ricerca banche e PMI

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ricerca banche e PMI
PMI e BANCHE: quale relazione?
Una ricerca commissionata da CRIF ad Astra-Demoskopea fotografa il
complesso rapporto tra PMI e istituzioni finanziarie
Quale banca vorrebbero le piccole e medie imprese italiane? Come viene descritto dalle PMI il
loro rapporto con le istituzioni finanziarie?
Le risposte a queste ed altre domande sono in una ricerca condotta da Astra-Demoskopea
su un campione rappresentativo di PMI e commissionata da CRIF, gruppo internazionale
specializzato nella realizzazione e nella gestione di sistemi di referenza creditizia e di supporto
decisionale per il mercato del credito retail.
Dalla ricerca emerge un quadro tutt'altro che monolitico, molto diverso da quanto analisi
meno approfondite hanno cercato di accreditare negli ultimi mesi. Se in generale le banche
sono percepite dalle PMI con una certa diffidenza (per il 60% il rapporto è mediocre),
quando si entra più nel particolare, e le aziende riferiscono della propria esperienza diretta in
materia di finanziamenti, il giudizio complessivo tende ad essere molto meno critico (per il
75% la relazione è addirittura facile).
Le PMI delineano come auspicio dominante quello di costruire un nuovo patto tra
imprese e istituti di credito, fondato sul riconoscimento delle reciproche esigenze. Ma le
piccole e medie imprese non hanno solo da chiedere alle banche: riconoscono, ad esempio,
la necessità di essere più trasparenti rispetto ad oggi nelle richieste di credito (l’88% è
pronto a fornire più informazioni sui propri debiti, conti, progetti, programmi ).
Sono questi alcuni dei risultati della ricerca realizzata nel mese di maggio 2004 tramite
interviste ad un campione rappresentativo di piccole e medie imprese italiane con un
fatturato 2003 compreso tra 0,5 e 20 milioni di euro e tra 10 e 260 addetti (per
quasi la metà al nord, il 18% al centro e il 31% al sud; per il 68% industriali o artigiane, il
31% operanti nel commercio e nei servizi d’altro tipo, l’1% agricole; per il 34% con mercato
sub-nazionale, il 30% con mercato nazionale, il 36% con un mercato europeo o più spesso
mondiale).
Secondo gli intervistati il rapporto tra imprese e banche in Italia, visto in generale, è ai
limiti della sufficienza: espresso in un voto da 1/minimo a 10/massimo, esso si colloca in
un'area indistinta (voti 5 e 6) per il 60%, è giudicato cattivo (voti da 1 a 4) al 20%, mentre
è considerato discreto, buono o ottimo (voti da 7 a 10) al restante 20%.
Il voto medio è pari a 5,3: con le imprese più piccole e quelle del nord-ovest più severe, con
quelle più grandi e del nord-est un po’ più positive della media.
Il giudizio eteroriferito delle PMI circa le banche
7-10
20.0%
1-4
20.4%
5-6
Il giudizio cambia radicalmente e diventa positivo se all’impresa è chiesto di esprimersi nel
merito dei rapporti con la propria banca (o quella preminente se l’azienda è in relazione con
più istituti di credito).
Infatti, il 75% delle PMI intervistate - che in più di quattro casi su cinque negli ultimi 5 anni
hanno avuto finanziamenti sia tradizionali (a breve o a medio-lungo) sia innovativi (cambiali
finanziarie, reperimento di capitale da parte di nuovi soci o di società di ‘private equity’, ecc.)
- definisce facili i propri rapporti con la banca in materia di finanziamenti
(“abbastanza facili” nel 66% dei casi e addirittura “molto facili” nel 9%). All’opposto, soltanto
un quarto si definisce scontento (in tre casi su quattro parlando di “rapporti poco facili” e per
il residuo 6% di “rapporti per niente facili” o difficilissimi).
La qualità dei rapporti tra le PMI
e le banche erogatrici di finanziamenti
PER NIENTE
FACILI
5.6%
NON CHIESTI
O AVUTI
FINANZIAMENTI
11.1%
MOLTO FACILI
8.1%
POCO FACILI
16.4%
ABBASTANZA
FACILI
58.8%
Se sono ben tre su quattro le PMI che parlano d’una relazione piuttosto agevole con gli istituti
finanziari, restano comunque alcune critiche importanti indirizzate al mondo bancario.
