dia de muertos (tezcatlipoca)

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dia de muertos (tezcatlipoca)
FABRIZIO BARACHINO
DIA DE MUERTOS
(TEZCATLIPOCA)
CAPITOLO 1
L’arrivo
Nel piccolo paese chiamato Tlatelolco i giorni trascorrevano tranquilli
ed immersi nella semplicità dei gesti quotidiani.
A Tlalteloco non c’era nessun tipo di ricchezza se non quella delle persone orgogliose che il proprio paese avesse il nome di un piccolo pezzo
di storia messicana.
Un improbabile visitatore avrebbe visto solamente un emporio, con generi di prima necessità, un ufficio postale, un bar e tante piccole fattorie.
Niente monumenti né attrazioni per turisti. A dire la verità non c’era
niente per miglia se non il deserto.
Se non fosse stato per la presenza della corrente elettrica e di alcuni
fuoristrada scassati si sarebbe potuto pensare che Tlalteloco fosse fermo
ancora al diciannovesimo secolo . Non era difficile immaginare, in quel
contesto, uomini baffuti con sombrero che cavalcavano nel deserto con i
loro cinturoni, cercando di rapinare qualche diligenza di passaggio.
La frontiera con la California era distante poche miglia, ma nessuno dei
paesani aveva mai pensato di varcare il confine, trovando felicità in quel
poco che la quotidianità già offriva.
Felicità che in quella settimana era particolarmente tangibile per l’imminente matrimonio dei giovani Eduardo e Rocìo.
Tutto il paese stava partecipando attivamente ai preparativi e la festa di
nozze si sarebbe tenuta al bar di José. I paesani trovavano solamente un
po’ inusuale decorare contemporaneamente la città con teschi, giochi
pirotecnici e festoni matrimoniali visto l’avvicinarsi del Dia de Muertos.
La scelta del luogo del rinfresco non fu casuale. I due giovani s’innamorarono proprio nel bar di José.
Rocìo lavorava lì come banconiera nei weekend ed Eduardo trascorreva
molto del suo tempo libero giocando nel vecchio biliardo, un po’ consunto, di José.
Tutto era iniziato con un gioco fatto di sguardi e sorrisi. Rocìo si dimostrava spesso incuriosita dalle magie che faceva Eduardo sul panno
verde ed una sera, verso l’ora di chiusura, lei prese coraggio e gli chiese
d’insegnarle a giocare.
Erano rimasti soli nel bar, e presto il contatto fisico fu inevitabile, suscitando imbarazzo in entrambi. Non ci mise molto a diventare naturale
sfociando in un bacio al di sopra del tavolo verde. Il tutto, ovviamente,
agevolato da sorsi di Tequila.
Per quella sera un bacio fu l’unica cosa che Rocìo concesse ad Eduardo.
“Basta così Eduardo. Sono una ragazza seria.” disse appoggiandogli un
dito sulle labbra.
Lui le sorrise e si ritirò rispettando la volontà della ragazza. Quel momento segnò l’iniziò di qualcosa di importante.
Passarono altre sere a giocare a biliardo ed in una di queste Eduardo
chiese:
“Qual’é il tuo sogno Rocìo? Vorresti mai andartene da qua?”
“Questa é casa nostra Eduardo. Perché andarsene se poi ne sentiremo la
mancanza? E poi… E poi ho come la sensazione che qualcosa d’importante debba accadere per me. Restiamo felici; qui; insieme.”
Lei lo guardò negli occhi ed Eduardo annuì. Aveva tutta la stabilità che gli
serviva nella semplicità di quel paese quasi dimenticato da Dio.
Era già passato un anno quando Eduardo chiese a Rocìo di sposarlo e lei
acconsentì. Pazza dalla gioia, e con gli occhi lucidi come conseguenza,, lo
strinse forte a sé. Sorpreso, lui si trincerò dietro un sorrisino imbarazzato ed arrossì in maniera insospettabile per un uomo come lui.
Finalmente Dio sarebbe tornato a far festa a Tlatelolco.
La voce si sparse in un attimo e tutti i paesani iniziarono a partecipare,
ognuno a modo suo, ai preparativi per il matrimoni. Tutti offrivano qualcosa; chi si proponeva per cucinare le pietanze per il rinfresco, chi per
addobbare la città, chi augurava semplicemente felicità ai due giovani.
La coppia era talmente benvoluta in paese che anche gli anziani non dissero nulla riguardo la scelta della data che coincideva proprio con il Dia
De Muertos.
Specialmente José, che si sentiva a metà tra il padre adottivo di Rocìo e il
Cupido della situazione, aveva messo in moto tutta la sua rete di contatti
per far avere ai due il meglio che la frontiera potesse offrire.
Restava solo da trovare un prete e ripristinare le funzioni della chiesa
missionaria abbandonata dall’Ordine, ma ancora usata dai paesani per i
loro colloqui personali con Dio.
