Italia e Afghanistan dieci anni di guerra e occupazione
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Italia e Afghanistan dieci anni di guerra e occupazione
2001-2011 Italia e Afghanistan dieci anni di guerra e occupazione La conferenza sul tema «Italia e Afghanistan: dieci anni di impegno politico e militare 2001-2011», orga- nizzata il 23 maggio dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – Associazione Allievi, si svolge in una città sorvolata in continuazione da C-130J e altri aerei cargo militari. Essi trasportano missili, bombe e altri materiali bellici – provenienti sicuramente anche dalla base Usa di Camp Darby – sia alle basi in Afghanistan, sia a quelle nel meridione d’Italia da cui partono gli attacchi aerei contro la Libia. Ciò dà un’idea di che cosa avverrà quando entrerà in fun- zione all’aeroporto di Pisa l’Hub aereo nazionale delle forze armate, da cui transiteranno tutti i militari e i materiali diretti dal territorio italiano ai teatri operativi, e viceversa. Da quando la Nato ha iniziato il 31 marzo l’operazione «Protettore unificato», sono state effettuate sulla Libia circa 8mila incursioni aeree. Siamo alla quinta grande guerra di quella che, finita la guerra fredda, avrebbe dovuto essere l’era della distensione. Un’unica guerra che dura da vent’anni: dalla prima guerra del Golfo nel 1991, a quelle contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011. Tutte queste guerre, che hanno motivazioni e caratteristiche analoghe, sono state preparate e accompagnate da una crescente campagna propagandistica per presentarle come opera- zioni «umanitarie» e di «peacekeeping», in nome del «diritto internazionale». In tale cam- pagna rientra la conferenza organizzata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per celebrare i «dieci anni di impegno politico e militare» dell’Italia in Afghanistan. Quali siano le reali motivazioni di questa guerra si può capire ricostruendone nei tratti es- senziali la storia, a partire dal periodo della guerra fredda. COORDINAMENTO NO HUB MILITARE PISA http://nohub.noblogs.org/ ciclostilato in proprio La «trappola afghana» Racconta Zbigniew Brzezinski, già consigliere del presidente Jimmy Carter per la sicurezza nazionale: «Secondo la versione ufficiale della storia, la Cia cominciò ad aiutare i mujaheddin nel 1980, ossia dopo che l’esercito sovietico aveva invaso l’Afghanistan il 24 dicembre 1979. Ma la realtà è completamentediversa. Fu in effetti il 3 luglio 1979 che il presidente Carter firmò la prima direttiva per l’aiuto segreto agli oppositori del regime filo-sovietico a Kabul. Quell’operazione segreta fu un’eccellente idea. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana» (Le Nouvel Observateur, 15 gennaio 1998). E’ dunque l’amministrazione Carter a iniziare, prima e non dopo l’invasione sovietica, l’addestramento e l’armamento dei mujaheddin, preparando la «trappola afghana» in cui cade l’Urss di Leonid Brezhnev che, temendo il formarsi di uno Stato ostile ai suoi confini, decide di invadere il paese per garantire che vi sia un governo amico. Durante le amministrazioni Carter (1977-1981) e Reagan (1981-1989), la Cia addestra in Pakistan e Afghanistan, tramite l’Isi (il servizio segreto pachistano), oltre 100 mila mujaheddin. Tra questi si distingue Osama bin Laden, un ingegnere e uomo d’affari 2 Cina e India, sia per le grosse riserve di petrolio e gas naturale del Caspio (su cui si affacciano Kazakistan e Turkmenistan), sia per la sua vicinanza alle riserve petrolifere del Golfo. Rilevamento dei dati biometrici in Afghanistan: con uno scanner si fotografa l’iride. I dati vengono poi inviati a un database del Pentagono appartenente a una ricca famiglia saudita, che arriva in Afghanistan nel 1980 portando grossi finanziamenti e reclutando nel suo stesso paese 4 mila volontari. Dopo la fine della guerra nel febbraio 1989, in seguito al ritiro delle truppe sovietiche, i mujaheddin conquistano Kabul nell’aprile 1992. In una situazione caratterizzata dallo scontro tra diverse fazioni, si forma nel 1994 l’organizzazione dei taleban. I suoi militanti vengono formati in scuole religiose, costituite dal governo pachistano nella zona di confine. Nel settembre 1996, la milizia taleban conquista Kabul, deponendo il presidente Rabbani e impiccando l’ex presidente Najibullah. L’operazione si svolge sotto la regia di Washington. L’importanza geostrategica dell’Afghanistan La decisione di dislocare forze in Afghanistan viene presa a Washington non dopo l’11 settembre 2001, ma prima. Lo rivelano at- tendibili fonti (Nbc News, 16 maggio 2002), secondo le quali «il presidente Bush, due giorni prima dell’11 settembre, era in procinto di firmare un piano dettagliato che prevedeva operazioni militari in Afghanistan». Nel periodo precedente l’11 settembre 