e un istogramma per evidenziare la quantità delle precipitazioni mensili.
1. In quale dei tre elementi considerati si ha il più alto valore assoluto
a. di temperatura?
b. di precipitazioni?
2. Quali sono questi valori, e in che mese vengono raggiunti?
3. Quali sono i valori minimi di temperatura e di precipitazioni e in che mese vengono
raggiunti
a. nella tundra?
b. nel deserto caldo?
c. nella foresta pluviale?
4. In quale ambiente è più costante
a. la temperatura?
b. la quantità di precipitazioni?
5. Che relazione esiste tra aumento della temperatura e quantità di precipitazioni?
a. nel deserto caldo?
b. nella tundra?
sperimentazione didattica presentata in Ferreri (a cura di) 2002 pone al centro dell’attività didattica proprio i testi
schematici, con ricadute positive sulla comprensione testuale generale.
186
Mariani 1990, pp. 199-208. Esercizi del genere si trovano anche occasionalmente in testi di Geografia. La
questione è pure trattata (ma senza indicazioni operative) in Paoletti 2001, pp. 70-75.
99
Capitolo 8
Migliorare si può
A un collega che, giunto a questo punto, chiedesse: "Veniamo al dunque. Che cosa si
può fare per migliorare la comprensione della lettura?", mi sentirei di rispondere con una
sintesi in tre punti:
- dedicare tempi specifici alla lettura e comprensione e alla sua verifica;
- insegnare strategie di lettura diverse e flessibili;
- valorizzare i momenti di riflessione sulla lingua che possono servire allo scopo.
I contenuti dei tre punti dovrebbero essere abbastanza chiari a chi ha avuto la pazienza
di leggere i capitoli precedenti. I tempi e modi di intervento richiedono ancora qualche
riflessione.
8.1. Il lavoro quotidiano in classe
"Leggere insieme"
In tutte le classi ogni giorno si legge qualcosa insieme. A questo proposito non mi
sentirei di incoraggiare la pratica di far leggere gli allievi ad alta voce a turno, un pezzo
ciascuno. Questo può servire a una prima elementare verifica dell'abilità di decifrazione, che
si può concludere abbastanza rapidamente; al di là di questo, l'esercizio serve poco a chi
legge, e sottopone gli altri a esempi di lettura stentata e poco significativa, da cui non vedo
quale giovamento possano avere. Meglio se è l'insegnante a proporre una propria lettura
sensata ed espressiva, che di per sé suscita interesse e può indirizzare verso una prima
comprensione globale del testo.
Alcuni insegnanti, poi, di scuola di base (nella secondaria è difficile che ci sia il tempo
per questo) dedicano alcune ore a una lettura individuale silenziosa di testi scelti dagli stessi
allievi: questo dà loro un'idea, che molti non trovano in casa, di cosa significa "leggere" in
situazioni extrascolastiche, fa sperimentare quella condizione di raccoglimento che è un
requisito e un pregio della lettura, indica la lettura silenziosa come la forma di lettura
"normale".
Parlare di ciò che si legge
In tutte le classi ogni giorno si parla di ciò che si è letto insieme o individualmente, in
classe o a casa. E un momento importante per la rilevazione di problemi e difficoltà, a patto
che ci si soffermi sulla comprensione e non si corra troppo presto ai commenti e alle
interpretazioni, dando per scontata una comprensione letterale di primo livello, che non
sempre c'è.
È anche ovviamente un momento per fornire aiuti alla comprensione, ogni volta che
gli allievi si rendono conto di non aver capito tutto. Questi saranno più efficaci se si
atterranno ad alcuni criteri:
- non fornire immediatamente spiegazioni, ma prima sollecitare gli allievi a reagire
attivamente alla difficoltà, a cercare indizi, a fare ipotesi; ho dato qualche esempio nel
paragrafo 4.2, a proposito delle difficoltà lessicali (vedi p. 32) e con le "domande di aiuto
per l'integrazione" in appendice al paragrafo 5.3;
- cercare di far capire il testo, non solo il contenuto del testo: possiamo dare all'allievo
un'idea del significato di un passo sufficiente per proseguire la lettura, senza che penetri
nel modo in cui da quelle date espressioni si giunge a quel significato; in questo caso
l'aiuto servirà solo al caso specifico, non costituirà un'esperienza trasferibile su altri testi;
- mostrare il percorso che noi lettori esperti compiamo per ricavare il significato dal testo,
descrivendo al rallentatore quei processi che per noi sono istantanei e spesso
100
inconsapevoli.
Il lavoro specifico sulla lettura
Tutto questo non basta. Non basta per la diagnosi delle difficoltà, perché sappiamo che
a una conversazione collettiva alcuni allievi non partecipano (spesso proprio quelli che
hanno più difficoltà), e anche il colloquio individuale ha molti limiti, specialmente quando
avviene in presenza della classe. Non basta per l'intervento, perché spero di aver mostrato
che in molti casi sono opportune esercitazioni specifiche, che richiedono di andare oltre le
occasioni fornite dai testi che si leggono per scopi diversi.