Quel Dio in cui credevano e che pregavano, ammesso che esistesse veramente, sembrava avere in serbo altro per quel paese e per i suoi fedeli.
Mancava una manciata di giorni al lieto evento, e l’unica persona che
avrebbe potuto essere in grado di sposare i giovani era il sindaco: nessuna parrocchia nelle vicinanze poteva mandare un prete per quella data.
“Non ti preoccupare Rocìo” disse Eduardo “Appena possibile andremo
in città, e ci faremo sposare anche da un prete.”
Rocìo abbasso lo sguardo, quasi rassegnata al fatto che il matrimonio si
sarebbe dovuto rimandare.
José camminava a destra e sinistra sulla pedana del bancone pensando
ad alta voce.
“Eppure qualcuno da chiamare ci dev’essere ancora...”
Il piccolo Rafael, arruffato e scalzo come sempre, irruppe nel bar gridando:
“Sta arrivando uno straniero! Sta arrivando uno straniero! A piedi!”
José venne distolto dai suoi pensieri
“Come? Cosa? Che succede Rafael?” chiese
Il bambino ripeté, puntando il dito verso l’esterno:
“Sta arrivando uno straniero a piedi!”
Tlatelolco non era un paese di passaggio e gli estranei non arrivavano
quasi mai, a meno che non si fossero persi; inoltre il fatto che fosse a
piedi rendeva la cosa molto inusuale.
José prese il fucile da sotto il bancone mostrando la seria intenzione di
andare incontro allo straniero.
Eduardo disse:
“Vengo con te José.”
Il barista lo fermò subito.
“Voi due restate qui.” rispose indicando i due fidanzati “Rafael stai qui
anche tu.”
Alcuni paesani videro José uscire dal bar con il fucile.
“Cosa succede José?”
“Il piccolo Rafael mi ha detto che c’è uno straniero e da come era spaventato, non sembra essere un tipo amichevole.”
I compaesani che sentirono queste parole decisero di seguire il barista
prendendo la prima cosa che capitava sottomano e che sarebbe potuta
diventare, all’occorrenza, un’arma.
L’uomo si reggeva in piedi a fatica. I capelli lunghi e bianchi coprivano
parte del suo volto.
Con sé portava uno specchio rotondo dalla superficie impolverata.
Solo José ebbe il coraggio di parlargli ed avvicinarlo.
“Qualche problema amigo?”
“Mi è giunta notizia che state cercando un prete. Spero ve ne vada bene
uno senza la faccia da santo come la mia.” rispose l’uomo con la voce di
chi non beveva un goccio d’acqua da ore.
I paesani lo osservarono girandogli attorno. Non erano molto convinti di
quell’uomo sudicio che si reggeva in piedi a fatica.
“Con o senza faccia da santo un uomo di Dio resta un uomo di Dio. E a
noi serve. Benvenuto a Tlatelolco, Padre?” disse il barista appoggiando la
canna del fucile sulla spalla.
“Santiago. Padre Santiago.” rispose l’uomo. “E prima che mi faccia altre
domande meglio se rispondo subito io. Non vengo da nessuna parroc
chia. Giro per il paese e mi fermo deve c’è bisogno accogliendo il richiamo di Dio. Di solito viaggio in autobus, ma per arrivare qui mi sono
dovuto accontentare delle mie gambe.”
I paesani non erano ancora del tutto convinti ed iniziarono a mormorare
su chi avrebbe dovuto ospitare il prete. Nonostante l’abito da clergyman
alcuni avevano timore dell’uomo.
Fu José a prendere di nuovo l’iniziativa poiché vedeva in quell’insolito
prete un colpo di fortuna.
“Dormirà da me Padre. Sopra il bar c’è una stanza e facendomi compagnia al locale potrà conoscere quasi tutti i paesani. “
“Perfetto: se però ora potessi darmi una sistemata sarei felice.”
“Certo Padre. Andiamo.”
José si rivolse agli altri:
“Andiamo gente. Abbiamo un prete che sposerà i principi di Tlatelolco.
Bisogna festeggiare!”
Ci fu ancora qualche brontolio nei riguardi dell’uomo, ma la parola festeggiare aveva già iniziato ad addolcire gli animi.
In cinque minuti furono al bar.
José accompagnò il prete attraverso delle scale scricchiolanti, aprì a fatica
una porta che rivelò una stanza discretamente pulita, ma che, probabilmente, non ospitava nessuno dai tempi di Zapata:
“Questo è quello che passa il convento.” disse José con un sottile filo di
ironia.
“Andrà benissimo.” rispose il prete dirigendosi verso il letto e sdraiandocisi sopra.
“Faccia come se fosse a casa sua e quando ha finito ci raggiunga sotto.
Le presenterò gli sposi ed il resto dei paesani. Entro dieci minuti saranno
tutti qui curiosi, come non mai.”
Padre Santiago fece un cenno con il capo, facendo intendere al barista
che ora aveva fretta di rinfrescarsi.
“Intrattenga lei tutti. Io ci metterò un po’ più di dieci minuti per avere un
aspetto presentabile.”
