La torre, la scala e la luna

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La torre, la scala e la luna
La torre, la scala e la luna
fiaba di Alessandra Fella
C’era una volta un regno nel quale nacque una bellissima
principessina di nome Olimpia. La piccola era talmente bella, ma
talmente bella, da attirare su di sé le invidie di una strega cattiva e
dispettosa, che scagliò su di lei un terribile incantesimo: appena la
bimba avesse raggiunto l’età da marito, ogni volta che un giovane
l’avesse corteggiata il naso di lei sarebbe diventato più grosso.
Gli anni passarono e la bambina crebbe in età e in bellezza. Ormai
tutti avevano dimenticato il sortilegio, finché un bel giorno un
principe di passaggio in quel regno intravide la ragazza affacciata al
balcone di una delle torri del castello e se ne innamorò
perdutamente. Subito si recò dal sovrano per chiedergli il permesso
di conoscere Olimpia e chiederla in sposa. In quello stesso istante la
fanciulla, che era ancora alla finestra a godere del sole e della vista
del paesaggio circostante, udì un sonoro “POP!” ed il suo nasino,
poco prima piccolo e delicato, divenne per magia un po’ più lungo e
un po’ più grosso. La principessa corse immediatamente nella sua
stanza a guardarsi allo specchio: per fortuna la differenza non si
notava tantissimo, per cui la giovane decise di ignorare l’accaduto.
Il principe potè dunque incontrarla e conoscerla ma, non essendo
riuscito a far battere il suo cuore, fu costretto a congedarsi e a
tornare sconsolato al proprio castello.
Le settimane trascorsero. Un giorno, in cui la principessa era in un
prato intenta a raccogliere fiori di campo per abbellire la propria
camera, passò di lì un valoroso cavaliere che tornava al suo palazzo
dopo aver sconfitto un pericoloso drago. Vedendo la fanciulla subito
se ne invaghì e saltò giù da cavallo per offrirle i propri servigi.
Appena i piedi dell’uomo toccarono terra, un nuovo “POP!” risuonò
nell’aria e Olimpia, tastandosi il naso, lo scoprì ancora più grosso. Il
cavaliere, che nulla aveva notato, le si avvicinò premuroso
proponendole di riaccompagnarla al castello, ma la fanciulla,
spaventata dal suo impeto e da quello che le stava accadendo, lo
respinse con fermezza.
Trascorsero alcuni mesi. Un giorno la ragazza, che si era recata nei
pressi di un laghetto per dare da mangiare ai dei candidi cigni,
incontrò un principe che proprio lì si era fermato per far dissetare i
propri cani intenti nella caccia. Non appena egli vide la giovane, il
suo cuore arse d’amore e subito le si avvicinò per offrirle in dono
fagiani, quaglie e beccacce, le ricche prede che aveva appena
catturato. “POP!”. Olimpia si specchiò nel laghetto ed osservò
inorridita il proprio naso, la cui crescita, ormai, era impossibile
nascondere. Coprendosi il viso con uno scialle all’avvicinarsi del
principe, lo allontanò dicendogli che non era educato rivolgersi ad
una principessa senza prima essere stato presentato. Poi, tra le
lacrime, corse al castello per raccontare l’accaduto a suo padre e
chiedergli aiuto.
Quando il re la vide, ne fu quasi spaventato: il grazioso naso della
sua bambina, che egli aveva sempre paragonato ad una piccola
ciliegia, era ormai diventato grosso come un’albicocca.
Furono immediatamente chiamati tutti i medici e gli specialisti del
regno che, dopo lunghe discussioni e ricerche, fecero provare alla
principessa sciroppi, pomate, unguenti, sulfumigi e pillole di ogni
genere. Nulla: il naso non accennava a ridursi. Allora vennero
chiamati tutti i maghi e le fattucchiere più famosi: ma tutti dissero
che nessun sortilegio poteva essere guarito da un altro sortilegio.
Nel frattempo la notizia della bellezza della giovane era passata di
regno in regno e, dopo qualche mese, iniziò a presentarsi al
cospetto del sovrano una gran quantità di principi, duchi,
granduchi, baroni, cavalieri e qualche sultano, tutti recanti preziosi
doni e tutti desiderosi di incontrare Olimpia e chiederla in sposa.
