La Rivista dei Combustibili e dell`Industria Chimica La

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La Rivista dei Combustibili e dell`Industria Chimica La
2013 - volume 67 - n. 4
ISSN 1972-0122
La Rivista dei
Combustibili
e dell’Industria Chimica
a cura della Stazione Sperimentale per i Combustibili
www.ssc.it
Ricerca & Sviluppo per
il rispetto dell’ambiente
info: [email protected]
Dal 1947 la SSC pubblica La Rivista dei Combustibili,
organo di stampa ufficiale dell’Istituto, un periodico dedicato a studi, rassegne e notiziari nel campo dei combustibili solidi, liquidi e gassosi, convenzionali e non. I temi
affrontati riguardano la caratterizzazione, l’utilizzo, l’impatto ambientale, l’aspetto normativo e la sicurezza. Nel
2002, a seguito del nuovo statuto della Stazione
Sperimentale per i Combustibili, che ha consentito alla
SSC di intensificare alcune attività nei confronti dell’industria chimica, la Rivista dei Combustibili ha cambiato
denominazione in La Rivista dei Combustibili e
dell’Industria Chimica.
La Rivista, attualmente pubblicata con periodicità trimestrale, è aperta al contributo di tutti gli studiosi, i tecnici
e gli operatori dei settori di competenza. Viene distribuita in abbonamento gratuito ad aziende, enti ed istituzioni legate ai settori dei combustibili e dell’industria chimica ed è disponibile anche in formato pdf.
STAZIONE
SPERIMENTALE
per i
COMBUSTIBILI
Studi e ricerche SSC riguardano tre temi topici: prestazioni energetiche, ambientali e di
sicurezza legati a combustibili fossili, rinnovabili e biocombustibili.
Ricerca Istituzionale
Ricerca finanziata
Come ente pubblico, la SSC finanzia e sviluppa autonomamente progetti di ricerca con l’obiettivo di incrementare il patrimonio di conoscenze-esperienze a favore dei
settori di riferimento e del mercato per :
• rispondere alle richieste di consulenza sia a favore
dell’industria dei combustibili e delle imprese, sia
delle amministrazioni e enti pubblici
• proporre un’offerta qualificata in tutte le aree e settori
di attività della SSC
• aggiornare costantemente la base di competenze indispensabili per proporsi ed accedere ai finanziamenti di
ricerca pubblici e privati
Realizzata su richiesta e con finanziamenti di
imprese/enti/privati attraverso la partecipazione a progetti
di ricerca finanziati a livello nazionale e europeo.
Il trasferimento dei risultati avviene mediante pubblicazioni su riviste scientifiche o con la pubblicazione di rapporti, relazioni e monografie. Alcuni studi sono disponibili
on line sul sito dell’Istituto (www.ssc.it) alla sezione documentazione online. Questa sezione, creata ad hoc per dare
visibilità all’informazione non commerciale (studi, indagini, rapporti tecnici, presentazione a convegni, articoli,ecc. ),
rappresenta un vero e proprio valore aggiunto per la comprensione e la valorizzazione dell’attività istituzionale SSC.
STUDI E RICERCHE
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e dell’Industria Chimica
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La Rivista dei
Combustibili
e dell’Industria Chimica
Volume 67
Fascicolo 4
Anno 2013
SOMMARIO
a cura della Stazione Sperimentale per i Combustibili
STUDI&RICERCHE
Inquinamento indoor da apparecchi a etanolo: indagine sull’impatto sulla qualità
dell’aria indoor prodotto dall’utilizzo di apparecchi ad uso domestico alimentati
a etanolo
S. Bertagna, C. Morreale, G. Migliavacca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 2
RASSEGNE
Il nanoparticolato: emissioni da fonti mobili e tecniche di valutazione
dell’esposizione
S. Casadei, S. Moroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 14
NOTIZIE SSC
L’Engine Exhaust Particle Sizer entra a far parte della strumentazione
di ricerca del LEA
A. Maggioni, D. Merlo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23
L’attività della divisione Combustibili per il REACH
L. Gigante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 24
WEB SSC
Ultimi aggiornamenti sul sito www.ssc.it
T. Zerlia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 25
DAL MONDO ACCADEMICO
Da Fresnel a Solvay - La sintesi della soda all’ammoniaca
M. Taddia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 26
RESPONSABILITA’ SOCIALE
Le interviste sostenibili - Ne parliamo con Massimo Ramunni (Assocarta)
a cura di D. Bussini e P. Lopinto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 32
SERVIZI ALLE IMPRESE
La rete ENTERPRISE EUROPE NETWORK . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37
NOTIZIE
La Divisione Combustibili e la Sicurezza Chimica: la Conferenza Internazionale . . . . . . . . .
“Hazardous Chemistry for Streamlined Large Scale Synthesis”
L. Gigante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 40
XXVII convegno: “La Calorimetria di Reazione per lo Sviluppo e la Sicurezza
dei Processi Chimici
C. Pasturenzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 41
INDICE 2013 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 43
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studi&ricerche
Inquinamento indoor da apparecchi a etanolo: indagine
sull’impatto sulla qualità dell’aria indoor prodotto
dall’utilizzo di apparecchi ad uso domestico alimentati a etanolo
Silvia Bertagna, Carmen Morreale, Gabriele Migliavacca
Innovhub-SSI, Divisione Stazione Sperimentale per i Combustibili
Viale A. De Gasperi 3, 20097 San Donato Milanese (MI)
[email protected]
RIASSUNTO
Nel corso degli ultimi decenni una attenzione crescente è stata rivolta alla problematica
dell’inquinamento atmosferico e alle conseguenze che questo ha sulla salute umana.
L’inquinamento indoor è prodotto da sorgenti domestiche percepite come innocue, quali
ad esempio alcuni elementi costruttivi e di arredamento delle case, taluni apparecchi per
il riscaldamento domestico, la cottura dei cibi, l’uso di candele e incenso. In questo lavoro vengono prese in considerazione le emissioni e il loro effetto sulla qualità dell’aria
indoor prodotti dall’utilizzo di caminetti a (bio)etanolo.
I camini o apparecchi alimentati ad alcol privi di canna fumaria, infatti, rappresentano
una fonte di inquinamento indoor in quei luoghi, domestici o non domestici, dove vengono installati e utilizzati, a causa del fatto che i prodotti della combustione sono interamente liberati nell’ambiente dove le persone vivono o trascorrono lungo tempo.
Questi camini possono avere caratteristiche differenti in termini di potenza termica e
caratteristiche costruttive, che possono influenzare la qualità e la quantità degli inquinan-
Indoor air pollution from ethanol appliances: a survey on the impact
on indoor air quality produced by the use of domestic appliances
fueled by ethanol
Over the past few decades, increasing attention has been paid to the problem of air pollution and the impact this has on human health. Indoor air pollution is produced from domestic sources often thought as harmless, such as certain elements of construction and furnishing of the houses, certain apparatus for domestic heating, cooking food, and the use
of candles and incense. In this work are taken into account emissions and their effect on
indoor air quality produced by the use of so-called fireplaces (bio) ethanol.
Flueless alcohol-powered fireplaces in fact represent a source of indoor air pollution
in those domestic or non-domestic places, where they are installed and used, due to the
fact that combustion products are entirely released in the ambient where people live or
spend a long time.