“Tutto il tempo che le serve Padre.” disse José sorridendo mentre lasciava la stanza.
Scese le scale ringraziando Dio per quel colpo di fortuna e arrivato nel
bar si ritrovò sommerso dagli sguardi dei paesani. Furono delusi nel non
vedere il misterioso ospite e non badarono José, che stava per parlare,
continuando a fissare verso l’alto in attesa del prete.
Il barista montò sul bancone:
“Dovrete aspettare che Padre Santiago si dia una rinfrescata. Poi ci raggiungerà.”
Scese e si avvicinò ai due sposini.
“Dio é dalla vostra. Ci ha mandato un prete disposto a sposarvi. Considerando che avrete la benedizione delle quattro direzioni dei morti...
beh... non solo: il vostro sarà un matrimonio protetto dai vivi, dai morti
e dagli dei.”
Rocìo e Eduardo si abbracciarono sorridendo.
Lui, visibilmente rincuorato dalla notizia, disse:
“Compaesani, amici, parenti, amore. Con l’arrivo del prete siamo sicuri
che Dio non ci ha abbandonato. So che molti anziani hanno storto il naso
riguardo l’idea di sposarci durante il Dia de Muertos, ma era un modo
per rendere partecipi anche i genitori di Rocìo che riposano nel Mitclan.
Festeggiamo ora.”
I paesani applaudirono il giovane e gli dedicarono fischi e cori di incoraggiamento.
“José!” continuò il giovane “Offriamo un brindisi e fai partire il juke-box.”
Il barista si diresse verso il juke-box scassato, unico elemento moderno
e di valore di quel locale, vicino al quale stava seduto e appoggiato il decano del paese.
Il vecchio Raul si sedeva sempre lì, ma questa volta sembrava essersi
assopito ad occhi aperti.
“Hey Raul, sveglia. Devo mettere la musica.”
José lo scosse leggermente e al tocco rabbrividì. Il vecchio era freddo
come il ghiaccio.
Raul era morto, nei suoi occhi sbarrati si poteva leggere una luce sinistra,
insolitamente terrorizzata.
L’uomo gli abbassò le palpebre per non far vedere agli altri quello che
lui aveva visto negli occhi di Raul; si girò verso i presenti e si rivolse ad
Eduardo.
“Figliolo, mi dispiace: dobbiamo rimandare il brindisi; il vecchio Raul ci ha
lasciati.”
L’euforia di qualche istante prima si spense in un lampo, tra lo sbigottimento generale. Tutti volevano bene a Raul che aveva visto crescere e
aveva, a modo suo, educato buona parte dei presenti con la cura di un
nonno.
José prese le scale per salire ad avvisare Padre Santiago.
Bussò alla porta.
“Avanti.”
Il prete sembrava ringiovanito, i capelli raccolti, il viso disteso e il corpo
più energico; a José parve un’altra persona.
“Padre, scusi il disturbo, ma purtroppo devo informarla che oltre ad
un matrimonio dovrà celebrare un funerale. Il vecchio Raul c’ha lasciati.
Morte naturale.”
Il prete non disse nulla e si girò verso José.
Finalmente José poté vedergli completamente il viso, fino ad ora nascosto dai capelli in disordine.
Padre Santiago aveva ragione quando disse di non avere una faccia da
santo. Una cicatrice scura segnava entrambi gli occhi, come se fosse una
fascia nera incutendo timore a chi vi si trovava di fronte.
Il prete si accorse dello sguardo turbato di José:
“Vi avevo avvisati. E’ un ricordo dei miei errori passati. La mia faccia può
fare paura, ma da quando ho incontrato Dio sono una persona nuova.
Non devi avere timore. Ora scendiamo.”
Padre Santiago sorrise e si diresse verso la porta dove sostava José.
Lo specchio del prete, appoggiato al letto, emanava un leggero fumo.
Quando i due uomini comparvero nella sala del bar il silenzio calò rapido
come un fulmine. I presenti non sapevano più dove posare il loro sguardo.Alcuni per non guardare Padre Santiago preferivano guardare il corpo
del vecchio Raul, altri il contrario.
Padre Santiago, incurante d’avere occhi addosso o forse semplicemente
abituato a sentirsi osservato, si diresse verso la salma.
Guardò il vecchio Raul e poi disse:
“Il Signore ti ha chiamato a se. Requiescat in pacem.”
Recitò un de profundis, mentre il resto dei paesani aveva giunto le mani
in segno di devozione, e chinato il capo. Qualche donna sussurrava tra
le mani giunte, come se al loro interno ci fosse l’oggetto della loro devozione.
José gli si avvicinò:
“Sarà il caso di celebrare il funerale prima possibile. Con questo caldo,
padre, lei capisce.”
“Se non vi sono parenti da avvisare lo posso fare domattina.” disse Padre
Santiago
“Il vecchio Raul era solo da molto. Domattina verso le 10 può andar
bene, così avremo il tempo di scavare la tomba.”
