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Entrepreneurial entry: approccio disposizionale vs approccio contestuale PAOLO BOCCARDELLI * ROSELLA SANTELLA ** Abstract Obiettivo del paper: Il presente lavoro di ricerca, partendo dall’importanza delle variabili disposizionali nel processo imprenditoriale, ambisce a contribuire agli studi sull’imprenditorialità facendo chiarezza sia sui fattori disposizionali (overconfidence e propensione al rischio) che possono determinare l’avvio di una nuova attività di impresa sia sull’interazione tra i fattori disposizionali e i fattori contestuali (esperienza manageriale ed esperienza imprenditoriale), più volte suggerita dagli studiosi. Metodologia: Attraverso l’utilizzo del modello di regressione probit su un campione di 370 potenziali imprenditori, si sono elaborate sei ipotesi predittive dell’entrata imprenditoriale influenzata da fattori disposizionali, contestuali e dall’interazione tra questi. Risultati: I risultati ottenuti non solo confermano il ruolo giocato da fattori contestuali e disposizionali nel processo imprenditoriale, ma suggeriscono anche che l’esperienza (manageriale o imprenditoriale) ha un peso rilevante nei fenomeni analizzati quando combinata con variabili disposizionali. Limiti della ricerca: I dati relativi alle variabili indipendenti, nonostante presentino un livello di affidabilità accettabile, sono influenzati dalle percezioni soggettive degli individui, pertanto la loro significatività potrebbe essere incrementata mediante la ricerca di diverse modalità di operazionalizzazione. Implicazioni pratiche: Il lavoro suggerisce l’opportunità per gli stakeholder del processo imprenditoriale di inserire nella valutazione di nuovi progetti l’analisi delle componenti strettamente disposizionali. Originalità del lavoro: Sono ancora pochi gli studi che, per rafforzare la teoria sull’imprenditorialità, abbiano analizzato gli effetti di interazione tra variabili contestuali e disposizionali. Parole chiave: entrata imprenditoriale; fattori contestuali; fattori disposizionali Purpose of the paper: This paper, recognizing the importance of the dispositional approach regarding the entrepreneurial phenomenon, aims at contributing to the relevant literature, clarifying not only the role of the dispositional factors (overconfidence and risk * ** Straordinario di Economia e Gestione delle Imprese e Strategia d’impresa - LUISS Guido Carli e-mail: [email protected] Dottore di ricerca in Management e Assegnista di Ricerca - LUISS Business School LUISS Guido Carli e-mail: [email protected] sinergie, quaderni n. 17 Giugno 2014, pp. 11-31 ISSN 0393-5108 – DOI 10.7433/q17.2014.02 Ricevuto: 12/11/2014 Revisionato: 14/02/2014 Accettato: 07/03/2014 12 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE propensity) in the phenomenon of entrepreneurial entry but also the role of the interaction between the dispositional and the contextual factors (managerial and entrepreneurial experience), recently advocated by scholars. Methodology: The application of the probit regression to a sample of 370 potential entrepreneurs, allows us to test six hypotheses in order to explain entrepreneurial entry through the analysis of contextual variables, dispositional variables and the interaction between them. Findings: The findings of this research not only confirm the important role played by contextual and dispositional factors in the phenomenon of entrepreneurial entry, but also suggest that previous experience (managerial or entrepreneurial) encompass a crucial role when interact with dispositional variables. Research limits: the data about the independent variables, despite show an acceptable level of significance, are influenced by the subjective perceptions of the individuals, thus their significance could be increased by seeking out further methods of operationalization. Practical implications: the research invites the stakeholders involved in the entrepreneurial process to take into consideration the analysis of dispositional factors when they appraise new projects. Originality of the paper: As far as the entrepreneurship researches are concerned, the studies analyzing the effects of the interaction between dispositional and contextual factors are still few. Key words: entrepreneurial entry; contextual variable; dispositional variable 1. Introduzione La creazione di una nuova impresa è una delle forze più importanti per lo sviluppo economico e sociale (Schumpeter, 1934). L’imprenditorialità è lo specchio di un contesto economico secondo cui sono le caratteristiche istituzionali, demografiche, la cultura imprenditoriale e il livello di benessere a determinare il dinamismo imprenditoriale di un Paese (Xavier et al., 2012) 1. L’imprenditorialità, è un concetto multidimensionale, è un insieme di attività che richiede non solo capacità individuali ma anche condizioni contestuali favorevoli come cultura imprenditoriale, qualità del capitale umano, networking e reti tecnologiche. Ecco dunque che le istituzioni, e più in generale gli attori economico-sociali, tra cui i centri di formazione, sono chiamati sempre più ad assumere un ruolo fondamentale nello sviluppo di condizioni culturali ed infrastrutturali a sostegno del dinamismo imprenditoriale. 1 L’imprenditorialità sta ricoprendo un ruolo chiave nella ripresa economica dei paesi dell’Eurozona: i tassi di crescita delle start-up stanno risalendo ai livelli pre-crisi, nonostante la stretta finanziaria sui prestiti, mostrando un sostanziale recupero dal 2010 in paesi come Danimarca, Finlandia, Germania, Italia e FranciaFonte: OECD, Entrepreneurship at a Glance, 2013; OECD Publishing, 2013. PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 13 Per quanto riguarda lo stato dell’arte della ricerca in materia di imprenditorialità, si registra un rinnovato interesse per gli studi in tale ambito sia da un punto di vista teorico che empirico ma nonostante ciò, la domanda cruciale in tale ambito rimane come l’imprenditorialità inizia, cambia e cresce nel tempo (Zachary e Mishra, 2011). Possiamo suddividere il processo imprenditoriale in tre fasi: l’entrata, lo sviluppo e il successo. La maggior parte degli studi sull’imprenditorialità ha ad oggetto l’analisi e le cause, interne ed esterne, del successo imprenditoriale inteso come sopravvivenza e performance. Gli studiosi, tuttavia, hanno recentemente iniziato a mostrare un crescente interesse intorno alla fase di entrepreneurial entry, rinvigorendo l’annoso dibattito circa l’importanza dei fattori, contestuali o disposizionali, che influenzano la nascita di una start-up. Il presente lavoro, quindi, ha ad oggetto l’entrata imprenditoriale e partendo da una review della letteratura, si pone come obiettivo non solo quello di contribuire agli studi sull’imprenditorialità seguendo, nello specifico, un approccio disposizionale ma anche tentare un approccio multidisciplinare sull’interazione tra fattori contestuali e disposizionali. 