OSSERVAZIONI IN ORDINE ALLE LESIVITÀ DEL
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OSSERVAZIONI IN ORDINE ALLE LESIVITÀ DEL
OSSERVAZIONI IN ORDINE ALLE LESIVITÀ DEL MUNIZIONAMENTO SPEZZATO L’argomento che ci accingiamo a trattare è estremamente complesso: infatti, le variabili che concorrono, spesso in modo interattivo, alla produzione degli effetti vulneranti tipici del munizionamento spezzato (i.e. cartucce caricate a pallini ovvero a proiettile multiplo) sono invero molteplici. È bene, innanzi tutto, tener presente che sono pressoché innumerevoli i casi giudiziarî riguardanti bersagli biologici con traumi balistici (letali o meno) indotti da proiettili multipli esplosi dolosamente mediante armi da caccia di varî calibri. Ed anche la mole dei casi clinici dovuti ad accidentalità sul terreno di caccia è invero rimarchevole. Peraltro, studî basati su modelli fisico-matematici hanno prodotto una vasta documentazione teorica in ordine agli effetti del tiro a distanza con munizione spezzata. In proposito, la migliore dottrina (Corsi, Benassi et Coll.) offre criteri estremamente precisi in ordine alla valutazione dell’efficienza lesiva del munizionamento de quo fino alla distanza di 60 metri; il Lampel si è spinto fino a 100 metri, ma a quanto punto è stato sostenuto dal Golino che è quanto mai opportuno procedere alle stime del caso ricorrendo alle tavole di Lowry ed ai criteri suggeriti dal Sellier. Alla luce di quanto ricordato, si può asserire che, in tema di Balistica terminale o della lesione, il tecnico forense può ben fondare le proprie cognizioni tanto sulla documentazione teorica, quanto sulla diretta osservazione di fatti traumatici che vanno dal c.d. “effetto ariete” provocato dal colpo esploso a distanza ravvicinata, alla lesività multipla intrasomatica indotta da uno sciame di pallini (c.d. rosa o rosata) partiti da 40 ÷ 50 metri. Lungi dal riproporre le varie formule elaborate dalla cennata dottrina, è possibile esprimere esemplificativamente e, a fortiori, in maniera estremamente accessibile le implicazioni pratiche discese dagli studî attinenti alla materia del contendere. La prevalente Scuola germanica stima in 7,5 Joule il valore minimo della Energia cinetica (E) necessaria per la perforazione della cute (questo “dato” ha, peraltro, trovato cittadinanza giuridica nella Waffengesetzteil). La Scuola classica italiana ritiene in linea di massima che la Velocità limite (Vlim) di penetrazione intramuscolare sia pari a 60m/sec. qualunque sia il diametro del singolo agente balistico. Vi è anche chi sostiene che i pallini sino a mm 1,7 di diametro (numerazione 11) non avrebbero una velocità sufficiente, al di là dei 50 metri, per arrecare lesioni. Da taluni AA., peraltro, è stata avanzata l’ipotesi secondo la quale “la velocità che uccide” corrisponda a 380 m/sec. Il citato Golino – dopo aver analizzato anche la monumentale opera del Journée, data quindi per scontata la potenzialità offensiva dei proiettili multipli esplosi al di sotto dei 100 metri – è giunto alle seguenti conclusioni: «Un’arma a munizione spezzata – si prescinde, pertanto, dal tipo e dal calibro dell’arma medesima – è abbastanza pericolosa a m 100 se impiega pallini di diametro uguale o superiore ai mm 2,7 A 150 metri comincia ad essere pericolosa se impiega pallini di diametro non inferiore a mm 4». È possibile stabilire la gittata massima (espressa in metri) di un pallino moltiplicando il diametro (espresso in centimetri) del pallino medesimo per il coefficiente “788”; il Granelli, in ispecie, ha sostenuto che la portata massima sia pari a circa 80 volte il diametro del pallino espresso in millimetri. Questa sintesi dottrinaria affatto modesta, ma certamente accessibile a chi, ratione materiae, non è un “addetto ai lavori”, presuppone un corollario assai meno banale di quanto possa sembrare prima facie: tutte le armi e le cartucce vengono progettate e realizzate al preciso fine di uccidere. Solo gli strumenti (la parola “armi” è volutamente sostituita) che lanciano proiettili narcotizzanti e quelli “da salve” vengono costruiti né per uccidere, né tampoco per produrre meri effetti vulneranti. Peraltro, anche le cartucce caricate con proiettili di gomma (c.d. munizionamento antisommossa) hanno provocato – a dispetto degli intendimenti dei costruttori e delle FF.AA. che le hanno adottate – un numero di decessi tale da comportarne la dismissione da parte degli utenti occidentali (massime dal Royal Ulster Constabulary sollecitato dalla stessa opinione pubblica britannica). Il presente studio risulterebbe incompleto ove non venisse fatta menzione di ciò che accade ai pallini lungo la traiettoria, ovvero lungo il percorso che gli stessi compiono dall’arma fino al bersaglio. Infatti, è proprio la peculiarità di esso percorso che p.c.d. “tipizza” tanto i traumi biologici, quanto le tracce da impatto su bersagli bruti o inerti che reliquano dal lavoro svolto dai pallini medesimi in danno di tali bersagli biologici e inerti. In altri termini, si può dire che mentre un proiettile esploso da una canna rigata (ad es., un proiettile cal. 9 esploso da una pistola-mitragliatrice M. 12 S) provoca una lesione che interessa distretti corporei ben delimitati e circoscritti ovvero causa un limitato effetto plasto-decoesivo