Dedicare tempi specifici alla lettura e comprensione e alla sua verifica significa
programmare momenti in cui l'oggetto della lezione non è solo fare esperienza dei testi
letterari, familiarizzarsi coi giornali, leggere per studiare o altro, ma è proprio in sé esercitare
e verificare la comprensione. Una prova di comprensione (del tipo di quelle passate in
rassegna nel paragrafo 6.3) a volte non è opportuna su un testo che si sta leggendo per altri
scopi, perché interromperebbe un lavoro diversamente orientato; una prova di cloze o di
ricomposizione di un brano di solito non si può fare su un testo che serve ad altri scopi.
Conosco le resistenze di molti colleghi a introdurre "lezioni di lettura". Ritengono che i
ragazzi non ne capirebbero lo scopo, che la lettura debba essere sempre motivata da uno
scopo che non sia la lettura stessa, altrimenti diventa un'esercitazione astratta e poco
significativa. Eppure, rispondo, questi colleghi non obiettano al fatto che spesso a scuola si
scrive in primo luogo per esercitare la scrittura, anche se si cerca di creare tutte le occasioni
possibili in cui essa sia motivata da scopi reali. Non ragionerei in modo diverso per la lettura.
Certo le attività specifiche dovrebbero essere «ecologicamente rilevanti» (come scrive
Merini, 1991 p. 171), cioè condotte su materiali significativi, per lo più autentici (non
costruiti appositamente), non diversi da quelli che gli allievi incontrano in altre situazioni.
Ma non vedo un danno, anzi un vantaggio, nel fatto che gli allievi sappiano che in un dato
momento l'oggetto del lavoro è in primo luogo la comprensione della lettura in sé. Gli
obiettivi importanti dovrebbero essere tematizzati, diventare il titolo di alcune unità di
lavoro, altrimenti c'è il rischio che non vengano percepiti nella loro rilevanza, dagli allievi e
qualche volta nemmeno dagli insegnanti. Ciò che si fa un po' tutti i giorni, un po' in tutti i
contesti, siamo poi sicuri di farlo davvero?
Ogni progetto di educazione linguistica dovrebbe comprendere due tipi di attività,
distinte e interrelate: le attività in situazione e le esercitazioni specifiche. Attività come il
prendere appunti, lo schedare, il riassumere possono far parte di tanti percorsi di studio e di
ricerca; ma c'è anche bisogno di momenti in cui si insegna a prendere appunti, a schedare, a
riassumere, fuori da un contesto diversamente finalizzato. Lo stesso può valere per le attività
di lettura.
I contesti
Definire i momenti e i contesti delle attività di lettura comporterebbe proporre uno
schema generale di programmazione dell'educazione linguistica, cosa che non mi permetto di
fare: prima di tutto per rispetto alle scelte e agli stili individuali di insegnamento, poi perché
non si possono prevedere tutte le variabili, dai livelli di scuola alle diverse situazioni locali,
comprese le opportunità offerte dai colleghi di altre materie, dalle biblioteche scolastiche, da
altre risorse del territorio.
Non c'è dubbio che gran parte delle attività di educazione linguistica si dovrebbero
svolgere in forma integrata, intrecciando momenti di lettura, scrittura, esercizio delle abilità
orali. I temi di lavoro non sarebbero le singole competenze, ma progetti di ricerca, approcci
ai diversi generi testuali: i generi letterari, i testi di informazione, i testi espositivi e di studio,
101
i testi regolativi, i testi argomentativi... questo almeno a partire dalla scuola media, come del
resto spesso accade, almeno a giudicare dall'impostazione di molti libri di testo.
Ci sono poi settori di attività più specifiche connesse alla lettura e comprensione:
l'insegnamento delle abilità di studio, la riflessione sulla lingua.
Infine, ci dovrebbero essere momenti di esercizio e verifica dedicati specificamente
alla lettura e comprensione: può trattarsi di "finestre" o "parentesi" aperte nel corso di altre
attività, ma anche di brevi percorsi o unità didattiche autonome. Un principio generale può
essere che quanto più ci interessiamo di abilità di livello "basso" e locale (dalla decifrazione
al lessico, alla sintassi, alla coesione) tanto più abbiamo bisogno di queste attività specifiche;
quanto più saliamo verso i livelli alti e globali (quelli considerati nel cap. 5), tanto più
possiamo contare su attività integrate.
In sintesi, richiamando le indicazioni sparse in questo libro, si può abbozzare una
tipologia come questa:
- attività integrabili in percorsi di respiro più ampio: quelle legate alla coerenza testuale e
alla specificità di tipi e generi testuali;
- attività legate all'insegnamento delle abilità di studio: strategie diversificate di lettura,
strutture dei testi espositivi, mappe testuali e altre schematizzazioni dei testi;
- momenti di riflessione sulla lingua particolarmente utili per lo sviluppo della comprensione:
riflessione sul lessico, nominalizzazione, anafore e connettori testuali, tipologia dei testi;
qui c'è da precisare che queste cose sono utili se sono davvero "riflessione", se cioè sono
condotte in modo induttivo e intelligente; purtroppo non sempre è così, ma per sviluppare
questo punto ci vorrebbe un altro libro;
- attività tematizzate specificamente come "lettura": possono includere le verifiche della
comprensione più formalizzate, le attività per il miglioramento della decifrazione, le
attività come il cloze e la ricomposizione di un brano.
La motivazione e il recupero
Tutte queste ipotesi didattiche sono soggette a una riserva di fondo: nessuna attività,
specifica o no, è utile se gli allievi non sono motivati a leggere e a migliorare la loro
comprensione. Questo è evidente, e non sarebbe difficile scrivere un intero libro rigirando
questa affermazione (forse qualcuno lo ha fatto). Io non ho molto da dire in proposito, e
credo che i bravi insegnanti non abbiano bisogno di sentirsi dire come motivare; forse a loro
serve di più qualche approfondimento tecnico che ho cercato di dare.