2. L’influenza dei fattori contestuali nelle scelte imprenditoriali Uno dei dibattiti più longevi in tema di imprenditorialità, si concentra sui fattori che condizionano tale fenomeno. Due sono gli approcci che tentano di dare una risposta: quello contestuale e quello disposizionale. L’approccio contestuale sostiene che la posizione o ruolo sociale dell’individuo influenzi la propensione all’attività imprenditoriale (Stinchcombe, 1965; Baumol, 1996; Reynolds e White, 1997; Sorenson e Audia, 2000; Parker, 2004 e 2007; Dobrev e Barnett, 2005, Kim et al., 2006; Sorensen, 2007; Giannetti e Simonov, 2009; Nanda e Sorensen, 2010; Aidis et al., 2010; Autio e Wennberg, 2010). Il concetto di posizione o ruolo sociale ricomprende due categorie di fattori contestuali: i fattori contestuali environmental-specific, collegati all’ambiente esterno dove il nascente imprenditore vive e agisce, e i fattori contestuali specifici dell’individuo stesso, collegati cioè al capitale sociale e umano che lo circonda. Seguendo questa prospettiva tra i fattori environmental-specific è possibile individuare: fattori socio - economici (burocrazia, tasso di disoccupazione e disparità di reddito) e fattori politici (livello di welfare, supporto governativo e dimensione del contesto istituzionale). Altre due tipologie di fattori ricompresi in tale categoria sono: fattori demografici (crescita della popolazione, densità abitativa e tasso di urbanizzazione) e fattori legati all’ambiente culturale. Questi fattori sono comuni per tutti gli individui che operano nell’ambito della medesima Regione o Paese. Per quanto riguarda i fattori contestuali specifici dell’individuo, in particolare sono stati studiati i fattori organizzativi e cioè le caratteristiche dell’organizzazione in cui l’individuo lavora o ha lavorato, tra i principali si annoverano i seguenti: 14 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE burocrazia dell’organizzazione, interazione sul posto di lavoro, dimensione ed età dell’impresa. Altri fattori studiati dalla letteratura in tale contesto e relativi alla sfera familiare o alle esperienze individuali sono: origini familiari, razza, reddito familiare, esperienza lavorativa dei genitori, livello educativo, esperienza nel settore e durata di incarichi manageriali, esperienza imprenditoriale pregressa, etc. Nonostante il volume e la qualità degli studi realizzati in questo filone, il complesso di fattori analizzati non appare sufficiente a spiegare in modo completo il fenomeno della transizione imprenditoriale, ovvero il passaggio dalla condizione di imprenditore potenziale a quella di nascent entrepreneur. Per tale motivo appare opportuno affiancare ai fattori contestuali l’analisi dei tratti disposizionali dell’individuo. 3. L’approccio disposizionale: i fondamenti nelle microfoundations Il filone degli studi disposizionali sta vivendo un rinnovato interesse da parte della comunità accademica nel settore del management. Recentemente, infatti, in uno Special Issue di Strategic Management Journal è stata posta in grande evidenza l’importanza degli studi incentrati sulle psychological foundations of management and strategy. Se infatti lo studio della mente e più in generale le neuroscienze sono entrate in alcune discipline socio-economiche, come ad esempio nelle teorie macroeconomiche e nel marketing, molta strada è ancora da percorrere per quanto riguarda gli studi di strategia. Come sottolineato da Powell (2011) molti potrebbero essere i benefici dell’interazione tra le neuroscienze e la strategia in campo manageriale ed organizzativo. Si parla in proposito di “neurostrategy”, sottolineando come se pur da tempo gli studi strategici abbiano mostrato interesse per lo strategic decision making e per l’executive judgment, manca un’analisi completa e sistematica del ruolo specifico in tale ambito della mente e degli effetti psicologici sia a livello comportamentale che socio-cognitivo. La teoria strategica e di analisi dell’impresa si deve arricchire delle spiegazioni che vanno oltre l’analisi dell’eterogeneità basata sul settore, sulle risorse e sulla capacità innovativa. La definizione recente di behavioral strategy appare d’interesse, poiché unisce la psicologia sociale e cognitiva con la teoria e l’applicazione del management e delle strategie (Powell et al., 2011). Perfino la recente teoria legata alle dynamic capabilities può essere riletta secondo un approccio cognitivo-emozionale (Hodgkinson e Haley, 2011). Gli studi sull’imprenditorialità sono sicuramente più avanti circa la considerazione e l’applicazione di alcuni principi fondamentali nell’analisi della mente e del comportamento psicologico degli attori economici (Brockhaus e Horwitz, 1986). Il filone disposizionale, infatti, sottolinea l’importante ruolo della motivazione e delle caratteristiche personali nell’avvio di una nuova iniziativa (Arenius e Minniti, 2005; Baron, 2000; Simon et al., 2000): l’imprenditorialità è considerata una caratteristica, una tendenza di alcune persone piuttosto che altre (Kirzner, 1973). PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 15 Le variabili maggiormente studiate, secondo tale approccio, descrivono un’ampia gamma di funzioni psicologiche che comprendono non solo peculiarità comportamentali, ma anche percezioni soggettive delle proprie capacità e dell’ambiente circostante. Gli studi si sono soffermati principalmente sui seguenti fattori: entrepreneurial cognition (Kizner, 1979), intenzioni di carriera (Zhao et al., 2005), motivazioni (Miner, 1993), ottimismo (Cassar, 2010), paura del fallimento (Kets De Vries, 1977), propensione al rischio, self efficacy (Bandura, 2001) locus of control (Brockhaus, 1980, 1982; Begley e Boyd, 1987), tolerance for ambiguity (Sexton e Bowman, 1985) fino ad arrivare al modello delle 5 dimensioni della personalità (Zhao e Seibert, 2006; Mc Crae e John, 1992). In particolare, tale modello considera le seguenti caratteristiche: neuroticism, ossia le differenze individuali di emotività; extraversion, che descrive il modo in cui le persone sono entusiaste e attive; apertura all’esperienza, ossia la curiosità intellettuale; coscienziosità, che indica il grado di organizzazione individuale; e infine disponibilità, ossia l’altruismo. Altre caratteristiche riconosciute necessarie nella figura dell’imprenditore sono: utopia, umiltà, passione, coraggio e tenacia (Baccarani e Golinelli, 2006). Le evidenze empiriche hanno però dimostrato come le variabili disposizionali e contestuali, prese isolatamente, non forniscono una spiegazione esaustiva delle dinamiche di transizione dei fenomeni imprenditoriali, per natura complessi (Daviddson e Wiklund, 2001; Shane e Stuart, 2002; Shane e Venkataraman, 2000). La loro combinazione, invece, potrebbe fornire sicuramente una spiegazione più completa e approfondita del processo di formazione delle start-up (Autio e Wennberg, 2010). Tuttavia non è ancora chiaro con precisione se e come l’interazione tra variabili disposizionali e contestuali possa alimentare i processi di transizione imprenditoriale. 