These fireplaces may have different characteristics in terms of thermal power and constructive features, which may influence the quality and quantity of the emitted pollutants. As well as the appliances also the fuel properties may have a strong effect on the
combustion process and the emitted species, as a consequence of the presence of denaturising agents, additives and other impurities in mixtures with pure ethanol, in the
form of liquid or gel commercial products.
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ti emessi. Anche le proprietà del combustibile utilizzato possono avere un forte effetto sul
processo di combustione e le specie emesse, in conseguenza della presenza di agenti denaturanti, additivi e altre impurità presenti in miscela con l’etanolo puro, sia esso sotto
forma di liquido o di gel.
INTRODUZIONE
Nel corso degli ultimi decenni una attenzione crescente è stata rivolta alla problematica
dell’inquinamento atmosferico e alle conseguenze che questo ha sulla salute umana. Al
contrario l’inquinamento indoor, quello cioè presente all’interno degli ambienti chiusi ed
in particolare nelle abitazioni, è stato generalmente sottovalutato, anche se molti studi
scientifici, condotti già a partire dagli anni ’80, ne hanno dimostrato la rilevanza, anche a
seguito della prolungata permanenza di gran parte della popolazione in questi ambienti.
L’inquinamento indoor è prodotto da sorgenti domestiche spesso percepite come innocue,
quali ad esempio alcuni elementi costruttivi e di arredamento delle case, taluni apparecchi
per il riscaldamento domestico, la cottura dei cibi, fino all’uso di candele e incenso [1].
APPARECCHI A BIOETANOLO
Stufe senza canna fumaria alimentate con bioetanolo, etanolo, spirito da ardere ecc. sono sempre più di moda. Stufe pubblicizzate come “decorative”, “biocaminetti” o “biostufe”, hanno lo
scopo di rendere gradevole l’ambiente in cui si vive e talvolta viene decantata anche la possibilità di utilizzo di questi apparecchi a scopo di riscaldamento degli spazi abitativi.
Di conseguenza, l’assortimento di modelli offerti sul mercato risulta essere molto variegato.
Si spazia dai piccoli bruciatori da tavolo a prodotti che riproducono veri e propri caminetti. Il
montaggio veloce senza la necessità di autorizzazione, senza un impianto o un camino di evacuazione dei gas di combustione e, non da ultimo, la facilità di utilizzo, sono spesso i vantaggi citati per questo tipo di apparecchi [2].
A livello teorico la combustione di (bio)etanolo, se completa, dovrebbe produrre anidride
carbonica (CO2) e acqua, ma in pratica la qualità della combustione e quindi i suoi prodotti
sono influenzati da altre variabili quali, per
esempio, il tipo di stufa utilizzata, le modalità
d’uso e il combustibile utilizzato, in particolare la presenza, nella sua formulazione, di
additivi e/o denaturanti. La combustione reale
che avviene in questo tipo di apparecchi a
(bio)etanolo può dunque portare alla formazione oltre che di CO2, anche di monossido di
carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx), polveri
fini e ultrafini e una varietà di composti organici anche tossici (aldeidi). La formazione di questi gas incombusti può essere favorita da
un ridotto apporto di aria (e dunque di ossigeno) nella zona di combustione, dalle basse
temperature raggiunte in camera di combustione o da tempi di residenza ridotti.
L’accensione della fiamma con il bioetanolo risulta una procedura semplice ed immediata,
grazie alla forte concentrazione di vapori infiammabili all’interno del serbatoio di raccolVolume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
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studi&ricerche
ta del combustibile, che si sviluppano anche a temperatura ambiente. A causa di questo elevato livello di infiammabilità però le operazioni di ricarica (che potrebbero teoricamente
avvenire con pareti del serbatoio ancora calde) possono risultare particolarmente critiche.
LA NORMATIVA ESISTENTE
Ad oggi non esistono norme europee cogenti, che definiscano caratteristiche e prestazioni in
termini di emissioni in relazione alla qualità dell’aria indoor, anche se è in fase di definizione
un Mandato della Commissione Europea al CEN per la stesura di norme armonizzate.
Esistono però norme nazionali volontarie in diversi paesi, che definiscono caratteristiche
costruttive e limiti emissivi per apparecchi decorativi di piccola taglia alimentati a
(bio)etanolo: Francia (NF D 35-386) e Germania (DIN 4734:2009-08) hanno già da alcuni anni norme in vigore a riguardo, mentre in Italia è stata di recente pubblicata la norma
nazionale UNI 11518:2013 (“Apparecchi a etanolo – Requisiti e metodi di prova”) ed una
analoga norma europea (prEN 16647) sarà prossimamente convertita in norma EN.
Per quanto riguarda il campo di applicazione delle sopraccitate norme, si segnala che la
norma francese si applica ad apparecchi con capacità del serbatoio superiore a 250 ml e
con una potenza massima 4,65 kW; la norma tedesca invece prevede che la capacità del
serbatoio sia al massimo pari a 3 litri (0,5 litri per i dispositivi da tavolo); la norma italiana si applica agli apparecchi con consumo di combustibile minore di 0,5 litri/ora a caricamento manuale e/o automatico, la durata di massima combustione dei quali non dovrà
superare le 6 ore con una sola carica (riprende pertanto l’indicazione della capacità del serbatoio della norma tedesca di 3 litri). La norma armonizzata europea prEN 16647 si applicherà ad apparecchi singoli, montati a parete o stufe con potenza massima pari a 4,5 kW.
Tutte queste norme stabiliscono criteri diversi e diversi parametri di riferimento riguardanti gli aspetti costruttivi, quelli relativi alla sicurezza ed alle emissioni e non è quindi possibile stabilire univocamente se un apparecchio rispetti o meno tali parametri, ma solo riferendosi ad una specifica norma, nessuna delle quali è attualmente obbligatoria in Italia.
In relazione alle emissioni, la citata norma francese stabilisce una soglia di 100 ppm di CO,
riferiti al 15% di CO2, come valore massimo da non superare nella combustione a regime
e verificata mediante un sistema di convogliamento e analisi dei fumi prodotti dalla combustione in condizioni “controllate”; un analogo limite è fissato nella norma italiana, ma
in questa non sono definite le condizioni relative alle quali tale valore non deve essere
superato, in particolare non si cita la necessità di considerare le condizioni a regime stazionario. Altri limiti sono definiti nella norma francese, così come pure in quella tedesca,
(molto più “attenta” però alle caratteristiche costruttive e di sicurezza nell’uso di questo
tipo di apparecchi) e nella citata prEN sulla concentrazione massima di CO ed eventualmente di NOx (nella norma francese, mentre in quella tedesca nessun limite viene indicato per questo parametro) da non superarsi nel corso di specifici test in camera stagna (80
ppm di CO non normalizzato ad un tenore di CO2 di 2,3%) o in camera ventilata in maniera controllata: per fissare le idee, la norma francese stabilisce in un locale debolmente ventilato di circa 15 m2 (e volume di 39 ± 4) m3 i seguenti valori limite per il CO [3]:
Tabella 1
Limiti di
emissione secondo
la norma francese
NF D 35386:2009
4
La norma tedesca invece fornisce indicazioni
di massima e meno dettagliate, sia per quanto riguarda le condizioni di prova sui fumi di
combustione (non previste), sia sulle concentrazioni massime ammesse riferite a un locale di volume indicato dal costruttore dell’apparecchio, con un ricambio d’aria minimo di
0,5 (volumi/h), nel quale non devono essere superate le seguenti concentrazioni [4]:
• 30 ppm di CO
• 5000 ppm (0,5%) di CO2
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RISULTATI DELLE PROVE E CONFRONTO CON LA NORMATIVA
Le due tipologie di apparecchi, sui quali sono state condotte le prove di seguito descritte,
sono brevemente presentate.