“POP! POP! POP!!!”: ormai la poverina non sentiva che quel suono
orribile e, col passare dei giorni, il suo naso divenne talmente
grosso che si dovette costruire una struttura adatta a sorreggerlo
ed a permettere alla fanciulla di muoversi. Ovviamente le era
impossibile incontrare i propri corteggiatori in quello stato, e fu
costretta ad inventare delle scuse per ognuno di loro. Dopo un po’ i
principi, offesi da tanta scortesia, iniziarono ad allontanarsi dal
castello; non prima, però, di averla soprannominata “la
principessina superba”. E dopo qualche tempo nessuno più la cercò.
La principessa era ormai disperata e passava il tempo nella propria
stanza piangendo sconsolatamente.
Una sera, mentre guardava la luna con gli occhi ancora umidi di
lacrime, le comparve dinanzi una fata.
“Oh, cara Olimpia, come mi dispiace che tu sia così triste. Ho
sentito il tuo dolore, e sono venuta qui per aiutarti. Come sai non
posso annullare la magia che ti è stata fatta, ma conosco il modo
per rompere l’incantesimo e tornare normale.”
“Dimmi, mia buona fatina, farò qualunque cosa per tornare
normale.”
“Bene allora. Dovrai affrontare tre prove molto difficili: dovrai
vedere il mondo intero, appoggiare una scala tra la terra e la luna e
costruire una torre alta fino al cielo. Avrai un anno di tempo e non
potrai in alcun modo farti aiutare dalla magia. E se tra un anno non
sarai stata in grado di portare a termine le tre prove, l’incantesimo
si estenderà a tutto il tuo corpo trasformandoti in una specie di
mostro, e nulla più potrai fare per tornare com’eri.”
La fanciulla fu molto spaventata da quella possibilità: era figlia
unica e a lei spettava il compito di succedere al padre sul trono. Le
sarebbe stato impossibile regnare se si fosse tramutata in una
creatura orribile. Così chiese alla fata una notte di tempo per
riflettere sul da farsi.
E quella fu una lunga, lunghissima notte: la principessa valutò ogni
possibilità per poter terminare in tempo le tre prove senza trovare
alcuna soluzione sicura e convincente. Alla fine, esausta, si
addormentò. E durante il sonno la sua mente, finalmente libera
dalle preoccupazioni, fece apparire la risposta sotto forma di
visione. Olimpia sognò di costruire una torre alta fino al più alto dei
cieli, tanto alta da arrivare quasi fino alla luna. E di costruire dentro
la torre una scala che, superata la sua cima, arrivasse fino
all’argenteo astro. E di sedersi su di esso per un giorno intero ad
osservare la terra che si sarebbe mostrata nella sua interezza
facendo il suo quotidiano giro intorno al proprio asse.
Il giorno successivo Olimpia richiamò la fata.
“Accetto! -le disse- Ci rivedremo tra un anno meno una settimana e
un giorno.”
Un po’ meravigliata da quello strano appuntamento, la fata le
rispose con un sorriso che alla principessa sembrò quasi crudele,
poi svanì così come era apparsa.
Immediatamente la principessa convocò i più bravi muratori e
carpentieri del regno per chiedere loro consiglio su come costruire
la torre, ma tutti le risposero che mai e poi mai una costruzione
così alta sarebbe potuta essere tanto solida da non crollare. La
fanciulla, nascosta dietro il paravento che la celava alla vista,
ascoltava, e più passavano i giorni, più si sentiva scoraggiata. Poi
giunse nel regno un uomo, dal volto orribile e dall’aspetto
trasandato, che le chiese udienza.
“Ho io la soluzione, maestà. Il mio segreto è una semplice polvere:
ne basta un pizzico mescolato alla calce che serve per unire i
mattoni per rendere una costruzione talmente solida da poter
resistere anche al più violento degli attacchi.”
“Siete forse un mago? -chiese preoccupata la principessa“No, mia principessa. Mi chiamo Fortebraccio, e sono solo un umile
muratore. La mia polvere non ha nulla di magico. È solo fatta
usando elementi forti per loro natura: polvere di corno di elefante,
foglie secche di gramigna selvatica, spore di funghi infestanti, saliva
di formica operaia, tela di ragno gigante.”
Olimpia, entusiasta, si dimenticò del proprio aspetto e uscì dal suo
nascondiglio per stringere grata la mano all’uomo. Avvicinandosi a
lui si meravigliò sia del fatto che non inorridisse di fronte al suo
naso, sia della straordinaria luce che brillava negli occhi di lui,
seminascosti sotto una pelle vecchia e grinzosa.