su materiali inerti, uno sciame di pallini esplosi da una canna liscia – qual’è, appunto, quella di un fucile da caccia – determina molteplici lesioni biologiche e tracce da impatto contro materiali inerti distribuite, con irregolarità, su aree corporee e su superfici brute alquanto ampie. Peraltro, nei casi con i limiti che vedremo, è appunto dalla disposizione topografica dei pallini sui bersagli che si possono formulare utili considerazioni circa la distanza di sparo. Per completezza espositiva, va detto che le problematiche ora in discorso afferiscono alla Balistica esterna o della traiettoria che costituisce uno dei tre grandi capitoli della Balistica tout court (assieme a quella terminale ed a quella interna o dello sparo). Cominciamo con l'osservare che, all’interno di una cartuccia da caccia i pallini possono essere allogati al di sopra di un “diaframma” (la c.d. borra) che li separa dalla polvere da sparo. Possono, però, essere preventivamente posti entro una sorta di calice (la c.d. “borra-contenitore”) il quale, a sua volta, viene stivato all’interno della cartuccia medesima. Supponiamo, quindi, che venga esplosa una munizione caricata con pallini direttamente allogati all’interno del relativo bossolo; in tal caso, l’apertura della rosata è condizionata solo dal grado o, meglio, dal valore di “strozzatura” della canna del fucile adoperato: con il restringimento della strozzatura aumentano anche le distanze alle quali avviene il dispiegamento dei pallini a mo’ di rosa o rosata. Nel tratto iniziale di traiettoria, detti pallini si comportano – peraltro – alla stregua di un unico grosso proiettile sferico (si verifica, cioè, il c.d. “effetto-palla”); molto empiricamente, assumendo un valore medio di strozzatura, si afferma che il testé menzionato effetto si produce fino ad una distanza pari a circa una volta e mezzo la lunghezza della canna. Supponiamo poi che venga esplosa una cartuccia caricata con pallini posti entro una borra-contenitore: a condizionare nella fattispecie la formazione, rectius l’apertura, della rosa non è più il valore di strozzatura, bensì la stessa borra-contenitore; in altri termini, il dispiegamento dei pallini si verifica ad una maggiore distanza dalla volata del fucile e, precisamente, solo dopo che essi pallini si sono separati dalla borracontenitore, la quale – in virtù della propria leggerezza e soprattutto della struttura a mo’ di petali della parte adibita a contenitore – viene frenata dalla resistenza atmosferica incontrata lungo la traiettoria. In breve, si può dire che, assumendo come invariato un certo grado di strozzatura, i pallini esplosi da una cartuccia priva di borra-contenitore si dispiegheranno prima rispetto a quelli esplosi da un’altra cartuccia munita di borra-contenitore. Ed ancora, nel caso in cui due fucili aventi canne con diverse strozzature esplodano due cartucce di egual potenza nonché alloganti pallini delle stesse dimensioni senza borre-contenitori, con la canna più strozzata si ottiene un ritardo nella formazione della rosa. Perciò, dalla mera osservazione di una traccia reliquata dall’impatto di uno sciame di pallini che abbia un certo diametro, non si possono esprimere sic et simpliciter giudizi in ordine alla distanza di sparo. Tutte queste considerazioni, già di per sé alquanto complesse, sono state sviluppate piuttosto schematicamente, ché una compiuta ed esaustiva disamina avrebbe necessitato la stesura di un vero e proprio trattato. Infatti, non abbiamo volutamente tenuto in conto le “variabili” (e le relative, innumerevoli, combinazioni reciproche) rappresentate dal tipo e dal quantitativo di polvere da sparo in concreto stivabile nel bossolo, dal tipo di chiusura della cartuccia, dalla numerazione nonché dalla quantità degli agenti balistici, dalla resistenza atmosferica, dallo scarto medio del tiratore, etc. Volendo operare un’estrema sintesi di quanto concettualizzato, si può dire che il “potere offensivo” della fucilata dipende essenzialmente da due fattori: la concentrazione dei pallini (rosata) e la loro forza di penetrazione. Al fine, però, di evitare equivoci è necessario rimarcare che quest’ultima è una funzione diretta della Forza viva (o anche E) la quale – a sua volta – dipende dalla velocità posseduta, o meglio mantenuta, dall’agente balistico al momento dell’impatto sul bersaglio (c.d. Velocità residua). Peraltro, la penetrazione all’interno della compagine tissutale (rectius: il potere di penetrazione intracorpore) non si può misurare sperimentalmente e in modulo, posto che – com’è noto – le caratteristiche dell’organismo umano in generale (e, massime, quelle di un determinato soggetto) non sono riproducibili, a’ fini sperimentali, facendo ricorso a materiali inerti, ivi compresa la gelatina balistica. La pratica altresì insegna che si possono produrre «casualmente» (Corsi) delle ferite tali da provocare eventi invalidanti, anche irreversibili e mortali. Ed allora, l’esperienza – peraltro cristallizzata in autorevoli fonti letterarie – insegna che si possono formulare esatte diagnosi circa la distanza di sparo solo dopo l’istituzione di adeguate prove a fuoco condotte con il fucile “sospetto” e con cartucce perfettamente eguali a quelle i cui bossoli di risulta hanno formato oggetto di repertazione.