Può una tassa migliorare la nostra salute?

Transcript

Può una tassa migliorare la nostra salute?
Focus
Può una tassa migliorare la nostra salute?
Franca Braga
La recente proposta di una tassa sulle bibite inserita nel Decreto Balduzzi ha sollevato un’ondata di critiche. L’efficacia di una simile misura è difficile da provare
e lascia scettici, ma ha il merito di aver sollevato il problema dell’obesità. A livello
mondiale se ne discute, si sperimentano misure e si definiscono piani di intervento. È ora che anche nel nostro Paese si cominci a valutare questa emergenza.
Introduzione
A fine agosto la proposta, contenuta nel cosiddetto “Decreto Balduzzi”, di tassare le bibite zuccherate ha sollevato accesi dibattiti, spesso purtroppo superficiali, scorretti e strumentali. Si è arrivati a parlare di “tassa sul rutto”, il che la
dice lunga sul bassissimo livello toccato dalla discussione.
Si trattava di una tassa a carico dei produttori di bevande analcoliche con
zuccheri aggiunti ed edulcoranti, in ragione di 7,16 euro per ogni 100 litri
immessi sul mercato. Il ricavato doveva essere destinato all’adeguamento dei
Livelli essenziali di assistenza (i Livelli essenziali di assistenza, o Lea, sono le
prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a
tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione, ovvero di un ticket).
Nella versione definitiva del decreto, dopo giorni di accesa discussione sui
media la tassa sulle bibite è stata eliminata. Opinione pubblica soddisfatta, industria alimentare tranquillizzata e ministro che dichiara di aver ottenuto un
risultato importante, ovvero far discutere del problema misure per combattere
l’obesità. Ne siamo davvero sicuri?
Per prima cosa è opportuno fare chiarezza, basandosi possibilmente su numeri e studi. È basilare evitare approcci demagogici e affrontare con molta
serietà quello che è e resta un problema reale: l’obesità e la necessità di definire
piani di intervento.
I dati più recenti sull’obesità pubblicati sul sito del ministero della Salute
sono quelli della raccolta “Okkio alla Salute”, che nel 2010 ha pesato e misurato
42.155 alunni della terza classe primaria in tutte le regioni della nostra penisola: è stato evidenziato il 22,9% di bambini sovrappeso e l’11,1% in condizioni
di obesità. Si nota, inoltre, una spiccata variabilità regionale, con percentuali
tendenzialmente più basse al Nord e situazioni particolarmente critiche al Sud
(vedi Fig. 1).
40
Franca Braga
Altroconsumo
Associazione Indipendente di Consumatori
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
Fig. 1 – Sovrappeso e obesità per regione, bambini 8-9 anni “Okkio alla Salute” 2010
Non molto diversi i numeri per la popolazione adulta secondo il sistema di
sorveglianza Passi 2010: 32% degli adulti in sovrappeso e 11% obeso, complessivamente più di quattro adulti su dieci in eccesso ponderale.
Che obesità e sovrappeso siano un’emergenza conclamata per la sanità pubblica
a livello mondiale è un’affermazione largamente condivisa. È sufficiente leggere i
documenti in merito pubblicati dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) o
inserire la parola obesità nel motore di ricerca del nostro ministero della Salute:
«Obesità e sovrappeso rappresentano una rilevante sfida per la salute pubblica in
tutto il mondo. Si tratta di condizioni associate a morte prematura e ormai universalmente riconosciute come fattori di rischio per numerose patologie croniche, quali
malattie cardiovascolari, ictus, diabete tipo 2, alcuni tipi di tumore (endometriale,
colon-rettale, renale, della colecisti e della mammella in post-menopausa)».
A livello mondiale l’obesità sta assumendo le caratteristiche di un vera e
propria epidemia e costituisce uno dei maggiori problemi di salute non solo nei
Paesi industrializzati, ma anche in quelli in via di sviluppo. La gravità di tale
emergenza è stata a lungo sottostimata e solo negli ultimi anni comincia a essere percepita come sfida per la salute pubblica e problema strategico, associato
a notevoli implicazioni economiche.