Mi limiterò a una considerazione: la motivazione più genuina e stabile è quella
intrinseca alla lettura, il piacere di leggere e apprendere, ma è poco probabile che questa
agisca sugli allievi per i quali la lettura è un'attività faticosa e stentata; naturalmente si
cercherà di offrirgli letture più alla loro portata, ma il problema di passare a letture più
impegnative si porrà comunque. Credo che per i lettori in difficoltà una motivazione possa
essere la prospettiva di migliorare: il sapere che qualcosa si sta facendo per il loro problema,
l'apprezzamento per gli sforzi che fanno (se ne fanno), la consapevolezza di cominciare a
fare dei progressi, per quanto piccoli. In questo senso anche le esercitazioni meno attraenti in
sé, perché meno contestualizzate, potrebbero essere motivanti.
Questo implica che l'allievo in difficoltà sia coinvolto nel progetto di recupero che lo
riguarda. «E necessario discutere sin dall'inizio col bambino le sue difficoltà, esporgli in
modo comprensibile gli obiettivi del piano d'intervento, spiegargli a grandi linee quali
attività verranno svolte e, quando sarà il momento, coinvolgerlo nelle verifiche periodiche»,
scrive Merini, che si riferisce a progetti in cui intervengono specialisti; ma credo che il
discorso valga altrettanto per gli interventi condotti dalla scuola con le proprie forze.
Un'altra leva potente, forse un prerequisito di ogni attività di recupero, è 1'"effetto
102
Pigmalione": è stato verificato sperimentalmente che quegli allievi dai quali gli insegnanti si
aspettano un miglioramento migliorano in effetti più degli altri 187.
Negli esperimenti da cui è nata l'idea di Pigmalione, si trattava di allievi sorteggiati a
caso, dei quali si diceva agli insegnanti che in base a test "scientifici" erano particolarmente
predisposti a progredire; in capo a qualche mese gli insegnanti non ricordavano nemmeno
quali allievi gli fossero stati segnalati, ma proprio quelli, in media, avevano progredito più
degli altri. Evidentemente l'aspettativa positiva dell'insegnante mette in moto atteggiamenti
inconsapevoli, circuiti comunicativi subliminali, che agiscono sulla fiducia e sull'impegno
dell'allievo e dell'insegnante stesso. È possibile innescare volontariamente un meccanismo
simile? Non so se la domanda possa avere una risposta sperimentale, ma ciascuno di noi sa
che un'aspettativa di miglioramento, una valorizzazione di ogni progresso per quanto minimo
è il punto di partenza per ogni percorso di recupero.
8.2.
I progetti con intervento di specialisti esterni
Il discorso condotto fin qui riguarda quel che può fare l'insegnante di Italiano con le
proprie forze, nell'ambito del suo normale lavoro in classe (il che non significa che sia solo:
ogni progetto di recupero dovrebbe cercare di coinvolgere i colleghi che insegnano altre
materie, i genitori degli allievi in difficoltà, eventuali insegnanti di sostegno).
C'è poi una ricca letteratura sugli interventi promossi e assistiti da gruppi di specialisti
esterni alla scuola, ma che si svolgono nella scuola; lascio da parte gli interventi che si
svolgono presso studi di specialisti e centri di assistenza alla scuola, a cui alcuni allievi
vengono mandati. I risultati di questi interventi possono essere verificati con metodo
rigoroso, attraverso il confronto dei livelli di partenza e di arrivo tra il gruppo di allievi che
hanno seguito la sperimentazione e un gruppo di controllo di allievi che non l'hanno seguita.
Interventi di matrice psicologica
I risultati sono in genere positivi, a volte anche per quegli interventi piuttosto
circoscritti nel tempo che sono preferiti dagli psicologi per ragioni di rigore sperimentale. Ad
esempio, Oakhill e Yuill riferiscono di un intervento limitato a sette sessioni di mezz'ora
nell'arco di due mesi, condotto con gruppi di bambini a diversi livelli iniziali di competenza
(non è detto quale età avessero): i bambini del gruppo sperimentale svolsero attività mirate a
fare inferenze lessicali e a porsi domande sui testi, un gruppo di controllo fece attività più
generiche di comprensione (rispondevano a turno a domande sul testo), un altro attività per
migliorare la rapidità di decifrazione. «I progressi nei punteggi di comprensione dopo questo
periodo di addestramento piuttosto breve furono impressionanti». Il miglioramento fu molto
più netto per i primi due gruppi, e in particolare «I meno abili nella comprensione
beneficiarono del lavoro sulle inferenze più dei più abili» (1996, p. 85, traduzione mia).
Interventi più ampi e articolati sono stati condotti per sperimentare l'efficacia del
"Programma MT per la promozione della comprensione", risultato di anni di ricerche
condotte da équipe di ricerca coordinate da Cesare Cornoldi. Questi ricercatori hanno
identificato dieci aree di abilità implicate nella comprensione, che vanno da «Inferire il
significato della parola in base al contesto» a «Cogliere la struttura del testo»; per ciascuna
abilità sono state preparate numerose schede di lavoro, destinate in parte alla scuola
elementare, in parte alla scuola media. De Beni e Pazzaglia (1995, p. 149) riferiscono di varie
sperimentazioni di questi materiali, condotte in scuole elementari e medie con una durata di
qualche decina di ore distribuite in qualche mese. I risultati mostrano sempre nei gruppi
sperimentali un progresso nella comprensione superiore rispetto ai gruppi di controllo.