Bruciatore singolo (0,2 , 2,0 e 2,5 litri)
Nella serie di test eseguiti nell’ambito di questo studio sono stati utilizzati bruciatori singoli (che prevedono una combustione a “cielo aperto”, non inseriti in una camera di combustione) per utilizzo su piani di appoggio e/o bracieri.
Le diverse tipologie considerate sono state le seguenti (Figura 1 e 2):
• Bruciatore A (0,2 l)
• Bruciatore B (2,5 l)
• Bruciatore C (2,0 l).
Nel bruciatore (B) le paratie superiori sono mobili per poter variare l’apertura della luce
superiore (da dove “esce” la fiamma) e poter così ottimizzare la stabilità e le caratteristiche della combustione.
Bruciatore A
Figura 1
Bruciatore B
Stufa a bioetanolo chiusa
L’apparecchio è costituito da una camera di combustione delle dimensioni approssimative
di 330x320x540 mm all’interno della quale è alloggiato un bruciatore a braciere estraibile, nel quale può essere caricato sino ad un massimo di 2 l di combustibile liquido costituito da (bio)etanolo denaturato. La potenza nominale dichiarata dell’apparecchio, intesa
come il calore sviluppato nell’unità di tempo dalla combustione del liquido consumato, è
pari a 3,2 kW; partendo da serbatoio carico l’apparecchio è quindi in grado di funzionare
per circa 5 h, se operante alla massima apertura del bruciatore.
Figura 2
Bruciatore C
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Stufa chiusa
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studi&ricerche
Figura 3
Dispositivo per
prove di
combustione
secondo UNI EN
30-1-1:2008
Analisi dei prodotti di combustione - Prove sotto cappa di convogliamento
Le prove di emissione per la valutazione dei composti prodotti dalla combustione del
(bio)etanolo sottoposto a test sono state condotte secondo la già citata norma NF D 35-386,
che definisce le modalità di esecuzione delle prove di combustione degli apparecchi ad
alcool.
L’apparecchiatura già in dotazione alla Divisione Combustibili per prove su apparecchi di
cottura a gas per uso domestico secondo la
UNI EN 30-1-1:2008 risulta del tutto simile a
quella prevista dalla NF D 35-386
Lo schema del dispositivo di campionamento
e l’apparecchiatura di prova utilizzata sono
riportate rispettivamente nelle Figure 3 e 4.
Utilizzando l’apparato di prova indicato, sono
state determinate mediante l’uso di un analizzatore automatico (Horiba, PG250) le concentrazioni di CO, NOx, O2 e CO2 prodotte e/o
presenti nei fumi durante la combustione e
convogliati allo strumento di misura per
mezzo della cappa descritta dalla norma UNI
relativa ai piani di cottura (UNI EN 30-11:2008). Le condizioni di combustione nelle
quali è stata ottenuta una combustione stabile
hanno portato ad avere una concentrazione
media di CO2 nei fumi convogliati di circa l’1,5%. La norma francese suggerisce di considerare approssimativamente come valore di riferimento indicativo di una buona combustione nelle condizioni di prova l’1% di CO2, ma specifica che anche un valore superiore
può essere valido se rappresentativo di una combustione stabile e non disturbata da elementi esterni. Contemporaneamente al campionamento per l’analisi dei gas di combustione, sul flusso di fumi convogliato dalla cappa è stato eseguito anche il campionamento su
Figura 4
Strumentazioni
utilizzate per le
prove di emissioni
(nella foto,
bruciatore B)
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fiala per la successiva determinazione analitica (mediante analisi HPLC) delle aldeidi e di
altri composti eventualmente presenti.
In Tabella 2 vengono riportate le concentrazioni medie delle specie indagate, espresse
come media delle concentrazioni acquisite per tutta la durata della prova (acquisizione con
scansione temporale ogni 6 secondi), in alcuni casi con e senza tenere conto delle fasi iniziali “disturbate” di accensione e spegnimento (vedere nel seguito Influenza delle fasi non
stazionarie).
Per il CO viene fornita anche la concentrazione “normalizzata” secondo la formula proposta dalla norma tecnica francese valida per gli apparecchi ad alcool (1).
Infatti, al fine di rendere i risultati comparabili fra loro, anche se i rapporti di diluizione
sono molto differenti, si deve procedere ad una normalizzazione che consiste nel riportare
tutti i dati di concentrazione ad un tenore di ossigeno oppure di CO2 di riferimento: nel
caso della combustione dell’etanolo è convenzione assumere il 15% di CO2, corrispondente alle condizioni stechiometriche di combustione dell’etanolo puro, in assenza quindi di
ossigeno residuo nei fumi.
I valori ottenuti sono quindi riferiti al 15% di CO2 e risultano confrontabili con il limite imposto per questo genere di test, che non deve superare il valore di 100 ppm di (CON).
Formula di normalizzazione:
(CO)N = (CO2)N * ((CO)mis-(CO)amb)) / ((CO2)mis – (CO2)amb)
(1)
Nei calcoli eseguiti per la normalizzazione è stato assunto:
(CO)amb = concentrazione di CO in aria ambiente = 1 ppm
(CO2)amb = concentrazione di CO2 in aria ambiente = 0.03%
(CO2)N = 15% = concentrazione di CO2 stechiometrica prodotta dalla combustione del
bioetanolo liquido
Tabella 2
Concentrazioni di
CO emesse dai
diversi apparecchi
durante le prove
sotto cappa
In tutti i casi analizzati la concentrazione normalizzata di CO risulta piuttosto elevata e
superiore al limite indicato dalla norma francese e ripreso dalla norma UNI italiana come
indice della qualità della combustione (100 ppm CON).
Aldeidi
Sono state determinate le concentrazioni
medie di composti carbonilici (aldeidi e
chetoni), sempre riferite al 15% di CO2,
campionati durante un intero ciclo di
funzionamento. La concentrazione dei
singoli componenti è riportata in tabella
3. Alcune di queste sostanze hanno attività mutagena e/o cancerogena sospetta
(formaldeide, acetaldeide); esse possono arrecare intossicazioni croniche che possono
insorgere in conseguenza di esposizioni prolungate a dosi relativamente basse, non in
grado di produrre effetti acuti.
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Tabella 3
Concentrazioni di
aldeidi emesse dai
diversi apparecchi
durante le prove
sotto cappa
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studi&ricerche
Di particolare rilevanza per la loro tossicità e abbondanza relativa nei fumi campionati
sono l’acetaldeide e la formaldeide, per la quale viene proposto un confronto sulle concentrazioni nei fumi delle diverse prove eseguite, riferite, per rendere possibile un confronto,
al 15 % di CO2 (Tabella 4).