La guerra alle bevande zuccherate
Assodato che l’obesità è un problema reale anche nel nostro Paese e, in particolare, nella popolazione infantile e che piani di intervento sono non solo auspicabili,
ma anche urgenti, sembra lecito chiedersi se sia giustificato dare tutta la respon-
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
41
sabilità alle bibite gassate e zuccherate. La risposta è ovvia: no. In realtà, le cause
sono multifattoriali e molto complesse. Non è il singolo alimento il colpevole, ma
gli stili di vita: poco esercizio fisico, abitudini scorrette (saltare la prima colazione, non rispettare pasti regolari, merende troppo abbondanti, poca frutta e verdura...) e chiaramente l’eccesso calorico. Lo abbiamo detto noi e lo dicono in molti:
è necessario agire su più fronti, partendo dall’educazione e dall’informazione, obbligando a etichette più chiare e comprensibili, che consentano scelte più attente,
regolando la pubblicità, in particolare quella rivolta ai bambini, riformulando i
prodotti (meno grassi, meno sale) e così via. Detto questo torniamo alle bibite.
Negli ultimi 30 anni il consumo di bevande zuccherate, le cosiddette soft
drink, è aumentato in tutto il mondo. Dal 1999 al 2006 i consumi in Messico
sono raddoppiati. Negli Sati Uniti adulti e bambini consumano circa 250-300
chilocalorie al giorno in più rispetto a qualche decina di anni fa, di cui circa la
metà derivanti da bevande zuccherate. Anche in Europa i consumi stanno crescendo in maniera esponenziale. Certo, come ha fatto notare Federalimentare,
i consumi nel nostro Paese sono contenuti rispetto ad altri Paesi, in particolare
del Nord Europa, ma stiamo seguendo lo stesso identico trend di crescita.
Non vanno peraltro sottovalutati i consumi dei bambini che possiamo ricavare dal già citato rapporto “Okkio alla Salute” 2010, che evidenzia un consumo
quotidiano di bevande zuccherate per 1 bambino su 2.
Fig. 2 – Prevalenza dei fattori di rischio alimentare, bambini 8-9 anni “Okkio alla Salute” 2010
100
90
Dati 2008-9
82
80
Dati 2010
68
70
60
48
50
41
40
28 30
30
20
10
0
11
23 23
9
non colazione
colazione
non adeguata
merenda
abbondante
non consumo
consumo quotidiano
quotidiano
di bevande
di frutta e verdura
zuccherate e/o
gassose
La relazione tra consumo di bevande zuccherate e incremento ponderale è
stata presa in esame da diversi studi, comprese recenti review sistematiche, come
riporta un articolo pubblicato dal New England Journal of Medicine (Brownell
42
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
et al., 2009). Il problema riscontrato è, come spesso accade, l’affidabilità di questi studi. Una meta-analisi sovvenzionata dall’industria delle bevande conclude
affermando che non esiste una dimostrata associazione tra consumo di bevande
zuccherate e peso corporeo. Un’altra meta-analisi dimostra esattamente il contrario. Uno studio prospettico (De Mouzon, et al., 2012), che ha analizzato gli
studenti di due anni accademici della middle-school, dimostra che il rischio di
diventare obesi aumenta del 60% per ogni porzione aggiuntiva giornaliera di
bevanda zuccherata (Foltz et al., 2012). Ma diversi altri trials clinici non hanno
dato risultati significativi. Tre studi osservazionali, uno che ha coinvolto più
di 90mila infermiere americane, uno su uomini e donne finlandesi e uno su un
gruppo di donne di colore, hanno dimostrato una correlazione positiva tra consumo di bevande zuccherate e insorgere di diabete di tipo 2. Un’ulteriore analisi
osservazionale sulle infermiere americane ha evidenziato una correlazione positiva con il rischio di problemi cardiovascolari.