2001, vi sono in Asia forti segnali di un riavvicinamento tra Cina e Russia. Washington la considera una sfida agli interessi statunitensi, nel momento critico in cui gli Stati uniti cercano di occupare, prima di altri, il vuoto che la disgregazione dell’Urss ha lasciato in Asia centrale. Una posizione geostrategica chiave per il controllo di quest’area è quella dell’Afghanistan. L’Asia centrale – che gli Stati Uniti cercano di distaccare definitivamente da Mosca, portando nella propria sfera d’influenza le repubbliche ex sovietiche e installandovi proprie basi militari – è un’area di enorme importanza, sia per la posizione geostrategica rispetto a Russia, La guerra e il colpo di mano della Nato Per occupare l’Afghanistan gli Stati uniti usano il pretesto della caccia a Osama bin Laden che, da collaboratore della Cia nella formazione dei mujaheddin e nella guerra contro l’Urss, diviene nel 2001 per Washington «il nemico oscuro, che si nasconde negli angoli bui della terra». E i taleban, prima utili ma ora non più affidabili, divengono i nemici da combattere per mettere al potere a Kabul un regime affidabile, garante degli interessi statunitensi. La guerra inizia nell’ottobre 2001 con massici bombardamenti aerei. Ma, impegnati su troppi fronti, gli Usa non ce la fanno a occupare e mantenere il controllo del territorio afghano unicamente con le proprie forze. Decidono quindi, fin dall’inizio, di coinvolgere gli alleati. L’operazione inizia con la costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza), autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu il 20 dicembre 2001, al fine di assistere l’autorità ad interim afghana a Kabul e dintorni. L’Isaf resta ufficialmente, fino al- e Afghanistan: 2001-2011 Italia dieci anni di guerra e occupazione l’agosto 2003, una missione Onu, la cui direzione viene affidata in successione a Gran Bretagna, Turchia, Germania e Olanda. Ma improvvisamente, l’11 agosto 2003, la Nato annuncia di aver «assunto il ruolo di leadership dell’Isaf, forza con mandato Onu». E’ un vero e proprio colpo di mano: nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad assumere la leadership, ossia il comando, dell’Isaf. Solo a cose fatte, ad esempio nella risoluzione del 15 febbraio 2006, il Consiglio di sicurezza «riconosce il continuo impegno della Nato nel dirigere l’Isaf». A guidare la missione, dall’agosto 2003, è direttamente la Nato: il quartier generale Isaf viene infatti inserito nella catena di comando della Nato, che sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo dell’Isaf. E poiché il «comandante supremo alleato» è (per una sorta di diritto ereditario) sempre un generale statunitense, la missione Isaf viene di fatto inserita nella catena di comando del Pentagono. Nella stessa catena di comando sono inseriti i militari italiani assegnati all’Isaf dal 2003. L’escalation della guerra Lo scorso gennaio, alla cerimonia funebre dell’alpino ucciso, in cui l’arcivescovo militare ha definito quella in Afghanistan una missione di «umana solidarietà», hanno partecipato i mas- simi esponenti della maggioranza e dell’opposizione. Perfetta unanimità da parte di quel mondo politico che, con decisione bipartisan, ha portato i soldati italiani a uccidere e morire in Afghanistan. Che laggiù sia in corso una guerra, l’establishment e l’apparato mediatico lo scoprono però solo quando vengono uccisi o feriti militari italiani. Il resto è silenzio. Basta invece scorrere i resoconti ufficiali del Pentagono per avere il quadro reale di ciò che sta avvenendo in Afghanistan. Da quando il presidente Obama ha messo al comando delle operazioni il gen. David Petraeus, sostituendolo al gen. Stanley McChrystal che aveva criticato la Casa bianca sulla conduzione della guerra, si è intensificata l’offensiva delle forze Usa/Nato. Secondo i dati ufficiali dello US Afcent, l’aviazione ha effettuato nel 2010 33mila operazioni di «appoggio aereo ravvicinato», con impiego di oltre 5mila bombe e missili. Partecipano ai raid, oltre a cacciabombardieri F15E Strike Eagles, gli F/A-18 Super Hor-nets di portaerei dislocate nel Golfo di Oman. Vengono impiegati anche i B-1B Lancer, bombardieri strategici per l’attacco nucleare, utilizzati con bombe non nucleari. Un B-1B può sganciare in una missione 24 bombe Gbu-31 Jdam a guida Gps da 2.000 libbre (quasi una tonnellata), che possono essere lanciate simultaneamente contro più obiettivi da oltre 60 km di distanza. Un altro aereo impiegato in Afghanistan è l’A-10 Thunderbolt, specializzato nell’appoggio aereo ravvicinato alle forze terrestri. La sua arma letale è il cannone Gau-8 A-venger da 30 mm, che spara 3.900 colpi al minuto usando un misto di proiettili incendiari ad alto esplosivo e di proiettili penetranti a uranio impoverito. Si è intensificato anche l’uso degli aerei senza