Il genio di Mozart o la tenacia di Salieri?

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Il genio di Mozart o la tenacia di Salieri?
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Il genio di Mozart o la tenacia di Salieri?
Meglio un manager su misura e stabile
La domanda ha animato una discussione su alcuni autorevoli media: è
preferibile il manager carismatico, brillante, individualista (Mozart) o
piuttosto il manager metodico, magari un po’ grigio ma affidabile,
(Salieri)? Come al solito bisogna diffidare delle domande del tipo tertium
non datur. Infatti le due opzioni nascondono una terza soluzione: un
manager coerente con la specificità dell’impresa, con un mandato
sufficientemente lungo per realizzare la missione e assorbire gli eventuali
errori o imprevisti.
Con un po’ di pazienza ricostruiamo i fatti.
Nel novembre 2014 un articolo sull’Harvard Business Review riporta il
ranking a livello mondiale dei 100 Top Ceo che hanno prodotto il più
alto Total Shareholder Return. Il TSR misura la differenza nel valore di
un’azione più i dividendi, nell’ipotesi che siano reinvestiti, in un periodo
determinato. Una misura diretta della performance di un’azienda, semplice
per un azionista, diventata un fattore centrale per la valutazione dei proxy
advisors e degli investitori istituzionali. Per questi motivi è la metrica più
diffusa nei mercati anglosassoni cui collegare le retribuzioni variabili a
lungo termine dei manager. In cima alla graduatoria c’è naturalmente
Jeffrey Bezos, il famoso e discusso Ceo di Amazon. Un manager che ha
portato ai suoi fortunati azionisti il 14.917 per cento di TSR nel periodo
di suo mandato! Facendo crescere la market capitalization di Amazon di
ben 140 miliardi di dollari. Lo studio HBR è stato ripreso da altri articoli
con affermazioni “meno validate”, segno di come funziona la sociologia
della conoscenza nell’era internettiana.
Infatti un successivo articolo del Financial Times riporta una tesi più
ardita. Contrappone due modelli di talento: Wolfgang Amadeus Mozart,
il genio sregolato, individualistico e brillante, e Antonio Salieri, paziente,
studioso, meno apprezzato in vita. Poiché 24 dei CEO “classificati” nello
studio di Harvard sono laureati in ingegneria, l’articolista britannico
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conforta la scelta delle imprese a privilegiare gli ingegneri Salieri, dotati di
una pragmatic orientation e capaci di reliable outcomes. Una forzatura
evidente, sarebbe stato più ragionevole identificare le caratteristiche
professionali degli altri 74 tra i 100Top. In realtà gli articoli della HBR e
del FT hanno in comune tracce del paradigma della best way
organizzativa. Un assunto che li induce a scambiare la presenza
(minoritaria) del mindset dell’Ingegnere con una sua correlazione
significativa con i risultati superiori d’impresa.
Mozart e Salieri sono figure famose che una poco comprovata storia,
accreditata dal film Amadeus di Milos Forman, riporta come nemici.
Peccato che la tipologia non regga: Mozart, passato alla storia come un
enfant prodige, conferma al contrario la tesi che crescere in un certo
ambiente (il padre ottimo musicista lui stesso) contribuisce alla carriera.
La sua musica straordinaria e le sue performance sono, almeno in parte,
attribuibili alle pazienti e metodiche esercitazioni cui lo sottoponeva il
padre sin dalla tenera età dei quattro anni. In altre parole, anche il giovane
Wolfgang è il prodotto della legge delle 10.000 ore. Tanto ci vuole
secondo la famosa formula del professor Anders Ericsson per avere alte
probabilità di successo. Un’ipotesi largamente seguita negli studi sul
talento e sulle condizioni per arrivare al successo in campi diversi: la
musica, lo sport, le professioni. E’ quanto scrive ad esempio Geoff Colvin
in Talent is overrated (it. La Trappola del talento). Dunque, perché non
dovrebbe funzionare nel management? Infatti, poche storie confermano
che siano sufficienti intuito, carisma, creatività per determinare risultati
superiori. Specularmente, essere un ingegnere non sembra la caratteristica
necessaria per diventare un manager di successo. Non sarebbero d’accordo
la famiglia Agnelli e Sergio Marchionne, laureato in filosofia! Oppure
Vittorio Colao, reputato CEO per i suoi ottimi risultati in Vodafone,
laureato in Bocconi. Nè lo sarebbe Monica Mondardini, Presidente e Ad
di CIR, laureata in scienze statistiche ed economiche. La lista di
“eccezioni” potrebbe continuare. Nonostante il tempo trascorso, gli studi, i
convegni, qualcuno pensa ancora di scrivere la ricetta del “buon
manager”, disconoscendo le specificità di industry, ciclo di vita, ambiente
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socio-economico, quadro normativo in cui opera l’impresa. Lo stesso
manager con esperienza di successo nell’ambiente a regolamentazione
crescente in cui opera l’impresa europea o americana, non si troverebbe in
difficoltà ad operare nei paesi del Golfo o in Cina?
Meglio rileggere i “classici” del management. Alla fine degli anni ’70,
Ichack Adizes formulò PAEI modello olistico delle funzioni manageriali
(Production, Administration, Entrepreneurship, Integration). Né possiamo
trascurare Richard Boyatzis e il suo libro Competent Manager. Studi che
ci hanno lasciato due contributi: primo, all’azienda servono profili diversi,
una miscela di competenze rispecchiata dal team di direzione che affianca
il CEO; secondo, una competenza più sarà coerente con lo specifico
contesto, più sarà predittiva di una buona performance. Un’ipotesi che a
livello empirico ci aiuta a capire perché Andrea Ragnetti abbia retto solo
un anno come AD di Alitalia pur provenendo dalla cultura “ingegneristica”
Philips; o perché il carismatico Federico Marchetti, bocconiano, diriga
Yoox, l’azienda di e-commerce. Con buona probabilità un ottimo manager
di Nestlè non sarebbe tale in Ferrero, e viceversa.
In conclusione, l’idea semplicistica che esistano leader e formule capaci di
assicurare il successo e ridurre il rischio di un’impresa assomiglia
all’antica ricerca del Sacro Graal. La teoria e il buon senso comune
mostrano che il successo richiede una miscela di competenze coerenti con
il tempo e lo spazio della situazione da gestire, un lavoro duro e ricco di
imprevisti. Una caratteristica è stata trascurata dagli articoli citati: l’82%
dei 100 Top Ceo vanta una durata di mandato superiore ai 7 anni. Ne
possiamo trarre un’ipotesi, meno cool ma più interessante del quesito sui
due geni musicali: la realizzazione di una robusta idea di business richiede
un mandato lungo al management per consentire errori e aggiustamenti,
costruire una cultura forte e allineare la squadra di vertice.
Sandro Catani
Resp. Executive Compensation TEH-A
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