Ma perché le bevande zuccherate sono così dannose alla nostra salute? Sono
altamente caloriche, innalzano il livello di trigliceridi del sangue e la pressione
sanguigna, fanno diminuire il livello del cosiddetto colesterolo buono, hanno
un alto indice glicemico. Si parla di calorie vuote perché presentano un alto
tasso di zuccheri semplici a veloce assorbimento, non contengono altri nutrienti
e, quindi, non apportano nulla al nostro organismo se non calorie. Non danno
senso di sazietà e non dissetano. Per questo tendono ad aggiungersi ai normali
consumi e non a sostituire altre bevande o alimenti. Inoltre, provocano una
deviazione del gusto, che si abitua al molto dolce; questo vale in particolare
per i bambini, con la grave conseguenza che tendono in seguito a trovare altri
alimenti, come frutta e verdura, insipidi e poco attraenti.
Eppure questo rischio è poco percepito. È la conseguenza, evidentemente,
di una diseducazione nutrizionale sia degli adulti che dei bambini, di un’informazione basata più sugli spot pubblicitari che su princìpi scientifici, tenendo
in considerazione anche la difficoltà di una corretta percezione di un rischio
futuro e lontano legato a un comportamento a breve termine.
Le tasse per la salute in altri Paesi hanno funzionato?
Un altro punto da sottolineare, e di cui si è parlato molto poco sui media, è che
tasse simili sono già state adottate da altri Paesi europei, mentre molti altri
stanno riflettendo su ipotesi simili. Il Beuc1 sta seguendo con attenzione questo
aspetto, monitorando e studiando quanto realizzato nei diversi Stati.
La Francia nel gennaio di quest’anno ha introdotto una tassa sulle bevande
gassate dolci simile a quella proposta nel nostro Paese, in Finlandia dal '99
Bureau européen des associations de consommateurs, federazione composta da 42 organizzazioni di
consumatori di 31 Paesi europei, di cui fa parte anche
1
Altroconsumo; dal 2008 Paolo Martinello ha assunto la
presidenza per quattro anni.
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
43
esiste una tassa su dolci, caramelle, gelati, soft drink. L’Ungheria da settembre
2011 ha una tassa sui prodotti poco salutari perché troppo ricchi di grassi,
zuccheri e sale. La Danimarca ha adottato a fine 2011 la “fat tax”, legata al
contenuto in grassi saturi. E molti altri Stati stanno valutando misure simili:
Romania, Irlanda, Regno Unito. Stati Uniti, California e Stato di Washington nel
2011 hanno introdotto una tassa sulle bevande analcoliche, il Maine tassa soft
drink, birra e vino. Nello Stato di NY solo quest’anno (se ne discuteva dal 2009)
è passato il divieto di vendita in ristoranti e altri punti di ristoro di confezioni
extra-large (maggiori di 16 onze ovvero circa 470 ml.) di bevande zuccherate. È
stata definita una portion control, ed è stata oggetto di annose discussioni. Interessanti le dichiarazioni riportate dal Wall Street Journal di alcuni membri del
NYC Board of Health che hanno votato la norma in questione. «I can’t imagine
the board not acting», «It’s hard to do - there are a lot of unhappy people», «The
reality is we are in a crisis, we need to act on this».
Visto dunque che le tasse per la salute sono già state adottate in altre realtà
è immediato chiedersi se abbiano funzionato, dando risultati concreti.
L’associazione consumatori ungherese afferma che ci sono stati effetti sul
consumo nei primi 1-3 mesi, in seguito i cittadini si sono abituati, senza cambiare le proprie abitudini di acquisto né di consumo. In Danimarca pare che i
cittadini siano corsi a fare scorte prima dell’entrata in vigore della tassa e in
seguito la vicina Svezia riferisce di un aumento delle vendite di burro grazie ai
vicini danesi.
Esistono anche alcuni studi, pochi in verità, che hanno cercato di rispondere
a questa domanda. Alcuni sottolineano che la domanda della maggior parte
dei prodotti alimentari non è elastica, conseguentemente un aumento con una
tassa pari al 10% del prezzo di vendita corrisponde solo all’1% di diminuzione
delle vendite. Al contrario una review condotta dall’Università di Yale (Swati
Yanamadala et al., 2012) suggerisce che un incremento del prezzo del 10% può
portare a una diminuzione dei consumi pari al 7,8% e, in realtà, dati storici
delle industrie produttrici di bevande avallano questa entità di contrazione
delle vendite. La Coca Cola, quando ha aumentato i prezzi del 12%, ha visto una
diminuzione nelle vendite pari al 14,6%: questo però è un dato sull’immediata
reazione e quello che è significativo e interessante è il lungo termine.