Il prete annuì e poi si rivolse ai paesani
“Signori e signore io sono Padre Santiago, un prete errante. Dio mi ha
fatto arrivare qui. Mi spiace per il mio aspetto poco evangelico, ma vi
sarò comunque d’aiuto. Che il Signore sia con voi, abitanti di Tlatelolco.”
“E con il tuo spirito.” salmodiarono alcuni.
José prese la parola, dando le disposizioni per le esequie dell’indomani e
invitando tutti ad andare a dormire.
“Non dimenticatevi di recitare una preghiera per Raul prima di addormentarvi.”
In pochi minuti José e Padre Santiago rimasero soli.
Il barista andò dietro il bancone, prese due bicchieri e una bottiglia di
rum.
“Ci facciamo un bicchiere Padre? In onore del vecchio Raul.”
“E’ il suo modo di pregare, José?”
“E’ stata una giornata decisamente intensa. Troppe cose in una volta sola.
Chiudere con un goccio non è peccato e non mi condannerà all’inferno.”
“Lo credo anch’io.” disse il prete, mostrando un accenno di sorriso.
Brindarono e bevendo il rum al salto, facendone seguire subito un altro.
Padre Santiago s’accese una sigaretta.
“Non ho mai visto un prete fumare. Credevo che voi uomini di Dio non
aveste vizi.”
“E’ l’unico che non sono riuscito ad abbandonare.” tagliò corto il prete.
“Sa padre, noi baristi e voi preti siamo simili. Il sacramento della confessione raccoglie più verità qui che in una chiesa. Molti vengono a questo
bancone a scaricare i loro peccati o a bruciarli con del liquore. Tocca a
me assolverli.”
José era incuriosito dal passato dell’uomo e provò a farlo parlare, versandogli un altro bicchiere.
“La sua è una similitudine sfacciata, ma considerando che qui non avete
un prete posso accettarla. Da laico probabilmente sarei stato uno di
questi uomini. Ora faccio riferimento solo a Dio. Quello che avevo da
dire agli uomini su di me già lo dissi tempo fa e furono parole pesanti.”
Spense la sigaretta e si allontanò dal bancone:
“Se permette ora vado a coricarmi.”
“Buonanotte Padre.”
“Buonanotte José.”
Guardandolo salire le scale si accorse d’essere rimasto solo, con la bottiglia sul bancone che lo guardava in segno di sfida.
“Qui comando io.” disse, afferrandola per il collo, e trangugiando grosse
sorsate di rum che gli fecero bruciare la gola e lo stomaco.
Digrignò i denti esalando un “Aaah!” di rabbiosa soddisfazione.
“Che razza di giornata!” pensò: il matrimonio che rischiava di saltare,
poi il prete sbucato dal deserto ed infine la morte di Raul; Tlatelolco
non aveva così tante novità in un solo giorno dai tempi delle bande di
rivoluzionari.
Aveva un impellente bisogno d’aria fresca, posò la bottiglia ed attraversò
al porta per uscire dal bar.
Il cielo era un tappeto di stelle di cui aveva dimenticato la trama e la luna
illuminava le case del paese.
Quel cielo benevolo doveva essere per forza di buon auspicio e José
strizzò l’occhiolino verso l’alto.
Tutta quella poesia fu interrotta da due occhi gialli e sinistri che lo fissavano nascosti nell’ombra. Un coyote? Al contatto con quello sguardo
sentì un brivido lungo la schiena. Non aveva mai avuto paura di quelle
bestie.
“Va via!” disse facendo un gesto con le mani.
Gli occhi continuarono a fissarlo per un istante e poi sparirono nell’ombra.
Rientrò nel bar, e le gambe gli tremavano. Un po’ il rum, un po’ la paura.
La porta della cella frigorifera era aperta, eppure era convinto d’averla
chiusa per bene prima. Accese la luce per controllare che tutto fosse in
ordine e il suo cuore perse un colpo quando si rese conto che il corpo
del vecchio Raul era sparito.
Sul pavimento restava solo un lenzuolo.
CAPITOLO 2
L’orrore
Quella notte José non riuscì a dormire nonostante l’alcool in corpo.
Troppe cose strane in un giorno solo, troppi pensieri sinistri, e quegli
occhi gialli che riapparivano ogni volta che chiudeva gli occhi.
Erano le 5 del mattino ed ancora vagava per il bar, fermandosi di tanto in
tanto a fissare la porta della cella frigorifera.
Chi poteva aver trafugato il corpo del vecchio Raul?
Appena il sole avesse superato la collina avrebbe suonato la campana
dell’adunata e parlato ai paesani.
Rientrò nella cella per ripiegare il lenzuolo e solo allora notò delle impronte sul pavimento.
Sembravano quelle di un grosso felino.
Subito gli vennero in mente gli occhi gialli che lo fissavano nell’ombra.
Quello non era un coyote, ecco il perché della paura.