I due si misero immediatamente a lavoro: si arrampicarono sulla
montagna più alta del reame, perché la roccia sarebbe stata una
base più solida per la torre. Portarono con loro muli e cavalli carichi
di attrezzi e materiale e mentre lui costruiva, lei mescolava la calce
nelle tinozze. La gente che passava di lì, dapprima incuriosita, poi
sempre più ammirata dalla loro tenacia, dopo averli osservati per
qualche giorno si unì ai due per aiutarli in quell’incredibile impresa.
E se all’inizio molti erano spaventati dal loro aspetto, dopo un po’
nessuno ci fece più caso, perché la dolcezza della fanciulla e la forza
dell’uomo facevano dimenticare la loro bruttezza.
I mesi passarono: la principessa e il muratore lavorarono fianco a
fianco e, senza che nessuno dei due lo dicesse all’altro, si
innamorarono. La torre e la scala crebbero, e crebbero, e crebbero.
E giunse finalmente il grande momento.
Ad una settimana ed un giorno esatti dalla scadenza del termine
stabilito, la fata comparve. Grande fu il suo stupore nel vedere la
costruzione che, sottile e snella, saliva al cielo scomparendo tra le
nuvole.
“Una torre così alta e talmente solida da non crollare non può che
essere opera di un mago!”
“No. -disse Olimpia- La torre è solo opera della fatica di tanti e
dell’intelligenza di uno.”
“Va bene. Ma qui vedo solo una torre che sale al cielo. Dov’è la
scala?”
“La scala è nella torre.”
“Ma io avevo detto che la scala sarebbe dovuta arrivare alla luna,
non la torre!”
“Infatti la torre si ferma poco prima della luna. Solo la scala vi
arriva.”
“Molto bene. Due delle prove sono superate. Ma impegnata com’eri
a costruire questa meraviglia, di certo non hai trovato il tempo per
vedere tutto il mondo.”
“Lo farò adesso. Mi ci vorrà una settimana per arrivare in cima alla
scala. Poi, arrivata sulla luna, mi sederò per un giorno intero e
guarderò tutta la terra, che girando mi mostrerà ogni suo lato.”
A quelle parole accadde qualcosa di prodigioso: la fata iniziò a
diventare verde d’invidia e rossa di rabbia. E più cambiava colore,
più cambiava aspetto: da graziosa fatina si trasformava lentamente
in orribile strega. E più cambiava aspetto, più si gonfiava di
malevolenza. E si gonfiò talmente tanto che finì per esplodere in
mille coriandoli verdi e rossi. “POP!” “POP!” Improvvisamente il
naso della principessa tornò normale e -meraviglia delle meraviglieil brutto muratore che aveva aiutato Olimpia si tramutò in un
principe, talmente bello da lasciarla senza fiato.
“Finalmente! -esclamò lui sorridente- Qualcuno è riuscito a
sconfiggere la malvagia strega Araska!”
E visto che tutti lo guardavano esterrefatti, iniziò a spiegare.
“Araska era una maga perfida e prepotente: non poteva sopportare
la gioia, l’intelligenza, la bellezza, il potere o la ricchezza degli altri,
perché ne era profondamente invidiosa. Fu lei a scagliare su di te,
Olimpia, l’incantesimo che faceva crescere il tuo naso, perché era
gelosa della tua bellezza. E fu sempre lei a trasformare me, il
principe Fortebraccio, in un uomo solo, povero e deforme, perché
invidiava l’affetto dei miei sudditi e la ricchezza delle mie terre.
Tanto tempo fa giunse nel mio regno, che era prospero e felice e
non temeva attacchi nemici perché io stesso avevo trovato la
formula per la polvere che rende indistruttibile ogni costruzione.
Voleva diventare la mia regina, e quando io rifiutai mi trasformò
nell’uomo che tu hai conosciuto. Quando chiesi aiuto ai miei
consiglieri, non fui riconosciuto, e venni cacciato dal paese. A lungo
vagai per il mondo, finché non seppi di te. Mi narrarono la storia
delle tre prove e capii che era sempre Araska, nelle sembianze di
una fata, che voleva prendersi gioco di te. E decisi di aiutarti. E ora,
finalmente, la strega è stata distrutta proprio dalla sua stessa
invidia, e con lei sono svaniti anche tutti suoi malefici.”
Olimpia poté finalmente tornare felice al proprio castello per
riabbracciare la madre e il padre che non vedeva ormai da quasi un
anno. E al suo fianco giunse il bel principe, che subito chiese al re la
mano della fanciulla. Le nozze vennero celebrate subito, e durarono
una settimana e un giorno. Immediatamente dopo i due giovani
partirono per il regno di Fortebraccio, dove vissero per sempre felici
e contenti.