Si potrebbe anche affermare che l’aumento di prezzo sul tabacco ha funzionato. Perché non dovrebbe succedere lo stesso con le bevande analcoliche?
Il Food Ethics Council,2 un’organizzazione inglese nata nel 1998, composta
da 14 esperti e la cui mission è riassunta nello slogan “For a fairer food system
- think critically”, in un report del maggio 2012, interrogandosi sull’efficacia
delle tasse sui cibi per la salute, esprime alcuni spunti interessanti. In un mercato come quello alimentare, fortemente concorrenziale, è impossibile definire
a priori quella che potrebbe essere la risposta dei produttori a una tassa: alcuni
potrebbero decidere di assorbire tale incremento del costo per non perdere quote
2
44
http://www.foodethicscouncil.org/home
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
di mercato, cioè non cambiare il prezzo del prodotto al consumatore per evitare
i danni derivanti dal calo di vendite. Le tasse limitate nell’entità non produrranno alcun effetto e per avere un’efficacia significativa e dimostrabile bisogna
pensare a incrementi pari al 20 percento. Gli esperti inglesi hanno calcolato che
con una tassa pari al 20% si può ipotizzare una diminuzione di introito calorico
giornaliero per persona pari a 209 KJoule, il che comporterebbe una diminuzione dell’obesità generale dell’ordine del 3,5 percento. Nessuno Stato al momento
attuale ha introdotto una tassa di tale entità.
Un’ulteriore incognita è rappresentata dalla risposta del consumatore.3 Imponendo una tassa si pensa di influenzare i consumi, facendoli slittare verso
alternative più economiche e più sane. Non più bevande zuccherate, ma acqua.
In realtà il differenziale di prezzo tra bibite e acqua è già ora decisamente elevato, già ora dovrebbe disincentivare i consumi. Il rischio è che simili tasse nella
pratica facciano spostare i consumi non verso alternative, ma, all’interno della
stessa categoria, verso i prodotti meno cari. Non si passerebbe all’acqua, quindi,
ma si preferirebbero le bibite dell’hard discount.
D’altra parte una recente pubblicazione di Pediatrics riporta uno studio dell’Università di Chicago che ha voluto misurare gli eventuali effetti delle leggi
introdotte nel 2006 contro i cibi spazzatura, i cosiddetti junk food (alimenti
troppo calorici e troppo ricchi in grassi, zuccheri e sale). Le norme introdotte
hanno riguardato in particolare le scuole sia pubbliche sia private, che hanno
eliminato i distributori di questi cibi nelle strutture scolastiche, introducendo frutta, verdura e alternative sane. I pediatri hanno misurato i parametri
morfometrici (peso, altezza e giro vita) di studenti di età compresa tra gli 11
e i 14 anni, appartenenti a 40 Stati diversi e seguiti per tre anni. Il risultato è
molto lineare e interessante: negli Stati dove le scuole hanno adottato misure
restrittive per alcuni cibi, i bambini sono ingrassati meno rispetto a quelli che
vivevano nelle zone più permissive. Inoltre i bambini inizialmente obesi o in
sovrappeso nelle zone che hanno adottato restrizioni sono riusciti a rientrare
nella norma in misura maggiore rispetto ai coetanei che vivono in Stati che non
hanno dichiarato guerra ai junk food.
Un altro studio mostra come la diminuzione dei prezzi dei cibi sani nelle caffetterie di uffici e scuole negli Usa abbia incrementato di quattro volte il consumo di queste scelte più salutari. Un altro studio analizza l’effetto combinato di
tasse e informazione nutrizionale. Sembra che le due modalità di intervento, se
attuate insieme, risultino ancora più efficaci.