Un secondo programma riferibile alla stessa area di ricercatori promuove gli aspetti
187
Vedi Rosenthal, Jacobson 1968.
103
metacognitivi nella comprensione, ed è pure predisposto per allievi sia di scuola elementare
che di scuola media. Una serie di schede propongono esercizi che mirano a tre aree: gli scopi
della lettura (capire che la lettura è essenzialmente comunicazione), l'acquisizione di strategie
di lettura e di controllo della comprensione, l'individuazione delle caratteristiche di genere dei
testi3. Una sperimentazione è stata condotta su sedici classi, dalla terza elementare alla terza
media, con la collaborazione degli insegnanti, per una durata di 35 ore distribuite in alcuni
mesi. I risultati dimostrano un progresso maggiore delle classi sperimentali non solo nella
consapevolezza metacognitiva (e sarebbe strano che non fosse così, dato che si verifica quel
che è stato insegnato esplicitamente), ma anche nelle prove di comprensione.
Il colloquio centrato sul lettore che pensa ad alta voce
Si tratta del tipo di intervento individualizzato messo a punto da Lucia Lumbelli e
descritto sommariamente nella scheda inserita nel paragrafo 4.1. Un vantaggio di questo
approccio è che impegna gli allievi in attività metacognitive consapevoli di alto livello:
scoperta di incongruenze nella propria comprensione del testo, ricerca nel testo degli indizi
che possono condurre a superarle attraverso un processo inferenziale. Attività di questo
genere possono essere intrinsecamente motivanti: si tratta di «esperienze di apprendimento
che sono abbastanza gratificanti da modificare l'atteggiamento degli allievi verso l'attività
cognitiva, che precedenti esperienze scolastiche frustranti li hanno spinti a rifiutare»
(Lumbelli 1996, p. 301, traduzione mia). Un limite è che il programma richiede che
l'insegnante acquisisca una preparazione specifica alla conduzione del colloquio, con un
addestramento non facile né breve, e che dedichi poi parecchio tempo a ogni singolo allievo.
Dell'efficacia di questo intervento si hanno prove sperimentali. Un gruppo di diciotto
allievi di undici anni, dopo tre sole sessioni di lavoro di circa un'ora ciascuna, mostrò
significativi progressi nei test di comprensione, mentre i progressi del gruppo di controllo
nello stesso periodo erano trascurabili (ibid. p. 325).
Una sperimentazione più ampia è stata condotta da Ginetta Cavazzini (1999), sempre
nella scuola media: diciotto allievi con difficoltà di lettura ebbero dieci sedute ciascuno di
colloquio individuale; altri sedici, di tre classi diverse, parteciparono a sedute tenute in
classe, in cui si cercava di applicare i criteri del colloquio centrato sul lettore alla
conversazione collettiva; un terzo gruppo di controllo, composto di allievi che avevano
pressappoco gli stessi livelli di partenza, non partecipò a nessun programma speciale. Il
confronto fra le prove di ingresso e finali ha mostrato un netto progresso del primo gruppo
(trattamento individualizzato) rispetto al terzo (nessun trattamento), e uno meno marcato del
secondo gruppo (trattamento collettivo in classe). In quest'ultimo caso, è notevole il fatto che
le classi di cui i ragazzi in difficoltà facevano parte, nel loro insieme, hanno tratto un netto
beneficio dall'intervento, mentre questo è stato più limitato per i soggetti della
sperimentazione; non è difficile immaginare perché: sebbene la sperimentatrice cercasse di
interpellare sempre per primi i ragazzi in difficoltà, a condurre il discorso erano i più bravi,
che spesso giungevano a risolvere i problemi di comprensione troppo in fretta per le capacità
degli altri.
È da notare che in questa sperimentazione tutti i colloqui, individuali e collettivi,
furono condotti dalla sperimentatrice, il che conferma la difficoltà di introdurre la procedura
nella vita ordinaria della scuola: preparare gli insegnanti al colloquio centrato sul lettore
richiede tempo e non è sicuro che tutti raggiungano una padronanza sufficiente della tecnica,
i colloqui individuali creano problemi organizzativi di tempo e di spazio.
104
Interventi di matrice linguistica
Esiste una vasta letteratura di indicazioni didattiche proposte dagli studiosi e dagli
insegnanti che si fondano sulle scienze del linguaggio, in particolare da coloro che si sono
ispirati alle Dieci tesi per l'educazione linguistica democratica del 1975188 e hanno fatto
riferimento al GISCEL (Gruppi di Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica
costituiti in seno alla Società di Linguistica Italiana). Solo di recente però si è avuta la
sperimentazione controllata di un progetto didattico nato in quell'area 189.