Le impronte conducevano alla porta e poi alla finestra rimasta aperta
tutta la notte, ma mancavano le tracce del trascinamento; come poteva
aver fatto l’animale ad aprire la porta, portar via il corpo senza trascinarlo e soprattutto passare usando la finestra che stava ad un metro dal
pavimento?
Qualcosa non lo convinceva, ma la sua mente semplice da barista di frontiera non riusciva a comprendere.
Ne avrebbe parlato poi con gli altri prima di allertare la polizia.
Qualche ora dopo, il primo a comparire nel bar fu Padre Santiago, alzatosi di buon ora per le lodi: s’accorse subito della sua agitazione.
“Buongiorno José. Che succede?”
Il barista sussultò mettendosi una mano sul petto.
“Non so se sia un buongiorno Padre. Il corpo di Raul é sparito e vicino
al lenzuolo ho trovato le impronte di un grosso felino. Tra poco suonerò
la campana dell’adunata per parlarne con gli altri prima di chiamare la
polizia.”
Il prete annuì impassibile.
José prese un profondo respiro e ritornò nel suo ruolo di barista.
Si schiarì la voce, strabuzzandosi gli occhi “Non ho dormito niente, ho
bisogno di caffè, un caffè forte. Ne gradisce anche lei, padre?”
Se ne fa per lei, volentieri. Non voglio darle disturbo”
Si figuri” ribadì “o lo faccio per me o stramazzo al suolo”
Mise su una caffettiera, dando le spalle al prete, e la guardò, nervoso ed
impaziente, finché non vide le prime gocce di caffè nero gorgogliarne
fuori”
Aveva bisogno di distrarsi un attimo e l’idea di preparare un caffè era una
immediata necessità.
Versò il liquido nero e caldo nelle tazze con mano tremante.
Padre Santiago notò il tremore ma non disse nulla; se ne stava a testa
bassa a fissare il breviario.
Sorseggiarono entrambi in silenzio il caffè caldissimo.
Qualcuno iniziò a bussare con impeto alla porta.
“José! José! Sono Eduardo. Apri!
Il barista corse alla porta mentre il prete si voltò verso l’ingresso.
Non appena José aprì, il giovane si precipitò dentro con il fiatone.
“Eduardo, Dio mio. Che hai?”
Il giovane prese un attimo di tempo per respirare.
“Gli Aguilar! Marito e moglie scomparsi!”
“Come scomparsi?”
“Dovevo riportargli una padella che mi avevano prestato. Sono arrivato
lì e la porta era stranamente aperta. Sono entrato e ho trovato la casa a
soqquadro. Di loro nessuna traccia.”
José guardò Padre Santiago ancora impassibile, poi tornò a rivolgersi al
giovane.
“Anche il corpo di Raul è scomparso e ho trovato le impronte di un
felino. Suono l’adunata. Dobbiamo mettere tutti in guardia e chiamare la
polizia.”
Eduardo annuì.
Il barista uscì dal locale lasciando il giovane ed il prete da soli.
“Sembra arrivato al momento sbagliato, Padre.”
“Forse sono arrivato nel momento giusto. Quello in cui il paese ha bisogno di una guida.”
“Non ci vedo molto Dio in quello che sta succedendo.”
“Un Dio c’è sempre, mio giovane Eduardo.”
In queste parole un orecchio attento avrebbe intuito quella che sarebbe
stata un’amara verità.
La campana suonò. Tre rintocchi. Quello era il segnale dell’adunata.
In pochi minuti la gente arrivò al bar di José mostrando visibile preoccupazione: la campana dell’adunata veniva suonata solo nelle occasioni
gravi.
José salì su un tavolo fuori dal bar per prendere parola mentre Padre
Santiago e Eduardo rimanevano dietro di lui.
Nelle facce dei paesani la preoccupazione era visibile anche a distanza.
“La farò breve. Stanno accadendo delle cose strane in questo villaggio.
Stanotte il corpo del vecchio Raul é scomparso; un felino di grossa taglia
si aggira per questa zona e Eduardo mi ha riferito che anche gli Aguilar
sono spariti.”
Sentendo queste parola la preoccupazione divenne paura.
José continuò
“Stamane chiamerò la polizia, nel frattempo qualunque cosa strana notiate venite a riferirla e durante la notte chiudetevi bene in casa.”
Una voce si alzò fra le altre con tono d’accusa
“José, sei sicuro che quell’uomo sia un prete?”
Il barista si girò verso Padre Santiago per incrociare il suo sguardo, ma
l’uomo manteneva il capo chino.
“Padre Santiago non s’é mosso dalla sua stanza per tutta la notte e ve lo
posso garantire; stanotte non ho dormito e sono rimasto al bar. Se fosse
uscito lo avrei visto sicuramente. Penso, invece, che sia stato mandato da
Dio proprio in vista di questi avvenimenti.”
“Ah beh. Allora mi fido.” rispose l’uomo
Aveva usato le stesse parole che il prete disse ad Eduardo quella mattina.