Conclusioni simili sono quelle a cui arriva un recente studio, ancora in
corso, sovvenzionato dalla Commissione europea, “EatWell”,4 valutazione delle
politiche nutrizionali in Europa. Il progetto, coordinato dall’Università inglese
di Reading, ha lo scopo di proporre valide opzioni per interventi strategici volti
alla diminuzione dell’obesità negli Stati europei. In primis è stata realizzata
Cfr. Raffaele Caterina, “Architettura delle scelte e tutela
del consumatore”, in questa rivista n. 2/2012.
3
4
http://www.eatwellproject.eu/en/
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
45
una mappatura delle politiche di intervento già adottate in Europa e nel mondo. Si è poi proceduto a un’analisi degli studi esistenti riguardanti l’efficacia
delle diverse misure, sono state quindi fatte ulteriori valutazioni, usando moderne tecniche econometriche e, tramite focus group in cinque Paesi (Italia,
Gran Bretagna, Polonia, Danimarca e Belgio), è stata valutata anche l’accettabilità delle diverse misure da parte del consumatore. Ovviamente anche le food
taxes sono entrate nella valutazione. Le conclusioni parziali più interessanti
evidenziano la mancanza di una risposta univoca, chiara e lineare circa l’efficacia delle diverse misure, mentre si suggerisce un approccio combinato su più
fronti, ovvero l’adozione di diverse politiche nutrizionali combinate: etichette
più chiare, interventi nelle scuole, informazione e magari tasse, ma il tutto in
maniera coordinata. In questo modo, dovrebbe aumentare l’efficacia e l’accettazione da parte del cittadino.
L’accettazione da parte dei cittadini
Quello dell’accettazione di questo tipo di misure da parte del consumatore resta
un punto critico. Certamente lo è stato nel nostro Paese, come ha dimostrato
l’accoglienza riservata al recente Decreto Balduzzi.
Bisogna tenere presente che se pure, come abbiamo visto, moltissimi Stati
nel mondo o hanno già adottato misure simili o ne stanno discutendo, mentre
la comunità scientifica da tempo studia queste modalità di intervento e la loro
efficacia, da noi la tassa sulle bibite è apparsa come una novità assoluta. Non se
ne era mai parlato prima, non siamo abituati - ahimé - a interventi di politica
nutrizionale e l’opinione pubblica, evidentemente, non era pronta. Non solo. La
tassa è stata poco illustrata, per niente contestualizzata, si potrebbe affermare
poco supportata dal ministro stesso, che ha dato l’impressione di averla lanciata senza troppa convinzione, più come una minaccia che come un progetto
concreto, tanto è vero che si è dichiarato soddisfatto per aver sollevato il dibattito, anche se l’articolo del decreto sulla tassa alle bevande è stato totalmente
stralciato.
Secondo diversi autori, l’accettazione di simili tasse è fortemente influenzata
da una chiara e trasparente definizione dell’uso degli introiti derivati. La popolarità cresce in maniera significativa nel caso in cui sia chiara una destinazione
concreta, correlata per esempio a programmi di prevenzione dell’obesità infantile o a campagne mediatiche o promozione dell’attività fisica. Un sondaggio effettuato tra i cittadini di New York ha mostrato che la percentuale di favorevoli
a una tassa sulle bevande zuccherate era del 52%, ma saliva al 72% qualora vi
fosse un’esplicita destinazione dei ricavati alla prevenzione dell’obesità. Deve
essere evidente una relazione tra la tassa e un beneficio, insomma. Forse l’approccio più difendibile sarebbe quello di destinare il ricavato di queste tasse al
sostegno di alimenti salutari.
46
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
Il ruolo dell’industria alimentare
Un altro risultato positivo che si può ipotizzare è quello di una reazione dell’industria alimentare, che potrebbe essere incentivata a riformulare i propri prodotti, riducendo le calorie per prevenire in un certo senso le nuove disposizioni.
A dire il vero la reazione immediata che abbiamo visto nel nostro Paese da parte
dell’industria alimentare è stata fortemente contraria e di retroguardia.