Il progetto è stato condotto in base a una convenzione tra il GISCEL e il Ministero
della Pubblica Istruzione. Alcuni docenti universitari, tre insegnanti appositamente distaccati
e diciotto insegnanti in servizio di scuola elementare e media hanno predisposto un
"segmento curricolare" dedicato alla lettura, che nelle classi sperimentali ha impegnato da 40
a 70 ore distribuite in due mesi. I princìpi ispiratori del progetto si possono riassumere in
questi punti:
- il lavoro ha coinvolto sempre le classi intere, senza isolare i soggetti svantaggiati, ma
puntando sull'interazione cooperativa tra i ragazzi e tra questi e gli insegnanti;
- si sono evitate le attività meramente esercitative e ripetitive: gli itinerari di lavoro sono
stati innestati in contesti motivanti, legati a precisi scopi, come preparare una visita o gita
di istruzione;
- sono stati privilegiati i testi "pragmatici" (nel senso della ricerca IEA-SAL: tabelle, grafici e
simili) e informativo-espositivi: al centro del progetto è 1'"abilità di documentarsi" in
situazioni simili a quelle che un ragazzo può incontrare nella vita scolastica e soprattutto
extrascolastica.
La sperimentazione, condotta nel 1999, ha coinvolto dodici classi di 4 a elementare e
altrettante di 3a media, metà a Palermo e metà a Lecce; le classi di controllo sono state in
tutto dodici, equamente distribuite fra i due livelli e le due sedi.
I risultati sono stati verificati mediante il confronto fra prove di comprensione a
risposta chiusa in ingresso e in uscita. Nella scuola media appare un progresso più marcato
delle classi sperimentali rispetto a quelle di controllo; anche più notevole è che nelle classi
sperimentali si riduce in modo significativamente maggiore la deviazione standard tra i
punteggi (un indice che misura la dispersione dei risultati, la media delle differenze tra i
singoli): vuol dire che si sono ridotte le distanze tra gli allievi migliori e i peggiori; questo
risultato è confermato da un netto innalzamento dei punteggi minimi nelle prove d'uscita.
Nella scuola elementare il progresso delle classi sperimentali è meno evidente, e forse
statisticamente non significativo (non per nulla in questo caso non viene fornito il dato del
test statistico di significatività); resta però evidente la maggiore diminuzione della
deviazione standard, cioè degli scarti fra gli allievi.
Considerazioni sui risultati
I successi vantati da questi programmi di intervento possono essere discussi da vari
punti di vista. In primo luogo, può darsi che chi ha condotto la ricerca sia portato, anche
inconsapevolmente, a vedere e a mostrare gli episodi e gli aspetti più favorevoli alle sue
ipotesi di partenza. In secondo luogo, se nelle classi e nei gruppi sperimentali si è fatto un
188
Le Dieci tesi, ristampate in molte sedi, si possono ora leggere in Ferreri, Guerriero (a cura di) 1998, pp. 81
sgg. Il libro contiene anche una mappa di quanto è stato pubblicato nei primi diciannove "Quaderni del GISCEL"
(editi da La Nuova Italia), dal 1985 al 1997.
189
Vedi Ferreri (a cura di) 2002. Ho potuto vedere il volume in bozze all'ultimo momento, grazie alla cortesia
della curatrice e di Edoardo Lu-garini della Nuova Italia Editrice, e ho potuto tenerne conto solo parzialmente in
questo lavoro. Inoltre non ho potuto vedere il CD che contiene la descrizione analitica delle attività svolte, che
sarà allegato al volume.
105
lavoro più sistematico sulla comprensione, può essere ovvio che questo abbia prodotto dei
risultati. A questa considerazione si può aggiungere la possibile presenza di un "effetto
Hawthorne". La Hawthorne era un'azienda che produceva materiale elettrico per gli impianti
telefonici; negli anni venti vi fu condotta una serie di esperimenti sugli effetti
dell'illuminazione sul rendimento degli operai: risultò che il rendimento migliorava quando
l'illuminazione veniva aumentata, quando veniva ridotta e quando restava costante
(Rosenthal, Jakobson 1968, pp. 202-204)..
Sarei portato a interpretare questi dati nel senso che ciò che produce un miglioramento
delle prestazioni è il fatto stesso di essere in una situazione sperimentale, di sapere che
qualcuno sta studiando come migliorarle e le verifica. Ho l'impressione che qualcosa di
simile accada quando in una scuola si introduce una sperimentazione, e quasi sempre si
registra un miglioramento del clima di lavoro, dell'insegnamento e dell'apprendimento.
Questo effetto potrebbe essere indipendente dalla scelte specifiche che guidano il progetto,
ma essere una conseguenza del fatto che qualunque innovazione mobilita energie e
aspettative.
La conclusione, un po' paradossale, sarebbe che quando si attua un intervento didattico
con aspetti innovativi ci si può aspettare che abbia effetti positivi, indipendentemente dal suo
contenuto; naturalmente questo può valere entro i limiti del buon senso, per interventi basati
su ipotesi ragionevoli, non per qualsiasi iniziativa cervellotica.
8.3. Congedo
Proviamo a ricondurre queste considerazioni al lavoro quotidiano dell'insegnante che
non abbia a disposizione interventi esterni. È possibile produrre anche in queste condizioni
un "effetto Hawthorne"? Forse sì, se un progetto di intervento per migliorare la
comprensione, sia esso rivolto alla classe o a dei singoli, viene pensato e presentato con la
giusta enfasi, come un momento particolare mirato a uno scopo specifico, che rompe in
qualche modo la routine quotidiana.