Dentro di lui era sicuro che Padre Santiago fosse estraneo ai fatti e la
sua unica colpa era di essere arrivato nel momento peggiore per il paese.
“Un’ultima cosa. Non mettetevi a fare gli eroi. Stasera o domani mattina
la polizia sarà qui e sarà compito loro risolvere la questione. Ora tornate
alle vostre faccende.”
Gli abitanti si divisero in gruppi, continuando a chiacchierare e a fare ipotesi bislacche tra di loro. Fortunatamente non v’era molta scaramanzia in
quel villaggio, quindi nessuno pensò ad eventi soprannaturali.
José, Padre Santiago ed Eduardo rientrarono nel bar seguiti da alcuni
compaesani curiosi.Prese in mano il telefono, ma quando avvicinò la cornetta all’orecchio la sua faccia impallidì.
“E’ muto!” bisbigliò
“Come é muto?” disse Eduardo.
“Non c’é linea.”
Il ragazzo ed il barista si guardarono sgomenti.
Padre Santiago guardava fuori dalla finestra senza interferire nelle faccende terrene; se ne stava in silenzio ed in piedi con le braccia dietro la
schiena.
Le persone nel locale cominciarono a mormorare tra loro nuovamente
e nessuno riusciva ad affrontare la cosa con la dovuta razionalità.
“Vado io da loro.” decise Eduardo.
“Credo sia l’unica soluzione, Eduardo.Torna prima che faccia buio però.”
“Tornerà, José, non ti preoccupare.” intervenne Padre Santiago
Eduardo prese quelle parole come una benedizione e se ne andò leggermente rincuorato.
“Nel frattempo cosa facciamo?” chiese uno dei presenti
“Tornate a casa ed attendete il suono della campana. Non appena tornerà Eduardo vi convocherò tutti nuovamente.”
José e Padre Santiago rimasero soli.
“Padre, io andrei a farmi una doccia e a riposare un po’. Non le spiace le
la lascio da solo?”
“Non si preoccupi. Pensavo di fare una passeggiata per il paese. Nonostante le ultime vicende questo posto trasmette tranquillità.” rispose il
prete.
“Sì, questo sarebbe un posto tranquillo. Dopotutto nessuno pensa a strani avvenimenti in un paese sperduto come questo.”
“Non lo so José. Di solito questo genere di paesi alimenta strane fantasie
nell’immaginario collettivo. Come se dovesse accadere da un momento
all’altro qualcosa di inspiegabile.”
“A volte la sensazione é quella Padre.”
José se ne andò via dal bar lasciando il prete in compagnia della malinconia di quell’ultima frase.
“Ah Padre! Chiuda la porta e giri il cartello prima di andare via.” disse
José indicando un rettangolo colorato con scritto “Torno subito”
“Non mancherò. Ora vada, ha bisogno di rilassarsi.”
Padre Santiago salì nella sua stanza, prese con se lo specchio e scese nelle
vie del paese.
L’acqua calda tirò fuori tutta la stanchezza che José aveva in corpo, facendolo quasi assopire sotto il getto della doccia.
Si dette una scossa, cambiando la temperatura dell’acqua da calda a fredda.
Lo sbalzo di temperatura, all’inizio lo fece gridare, poi il corpo si abituò
ed iniziò a far aumentare, in maniera graduale, il calore.
Chiuse gli occhi lasciando che i pensieri scivolassero un po’ via assieme
al sapone, anche loro nello scarico.
Improvvisamente gli sembrò che il liquido che gli scorreva addosso fosse
denso ed il sapore che gli arrivava alle labbra fosse dolciastro.
Riaprì gli occhi bagnato di sangue.
Uscì dalla doccia velocemente completamente terrorizzato; restò in
piedi davanti allo specchio, si scrutò nudo, esaminandosi il viso come a
cercarne tracce, lasciando che il suo cuore rallentasse. Lentamente si
convinse che era lo stress, solo il maledetto stress.
Aprì l’acqua fredda del rubinetto per sciacquarsi la faccia e vide l’acqua
scendere rossa e densa.
Cos’erano quelle? Allucinazioni?
Si diede un pizzicotto per assicurarsi di essere sveglio e aprì la finestra
per prendere una boccata d’aria fresca.
Nuvoloni neri all’orizzonte avanzavano accompagnati da una corona di
fulmini.
Comprese che non avrebbe potuto permettersi il riposo sperato.
L’unica speranza che riponeva era nel giovane Eduardo.
Anche quest’ultima crollò quando lo vide tornare mentre era ancora
affacciato al balcone.
“Eduardo! Non è possibile che tu sia già rientrato!”
“Ah José! Non riesco ad uscire dal paese. Ogni volta che prendo la via
per la città mi ritrovo a Tlatelolco!”
“Fammi rivestire e arrivo. Proviamo ad andare insieme.”
La sparizione di Raul, gli occhi della belva, gli Aguilar, il sangue, Eduardo
che non riusciva a lasciare il paese e quei nuvoloni neri in arrivo.