Tabella 4
Concentrazioni di
formaldeide e
acetaldeide
emesse dai diversi
apparecchi
durante le prove
sotto cappa
Tabella 5
Concentrazioni di
ossidi di azoto
(NOx) emesse dai
diversi apparecchi
durante le prove
sotto cappa
Figura 5
Test con due
diverse tipologie
di etanolo (nella
foto, bruciatore A)
Per quanto riguarda, infine, la presenza
di NOx nei fumi di combustione il solo
riferimento ci viene dalla norma francese, che prevede per i fumi non diluiti
una concentrazione massima di 30 ppm
di NO e di 3 ppm di NO2.
Dalle prove condotte le concentrazioni
di NOx non risultano particolarmente significative (le temperature raggiunte in camera di
combustione (200-220°C), ove presente, non sono così elevate da dare origine alla formazione dei cosiddetti “NOx termici”). I risultati dei test condotti nel corso delle prove sono
riportati in Tabella 5.
Influenza del combustibile (test su bruciatore libero da 200 ml)
Utilizzando il bruciatore più piccolo si è anche verificata l’influenza delle caratteristiche
del bioetanolo sui prodotti di combustione.
Sono state eseguite pertanto le stesse prove sopra descritte con cappa di convogliamento
(Figura 5 a) nelle medesime condizioni ambientali e di campionamento con due combustibili di diversa marca (denominati nel seguito combustibile A e combustibile B).
A
B
I test condotti con i due diversi tipi di bioetanolo hanno mostrato concentrazioni di CO nei fumi
Tabella 6
Concentrazioni di di combustione (Figura 5 b), convogliati così come descritto in precedenza, e consumi di combustibile diversi; in Tabella 6 si riportano per
CO emesse dallo
i due casi la concentrazione media di CO
stesso bruciatore
misurata nel corso della prova e normalizcon due diversi
tipi di bioetanolo
zata secondo la formula (1) già descritta.
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Influenza delle fasi non stazionarie (accensione e spegnimento, test su stufa)
È opportuno effettuare alcune considerazioni sulle emissioni di gas durante l’utilizzo degli
apparecchi a etanolo valutando l’influenza di quelle fasi caratterizzate da una combustione non ottimale, non stazionaria, quali tipicamente sono le fasi di accensione e di spegnimento di un apparecchio. Per questo tipo di valutazione è stata utilizzata la stufa chiusa,
poiché di potenza maggiore, dotata di camera di combustione (che in teoria dovrebbe
garantire condizioni di combustione più stabili e controllate) e ritenuta più rappresentativa
di un uso domestico prolungato nell’arco della giornata.
In Tabella 7 si riportano le concentrazioni dei gas prodotti dall’apparecchio convogliati
mediante cappa secondo quanto già descritto nei paragrafi precedenti, sia tenendo conto
nel calcolo della media delle concentrazioni emesse dei transitori di accensione e spegnimento della stufa (indicativamente della durata di alcuni minuti ciascuno), sia escludendo
le concentrazioni relative a queste fasi. In Figura 6 si riportano gli andamenti delle concentrazioni di CO durante tutto l’arco della prova.
Figura 6
Andamento delle
concentrazioni di
CO (ppm): in
evidenza le fasi di
accensione e di
spegnimento della
stufa
Le prove sono state eseguite in doppio sia con
la stufa nella configurazione di normale funzionamento (stufa 2), sia in una configurazione nella quale si è cercato di aumentare il
tempo di permanenza dei fumi in camera di
combustione per tentare di diminuire la concentrazione di incombusti (CO, in questo
caso) (stufa 1).
Come si può facilmente osservare il contributo delle fasi di accensione e di spegnimento
dell’apparecchio alla concentrazione di
incombusti (CO) dei fumi non è trascurabile;
l’inclusione o l’esclusione di queste fasi nel
computo della concentrazione media può
influenzare significativamente la stima delle
emissioni complessive prodotte (mediamente
si può imputare un incremento di concentrazione dovuto al transitorio pari a circa il 30%
del totale). D’altra parte, la frequenza delle
accensioni è una variabile indipendente, legata alle scelte dell’utente, e ciò introduce un
fattore aleatorio nella valutazione della “criticità” delle emissioni immesse in ambiente.
Prove in camera stagna
Per queste prove sono stati utilizzati i soli bruciatori A e B. Le dimensioni della camera stagna situata presso i laboratori della Div. Combustibili utilizzata nella prova, conformi a quanto descritto nella norma francese NF D 35386 e riportate nella norma italiana UNI 11518, sono le seguenti:
Volume: 18,0 m3
Lunghezza: 3,60 m
Larghezza: 2,0 m
Altezza: 2,50 m
Tabella 7
Concentrazioni di
CO (tal quale e
normalizzato)
emesse
durante il
funzionamento in
fase transitoria
Dopo aver eseguito la prova di tenuta, portando con gas di bombola il tenore di CO2 all’interno
della camera chiusa a un valore del 4% (±0,2%) e verificato che dopo due ore la concentrazione non diminuisca di più dello 0,1%, è stato posizionato all’interno della camera stagna il bruVolume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
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ciatore (alla massima portata di combustibile, ove questa fosse regolabile); la combustione è stata
protratta fino a naturale spegnimento dell’apparecchio tuttavia la normativa prevede che le prove
siano condotte fino al raggiungimento di una concentrazione di CO2 pari al 2,3%.
La concentrazione di CO e NOx è stata monitorata in continuo durante lo svolgimento dell’intera prova ed è stato quindi preso come valore di riferimento quello corrispondente al
valore di CO2 indicato. In queste condizioni la norma (francese e italiana) prevede che la concentrazione di CO (non normalizzato) in camera stagna debba essere inferiore a 80 ppm.
Tabella 8
Concentrazioni di
incombusti nella
prova in camera
stagna (*) il tenore di CO2 raggiunto in camera stagna è stato di 0,6%,
In Tabella 8 vengono riportati i risultati
ottenuti su due bruciatori sottoposti a
test in camera stagna.
Mentre in Figura 7 si riportano le conil combustibile (200 ml) si è esaurito prima che il valore rag- centrazioni in funzione del del tempo di
giungesse il tenore desiderato: il valore indicato è dato dalla O2, CO2 e CO.
concentrazione raggiunta riproporzionato al 2,3% di CO2 .
Figura 7
Andamento delle
concentrazioni di
O2, CO2 e CO in
camera stagna
(Test su
bruciatore B)
Figura 8
Andamento delle
concentrazioni di
O2, CO2 e CO
(Test su stufa in
locale aerato)
Prove in ambiente ventilato (test con stufa,
locale aerato)
Al fine di valutare l’effettivo impatto sulla
qualità dell’aria indoor durante l’uso quotidiano di queste tipologie di apparecchi a etanolo,
sono state eseguite delle prove di funzionamento simulando un normale utilizzo di questi in un locale ad uso abitativo dotato di un
certo ricambio d’aria.
Questo tipo di test è stato eseguito scegliendo
come apparecchio la stufa a etanolo, rappresentativa della categoria di apparecchi maggiormente commercializzata; essa è stata
posta in un locale di circa 14 m2 dotato di sistema di ricambio d’aria nella quale la stufa è
stata mantenuta in funzionamento continuo per il tempo di una singola carica.