Le riserve che ho avanzato sui successi dei programmi d'intervento non hanno un
carattere pessimistico: in fondo, vengono a dire che quando si fa qualcosa, qualcosa si
ottiene. Con questo messaggio vorrei concludere il libro, che spero abbia offerto qualche
indicazione utile su quel che si può fare.
106
Riferimenti bibliografici
Ambel M., 1990, I miei allievi e le loro abilità linguistiche, «Lingua e nuova didattica», XIX, n. 1-2,
pp. 8-12.
Bartlett F. C., 1932, La memoria. Studio di psicologia sperimentale e sociale, trad. it. Milano, Angeli,
1974.
Benvenuto G., 1989, La verifica della comprensione attraverso prove di riesposizione, riformulazione
e riassunto, in Lucisano (a cura di), pp. 198-219.
Berretta M., 1981, Un aspetto della (in)competenza testuale degli adolescenti: la comprensione delle
proforme, in Sviluppi della linguistica e problemi dell'insegnamento, a cura di M. Berretta,
Torino, Giappichelli.
Bertocchi D., 1983, La lettura, Lecce, Milella.
Brown A. L., 1980, Metacognitive Development and Reading, in R. J. Spiro, B. C. Bruce, W. F.
Brewer (eds.), Theoretical Issues in Reading Comprehemsion, Hillsdale, Erlbaum, pp. 453-481.
Cacciari C., Tabossi P. (eds.), 1993, Idioms: Processing, Structure and Interpretation, Hillsdale,
Erlbaum.
Calò R., Ferreri S. (a cura di), 1997, Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed educazione
linguistica, Firenze, La Nuova Italia.
Cardinale U., Giachino G., 1981, La lettura, Bologna, Zanichelli.
Castelfranchi C., Devescovi A., Miceli M., Parisi D., 1979, Aspetti cognitivi della costruzione dei
brani, in D. Parisi (a cura di), Per una educazione linguistica razionale, Bologna, Il Mulino,
pp. 125-160.
Castelfranchi C., Parisi D., 1980, Linguaggio, conoscenze e scopi, Bologna, Il Mulino.
Cataldo M. G., 1998, Disturbi di comprensione della lettura. Testo narrativo e espositivo: cosa
cambia?, «Psicologia e Scuola», n. 89, pp. 3-14.
Cavazzini G., 1999, Abilità di comprensione della lettura: stimolazione individualizzata o collettiva?,
«Scuola e Città», n. 12, pp. 508-524
Colombo A., 1984, Coordinazione e coesione testuale: per una ragionevole grammatica didattica, in
Linguistica testuale, a cura di L. Coveri, Roma, Bulzoni, pp. 353-370.
Colombo A., 1985, Alcuni errori di comprensione in letture curricolari, «Linguaggi», II, n.3, pp. 1421.
Colombo A., 1987, Significato nel testo e attese del lettore, «Studi italiani di linguistica teorica ed
applicata», XVI, n. 2-3, pp. 347-358.
Colombo A., 1992, Per una definizione e analisi pragmatica dei testi argomentativi, in La linguistica
pragmatica, a cura di G. Gobber, Roma, Bulzoni, pp. 475-500.
Colombo A., 1995, Biennio Scuola secondaria superiore, in IRRSAE Emilia-Romagna, pp. 52-76.
Colombo A., 1996, Due o tre modi di non capire. Difficoltà di comprensione di testi argomentativi, in
"E' la lingua che ci fa uguali", a cura di A. Colombo e W. Romani, Firenze, La Nuova Italia,
pp. 189-208.
Colombo A., 1997, Testi e pretesti: gli apparati didattici delle antologie e dei libri di lettura, in Calò,
Ferreri (a cura di), pp. 415-426.
Colombo A., Cortellini D., Sabatino M., 1989, «Non sanno leggere»: la comprensione di testi non
letterari nel biennio, in Come si legge un testo, a cura di M. L. Altieri Biagi, Milano, Mursia,
pp. 277-297.
Conte M.-E., 1988, Condizioni di coerenza, Firenze, La Nuova Italia.
Corno D., Pozzo G. (a cura di), 1991, Mente, linguaggio, apprendimento. L'apporto delle scienze
cognitive all'educazione, Firenze, La Nuova Italia.
Corno D., Pozzo G., 1991, L'apporto delle scienze cognitive all'educazione, in Corno D., Pozzo G. (a
cura di) pp. IX-XXVIII.
Cornoldi C., 1994, Il processo di comprensione, «Psicologia contemporanea», n. 122, pp. 51-55.
Cornoldi C., 1995, Metacognizione e apprendimento, Bologna. Il Mulino.
Cornoldi C., Colpo G., Gruppo MT, 1981, La verifica dell'apprendimento della lettura, Firenze,
Organizzazioni Speciali, 1992 (5a ristampa).
Cornoldi C., De Beni R., Gruppo MT, 1989, Guida alla comprensione del testo nella scuola
dell'obbligo, Bergamo, Walk Over.
107
Cornoldi C., De Beni R., Gruppo MT, 1993, Imparare a studiare. Strategie, stili cognitivi,
metacognizione e atteggiamenti nello studio Trento, Erickson.
Cornoldi C., Oakhill J. (eds.), 1996, Reading Comprehension Difficulties. Processes and Intervention,
Mahwah N.J., Erlbaum.