equipaggio, in particolare gli MQ-9 Reaper armati di missili e bombe a guida laser, controllati da un pilota e da un addetto ai sensori seduti a una consolle a 12mila km di distanza in Nevada. Questi e altri aerei provocano continue stragi di civili. Nonostante l’annuncio della Casa bianca di voler ritirare le proprie truppe a iniziare da luglio, si continua a potenziare la base aerea di Bagram: con un personale di oltre 30mila militari (il doppio rispetto a due anni fa), essa funziona da centro di comando e hub logistico. Lo stesso avviene nella base aerea di Kandahar, per il cui potenziamento la Nato ha stanziato mezzo miliardo di dollari. Comprese quelle minori e gli avamposti, le forze Usa/Nato dispongono in Afghanistan di circa 700 basi, 300 delle quali date in uso alle forze governative afghane. A Mazar-e-Sharif, nel nord del paese, è in costruzione (con un investimento di 100 milioni di dollari) il quartier generale delle forze per le operazioni speciali, il cui impiego è fortemente aumentato: secondo il bilancio ufficiale, negli ultimi tre mesi hanno ucciso o catturato circa 2.500 «insorti». Per queste operazioni segrete vengono impiegate le più avanzate tecnologie, come gli scanner in grado di individuare una persona dietro una parete o in un sotterraneo. Il Pentagono sta realizzando allo stesso tempo una schedatura di massa della popolazione, con la tecnica della identificazione biometrica. Lo strumento più usato è uno scanner che fotografa l’iride. Sono già stati schedati con questa tecnica circa 400mila afghani, il cui numero salirà a oltre un milione e mezzo entro maggio. Essi vanno ad aggiungersi ai milioni di persone di tutto il mondo (tra cui circa 2 milioni di iracheni) già schedati dal Pentagono, il cui database è tenuto separato da quello dell’Fbi. Ciascuno viene classificato come amico o nemico degli Stati uniti, affidabile o sospetto. Così, quando viene fermato e il suo occhio scannerizzato, il suo destino è deciso dal database del Pentagono. La guerra segreta Sotto le operazioni belli- 3 e Afghanistan: 2001-2011 Italia dieci anni di guerra e occupazione che ufficiali, è in corso in Afghanistan una guerra segreta in cui la Cia svolge un ruolo crescente. Essa ha costituito una rete di piccole basi, da cui operano gruppi di agenti per individuare i capi degli insorti ed eliminarli. Le informazioni sono spesso fornite da «contrattisti indipendenti» al servizio del Pentagono e delle varie agenzie. Essi costituiscono un vero e proprio esercito ombra, il cui numero supera i 100mila, addetto a vari compiti. Uno squarcio su queste operazioni segrete si è aperto quando il New York Times (14 marzo 2010) ha riportato il caso di Michael Furlog, un ex ufficiale ora impiegato civile del Pentagono, che ha usato un fondo di decine di milioni di dollari, ufficialmente destinato a raccogliere informazioni su alcune aree tribali, per costituire una rete di contrattisti con il compito di individuare, nella zona di confine col Pakistan, «sospetti militanti» da eliminare. Sono state a tale scopo incaricate due agenzie private: la International Media Ventures, costituita da ex uf-ficiali delle forze speciali, che si occupa di «comunicazione strategica e campagne me- 4 Un C-130J modificato in aereo cisterna, come quello caduto a Pisa nel 2009, rifornisce in volo un cacciabombardiere Questa è la realtà della guerra in Afghani- stan, una guerra in cui l’Italia ha speso in nove anni, con denaro pubblico, più di 3 miliardi di euro e che solo quest’anno ci co- sterà almeno 800 milioni di euro. Mentre si tagliano i fondi per l’università e la ricerca. Non però al Sant’Anna, così che nel 2021 potrà celebrare la guerra di Libia con una conferenza sul tema «Italia e Libia: dieci anni di impegno politico e militare». diatiche» per conto del Pentagono e di suoi comandi; la American International Security Corporation, anch’essa costituita da ex militari e agenti segreti, che si occupa di «fornire sicurezza» a governi, agenzie e multinazionali. Non si sa quanti «sospetti militanti» siano stati eliminati in base alle informazioni delle due agenzie, né in che modo esse siano state pagate (a forfait o in base al numero). Né si sa se, per aumentare il guadagno, abbiano indicato qualche povero pastore come un pericoloso capo talebano da eliminare con un’azione delle forze speciali o, in maniera più asettica, con un missile lanciato da un aereo senza pilota guidato con un joystick da una base negli Stati Uniti. LUNEDì 23 MAGGIO ORE 17.00 { } Partecipiamo al PRESIDIO in PIAZZA MARTIRI della LIBERTÀSANTA CATERINA, PER IL RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE dalle ZONE DI GUERRA, NEL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE. CONTRO LA RICERCA A FINI MILITARI E PER LA RICONVERSIONE DELLA SPESA MILITARE A FINI SOCIALI