(Ansa) - Roma, 28 agosto - «L’obesità non c’entra niente il Governo vuole solo
fare cassa». È quanto afferma il presidente di Federalimentare Filippo Ferrua,
in un’intervista rilasciata oggi a Libero. «L’ultima “gassata” del Governo Monti
un effetto - continua Ferrua - l’ha già prodotto: ha deluso fortemente gli industriali che confezionano cibi e bevande e che rappresentano il secondo comparto
produttivo del Paese con oltre 6.500 imprese, 130 miliardi di fatturato di cui 30
all’export, e 450mila dipendenti».
In effetti, è auspicabile la definizione di una strategia chiara da parte del
Governo nei confronti dell’industria, anche se non è evidente quale sia la via
più efficace da seguire. Al momento attuale da una parte si minaccia una tassa
sulle bevande zuccherate e dall’altra si promuovono tavoli presso il ministero
della Salute con partecipazione di esperti, rappresentanti dell’industria e associazioni di consumatori, all’insegna della collaborazione per arrivare a una
riformulazione dei prodotti. Posizioni contraddittorie di questo tipo possono
portare a risultati concreti?
Il discorso ovviamente non è semplice e in tutto il mondo ci si interroga su
quale sia la strategia più corretta nell’interesse dei cittadini e della loro salute.
Un interessante articolo pubblicato alla fine del 2011 dal Financial Times5 si
occupa proprio di questo tema, riportando le diverse posizioni. I più scettici
argomentano che non sia corretto e accettabile vedere nell’industria un alleato
nella lotta all’obesità, visto che proprio i produttori sono tra i responsabili del
suo incremento, con le loro pressioni sui Governi attraverso la loro lobbying
dollars. Da parte sua l’industria risponde sostenendo che solo una politica di
collaborazione e la definizione di norme di auto-regolamentazione possono portare a risultati concreti ed efficaci, che mai si potranno raggiungere con misure
restrittive come tasse o divieti sulle pubblicità. Ma è ammissibile individuare
nell’industria, che è parte del problema, una parte della soluzione? La risposta
non è scontata. Le misure di auto-regolazione hanno dimostrato più volte un’efficacia molto più bassa rispetto a quella ottenuta con norme cogenti. D’altro
canto la potenza economica e, quindi, di pressione dell’industria può bloccare o
rallentare notevolmente cambiamenti importanti per i cittadini.
La risposta ideale è in un Governo forte, capace di sostenere posizioni decise, in un’industria consapevole e lungimirante, in grado di andare oltre un
calo delle vendite nell’immediato, il coinvolgimento di associazioni consumahttp://www.ft.com/cms/s/0/585a6196-ffc8-11e0-844100144feabdc0.html
5
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
47
tori mature, competenti, realmente rappresentative degli interessi dei cittadini
e di rappresentanti del mondo scientifico indipendenti. Il tutto per raggiungere
obiettivi comuni e condivisi. Utopia?
La posizione di Altroconsumo
Sensibilizzare sull’emergenza obesità è una delle nostre priorità da molti anni.
Informare, educare, fornire corretti strumenti per scegliere prodotti, servizi e
comportamenti sono una parte importante della nostra mission. Nel 2005 abbiamo organizzato una campagna per sensibilizzare sul problema dell’obesità,
che avevamo chiamato “Un piatto di salute”, puntando sull’informazione di
adulti e bambini e organizzando un concorso fotografico nelle scuole. Nel 2007
abbiamo aderito alla campagna “Guadagnare salute”, promossa dal ministero
della Salute, fornendo ai cittadini informazioni sulla nutrizione e sulla corretta
alimentazione nei gazebo allestiti nelle piazze di Milano e Roma. Nel 2008 ci
siamo focalizzati, insieme alle associazioni di consumatori di altri Paesi europei, sulla necessità di limitare l’aggressività e la diseducazione della pubblicità
rivolta ai bambini con un’altra campagna: “Pubblicità che ingrassa”. Avevamo
allora lanciato una petizione pubblica, raccogliendo quasi 7.000 firme, comprese quelle di alcuni sostenitori illustri, per promuovere il riconoscimento in sede
Oms (Organizzazione mondiale della salute) del Codice di regolamentazione
della pubblicità rivolta ai bambini.