Le concentrazioni presenti nell’aria all’interno della stanza di CO, CO2 e di O2 sono state
monitorate in continuo per tutta la durata della prova (e talvolta anche nelle ore intercorse
tra una prova e la successiva) (Figura 8); è stata inoltre monitorata anche la temperatura
della stanza (Figura 9).
Lo strumento ha fornito le concentrazioni di fondo del locale in assenza di combustione
nonché prima, durante e dopo il funzionamento dell’apparecchio.
Per i test su stufa la carica è stata stabilita in 1,5 litri, per una durata continuativa e complessiva di circa 5 ore.
Le concentrazioni di CO aumentano col procedere del tempo di funzionamento, indicando
che un certo accumulo di gas nel locale, seppur aerato, è comunque presente. Per simulare il reale utilizzo del locale, si è provveduto
ad entrare e uscire da questo lasciando la porta
di ingresso aperta per alcuni minuti ogni paio
d’ore circa; questo spiega il motivo per cui nel
grafico di Figura 8 si evidenziano delle diminuzioni periodiche della concentrazione di
CO e un aumento contestuale del tenore di
ossigeno presente nella stanza.
Dopo circa due ore di funzionamento continuativo la concentrazione di CO nel locale ha
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raggiunto un valore di 9 ppm e la concentrazione di ossigeno è sceso a circa 19,5%.
Come lecito attendersi, la temperatura all’interno della stanza subisce un progressivo
incremento; nell’arco di durata della prova,
cioè circa 5 ore; partendo da una temperatura
ambiente di 24°C e con il ricambio aggiuntivo
dovuto all’apporto di “aria fresca” conseguente all’apertura della porta, si raggiunge al termine del test una temperatura di 32-33°C.
Nanoparticolato
La concentrazione di nanoparticolato è stata
monitorata in continuo grazie ad un contatore
di particelle (UFP, ultrafine particle counter) in grado di misurare la concentrazione di
nanoparticolato nell’aria indoor (# di particelle/cm3, nel range dimensionale 20nm-1μm) e
la sua distribuzione dimensionale con risoluzione temporale per ciascun campione di 10
minuti.
Figura 9
Andamento della
temperatura (°C)
(Test su stufa in
locale aerato)
La valutazione dell’influenza della presenza
di nanoparticelle sulla qualità dell’aria nel
locale in cui sono stati eseguiti i test è stata
effettuata lasciando per una settimana all’interno del locale lo strumento in funzione. Nel
corso della stessa settimana, la stufa a etanolo
è stata fatta funzionare per un lasso di tempo
di 5 ore/giorno per ogni giorno tranne il quarto giorno in cui è stata fatta funzionare per 8
ore/giorno (effettuando due ricariche di circa
1,5 litri di etanolo), avendo sempre l’accorgimento ogni due ore di lasciare per circa 5
minuti il locale aperto per apportare un ulteFigura 10
riore ricambio di aria.
Andamento
della
In figura 10 sono riportati i risultati delle prove eseguite in cui si evidenziano in modo
concentrazione
del
chiaro le fasi in cui l’apparecchio è rimasto acceso e le fasi in cui esso è stato mantenuto
numero
di
spento.
nanoparticelle A titolo di esempio, si può osservare che la concentrazione media del numero di particel20nm-1μm
le ultrafini in aria ambiente esterna, in una zona suburbana di una grande città, è indicati(Test
su stufa in
vamente compresa tra 1000 (valori estivi) e 3000 (valori invernali) nanoparticelle/cm3.
locale aerato)
Aldeidi
Contemporaneamente alle misure di nanoparticolato sono stati condotti dei campionamenti per le emissioni di aldeidi e altri idrocarburi che si sprigionano durante la combustione
del bioetanolo. Sono state utilizzate cartucce in rete di acciaio inossidabile 100 mesh riempita di Florisil® rivestito di 2,4-dinitrofenilidrazina (2,4-DNPH). Le aldeidi reagiscono
con la 2,4-DNPH per dare il corrispondente 2,4-dinitrofenilidrazone. I 2,4-dinitrofenilidrazoni sono estratti con acetonitrile e sono analizzati mediante HPLC in fase inversa con
rivelatore UV. I tempi di esposizione consigliati per il campionamento sono compresi tra
un minimo di 8 ore e un massimo di 7 giorni in ambiente indoor [6].
Per il campionamento sono state utilizzate tre cartucce:
- La prima denominata “fondo” è rappresentativa delle abituali concentrazioni presenti
nel locale in cui si sono svolte le prove ed è stata campionata nei 5 giorni precedenti le
prove;
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studi&ricerche
- La seconda cartuccia denominata “5 giorni” è stata posta all’interno del locale per 5
giorni in cui la stufa è stata gestita come spiegato precedentemente;
- La terza cartuccia denominata “8h” è stata campionata per 8 ore consecutive con la stufa
sempre in funzione (due ricariche consecutive).
Figura 11 - concentrazioni di idrocarburi, medie di 5 giorni, in
locale aerato senza stufa (“fondo”) e con stufa in funzione per
alcune ore del giorno (“5 giorni”)
Figura 12 - Concentrazioni medie di idrocarburi in locale aerato
con stufa in funzione per 8 ore
Figura 13 - Cconcentrazioni medie di idrocarburi espressi
come esano in locale aerato con stufa in funzione per 8 ore
(8h), senza stufa (fondo) e con stufa in funzione per alcune
ore del giorno per 5 giorni (“5 giorni”)
12
In figura 11 sono riportati i risultati ottenuti
durante il campionamento di 5 giorni e confrontati con le emissioni di “fondo”, il dato più rilevante è l’aumento della concentrazione, media
nel tempo, di formaldeide presente nel locale. In
figura 12 sono invece riportate le concentrazioni riguardanti il campionamento “8h” in cui si
ha una concentrazione di formaldeide quindici
volte superiore a quella di fondo e si è riscontrata un’alta concentrazione di acetonitrile non
rilevato invece negli altri due campionamenti.
In figura 14 sono riportate le concentrazioni di
etanolo nel locale dovute all’evaporazione di
una parte del combustibile, mentre in figura 13
sono riportate le concentrazioni degli altri idrocarburi presenti nella stanza ed espressi come
esano.
Va ricordato che per quanto riguarda la formaldeide sono usuali valori di 5-30 μg·m-3 in atmosfera urbana e di 20-200 μg·m-3 in ambiente
indoor.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità
(WHO) ha indicato, come limite massimo di
esposizione alla formaldeide negli ambienti
domestici, 0,1 ppm (pari a 0,12 mg/m3) per 30
min. I valori limite di esposizione STEL riportata da AIDII – Ass. Italiana degli Igienisti Industriali – (limite per breve tempo di esposizione,
una concentrazione media di 15 minuti che non
deve essere superata in qualsiasi momento
durante la giornata lavorativa) per la stessa
sostanza è di 0,3 ppm (0,37 mg/m3).
Figura 14 - concentrazioni medie di etanolo in locale
aerato con stufa in funzione per 8 ore (8h), senza stufa
(fondo) e con stufa in funzione per alcune ore del giorno
per 5 giorni (“5 giorni”)
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RACCOMANDAZIONI
Per concludere si segnalano alcune raccomandazioni per un uso corretto e in sicurezza
degli apparecchi a bioetanolo per uso decorativo così come riportato in [2], [5].