D'Addio Colosimo W., 1988, Nominali anaforici incapsulatori: un aspetto della coesione lessicale, in
S.L.I., Dalla parte del ricevente: percezione, comprensione, interpretazione, a cura di T. De
Mauro, S. Gensini, M.E. Piemontese, Roma, Bulzoni.
De Beni R., Pazzaglia F., 1995, La comprensione del testo. Modelli teorici e programmi di intervento,
Torino, UTET.
Della Casa M., 1987, La comprensione dei testi, Milano, Angeli.
De Mauro T., 1999, Capire le parole, Bari, Laterza (nuova edizione riveduta e accresciuta, prima
edizione 1994).
De Mauro T., Voghera M., 1996, Scala mobile. Un punto di vista sui lessemi complessi, in Italiano e
dialetti nel tempo. Saggi di grammatica per Giulio C. Lepschy, a cura di P. Benincà, G. Cinque,
T. De Mauro, N. Vincent, Roma, Bulzoni, pp. 99-129.
van Dijk T.A., Kintsch W., 1983, Strategies of Discourse Comprehension, New York, Academic
Press.
Erkü F., Gundel J., 1987, The pragmatics of indirect anaphors, in J. Verschuren, M. Bertuccelli Papi
(eds.), The Pragmatic Perspective, Amsterdam, Benjamins, pp. 533-545.
Ferreri, S., 1988, Il problema di matematica: un problema linguistico, in Guerriero (a cura di), pp.
317-329.
Ferreri, S. (a cura di), 2002, Non uno di meno. Strategie didattiche per leggere e comprendere,
Firenze-Milano, La Nuova Italia.
Ferreri, S., Guerriero A. R. (a cura di) 1998, Educazione linguistica vent'anni dopo e oltre. Che cosa
ne pensano De Mauro, Renzi, Simone, Sobrero, Firenze, La Nuova Italia.
Frasca S., 1989, Insegnare a imparare, Faenza, Faenza editore.
Frasnedi F., 1999, La lingua, le pratiche le teorie. Le botteghe dell'agilità linguistica, Bologna,
CLUEB.
Gallina V. (a cura di), 2000, La competenza alfabetica in Italia. Una ricerca sulla cultura della
popolazione, Milano, Angeli.
Garnham A., Inference in Language Understanding: What, When, Why and How, in R. Dietrich, C. F.
Graumann (eds), Language Processing in Social Context, Amsterdam, North-Holland, 1989,
pp. 153-172.
Garnham A., Oakhill J., 1996, The Mental Models Theory of Language Comprehension, in B. K.
Britton, A. C. Graeser, Models of Understanding Text, Mahwah, Erlbaum, pp. 313-339.
Gattullo M., 1968, Didattica e docimologia, Roma, Armando.
Gernsbacher M.A., Givón T. (eds.), 1995, Coherence in spontaneous text, Amsterdam, Benjamin.
Gough Ph.B., Hoover W. A., Peterson C. L., 1996, Some Oberservations on a Simple View of
Reading, in Cornoldi, Oakhill, (eds.), pp. 1-13.
GISCEL Bologna, 1988, Esperienze di verifica della comprensione testuale nel biennio, in Guerriero
(a cura di), pp. 289-316.
GISCEL Lombardia, 1994, Leggibilità e comprensione del manuale di scienze, in Zambelli M.L. (a
cura di), pp. 15-96
GISCEL Piemonte, 1997, Il difficile alfabeto del libro di scuola, in Calò, Ferreri (a cura di), pp. 241260.
Grice H. P., 1975, Logica e conversazione, trad. it. in M. Sbisà (a cura di), Gli atti linguistici, Milano,
Feltrinelli, 1978, pp. 199-219.
Guerriero, A. R. 1983, La ricezione del testo come comprensione/rielaborazione, «Orientamenti
pedagogici», XXX, pp. 579-612.
Guerriero A. R. (a cura di), 1988, L'educazione linguistica e i linguaggi delle scienze, Firenze, La
Nuova Italia.
Guerriero, A. R., Sauro F. R., 2000, Leggere ipertesti. Modalità di ricezione delle informazioni
elaborate su supporto elettronico e cartaceo, in Lingue, culture e nuove tecnologie, a cura di E.
Piemontese, Firenze-Milano, La Nuova Italia, 2000, pp. 105-128.
Johnson-Laird, Ph. N., 1983, Modelli mentali, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1988.
108
Halliday M.A.K., Hasan R., 1976, Cohesion in English, London, Longman.
IRRSAE Emilia-Romagna, 1995, Per capire di non capire, a cura di L.Lumbelli e P.Senni, Bologna,
Synergon.
Kintsch W., 1995, How readers construct situation models for stories; the role of sintactic cues and
causal inferences, in Gernsbacher, Givón (eds.), pp. 139-159.Kleiber G., 1990, Sur l'anaphore
associative: article défini et adjectif démonstratif, «Rivista di linguistica», vol. 2 n. 1, pp. 155175. Levorato M.C., 1988, Racconti, storie e narrazioni. I processi di comprensione dei testi,
Bologna, Il Mulino.
Levorato M.C., 2000, Le emozioni della lettura, Bologna, Il Mulino.
Lorenzetti R., 1999, Compagni di viaggio. Inferenza e anafora, Bologna, CLUEB.
Lucisano P. (a cura di), 1989, Lettura e comprensione, Torino, Loescher.
Lucisano P., 1989, Fammi vedere che cosa hai capito, in Lucisano (a cura di), pp. 15-42; Le prove di
comprensione della lettura a scelta multipla, ivi, pp. 77-116.