Nel frattempo in tutti questi anni abbiamo affiancato la nostra attività di
informazione/educazione sulle nostre riviste, sul nostro sito Internet e attraverso video educativi a un’intensa attività di lobby a livello sia nazionale sia
europeo.
L’obesità è un’emergenza complessa e con diverse cause. Come tale deve
essere affrontata in maniera decisa e su più fronti. L’importante è affrontarla
e in questo un plauso va alla proposta di questo Governo, che ha cominciato
quantomeno a sollevare il dibattito, senza più nascondersi dietro falsi paraventi
del “bel Paese della dieta mediterranea”.
La tassa sulle bevande zuccherate è la soluzione? Evidentemente no, o quantomeno non certo da sola. L’aspetto più positivo di questa tassa, ripetiamolo, è
stato quello di sollevare il problema.
Serve un piano organico di intervento, ma che sia un piano concreto e deciso. Su più fronti.
Ci scandalizziamo perché viene proposta una tassa sulle bevande zuccherate, ma dovremmo scandalizzarci perché passano in televisione spot che promuovono un consumo quotidiano e a tavola di queste bevande, un modello
estremamente negativo e peraltro non ancora diffuso in Italia.
48
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
È necessario definire regole serie sulla pubblicità, in particolare quella rivolta
ai bambini, e valutare la correttezza degli spot, non solo per la loro eventuale
ingannevolezza, ma anche in funzione dei messaggi nutrizionali che veicolano.
È importante garantire etichette dei prodotti realmente in grado di consentire scelte consapevoli. Etichette corrette, complete, chiare. Anche perché, nonostante la recente normativa che ha riorganizzato l’etichettatura dei prodotti
alimentari, resta ancora molto da fare, come dimostra la nostra recente inchiesta qualitativa pubblicata sul numero di ottobre della rivista Test Salute.6
Si deve introdurre l’educazione alimentare nelle scuole in maniera sistematica e non solo con progetti ad hoc e saltuari.
Chiediamo una riformulazione dei prodotti, che significa un impegno da
parte dell’industria alimentare a modificarne la composizione avvicinandosi
maggiormente alle indicazioni previste per una corretta alimentazione, quindi
ridurre i contenuti di zucchero, di sale, di grassi saturi. Crediamo in questa possibilità e da anni spingiamo per una collaborazione con l’industria, così come
avviene in altri Paesi europei. Recentemente il Governo ha deciso di creare un
tavolo di lavoro che si pone questo obiettivo e ha coinvolto Altroconsumo insieme a Federalimentare, il ministero della Salute ed esperti di nutrizione. Un
passo molto importante, che speriamo raggiunga risultati concreti.
Per finire, un’ulteriore proposta che abbiamo già avanzato al Governo è
quella di agire anche sulla differenziazione dell’Iva, modulando differenze
che tengano conto del valore nutrizionale dei diversi alimenti. Un’Iva ridotta
su alimenti come frutta, verdura, pesce, alimenti che dovremmo consumare
maggiormente e un’Iva più alta su bevande zuccherate, merendine, alcolici.
In realtà al momento attuale esiste già una modulazione dell’Iva sui prodotti
alimentari, ma la ratio che giustifica le differenze è più legata a concetti sorpassati e ormai anche poco chiari. Abbiamo voluto approfondire questo tema
che ci sembra di particolare interesse e che meglio concilia una nostra convinzione: piuttosto che combattere con tasse o misure restrittive i cibi cattivi
o meno sani, dobbiamo promuovere i cibi sani, quelli che possono aiutare un
percorso di prevenzione attraverso le abitudini alimentari. Abbiamo raccolto i
dati relativi all’Iva in quattro Paesi europei: Italia, Belgio, Spagna e Portogallo.
Quest’ultimo ha recentemente introdotto una serie di cambiamenti interessanti, che hanno tenuto conto di una valutazione nutrizionale. Così le soft drink
vengono messe nella fascia più alta, pari a un’aliquota del 23%, mentre frutta,
verdura, latte, pesce restano nella fascia più bassa, con Iva al 6 percento. Nel
nostro Paese, al contrario, se frutta e verdura rientrano nel 4% quindi in quella
che da noi è la fascia più bassa, latte e pesce sono al 10%, insieme a soft drink,
snack e biscotti.