4. L’approccio contestuale e disposizionale: una visione d’insieme dell’entrata imprenditoriale In letteratura esistono diverse definizioni di “imprenditorialità”. La difficoltà nel dare una definizione univoca risiede nella complessità del fenomeno. Nel presente lavoro, il framework teorico di riferimento parte dalla considerazione dell’imprenditorialità come scelta individuale. L’entrata imprenditoriale (entrepreneurial entry), o probabilità di entrata, propensione, o mobilità (Dobrev e Barnett, 2005) è definita come la transizione dell’individuo tra lasciare la vecchia impresa o attività e fondare o dirigerne una propria (Carroll e Mosakowski, 1987). Può essere quindi considerata come una scelta professionale di indipendenza. La domanda di ricerca, pertanto, fa riferimento a quali individui diventano imprenditori e soprattutto quali fattori meglio di altri riescono a spiegare tale fenomeno. Nonostante le preferenze soggettive e le percezioni interagiscano con altre variabili contestuali, la decisione ultima è comunque a livello individuale 16 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE (Arenius e Minniti, 2005). Non solo, infatti, l’ambiente imprenditoriale è caratterizzato da un alto livello di incertezza che spinge gli individui a fare un intenso uso delle proprie abilità e percezioni, ma soprattutto la personalità individuale si riflette nel processo decisionale per la costituzione di una nuova impresa in misura maggiore rispetto alle decisioni nell’ambito di un’impresa matura (Zhao e Siebert, 2006). Il sistema dei valori individuali ed i meccanismi cognitivi devono necessariamente essere combinati con il contesto sociale di riferimento al fine di una migliore comprensione delle dinamiche legate alla scelta di entrata imprenditoriale. L’entrepreneurial entry è stata connessa a molte variabili di personalità tra cui, in particolare, l’efficacia personale; l’autostima o sicurezza di sè e la propensione al rischio. L’Efficacia personale (Self Efficacy) si riferisce alla percezione da parte di un individuo di possedere le capacità idonee a poter ricoprire un determinato ruolo e portare a termine dei task specifici. Tale caratteristica è direttamente collegata al raggiungimento di obiettivi prefissati e alla specificità dei compiti ad essi collegati (Bandura, 2001). In particolare, essendo una variabile task specific, è stata recentemente introdotta la variabile efficacia imprenditoriale (entrepreneurial self efficay-ESE) che è definita come la stima che un individuo ha riguardo alle proprie abilità di saper adempiere a compiti e ruoli specifici dell’imprenditorialità (Chen et al., 1998). Un concetto collegato all’autostima o sicurezza di sé (self-confidence) è l’eccessiva sicurezza (overconfidence) di sé. Tale caratteristica è considerata un difetto cognitivo, una distorsione della percezione di se stessi; gli individui che mostrano un alto, per non dire eccessivo, livello di autostima (i.e. sono overconfident) tendono a sovrastimare le proprie capacità e abilità. Le persone overconfident, quindi, sono più propense ad esplorare l’ambiente in cui operano ma, allo stesso tempo, ne distorcono i risultati reali (Simon et al., 2000). L’overconfidence opera sia a livello cognitivo che motivazionale. Tale caratteristica, dunque, influenzando la mappa cognitiva dell’individuo, altera le sue percezioni determinando una più elevata aspettativa sul valore creato nello svolgimento del ruolo e nel raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Ciò comporta la percezione di maggiori benefici contestualmente ad un abbassamento dei costi-opportunità legati a quel ruolo. Dal punto di vista motivazionale, gli individui con overconfidence hanno motivazioni più elevate, e per questo sono più propensi a raccogliere nuove sfide e ad interfacciarsi con situazioni difficili e/o rischiose. Lo scopo principale che perseguono è quello del successo e della creazione di qualcosa di nuovo per avere un riscontro nel contesto in cui operano. A parità di altre condizioni, quindi, gli individui che mostrano un livello elevato di overconfidence, percepiscono un’utilità o beneficio potenziale maggiore da una determinata attività o esperienza, rispetto a quello reale e pertanto, nel caso di scelta imprenditoriale, si mostrano come più propensi ad un’attività lavorativa altamente sfidante. Pertanto: PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 17 H1: La caratteristica di overconfidence di un individuo influenza positivamente la sua decisione di entrata imprenditoriale La propensione al rischio è l’attitudine individuale, la preferenza personale verso una decisione o situazione rischiosa (Stewart e Roth, 2001). Tale concetto ha importanti risvolti sia in letteratura che nella pratica, impattando sulle teorie decisionali e sui comportamenti organizzativi. A tal riguardo, la comprensione della propensione al rischio degli individui e delle organizzazioni può aiutare a definire adeguati programmi di risk management per le aziende. Gli studi sul tema hanno seguito due filoni di ricerca: un primo filone ha studiato il costrutto dal punto di vista psicologico, concentrando l’attenzione sul Big Five factorial model of personality (Zhao e Siebert, 2006). Il secondo filone si è concentrato sul rapporto tra business e rischio (Bernstein, 1996). Weber e Milliman (1997) hanno dimostrato che la propensione al rischio è influenzata dall’esperienza precedente. Poiché inoltre gli individui possono essere non solo avversi al rischio ma anche all’ambiguità, le esperienze dirette o indirette o i legami pregressi possono ridurre questa ambiguità spingendo gli individui a rischiare di più (Einhorn an Hogart, 1985) . In letteratura, un’elevata propensione al rischio è di solito associata a un’elevata frequenza nei cambi di posizione lavorativa e di datore di lavoro. In generale, la propensione al rischio è collegata all’extraversion e all’avvio di nuove iniziative. Gli individui con una elevata propensione al rischio sono più pronti ad espandere i loro orizzonti temporali per portare a termine e apprezzare le decisioni di ingresso nel mondo imprenditoriale. Poiché avviare un nuovo business è una decisione