I fuochi e i caminetti (stufe) a (bio)etanolo devono essere posizionati e utilizzati in un
luogo sicuro, garantendo una distanza sufficiente da materiali sensibili al calore o infiammabili (es. legno,carta, tende etc…)
I bruciatori con (bio)etanolo devono essere piazzati, se non ancorati, su una superficie
adatta, in maniera che non possano cadere o essere rovesciati per disattenzione o imperizia.
Nel caso in cui gli apparecchi a (bio)etanolo non siano dotati di un sistema di evacuazione dei fumi di combustione, è indispensabile provvedere a una buona ventilazione
del locale.
Gli apparecchi a (bio)etanolo non dovrebbero essere utilizzati troppo a lungo senza interruzione ed è consigliabile arieggiare i locali d’uso fino a completo spegnimento della fiamma e se possibile anche dopo un uso prolungato.
Non riempire il serbatoio con il combustibile quando questo è ancora caldo: il combustibile a contatto con le parti calde del bruciatore o del camino può infiammarsi; è consigliabile lasciare trascorrere almeno 30 minuti tra lo spegnimento della fiamma e il nuovo riempimento del serbatoio.
Utilizzare sempre l’apposito strumento di accensione o comunque utilizzare sempre accendifiamma dotati di prolunga, senza avvicinare troppo le mani al serbatoio o alla camera di
combustione.
È vietata l’aggiunta di additivi al combustibile.
È consigliato tenere a disposizione una coperta antincendio o un estintore adatto allo spegnimento del (bio)etanolo (es. estintore a CO2 o a schiuma).
RIFERIMENTI
[1] Inquinamento indoor: il contributo della cottura dei cibi. S. Bertagna, G. Migliavacca, La Rivista dei Combustibili, 3 - 2012, 31-38.
[2] Organo di controllo elvetico responsabile per i camini/forni decorativi:
http://www.bfu.ch/Italian/inverkehrbringer/Documents/Merkblatt_Ethanol_Oefen_it.
pdf
[3] Appareils fonctionnant à l’éthanol, Exigences de securité et méthodes d’essai, NF D
35-386 (2009)
[4] Fireplaces for liquid fuels – Decorative appliances producing a flame using ethanol
based or gelatinous fuel, DIN 4734 (2009)
[5] UNI 11518:2013 (“Apparecchi a etanolo – Requisiti e metodi di prova”)
[6] http://www.radiello.com
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rassegne
Il nanoparticolato: emissioni da fonti mobili e tecniche di
valutazione dell’esposizione
Simone Casadei1, Silvia Moroni2
Innovhub-SSI, Divisione Stazione Sperimentale per i Combustibili
Viale A. De Gasperi 3, 20097 San Donato Milanese (MI)
[email protected]
1
AMAT, Agenzia Mobilità Ambiente e Territorio
Via Grazia Deledda 9/A
[email protected]
2
RIASSUNTO
Si riporta una selezione e sintesi dei risultati di alcune ricerche presentate in occasione
del XVII ETH Conference sulle Combustion Generated Nanoparticles, tenutosi presso
l’Università ETH di Zurigo dal 23 al 26 giugno 2013.
Le presentazioni, disponibili al link http://www.lav.ethz.ch/nanoparticle_conf/Former
sono state selezionate e riassunte in funzione del loro interesse e della loro attualità con
l’obiettivo di riportare un focus sulle emissioni di nanoparticolato da motori a combustione interna e sulle tecniche di valutazione dell’esposizione umana.
Nanoparticles: mobile emissions and human exposure assessment
A selection and synthesis of the results of some researches presented during the XVII
ETH Conference on Combustion Generated Nanoparticles (ETH University, Zurich,
23th-26th June 2013) is reported.
The presentations, available at http://www.lav.ethz.ch/nanoparticle_conf/Former were
selected and summarized depending on their interest and their actuality with the aim
of reporting a focus on nanoparticles emissions by internal combustion engines and on
the nanoparticle human exposure assessment techniques.
EMISSIONI
DA MOTORI A COMBUSTIONE
INTERNA
EMISSIONI DA MOTORI
A COMBUSTIONE
INTERNA
Fin dall’introduzione delle prime limitazioni sulle emissioni autoveicolari (oltre trent’anni
fa), l’industria del settore automotive si è mossa in due direzioni per ottemperare al rispetto dei limiti normativi: ottimizzazione delle caratteristiche interne del motore e sviluppo di
dispositivi di post trattamento dei gas di scarico. La Commissione Europea ha imposto il
limite di 130 g/km di CO2 (calcolato come valore medio per la flotta di ogni costruttore)
da raggiungere entro il 2015, e di 95 g/km di CO2 da raggiungere entro il 2020, e sempre
più case automobilistiche, per ridurre i consumi e le emissioni di CO2, hanno introdotto
l’iniezione diretta nei motori a benzina (GDI) in combinazione con il downsizing e il turbocharging del motore. Tuttavia queste implementazioni motoristiche determinano un
incremento delle emissioni inquinanti allo scarico, in special modo di particolato. Se per
le autovetture diesel omologate Euro 5b e Euro 6 il limite da rispettare sull’emissione delle
particelle totali sul ciclo standard è pari a 6*1011 particelle/km, il limite sulle autovetture
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GDI Euro 6 dal 2014 sarà pari a 6*1012 particelle/km e verrà ridotto allo stesso valore del
diesel solo a partire dal 2017. I costruttori hanno cercato di raggiungere questo limite tramite interventi sui motori ma le emissioni su ciclo reale o in condizioni diverse da quelle
in cui vengono condotti i test sul ciclo di omologazione in laboratorio (es. a basse temperature e/o con una guida caratterizzata da continui stop&go) risultano ben superiori a questo limite, come è stato dimostrato in Germania presso i laboratori di ADAC e TÜV Nord,
ove è stata testata un’autovettura ad hoc [1].
Tuttavia nei test svolti sulla medesima autovettura, successivamente all’applicazione di un
filtro ceramico antiparticolato a nido d’ape (GPF), le emissioni del numero totale di particelle si sono ridotte in maniera molto significativa e l’emissione dell’autovettura di prova
è rimasta ben inferiore al limite che sarà vigente dal 2017.
Figura 1
A seguire il filtro è stato usato guidando per
8000 km l’autovettura su strada e l’emissione delle particelle allo scarico si è ridotta
ulteriormente, confermando che solo con
l’ausilio del GPF l’emissione delle particelle
da autovetture GDI potranno abbassarsi al di
sotto dei livelli delle moderne autovetture
diesel (Figura 1).
Presso l’IFP Energies Nouvelles (IFPEN)
sono stati misurati il numero e la distribuzione dimensionale di particelle emesse da un
motore 1.6 l GDI con una linea di scarico
costituita da un catalizzatore a tre vie (TWC)
e da un GPF [2]. Per le misure sono stati utilizzati un DMS 500 Cambustion (range
dimensionale del Dp 5÷1000 nm) direttamente sull’exhaust e, a valle di una diluizione tramite FPS-4000 Dekati, un SMPS + E
Grimm (range 2÷37 nm) e un SMPS con
nano-DMA + CPC 3775 TSI (range 2÷66
nm): per i tre analizzatori utilizzati si è rilevata una soddisfacente consistenza della
misura e una buona ripetibilità eccetto nel
range di nucleazione (10÷40 nm), per via
delle diverse condizioni di diluizione. Si è
constatato come il TWC abbia una buona
efficienza nella rimozione delle particelle
(15÷40% in funzione delle condizioni operative del motore) specialmente sulla moda
nucleazione mentre il GPF ha un’efficienza
di rimozione superiore al 90% sia in condizioni stazionarie che nei transitori.