Lucisano P., 1992, Misurare le parole, Roma, Kepos.
Lucisano P. (a cura di), 1994, Alfabetizzazione e lettura in Italia e nel mondo, Napoli, Tecnodid.
Lucisano P., Piemontese M. E., 1988, GULPEASE: una formula per la predizione delle difficoltà dei
testi in lingua italiana, «Scuola e Città», n. 3, pp. 110-124.
Lumbelli L., 1989, Fenomenologia dello scrivere chiaro, Roma, Editori Riuniti.
Lumbelli L., 1990, Un approccio alla valutazione formativa: per una metodologia
dell'interrogazione orale; (segue) Per una fenomenologia di atti linguistici congruenti con
l'intenzione di saperne di più, «Scuola e Città», n. 1 pp. 8-18; n. 2 pp. 67-78.
Lumbelli L., 1995, Per un controllo consapevole della comprensione di testi: criteri per
l'accertamento e la stimolazione, in AA.VV., Metacognizione ed educazione, Milano, Angeli,
pp. 143-160.
Lumbelli L., 1996, Focusing on comprehension as a problem-solving task. A fostering project for
culturally deprived children, in Cornoldi, Oakhill (eds.), pp. 301-330.
Lumbelli L., Segre C., 1990, Fenomenologia della dimenticanza nella lettura di testi, Milano, Angeli.
Marello c. (a cura di), 1989, Alla ricerca della parola nascosta, Firenze, La Nuova Italia.
Mariani L., 1990, Strategie per imparare, Bologna, Zanichelli.
Merini C., 1991, I problemi della lettura, Torino, Bollati Boringhieri.
Mizzau M., 1984, L'ironia. La contraddizione consentita, Milano, Feltrinelli.
Monighetti I., 1994, La lettera e il senso. Un approccio interattivo all'apprendimento della lettura e
della scrittura, Firenze, La Nuova Italia.
Mortara Garavelli B., 1983, Prospettive «testuali» per la lettura, in LEND, Educazione alla lettura,
Zanichelli, Bologna, vol. 1, pp. 90-103.
Oakhill J., Yuill N., 1996, Higher Order Factors in Comprehension Disability: Processes and
Remediation, in Cornoldi, Oakhill, (ed.), pp. 69-92.
Paoletti G., 1993, Comprensione e ri-scrittura di testi, «Età evolutiva», n. 46, pp. 60-70.
Paoletti G., 2001, Saper studiare, Roma, Carocci.
Pennac D., 1993, Come un romanzo, trad. it. Milano, Feltrinelli.
Perfetti C. A., Marron M. A., Foltz P. W., 1996, Sources of Comprehension Failure: Theoretical
Perspectives and Case Studies, in Cornoldi, Oakhill (ed.), pp. 137-165.
Piemontese M. E., 1997, Guida alla redazione dei documenti amministrativi, in Manuale di stile.
Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche, a cura di A. Fioritto,
Bologna, Il Mulino, pp. 17-65.
Plazzi, P., Problemi linguistici nell'apprendimento della matematica, in Curricoli per la scuola
dell'autonomia, a cura di A. Colombo, R. D'Alfonso, M. Pinotti, Milano, La Nuova Italia,
2001, pp. 298-302.
Pontecorvo C., Pontecorvo M., 1986, Psicologia dell'educazione. Conoscere a scuola, Bologna, Il
Mulino.
Pozzo G., 1986, Comprensibilità dei testi scolastici e apprendimento, «Insegnare», anno II, n. 9, pp.
13-19.
Rosenthal R., Jacobson L., Pigmalione in classe. Aspettative degli insegnanti e sviluppo intellettuale
degli allievi, trad. it. Milano, Angeli, 1972.
Rumelhart D., 1980, Schemi e conoscenza, trad. it. in Corno, Pozzo 1991, pp. 25-57.
109
Sanford A. J., Garrod S. C., 1981, Understanding Written Language, Chichester, Wiley.
Sanford A. J., Moxey L. M., 1995, Aspects of coherence in written language: a psychological
perspective, in Gernsbacher, Givón (eds.), pp. 161-187.
Scardamalia M., Bereiter C., 1984, Development of Strategies in Text Processing, in H.Mandl, N. L.
Stein, T. Trabasso (eds.), Learning and Comprehension of Text, Hillsdale, Erlbaum, pp. 379406.
Serafini M.T., 1989, Come si studia, Milano, Bompiani.
Shank R.C., 1982, Il lettore che capisce. Il punto di vista dell'Intelligenza Artificiale, trad. it. Firenze,
La Nuova Italia, 1992.
Shank R. C., Abelson R. P. 1977, Script, piani e conoscenza, trad. it. in Corno, Pozzo 1991, pp. 3-21.
Simone R., 1978, Scrivere, leggere e capire, «Lingua e nuova didattica», n. 4, pp. 14-24.
Tassi S., 2000, La lettura promossa. Pedadogia e didattica della lettura e della ricerca in biblioteca,
Milano, Edizioni Unicopli.
Toulmin S., 1958, Gli usi dell'argomentazione, trad. it. Torino, Rosenberg & Sellier, 1975.
Zambelli M. L. (a cura di), 1994, la rete e i nodi. Il testo scientifico nella scuola di base, Firenze, La
Nuova Italia.
110