rischiosa, anche la propensione al rischio (risk propensity) è stata assunta come elemento centrale nelle decisioni imprenditoriali, nonostante la relazione tra le due variabili non sia ancora del tutto chiarita (Camer et al., 2004). A tal riguardo in letteratura alcuni studi meno recenti, relativi a contesti imprenditoriali più stabili, hanno specificato che la scelta di avviare un nuovo business in realtà implica l’assunzione di un moderate risk, ossia l’assunzione di un livello di rischio gestibile o controllabile, in quanto non altera la percezione di controllo dell’individuo (McClelland, 1961). La percezione di moderate risk è messa in contrapposizione alla percezione di grandi rischi, considerata non applicabile alla scelta di diventare imprenditore (Welsh e White, 1981). Tale differenza dipende dal ruolo svolto dalla percezione di controllo che, nel caso di livelli moderati di rischio, riduce significativamente la percezione del rischio di fallimento e quindi non inibisce la scelta di diventare imprenditore. H2: La propensione al rischio di un individuo influenza positivamente la sua decisione di entrata imprenditoriale La quasi totalità degli studi in quest’ambito ha fino ad ora analizzato quali variabili esplicative della transizione imprenditoriale i fattori contingenti o disposizionali in maniera separata. Tuttavia, l’individuo esprime i propri tratti 18 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE disposizionali all’interno di un contesto specifico e, per tale motivo, di seguito proveremo a descrivere un modello teorico di interazione tra le due variabili disposizionali fin qui descritte e due variabili contestuali: l’esperienza manageriale e l’esperienza imprenditoriale. L’esperienza manageriale (managerial experience) è definita come la capacità, sviluppata attraverso un’esperienza professionale nei livelli più alti della carriera manageriale, di gestire e supervisionare persone progetti e/o budget (Chen et al., 1998); è strettamente connessa al grado di autonomia nella gestione di risorse e alla leadership all’interno di un’organizzazione. L’esperienza manageriale ricomprende, quindi, una varietà di competenze che vanno da quelle più prettamente tecniche a quelle più di tipo manageriale. Riguardo a queste ultime, esse spingono gli individui a sperimentare condizioni di lavoro simili a quelle di un contesto imprenditoriale; ci si riferisce soprattutto alle condizioni di assunzione di decisioni in contesti di incertezza e rapidi cambiamenti, che avvicinano sempre di più i contesti manageriali a quelli di tipo imprenditoriale (Simon et al., 2000). Tale constatazione sta prendendo sempre più piede in letteratura, con una tendenza alla confluenza tra i filoni di ricerca in campo di organizational behavior e d’imprenditorialità. Una precedente esperienza manageriale fornisce infatti le abilità necessarie a coordinare e gestire le fasi di avvio di una start-up, diminuendo così il ruolo delle distorsioni cognitive (Boden et al., 2000). Questo implica che l’esperienza manageriale può generare un effetto di sostituzione rispetto alle distorsioni cognitive prodotte dall’overconfidence, pertanto: H3: L’esperienza manageriale pregressa modera negativamente la relazione tra la overconfidence di un individuo e la sua decisione di entrata imprenditoriale. L’esperienza manageriale implica affrontare l’incertezza e il rischio. I manager sono coinvolti nella gestione di attività rischiose e continuamente prendono decisioni in situazioni incerte ed ambigue. Poiché la propensione al rischio è un’attitudine, la decisione di avviare una nuova iniziativa imprenditoriale può essere rafforzata da esperienze coerenti con tale caratteristica. In particolare, in termini di decision making, di approccio relazionale, di azione in contesti di incertezza e limitata disponibilità di informazioni, il contesto manageriale si avvicina sempre di più al contesto imprenditoriale, soprattutto alla luce della sempre maggiore diffusione degli high velocity contexts (Eisenhardt, 1989), caratterizzati da turbolenza e cambiamento repentino delle variabili di riferimento. Tali contesti turbolenti appaiono sempre di più quelli in cui sono costretti a prendere decisioni i manager e sempre di più assomigliano ai contesti imprenditoriali, sicché l’esperienza manageriale pregressa, rappresenta un prezioso fattore di supporto alla decisione di diventare imprenditore. Inoltre, l’esperienza manageriale fornisce una comprensione più efficace dell’ambiente di riferimento e, pertanto, consente di aumentare a parità di condizioni la soglia oltre la quale l’individuo percepisce il rischio eccessivo. PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 19 L’esperienza manageriale, in definitiva, può generare un effetto di complementarità nella relazione tra la propensione al rischio e l’entrata imprenditoriale, quindi: H4: L’esperienza manageriale pregressa modera positivamente la relazione tra la propensione al rischio e l’entrata imprenditoriale L’esperienza imprenditoriale (entrepreneurial experience) comporta un precedente esercizio di ruoli e compiti rilevanti per l’imprenditorialità e comprende l’organizzazione, la realizzazione e l’assunzione del rischio di una nuova iniziativa imprenditoriale. Implica attività e task specifici relativi al rischio e alla capacità di valutazione del rischio. Al riguardo la letteratura ha introdotto il concetto di habitual entrepreneurs (Westhead et al., 2005) considerati coloro che, grazie all’accumulo di pregresse esperienze imprenditoriali, sono più predisposti ad avviare una nuova attività di impresa in maniera professionale. In particolare tale filone si ricollega alla letteratura relativa allo human capital (Becker, 1975; 1993), ritenendo che sia il capitale umano accumulato dall’habitual entrepreneur che influenzi positivamente il suo comportamento in relazione alla scelta di avviare una nuova attività di impresa (Gimeno et al., 1997; Bosma et al., 2004). In dettaglio, il capitale umano specifico dell’imprenditore si compone di: esperienza di proprietà di business, capacità imprenditoriale, capacità manageriale e capacità tecnica (Ucbarasan et al., 2008). Tale insieme di capacità e conoscenza accumulata attraverso processi di learning by doing (Javanovic, 1982) è contrapposto al capitale imprenditoriale generico che ricomprende la formazione e la seniority lavorativa 2. Gli individui con pregressa esperienza nell’avvio di un’attività d’impresa, potrebbero avere maggiore probabilità di evitare errori nella percezione del rischio e nel processo decisionale rispetto a quelli che non ne hanno. Inoltre, hanno più opportunità di sviluppare relazioni e compiti specifici che aggiungano valore all’azienda appena