Figura 2
Infine il motore a benzina è stato integrato con un motore elettrico, di fatto simulando il
comportamento del setting motoristico ibridizzato: i test sono stati condotti su un ciclo
NEDC a caldo e il motore endotermico è entrato in funzione meno del 30% del tempo di
guida, ma con un carico medio molto più alto, dato che il motore non era stato opportunamente adattato per l’ibridazione; il numero delle particelle è stato misurato con il DMS500.
Con l’ibridazione non ottimizzata il numero di particelle emesse è risultato 2.5 volte superiore rispetto alla motorizzazione convenzionale (Figura 2); nonostante ciò l’installazione
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del GPF ha consentito anche nel setting più
critico il rispetto del limite di emissione di
6*1011 particelle/km (Figura 3).
Figura 3
Figura 4
Figura 5
Per quanto concerne le emissioni di particolato da autoveicoli diesel i ricercatori del centro
Jülich hanno determinato e indagato le emissioni di carbonio organico (OC) e di carbonio
elementare (EC) emesse allo scarico di un
moderno autoveicolo diesel dotato di DPF [3].
L’autoveicolo è stato posto in una voluminosa
stanza chiusa a motore acceso per circa un’ora
e la concentrazione di soot nella stanza, con la
rilevazione delle frazioni EC/OC, è stata
determinata tramite il setting sperimentale
sinteticamente descritto in Figura 4. Studi
recenti hanno infatti segnalato la possibilità
che la frazione OC (consistente in composti
organico basso volatili come gli IPA, noti per
i loro effetti negativi sulla salute), che ricopre
il nucleo di EC della particella di soot, possa
superare la barriera del DPF per via dell’evaporazione dovuta alle temperature ben superiori ai 100 °C nel filtro stesso. L’esperimento
ha effettivamente rilevato il passaggio in fase
gassosa della frazione OC attraverso il DPF e
la sua successiva condensazione in aria
ambiente su particelle pre-esistenti, a formare
una frazione del particolato che i ricercatori
hanno definito “white soot”. Ulteriori test
sono stati svolti guidando su un banco a rulli
secondo il ciclo WLTP una BMW 530D alimentata prima con Diesel, poi con diesel ottenuto tramite il processo GTL (Gas to Liquid) e
infine microemulsioni di acqua in gasolio, i cui
risultati sono riportati in sintesi in Figura 5.
L’uso delle microemulsioni diesel per gli
autoveicoli con DPF, oltre a ridurre l’emissione di EC, può prolungare l’intervallo temporale tra una rigenerazione e l’altra del DPF
determinando anche un risparmio di combustibile. Infine la ricerca ha dimostrato la
necessità della riduzione dell’emissione (associata ai fuel utilizzabili per un auto diesel) di
composti organici basso volatili per evitare la
genesi in aria ambiente del “white soot”. I
ricercatori suggeriscono l’implementazione di
un OXY cat aggiuntivo post DPF o comunque
la riduzione della frazione OC delle particelle
di soot tramite opportune ottimizzazioni dei parametri motoristici.
Per quanto concerne l’emissione in numero di particelle dagli autoveicoli diesel, la ricerca si sta spostando al di sotto della soglia dei 23 nm imposti dal protocollo PMP, sviluppa-
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to negli anni scorsi e preso a riferimento metodologico normativo per l’omologazione
degli Euro 5/6. Il National Traffic Safety and Environment Laboratory in Giappone ha
determinato in laboratorio le emissioni di particelle allo scarico di un veicolo commerciale leggero diesel con DPF, di un veicolo pesante con DPF e di un veicolo pesante senza
DPF seguendo la metodologia PMP ma effettuando la misura prima col taglio minimo del
PMP (denominato “PN” e misurato tramite un Horiba Mexa1000SPCS), poi con un taglio
minimo pari a Dp = 2.5 nm (denominato “2.5PN” e misurato tramite un TSI CPC3776) [4].
I valori di 2.5PN sono risultati molto fluttuanti a bassi livelli di termodiluizione del campione (PCRF = 100) per via dell’effetto di ri-nucleazione delle particelle, che può essere
ignorato impostando un PCRF superiore a 1000 (Figura 6). Nel confronto tra i veicoli
pesanti con e senza DPF, nel caso senza DPF il 2.5PN era dello stesso ordine di grandezza del PN (tuttavia il numero delle particelle comprese tra 2.5 e 23 nm è risultato molto
elevato) ma nel caso con DPF il 2.5PN è risultato ben 3 ordini di grandezza superiore al
PN. Si è rilevata, inoltre, una notevole fluttuazione dei valori sia di PN che di 2.5PN in
corrispondenza con le rigenerazioni del DPF.
Per quanto concerne l’evoluzione della normativa relativa alle emissioni di particolato la
Sustainable Transport Unit del Joint Research
Centre (JRC) della Commissione Europea ha
descritto i risultati raggiunti nell’ambito del
Particulate Measurement Programme e presentato i programmi dei lavori futuri previsti
[5]. In generale la misura allo scarico del
numero di particelle verrà adattata ai progressi tecnici degli ultimi anni e verrà estesa alle
particelle emesse durante la rigenerazione del
DPF allo scarico degli autoveicoli leggeri e
dei veicoli off-road. Verranno svolte ricerche
relative alla distribuzione dimensionale delle
particelle emesse sia dai motori e autoveicoli
a benzina che diesel, indagando la natura
(solida o volatile) delle particelle emesse dagli
autoveicoli a benzina, svolgendo anche una
ricerca bibliografica sulla natura fisica e sulla
distribuzione dimensionale delle particelle
emesse per attrito dai freni e dagli pneumatici.
Il JRC coordinerà le attività sperimentali dei
diversi laboratori europei coinvolti nelle ricerche, verificando anche se ci sia un’effettiva
necessità di abbassare il limite inferiore del
range di misura (attualmente D50 = 23 nm)
delle particelle rilevate tramite PMP. In caso
positivo il gruppo di lavoro determinerà un
nuovo appropriato D50 sviluppando una metodologia pratica di misura e definendo nuovi
limiti normativi. Infine verrà determinato se le
misure dell’emissione di particelle durante la
rigenerazione del DPF degli autoveicoli leggeri possa essere realizzata in maniera accurata, ripetibile e riproducibile utilizzando
l’eventuale nuovo limite inferiore.