Supplemento bimestrale di Altroconsumo che si occupa
di salute e benessere.
6
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
49
Tab. 1 – Iva sui prodotti alimentari. Le scelte di quattro Paesi europei
Fruits and vegetables raw
Fruits and vegetables frozen
Fruits and vegetables canned or processed
Bread white
Bread hole
Other cereal products
Milk
Cheese
Other milk products
Meat and light processed products
Meat products processed
Fish and lightly processed products
Fish in processed products
Prepared meals
Sugar
Soft drinks
Wine
Alcoholic drinks
Fats and oils
Margarine
Olive oil
Snacks
Biscuits, breakfast cereals, …
Spain
Belgium
Portugal
Italy
4
4
4
4
8
4
4
4
8
8
8
8
8
8
8
8
18
18
8
8
8
8
8
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
21
21
6
12
6
6
6
6
6
23
6
6
6
6
6
23
6
13
6
6
6
23
23
13
23
23
23
6
23
4
4
10
4
4
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
6
6
6
10
10
Conclusioni
Può una tassa da sola migliorare la nostra salute? L’analisi dei (pochi, in realtà)
studi esistenti e delle esperienze già fatte in altri Paesi ci porta a rispondere
di no. Anche se le bevande zuccherate sono secondo alcuni studi direttamente
correlate con l’insorgere di obesità e altri problemi di salute, quali diabete di
tipo 2 e malattie cardiovascolari, e quindi ne sia senza dubbio auspicabile una
riduzione dei consumi, in particolare nei bambini, è altrettanto evidente che per
combattere l’emergenza obesità sono necessari interventi su più fronti, possibilmente attuati in maniera combinata: educazione alimentare nella scuola, informazione corretta dei cittadini, etichette chiare e comprensibili, regole sulla
pubblicità, riformulazione dei prodotti, rimodulazione dell’Iva.
Una singola tassa su un singolo prodotto non convince in termini di efficacia. L’entità per ipotizzare qualche risultato dovrebbe essere significativa,
dell’ordine del 20%, ben diversa da quanto proposto e, in realtà, ben diversa
50
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
da quella attualmente già sperimentata in altri Stati. L’accettazione di una simile misura da parte dei cittadini è complessa e difficoltosa. Indubbiamente è
necessaria una chiara contestualizzazione e la massima trasparenza nell’utilizzo delle risorse ricavate, possibilmente da destinare a obiettivi correlati, quali
campagne informative o altre misure di prevenzione della salute.
Il buono che possiamo e dobbiamo vedere in questa vicenda è l’aver portato
il problema dell’obesità e, più in generale, della cattiva alimentazione all’attenzione dell’opinione pubblica. Questo Governo ha perlomeno mostrato l’intenzione di affrontare un’emergenza sanitaria che rischia in futuro di far collassare la
spesa sanitaria e che quindi ha preoccupanti risvolti non solo per la salute dei
cittadini, ma anche economici.
Riferimenti bibliografici
Brownell, K. D., Farley, T., Willett, W. C., Popkin, B. M., Chaloupka, F. J., Thompson, J. W.,
Ludwig, S. W., “The Public Health and Economic Benefits of Taxing SugarSweetened Beverages”, New England Journal of Medicine, 361, pp. 1599-1605,
october 15, 2009.
De Mouzon, O., Requillart, V., Soler, L. G., Dallongeville, J., Dauchet, L., “Are fruit and
vegetable voucher policies cost-effective?” European Review of Agricultural
Economics, 2012.
Foltz, J. L., Harris, D. M., Blanck, H. M., “Support Among U. S. Adults for Local and
State Policies to Increase Fruit and Vegetable Access”, American Journal of
Preventive Medicine, 43:3, S102-S108, 2012.
Swati Yanamadala, Bragg, M. A., Roberto, C. A., Brownell, K. D., “Food industry front
groups and conflicts of interest: the case of Americans Against Food Taxes”,
Public Health Nutrition, 15:08, pp. 1331-1332, 2012.
e
Consumatori, Diritti
numero 3/2012
Focus
Mercato
51