creata. L’esperienza imprenditoriale pregressa agisce da sostituto rispetto all’impatto del fattore distorsivo della personalità (overconfidence) sulla scelta di diventare imprenditore. Ciò avviene rispetto a 2 livelli di analisi: in caso di esperienza negativa, frutto dell’esperienza di problematiche e criticità della futura attività di impresa, l’esperienza pregressa, agisce da riduttore dell’impatto dell’overconfidence sulla scelta di diventare imprenditore, fino al livello di scoraggiare del tutto la scelta, nei casi più estremi. Nei casi positivi, l’esperienza imprenditoriale riduce l’impatto del fattore di personalità sulla scelta di diventare imprenditore, poiché, riveste un ruolo crescente rispetto alla scelta, a discapito del ruolo dell’overconfidence. Ciò deriva dal fatto che dal punto di vista motivazionale e cognitivo, il setting 2 Secondo una visione organizzativa le tre caratteristiche principali per l’imprenditore sono: imprenditorialità, a cui è associata la dimensione mentale dell’innovazione, la managerialità, legata agli aspetti organizzativi e la leadership relativa alla dimensione relazionale (Baccarani e Golinelli, 2006). 20 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE decisionale verterà e trarrà affidamento sempre di più sul fattore esperienziale rispetto al fattore caratteriale e comportamentale (Zhao e Seibert, 2006). H5: L’esperienza imprenditoriale pregressa modera negativamente la relazione tra la overconfidence di un individuo e la sua decisione di entrata imprenditoriale. L’esperienza imprenditoriale pregressa, infine, rafforza la scelta di diventare imprenditore, poiché offre un’importante arma di conoscenza delle problematiche e delle soluzioni per affrontarle efficacemente. Essa fornisce un bagaglio di informazioni e di comportamenti acquisiti, che rafforzano la convinzione nel buon esito dell’iniziativa. L’esperienza imprenditoriale pregressa, in definitiva, fornisce un setting (informazioni, comportamenti, soluzioni) che consente di approcciare con più familiarità e quindi confidenza alla decisione di diventare imprenditore; ciò agisce da moderatore nella relazione tra propensione al rischio e entry decision. H6: L’esperienza imprenditoriale pregressa modera negativamente la relazione tra la propensione al rischio di un individuo e la sua decisione di entrata imprenditoriale. Di seguito si riporta una rappresentazione grafica di sintesi del modello teorico oggetto di studio. Fig. 1:Il modello Overconfidence H1:+ H3:H5:- Managerial experience H4:+ Entrepreneurial experience H6:- H2:+ Risk Propensity Fonte: ns. elaborazione ENTREPRENEURIAL ENTRY PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 21 5. Metodo di ricerca 5.1 Dati “La raccolta dei dati nel campo dell’imprenditorialità è una delle maggiori sfide” (Strom, 2011). La verifica delle ipotesi presentate è particolarmente impegnativa poiché richiede dati su individui che hanno il medesimo potenziale di divenire imprenditori ma che potrebbero anche non diventarlo mai. Allo scopo del presente studio, abbiamo usato PSED 3, un database longitudinale già utilizzato nel settore (Delmar e Daviddson, 2000). Il database analizza un campione di popolazione adulta statunitense, mediante la metodologia digitale telefonica a campione random e identifica il nascent entreprenuer sin dalle prime fasi del processo imprenditoriale, superando quindi gli errori di campionamento connessi alla presenza di recall biases, survivorship biases e alle problematiche derivanti dalla presenza nel campione dei soli imprenditori già attivi nel processo (Reynolds, 2007). Secondo l’impostazione principale presente in letteratura, il nascent entrepreneur è colui che in maniera attiva ed indipendente è coinvolto nel processo di start-up (Reynolds, 2009): non solo nello svolgimento di attività operative legate al business ma anche nell’assumersi il rischio di impresa (Sorensen, 2007; Delmar e Davidsson, 2000) 4. Il fenomeno dell’entrata imprenditoriale (Entrepreneurial Entry) è stato definito mediante una variabile dummy con valore 1 se l’evento si è verificato, 0 invece in caso negativo 5. Inoltre, per comprendere a pieno il grado di coinvolgimento nel processo da parte dell’individuo sono stati esclusi dal campione finale non solo tutti coloro che si occupano di imprenditorialità per un datore di lavoro esterno ma anche coloro che si trovano a dover gestire attività precedentemente ereditate per motivi familiari. Tale scrematura, ci consente così di avere solo individui che in maniera autonoma hanno fatto la scelta imprenditoriale (Reynolds, 2009). Per comprendere poi il grado di coinvolgimento nel processo, ci si aspetta che il nascente 3 4 5 PSED comprende due progetti longitudinali separati; nello specifico i dati che presenteremo si riferiscono al database PSED I, basato su un’indagine realizzata tra il 1998 e il 2000. Il questionario si è svolto mediate un’intervista telefonica preliminare e l’invio di domande via e-mail. Un campione di controllo è stato comunque intervistato al fine di eliminare gli eventuali errori di selezione e per garantire un migliore confronto tra potential e nascent entrepreneur. La letteratura ha individuato il nascent entrepreneur attraverso diverse definizioni: individuo che sta aprendo un business indipendente (Reynolds, 1997); persona attivamente coinvolta nel processo di creazione di una nuova impressa (Gartner, 1998; Kim et al., 2006); tutte queste definizioni sottolineano tra caratteristiche principali: indipendenza, attivismo e impegno. La domanda a cui gli intervistati hanno risposto è la seguente: “Stai, da solo o in un team, iniziando un’attività di start-up?” (Delmar e Davidsson, 2000; Reynolds, 2009). 22 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE imprenditore abbia il possesso di una quota di proprietà dell’impresa e sia stato attivo nel processo negli ultimi 12 mesi. 5.2 Campione Il campione finale, considerato ai fini di questo lavoro è costituito da 370 individui. L’età media è pari a 39 anni. Circa l’82% ha almeno uno dei genitori nato negli Stati Uniti, circa il 48% ha i genitori con esperienze imprenditoriali pregresse. L’esperienza media maturata nel settore della start-up è di almeno 2 anni e la media di entrate annuali è pari a 56.800 dollari. Le posizioni aziendali principalmente ricoperte nel campione afferiscono a ruoli amministrativi e professionali (41%); il settore di riferimento è quello privato (30%). Analizzando i risultati, i dati non sembrano essere soggetti a problemi di validità discriminate, tutte le correlazioni interfattoriali infatti hanno un valore inferiore al livello soglia di 0.7 e dall’analisi condotta di multicollinearità tramite il metodo VIF (Variance Inflation Factor) non si rilevano valori superiori a 3. 