Questi segnali non promettevano nulla di buono.
L’avvicinarsi del Dia de Muertos stava facendo precipitare Tlatelolco
nell’inferno.
“I compaesani presto verrano divorati dalla paura e Dio solo sa cosa
potrebbe succedere.” pensò José mentre indossava con i primi abiti che
era riuscito a raccattare.
Scese rapidamente le scale e aprì la porta.
“Ragazzo mio entra.”
Eduardo si accomodò.
Era la prima volta che metteva piede in casa di José, ma quel tetto non
gli dava il senso di protezione che avrebbe voluto; anche lui si stava
rendendo conto che ciò che stava succedendo andava al di là della comprensione umana.
“Spiegami com’ è che non riesci ad uscire dal paese.”
“Non lo so José. Ogni volta che supero la collina mi ritrovo di nuovo con
il paese davanti. Ho paura.”
“E ci credo ragazzo. Quello che sta succedendo non è normale.”
“Lo penso anch’io...”
José prese due bicchieri e servì della tequila.
“Nel caso fosse il nostro ultimo bicchiere.”
Brindarono senza aggiungere altre parole e facendo tintinnare i bicchieri.
D’improvviso su Tlatelolco calò la notte.
I nuvoloni neri, che José aveva visto all’orizzonte, avevano raggiunto il
paese e con essi anche i fulmini che iniziarono a colpire, per primo, il
campanile della vecchia chiesa.
Le scariche illuminavano in maniera sinistra il paese ed il vento che iniziò
a spirare sembrava un lamento di anime sofferenti.
Sembrava l’inizio della fine.
“Ci mancava questa tempesta.” disse Eduardo
“Non è normale giovanotto. Non è stagione. Speriamo che la gente si
stia chiudendo in casa.”
“José! Io devo andare da Rocìo.”
“Non credo sia il caso di muoverti ora. I fulmini stanno cadendo a raffica.”
Una serie di lampi disegnò in cielo una forma simile ad un teschio.
Padre Santiago continuava la sua passeggiata, nonostante le condizioni
meteo ostili, pronunciando frasi in una lingua sconosciuta.
Lo specchio che aveva con se fumava abbondantemente.
Non appena smise di recitare il suo monologo comparvero dietro di lui
creature metà giaguaro metà uomo. Si reggevano in piedi sulle zampe
anteriori e mostravano un fisico possente sotto in vestiti laceri; il pelo
maculato ricopriva tutto il corpo ed il viso aveva perso qualsiasi sembianza umana per lasciar posto a quella animale.
I mostri sfondarono ogni porta che trovarono, entrando nelle case e
trasformando gli occupanti in creature uguali a loro. Bastava un morso
o un artigliata per far sì che il fumo si levasse dai corpi e andasse nello
specchio di Padre Santiago mentre i corpi subivano la trasformazione a
cui venivano condannati.
Ogni delitto che aggiungeva fumo allo specchio incrementava il potere di
colui che era apparso come uomo di Dio.
I lampi continuavano ad illuminare i nuvoloni neri sopra il paese ed il
vento trasportava con se urla e paura.
Avvolto dal fumo proveniente dallo specchio, colui che il paese conobbe
come Padre Santiago, mutò.
L’abito da clergyman si dissolse, i capelli divennero neri, delle strisce nere
comparvero sul mento, sul naso e attorno agli zigomi e sulla fronte.
L’uomo parve ringiovanito, forte e vigoroso, nonostante un piede mancante.
Una raffica di vento dissolse il fumo attorno a lui.
“Rinato.” sussurrò.
Prese una boccata d’aria e dal centro del paese iniziò a dire
“Abitanti di Tlatelolco. Io sono Tezcatlipoca, il dio della notte, del nord e
delle tentazioni. Molti di voi sono già diventati parte del mio esercito e
altri subiranno la stessa sorte. Qualcuno morirà per onorarmi, qualcuno
per cercare di fermarmi. Il mio tempo è finalmente giunto ora che mi
riunirò alla mia sposa Xochiquetzal e qui fonderò di nuovo il mio regno
per riconquistare ciò che mi appartiene.”
La voce del dio si udì in tutto il villaggio.
Alcuni degli abitanti più anziani vennero colti da infarto, altri urlarono ed
altri rimasero terrorizzati. Le madri strinsero alle loro gonne i bambini
che piangevano.
Il dio dei loro avi, e al quale loro non credevano più, era tornato sulla
terra per reclamare il suo posto e il suo regno.
Rivolgendosi alle creature dall’aspetto di giaguaro disse
“Completate l’opera miei soldati fedeli e portate qui la mia sposa. E’
l’unica a cui non dovete torcere un capello. Agli altri fate pure ciò che
volete: trasformate, mangiate, uccidete, violentate. Questo paese ora è
nostro.”
Nell’udire quelle parole, José e Eduardo, vennero travolti dall’orrore.
Il giovane cominciò a piangere.