I problemi maggiori riguardano i costi (65% del campione, includendo cioè anche il 25% che
non ha chiesto o non ha ottenuto un finanziamento), la burocrazia (55%) e i tempi troppo
lunghi (49%), l'eccessiva prudenza della banca (44%), la centralizzazione delle decisioni con
depotenziamento del funzionario d’agenzia (43%), la rigidità delle condizioni (42%), la
richiesta di garanzia percepite come inutili (41%), la scarsa concorrenzialità delle banche
(41%).
Risulta perciò evidente la richiesta di un significativo miglioramento della qualità delle banche
nell’area cruciale del credito alle imprese medie e piccole. Ma è interessante osservare che il
75% del campione riconosce che “alcune banche dimostrano una cultura del
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credito più moderna e aperta di quella di molte altre banche”, dunque con capacità di
cogliere le differenze di un’offerta finalmente variegata.
Ma c’è di più: l’85% sa bene che “le imprese non possono pretendere di ottenere sempre i
finanziamenti che desiderano”, dal momento che “l’accesso al credito non è un diritto”
ma “deve dipendere dalla valutazione specifica della solidità e della solvibilità
dell’impresa”.
Sempre l’85% afferma che “una banca è adeguata se sa soddisfare due esigenze: limitare il
proprio rischio di credito e finanziare le imprese sane o con buone prospettive di sviluppo”.
Anzi, per il 59% “è giusto che le banche cerchino di diminuire il loro rischio del credito”.
Per giungere ad un livello superiore di interazione tra aziende non grandi e istituti di credito
anche le PMI sanno di dover fare la loro parte: in particolare “sarà utile – specie se
chiedono finanziamenti – che esse siano consapevoli delle proprie caratteristiche, dei propri
punti di forza e di debolezza”, tra l’altro “aumentando la propria capacità di autodiagnosi”.
La questione delle informazioni appare decisiva: al di là delle molte polemiche, l’88% degli
intervistati è consapevole che “sarà utile che tutte le banche in futuro
dispongano di numerose informazioni oggettive sulle imprese e sulla loro
solvibilità”.
Con quale finalità? “Permettere una concessione dei finanziamenti che sia ad un tempo più
rapida, più efficiente e più equa”.
Viene da chiedersi: ma le PMI – dovendo chiedere un finanziamento nuovo o rinnovato o
ampliato – sarebbero “disposte a fornire molte informazioni sui propri conti, sui
propri debiti, sul loro andamento nel tempo, così come sui propri progetti e programmi,
ecc.?” La risposta è - al di là di ogni aspettativa – largamente positiva: solo il 7% non è
disposto (specie al sud), mentre il 5% lo sarebbe solo a certe condizioni, contro l’88%
pronto a farlo in maniera incondizionata (specie in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria
e Marche).
Quello che pare configurarsi è un possibile nuovo patto: le PMI si dicono orientate in
grandissima maggioranza a fare cospicui sforzi sia per conoscersi e auto-valutarsi meglio, sia
per ‘raccontarsi’ senza infingimenti alla banca, con una ‘disclosure’ franca e allargata: esse,
però, chiedono alle banche un salto di qualità con l’introduzione e l’applicazione di
criteri di concessione del credito “il più possibile oggettivi, trasparenti ed equi”
(93%), integrati pure “dalla valutazione della specificità dell’azienda” (92%), “della storia e
dell’esperienza sua e dell’imprenditore” (83%), “delle sue caratteristiche e dell’andamento del
settore” (80%), dei suoi progetti di sviluppo se fondati su business plan argomentati e
convincenti” (80%). In più si pretendono “valutazioni motivate con chiarezza dalla banca”
(92%), prezzo giusto e quindi non esorbitante (92%), rapidità di accesso al credito
per le imprese finanziate (82%).
In altre parole, la ricerca fa emergere non un conflitto quasi ideologico tra banca e impresa
medio-piccola quanto, piuttosto, il desiderio di trovare un migliore equilibrio tra i due soggetti.
E le PMI sembrano consapevoli del fatto che, per avere di più dalle banche, anche loro
stesse sono chiamate a dare di più.
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