5.3 Selezione delle variabili indipendenti Le variabili indipendenti impiegate ai fini di questa nostra analisi, sono state costruite seguendo le impostazioni prevalenti in letteratura. Le variabili disposizionali sono state calcolate, utilizzando laddove possibile, una scala Likert di 5 punti, al fine di tracciare nel modo migliore possibile il livello di condivisione o meno del soggetto intervistato per ciascuna domanda o dichiarazione. Diverse sono state le modalità di misurazione della Overconfidence, Malmendier e Tate (2008), ad esempio, hanno misurato il livello di questa variabile considerando il portafoglio di scelte personali dei CEO, ricavando informazioni e dati dai media e dalle notizie di pubblico dominio. Altri studi, invece, hanno comparato l’accuratezza di alcune risposte con le percezioni personali sulle stesse (Simon e Houghton, 2003) Seguendo questo approccio, la variabile Overconfidence, è costruita come media di tre domande “self reported” ancorate ad una scala Likert 6. Il coefficiente alfa standardizzato per tale variabile è pari a 0.82, confermando quindi la validità della misurazione. Molte sono le testimonianze del legame tra propensione al rischio (Risk Propensity) e personalità, anche se c’è poco consenso in letteratura circa la concettualizzazione e misurazione di tale variabile. In questo lavoro, considerando la 6 I punteggi della scala vanno da 1=“affatto confidente”a 5= “molto confidente”. A ciascun individuo è stato associato un punteggio complessivo calcolato come media dei punteggi intermedi relativi a ciascuna domanda. Il punteggio individuale è stato calcolato come media dei punteggi dati per ciascuna domanda. Le domande che sono state prese in considerazione per definire un livello eccessivo di confidenza sono le seguenti: “Avrai successo nel completare i tuoi compiti; puoi raggiungere gli obiettivi che ti sei fissato; avrai successo nel superare gli ostacoli”. PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 23 propensione al rischio di un individuo come uno status concettuale (Zuckerman, 1974), tale variabile è stata misurata sulla base di 3 item psicologici 7. Tenendo a riferimento la letteratura sul “capitale imprenditoriale”, definito come l’insieme di esperienze ed abilità sia manageriali che imprenditoriali che caratterizzano la vita professionale degli individui, abbiamo definito la variabile esperienza manageriale (managerial experience), sulla base degli anni in cui l’individuo ha lavorato come manager per un’altra società (Delmar e Davidsson, 2000). L’esperienza imprenditoriale (entrepreneurial experience), invece, è costruita come una variabile dummy sulla presenza o meno di una pregressa esperienza in tale ambito (Folta et al., 2010). Per quanto attiene alle variabili di controllo, queste sono state selezionate al fine di controllare per i differenti aspetti legati alle scelte imprenditoriali considerati dalla letteratura precedente: demografici, sociologici e personali (Delmar e Daviddson, 2000; Dobrev e Bartnett 2005; Kim, et al., 2006; Autio e Wennberg, 2010; Folta et al., 2010; Elfenbein et al., 2010). Le variabili di controllo relative al presente studio sono: età, istruzione, numerosità e ricchezza del nucleo familiare, genitori nativi-americani, esperienza imprenditoriale pregressa del nucleo familiare, esperienza personale pregressa nel medesimo settore della start-up, dimensione del datore di lavoro precedente, numero di business aiutati a partire, entrepreneurial self efficacy 8. Tra le variabili di controllo, particolare rilievo riveste l’efficacia imprenditoriale (Entrepreneurial Self Efficacy). L’efficacia imprenditoriale è definita in letteratura “il livello di confidenza mostrato da un individuo per portare a termine dei compiti specifici in ambito 7 8 L’indice è generato dalla media delle seguenti 3 domande: “se l’individuo preferisce un business molto rischioso ma con ampi margini di guadagno o un business poco rischioso ma con margini ridotti; se l’individuo considera importante la possibilità di fallire o meno nel condurre un affare; se l’individuo ama la sfida cui una situazione rischiosa lo pone davanti”. L’età (age) è misurata sulla base del numero degli anni dell’individuo. L’istruzione (education) è costruita come una variabile categorica con valore: 1 se l’individuo non è arrivato alle scuole superiori; 2 se ha preso il diploma di scuola superiore; 3 se ha frequentato università e corsi di specializzazione o master successivi. La ricchezza del nucleo familiare (House Hold Wealth) è calcolata come il logaritmo del reddito netto familiare dell’ultimo anno più uno, al fine di ridurre la skewness della variabile. La dimensione del nucleo familiare (House Hold Size): è misurata attraverso una variabile categorica con valori: 1, se si compone fino ad un massimo di 2 persone; 2, se si compone fino ad un massimo di 4 persone, 3 se superiore a 4 persone. Circa l’origine familiare, la variabile Parents born in the US, è una dicotomica con valore 1 se almeno uno dei genitori è nato negli Stati Uniti. La variabile Partental self employment experience è una dicotomica con valore 1 se almeno uno dei membri del nucleo familiare ha avuto in precedenza un’esperienza imprenditoriale. La dimensione della precedente attività lavorativa (Previous employer size) è misurata come logaritmo del numero di dipendenti dell’impresa in cui il nascent entrepreneur lavorava. La variabile Business help to start è misurata come numero di business che l’individuo ha supportato nella fase di start-up. ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE 24 imprenditoriale” (Zhao et al., 2005). Tale definizione è consistente con i dati presenti nel survey, potendo infatti utilizzare il risultato medio complessivo relativo ai punteggi associati a quattro domande costruite mediante una scala di Likert 9. La media di tale variabile è pari a 4.13, mostrando quindi un alto livello di confidenza per le attività imprenditoriali da parte della popolazione intervistata. La scala mostra un livello di attendibilità accettabile (alfa pari a 0.75). Tra le altre variabili, la start-up industry experience invece è costruita per tracciare gli anni di esperienza dell’individuo nel medesimo settore della nascente attività imprenditoriale 10. Tab. 1: I risultati Variabili Start-up industry experience Entrepreneurial Self Efficacy Previous employer size Business helped to start Age Education HHwealth HHsize Parents born in the US Parental self employment experience Overconfidence Risk Propensity Managerial experience Entrepreneurial experience OverconfidenceXmanagerial experience Risk PropensityXmanagerial experience OverconfidenceXentrepreneurial experience Risk