“Invece che alle porte del matrimonio con Rocìo mi trovo a quelle
dell’inferno. Dio mio! Non possiamo fare nulla contro un dio!”
“Beh mio giovane amico, non so te, ma io la mia pellaccia la venderò
cara.” rispose il barista
José aprì un armadio e tirò fuori due fucili.
“Se dobbiamo morire facciamolo da eroi amico mio. Fai l’uomo e prova
difendere la tua donna almeno.”
L’uomo consegnò il fucile al ragazzo.
Toccando il legno ed il ferro, Eduardo pensò che quando un uomo ha
un’arma si trasforma, diventa più spavaldo, convinto che ferro e polvere
da sparo possano renderlo invulnerabile.
Si fecero coraggio e decisero di uscire dalla casa, imbracciando saldamente il fucile, per andare incontro al dio e alla morte. Il loro destino era
ormai segnato, meglio affrontarlo faccia a faccia.
Dopo la rivelazione del dio, il vento si era placato. Restavano solo le nubi
scure che avevano fatto piombare la notte.
Strada facendo, i due uomini spararono ad un paio di creature intente a
divorare due bambini che avevano tentato di scappare.
Le belve ruggivano nel sentire il piombo dentro di loro, ma sembravano
immortali.
Una di loro stava per avventarsi sui due, ma fu bloccata durante il balzo
da una forza misteriosa che la strinse e le spezzo le ossa lasciandola a
terra accartocciata come carta.
“Lasciateli venire a me. Che nessuno osi toccarli.” Tezcatlipoca diede
quell’ordine e l’avanzata dei due uomini fu accompagnata dalla loro paura
e dai ruggiti rabbiosi delle creature.
“A voi due umani devo qualcosa. Tu, José mi hai dato asilo mentre ero
stanco e consumato, invece tu, Eduardo mi hai fatto ritrovare la mia
sposa. Non credevo che questo villaggio sperduto sarebbe diventato la
pietra della mia rinascita. Potete scegliere se vivere come miei emissari o
morire come mie nemici.”
Due uomini-giaguaro arrivarono con Rocìo.
José alzò il fucile conscio, comunque, dell’inutilità del gesto. Lo puntò verso una delle creature, poi lo spostò verso la ragazza. Ucciderla le avrebbe
risparmiato la sofferenza.
Eduardo si accorse di dove il barista stesse mirando ed istintivamente
alzò anch’esso il fucile verso José.
“José non provarci!”
“Non capisci giovanotto! Le farei un favore!”
Intervenne Tezcatlipoca
“Ma che bel dramma.Voi umani siete proprio divertenti. Mi dispiace José,
ma lei è la mia sposa! Io sono giunto qui perché lei mi ha chiamato. Lei è
la reincarnazione di Xochiquetzal.”
Prese possesso dei movimenti di Eduardo ed un colpo partÏ dal suo fucile dritto nel cranio di José.
Il dio si rivolse alle sue creature.
“Mangiate!”
Un paio di mostri si avventarono sul corpo di José smembrandolo e divorandone ogni pezzo.
A quella vista, Eduardo vomitò e Rocìo scoppio a piangere.
“Sei rimasto solo tu Eduardo. Cosa vuoi fare?”
Eduardo non disse nulla e puntò il suo fucile contro il dio
“Non puoi uccidere un dio e non puoi nemmeno amare una dea. Sei un
umano!”
“Ed allora morirò da uomo!”
Il giovane sparì ma il proiettile si fermò contro il corpo del dio.
Tezcatlipoca pronunciò delle parole ed un denso fumo azzurro uscì dal
corpo di Eduardo per venire assorbito dallo specchio.
Il ragazzo crollo al suolo e anche lui divenne cibo per le creature.
Parte del fumo dello specchio avvolse Rocìo e la trasformò in Xochiquetzal dea dei fiori, della fertilità, dei giochi, della danza e dell’agricoltura, oltre che degli artigiani, delle prostitute e delle donne incinte.
“La mia rinascita è el dia de muertos! Vieni mia lucente sposa, riprendiamoci questo mondo che c’ è stato negato per troppo tempo.”
“Sì, amore mio!”
Iniziò, così, sulla terra l’era di Tezcatlipoca e durerà fintanto che non rinascerà Quetzalcoatl, il Serpente Piumato.
GLOSSARIO
Questo racconto ha preso spunto da alcuni elementi della mitologia
Azteca.
Di seguito troverete i link per approfondire.
Dia de Muertos e Mitclàn
http://it.wikipedia.org/wiki/Giorno_dei_Morti
Quetzalcoatl
http://it.wikipedia.org/wiki/Quetzalcoatl
Tezcatlipoca
http://it.wikipedia.org/wiki/Tezcatlipoca
Tlatelolco
http://it.wikipedia.org/wiki/Tlatelolco_(altepetl)
Xochiquetzal
http://it.wikipedia.org/wiki/Xochiquetzal
http://www.reddarmy.com
http://brarez.wordpress.com
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