PropensityXentrepreneurial experience Model 1 Entrepreneurial entry -0.545*** 0.505*** -0.020 0.050 0.019** 0.356** -0.108* -0.00 0.315† 0.141 (0.084) (0.125) (0.035) (0.031) (0.007) (0.117) (0.046) (0.000) (0.189) Model 2 Entrepreneruial Entry -0.593*** 0.431*** 0.013 0.013 0.010 0.399** -0.177** 0.00 0.019 (0.094) (0.130) (0.039) (0.026) (0.009) (0.123) (0.546) (0.000) (0.200) (0.143) 0.041 0.044 0.055 0.226*1 1.062*** Costante -1.538* (0.750) -0.949 Log-Likelihood -206.89 -174.50 PseudoR-squared 0.190 0.290 Model Wald Chi square 62.13*** 101.26*** N 370 356 † p < 0.1 * p < 0.05 ** p < 0.01 *** p < 0.001 Robust, heteroskedasticity-adjusted standard errors in parentesi Model 3 Entrepreneurial Entry -0.608*** 0.437*** 0.110* 0.187*** 0.005 0.434*** -0.184** 0.00 0.009 (0.103) (0.124) (0.049) (0.054) (0.010) (0.130) (0.061) (0.000) (0.215) (0.156) 0.037 (0.168) (0.099) (0.204) (0.099) (0.172) 0.482* 0.616† -1.970* 3.145*** (0.214) (0.393) (0.771) (0.638) (0.914) -0.192† (0.099) 3.064*** (0.874) -0.236 (0.204) -0.892† (0.496) -3.100** -154.61 0.338 113.22*** 338 (1.164) Fonte: ns. elaborazione 9 10 L’indice è stato ancorato dunque ad una scala Likert di 5 punti con punteggio 1= completamente contrario”; 5=“completamente in accordo”. Le domande specifiche che sono state considerate sono le seguenti: “se lavoro sodo posso iniziare un nuovo business; le mie abilità e competenze mi aiuteranno ad affrontare un nuovo business; la mia precedente esperienza mi sarà di grande aiuto nell’avviare un nuovo business; sono confidente che posso fare del mio meglio per avviare un nuovo business” Folta Delmar e Wennberg (2010), misurano la “target industry experience” come dummy uguale ad 1 se l’individuo entra nel medesimo settore nel quale ha una pregressa esperienza lavorativa PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 6. Test delle ipotesi 25 11 Lo scopo della ricerca è dunque quello di verificare l’efficacia predittiva delle variabili disposizionali e della loro interazione con quelle contestuali nel fenomeno dell’entrata imprenditoriale. Come mostrato in tabella 1, i modelli 1 e 2 riportano i risultati relativi alle variabili di controllo e alle variabili principali 12. L’analisi di seguito riportata presenterà direttamente i risultati dell’analisi probit relativi al full model rappresentato nel modello 3. L’ipotesi 1 e l’ipotesi 2 predicono che le caratteristiche disposizionali di eccessiva confidenza e propensione al rischio influenzano positivamente la probabilità di entrata imprenditoriale dell’individuo. I risultati indicano che le relazioni sono nel segno ipotizzato e significative: ipotesi 1 (β= 0.482; p<0.05) ed ipotesi 2 (β=0.616; p<0.1) . Per quanto riguarda gli effetti delle moderazioni tra le tre variabili contestuali, esperienza manageriale ed esperienza imprenditoriale con le variabili disposizionali, l’ipotesi 3 predice che l’esperienza manageriale modera negativamente la relazione tra overconfidence ed entrata imprenditoriale, mentre l’ipotesi 4 predice che l’esperienza manageriale modera positivamente la relazione tra propensione al rischio ed entrata imprenditoriale. I risultati evidenziano come entrambe le ipotesi siano supportate, in particolare le moderazione tra overconfidence ed esperienza manageriale è negativa (β=-0.192) con un livello di significatività basso (p<0.1); mentre la moderazione con la propensione al rischio è positiva (β=3.064) con un livello di significatività elevato (p<0.001). Le ipotesi 5 e 6 ipotizzano una moderazione negativa tra l’esperienza imprenditoriale pregressa e le variabili disposizionali, sottolineando dunque come un’esperienza specifica nel campo imprenditoriale possa sostituirsi ad eventuali bias cognitivi dell’individuo. Entrambe le relazioni sono nel segno ipotizzato ma solamente l’ipotesi 6 è statisticamente supportata (β=-0.892; p<0.1). 11 12 Anche se la funzione logit trova una maggiore applicazione in letteratura, dal momento che i coefficienti possono essere interpretati in odds ratio, sono disponibili maggiori strumenti diagnostici e soprattutto è consigliato utilizzarlo quando le osservazioni sono molto numerose (Long e Freese, 2006), per la stima del modello precedentemente presentato, basato sulla variabile dipendente binaria entrepreneurial entry, limitata ai valori 0 ed 1 e in relazione non lineare con le variabili indipendenti, abbiamo utilizzato la funzione di regressione probit basata sulla distribuzione normale cumulata di probabilità. Dal momento che non andiamo ad osservare direttamente la probabilità ma l’evento o attributo ad essa collegato, la variabile dipendente è trasformata in Z-score, valori critici della distribuzione normale standardizzata che assumono valori compresi tra più e meno infinito, tale trasformazione permette dunque che la relazione tra la nuova dipendente e le indipendenti sia lineare. La matrice delle correlazioni, che gli autori sono disposti a rendere disponibile, mostra come le variabili di controllo seguano gli andamenti già confermati da studi precedenti, in particolare: l’entrata imprenditoriale è correlata positivamente con l’educazione (0.09; p<0.01) (Shane e Stuart, 2002); l’esperienza imprenditoriale dei genitori (0.10; p>0.001) (Sorensen, 2007), le origini familiari (0.09; p< 0.01) (Sorensen, 2007) e la tenure manageriale (0.11; p<0.001) (Delmar e Daviddson, 2000). 26 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE 7. Conclusioni I risultati appena presentati dunque non solo confermano il ruolo giocato da fattori contestuali e disposizionali nel processo imprenditoriale, ma suggeriscono anche che l’esperienza manageriale e imprenditoriale, ha un peso rilevante nei fenomeni analizzati quando combinata con variabili disposizionali. Nello specifico, è importante sottolineare come le moderazioni statisticamente significative riguardino sia gli effetti della propensione al rischio combinata con le variabili contestuali (esperienza manageriale e imprenditoriale), sia l’impatto negativo della esperienza manageriale sulla relazione tra overconfidence e decisione di diventare imprenditore. Circa i primi due risultati, una possibile spiegazione potrebbe riguardare il fatto che la propensione al rischio in ambito imprenditoriale è rafforzata da una pregressa esperienza manageriale, mentre subisce un effetto sostitutivo dall’essere un habitual entrepreneur, essendo in quest’ultimo caso la scelta di diventare imprenditore maggiormente dipendente dal set di know how e esperienze accumulato in ambito imprenditoriale piuttosto che dalla soggettiva propensione al rischio. Tale risultato, inoltre, può collegarsi al filone di studi relativo habitual entrepreneur visto come un moderate risk taker. Tale considerazione potrebbe essere lo spunto per ulteriori ricerche. Circa l’impatto negativo della esperienza manageriale sulla relazione tra overconfidence e decisione di diventare imprenditore. Ciò può essere spiegato come effetto sostitutivo dell’esperienza manageriale rispetto alle distorsioni cognitive prodotte dall’overconfidence, grazie al fatto che sempre di più gli assetti lavorativi di tipo manageriale presentano condizioni simili a quelli imprenditoriali. È inoltre importante sottolineare come l’esperienza pregressa nel settore ha un effetto negativo e significativo nell’entrata imprenditoriale. Tale risultato - ad una prima lettura contro intuitivo - appare coerente con gli studi effettuati da Cassar (2012) e da Delmar e Davisson (2000), i quali hanno dimostrato che un livello di tenure significativa determina una sorta di inerzia che riduce la propensione all’imprenditorialità dei soggetti. Questo studio, quindi, è un tentativo di estendere la letterature sull’imprenditorialità introducendo una prospettiva multidisciplinare: le variabili disposizionali ed organizzative prese da sole non sono sufficienti a spiegare le dinamiche di transizione. La natura della relazione tra questi due fattori, naturalmente differenti, e come riescano a spiegare il fenomeno dell’entrepreneurial entry, è ancora relativamente sconosciuta sebbene possa fornire una comprensione più approfondita del fenomeno stesso. Per quanto riguarda le implicazioni dei risultati qui presentati esse possono essere analizzate per una serie di soggetti terzi: gli imprenditori, i policy maker e i business angels. Quest’indagine, infatti, dovrebbe fornire ai nascenti imprenditori indicazioni sul ruolo che distorsioni sulla percezione, quali l’overcondifence e l’eccessiva propensione al rischio possono giocare nella decisione di entrepreneurial entry. PAOLO BOCCARDELLI - ROSELLA SANTELLA 27 Ovvero emerge la necessità di comprendere quanta parte del proprio ottimismo e fiducia derivino da distorsioni cognitive, da un’eccessiva fiducia nella capacità di affrontare il rischio e/o dalla mancanza di esperienze adeguate. I Policy makers, invece, per promuovere il dinamismo imprenditoriale, possono far leva su una varietà di fattori contestuali specifici dell’ambiente, sia sul piano formale (regolazione, politica fiscale, etc.), sia su quello informale (influenza sulla cultura locale, formazione, status, auto percezione, sviluppo di un ambiente imprenditoriale). Le istituzioni informali, come ad esempio il giudizio che la società a livello macro (Regione, Stato) o micro (famiglia), sono fondamentali per costruire una buona cultura dell’imprenditorialità. Riconoscendo l’imprenditorialità come un’ottima chance di carriera, sviluppando un’opinione comune sull’importanza di associare all’imprenditoria un elevato status e una positiva attenzione dei media per questo fenomeno, può accrescere la propensione degli individui per tali attività. Un altro fattore di interesse potrebbe far riferimento al sistema educativo. In particolare, la propensione al rischio degli individui potrebbe essere in parte alimentato anche da processi formativi e culturali che trovano le loro radici nel sistema dell’educazione scolastica e universitaria. Il sistema educativo, tuttavia, non sembra al momento adeguato a stimolare il talento dei potenziali imprenditori, ma piuttosto orientato a sanzionare il fallimento. Per cogliere questa opportunità, il sistema educativo dovrebbe sviluppare un nuovo approccio sperimentale e dinamico che rafforzi e sviluppi le capacità di ognuno, ma soprattutto riconosca e premi la propensione al rischio. Un ruolo fondamentale nel processo imprenditoriale è poi l’attività di fund raising e di supporto finanziario alle nuove iniziative, i Business angels potrebbero infatti ampliare il loro processo di valutazione includendovi una visione sistemica che includa oltre a fattori contestuali specifici dell’individuo, anche fattori disposizionali, che possono rappresentare utili strumenti di valutazione dell’attitudine imprenditoriale 13. Nonostante i risultati del presente lavoro siano consistenti con gli studi precedenti (Shane e Stuart 2002; Sorenson, 2007; Arenius e Minniti, 2005), l’analisi non è scevra da alcune limitazioni che potrebbero essere specificate e risolte in futuri interventi. In primis, come per la maggior parte degli studi disposizionali, le variabili utilizzate sono per natura self-reported. Sebbene tali variabili siano state costruite sulla base di precedenti lavori e si sia dimostrata la loro validità ed un livello accettabile di affidabilità, i costrutti di primario interesse (risk preference e overconfidence) sono per loro natura complessi, e quindi interventi futuri che possano operazionalizzare tali variabili con misure alternative o incrementali potrebbero essere auspicabili al fine di giungere a risultati significativi con livelli di 13 In particolare, tali soggetti potrebbero trovare conveniente identificare il peso di propensione al rischio e overconfidence nelle scelte di entry e cercare di capire se questi “bias” possano avere un’influenza nelle modalità di crescita e sviluppo dell’impresa stessa. 28 ENTREPRENEURIAL ENTRY: APPROCCIO DISPOSIZIONALE VS APPROCCIO CONTESTUALE confidenza più elevati. Non trattandosi di variabili oggettive, molto spesso la portata interpretativa degli studi in tale ambito è stata considerata debole, sottovalutandone le implicazioni non solo manageriali ma anche organizzative. Infine, nonostante si siano migliorati alcuni aspetti nella costruzione del database, per generalizzare i risultati potrebbe essere necessario investigare non solo il ruolo di ulteriori moderatori ma anche di meccanismi cognitivo-disposizionali diversi, come ad esempio il livello di creatività o di innovazione, oltreché aumentare il confronto tra Paesi e contesti geograficamente differenti o esperienze settoriali diverse. Infine, un interessante sviluppo di ricerca è quello che prova ad approfondire meglio tutti i fattori disposizionali e le loro interazioni con i fattori contestuali in relazione a contingenze specifiche (industrie, business a maggiore o minore intensità di capitale umano o tecnologico...) e che cerca di legare attraverso un unico modello analitico la spiegazione dell’entrepreneurial entry e del success: ovvero la comprensione del rapporto tra i fattori che spiegano l’entry e quelli che spiegano il successo. Bibliografia AIDIS R., ESTRIN S., MICKIEWICZ T. (2010), “Size matter: Entrepreneurial Entry and Government”, Discussion Paper, n. 5052, IZA. ARENIUS P., MINNITI M. (2005), “Perceptual variables and Nascent entrepreneurship”, Small Business Economics, vol. 24, n. 3, pp. 233-247. AUTIO E., WENNBERG K. 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