In relazione alla misura gravimetrica del PM, attualmente la Commissione Europea non
prevede ulteriori modifiche nelle procedure rispetto a quanto stabilito nel PMP. A tal proVolume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
Figura 5
Figura 6
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posito la Ricardo UK ha presentato una valutazione tecnica dell’accuratezza della misura
di PM dalle emissioni allo scarico di autoveicoli di moderna motorizzazione, investigando
la reale necessità che il parametro sia ancora misurato e che questa misura venga ancora
svolta in futuro [6]. L’introduzione della misura sul numero di particelle ha infatti consentito al legislatore di implementare controlli sull’emissione di particelle scendendo al di
sotto del limite di rilevabilità della procedura gravimetrica. Le forti differenze tra le due
modalità di misura si originano poi nella difficoltà della determinazione del contributo
della frazione volatile (HC, solfati, nitrati e acqua) alla misura gravimetrica per via della
forte influenza che i parametri di diluizione (il flusso e la velocità del campione diluito nel
sistema CVS di un laboratorio) e che i sistemi di campionamento (influenza delle caratteristiche del filtro di campionamento e di contaminazioni dal sistema CVS) hanno sull’evoluzione di questa frazione. Tuttavia i ricercatori hanno concluso come abbia ancora un
senso che la misura gravimetrica del PM durante le rigenerazioni dei DPF e soprattutto per
i motori di mezzi pesanti (per i quali un’incompleta decomposizione dei riducenti usati per
l’SCR può dare contributi al PM, non rilevati dal metodo per il PN) sia inserita nei futuri
upgrade normativi.
Figura 8
18
La sessione della Conferenza dedicata agli Health Effects è stata aperta dal Swiss Tropical
and Public Health Institute (University of Basel, Switzerland) con una presentazione relativa all’evoluzione che sta vivendo la scienza che studia l’esposizione degli individui [7].
Quest’ultima, infatti, negli ultimi anni si sta gradualmente modificando rispetto all’approccio ‘tradizionale’, adottato a partire dallo storico studio USA ‘Six Cities’ (Dockery et al.,
1993) fino ai due più recenti progetti di ricerca ‘SAPALDIA’ (svolto in 8 aree della Svizzera) ed ‘ESCAPE’ (che ha analizzato 30 coorti in Europa). I risultati di quest’ultimo studio, che hanno evidenziato importanti effetti sanitari dell’inquinamento da PM10, PM2.5
e da NO2, sono alla base della dichiarazione da parte della WHO (World Health Organization), avvenuta nell’ottobre 2013: l’inquinamento urbano è un agente ‘cancerogeno’ di
livello 1, con particolare riferimento al particolato PM, responsabile di tumori polmonari
e alla vescica. Gli studi svolti con l’approccio ‘tradizionale’ non sono in grado comunque
di spiegare l’80% dei disturbi sanitari cronici e solo il 7-10% delle patologie è correttamente attribuibile agli inquinanti e alle vie di esposizione solitamente considerate.
Gli indirizzi più recenti di questa disciplina la portano pertanto, in primo luogo, a considerare un nuovo concetto di esposizione: l’Exposome’ (che fa il pari con il concetto di
‘genoma’ umano - Rappaport, 2011) ossia la considerazione di tutti i fattori ambientali cui
è esposto l’individuo nel corso della sua vita, a partire dal periodo prenatale e di tutte le
sue personali peculiarità ai fini di valutare le patologie da esso manifestate (Figura 8).
Il secondo elemento di novità dell’approccio
di questa scienza è possibile grazie al grado
di sviluppo raggiunto dalle tecniche di misurazione degli inquinanti ambientali, essendo,
come viene sottolineato, la ‘misura’ degli
stessi ‘fondamentale’ nella valutazione relativa all’esposizione degli individui (Fenske,
2010).
Attualmente la tecnologia permette la misurazione degli inquinanti atmosferici in ‘tempo
reale’ con strumenti di tipo ‘ultra-portatile’,
che consentono di meglio caratterizzare
l’esposizione dell’individuo nei diversi
ambienti ed in particolare ad inquinanti ‘non
regolamentati’ come le particelle ultrafini
(UFP), il Black Carbon (BC) e gli idrocarburi
policiclici aromatici (IPA) (Figura 9).
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Ne sono un esempio le più recenti misurazioni ambientali effettuate nell’ambito del progetto SAPALDIA, presentate da un altro ricercatore del Swiss Tropical and Public Health
Institute (University of Basel, Switzerland)
nella sessione della conferenza relativa alle
Ambient Particles [8]. Con il passare degli
anni, nell’ambito del progetto iniziato nel ‘91,
i parametri di qualità dell’aria considerati in
associazione agli effetti sanitari sono cambiati e, allo scopo di introdurre una valutazione
degli effetti a lungo termine dell’esposizione
alla fonte traffico veicolare, si è passati dal
misurare TSP (Total Suspended Particles) e
BS2.5 (ossia il Black Smoke nel PM2.5) a
valutare PM10, PM2.5, NO2, fino a considerare più recentemente il parametro delle UFP in termini di ‘numero di particelle’ o PN (Particle Number), diametro delle particelle (per Dp > 12 nm) e di Lung Deposited Surface
Area (LDSA). Tali parametri sono stati misurati durante campagne di 1-2 settimane negli
anni 2011-2012 con lo strumento ultra-portatile ‘miniDiSC’ (miniature Diffusion Size
Classifier) che possiede una risoluzione temporale di 1 sec. Lo studio ha evidenziato una
strettissima correlazione tra i parametri PN, BS2.5 e LDSA (Figura 10) che varia, così
come in generale i parametri caratterizzanti le UFP, a seconda delle regioni e delle stagioni considerate dallo studio.
Nella città di Milano, durante il primo anno di
implementazione della Congestion Charge
(denominata ‘Area C’) all’area centrale della
città, AMAT (Agenzia Mobilità, Ambiente e
Territorio del Comune di Milano) ha misurato
le concentrazioni in atmosfera di Black Carbon [9]. Il progetto di monitoraggio, svolto in
collaborazione con SIMG (Società Italiana di
Medicina Generale) e il supporto tecnicoscientifico di professori della Cornell University, Ithaca, NY e della University of Southern
California di Los Angeles, ha contemplato
quattro campagne di misura stagionali svolte
in siti fissi e la valutazione dell’esposizione
personale durante tragitti pedonali su strada
(http://www.amat-mi.it/it/ambiente/qualitaaria/il-progetto-di-monitoraggio-del-blackcarbon/). Lo studio, oltre ad identificare ottime correlazioni tra questo inquinante e i patterns del traffico, ha ottenuto risultati che presentano significatività statistica nella differenziazione delle concentrazioni di Black Carbon tra interno ed esterno di ‘Area C’ in corrispondenza di concentrazioni di PM10 e PM2.5 pressoché invarianti. Ciò consente di evidenziare come la regolamentazione degli accessi nelle zone a traffico limitato produca un
effetto di contenimento delle concentrazioni degli inquinanti legati al traffico veicolare più
tossici, con conseguenti benefici sanitari per la popolazione residente e per chi fruisce di
tali zone della città per i più diversi motivi (lavoro, studio, turismo). Il Black Carbon viene,
infatti, dichiarato “un valido indicatore aggiuntivo per la qualità dell’aria nella valutazione dei rischi per la salute indotti dalle particelle primarie derivanti dal traffico - tra cui i
composti organici - non pienamente presi in considerazione utilizzando solo il PM2.5 in
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Figura 9
Figura 10
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massa” nel rapporto finale del progetto REVIHAAP (‘Review of EVIdence on Health
Aspects of Air Pollution’) promosso dalla WHO. Quest’ultima asserzione è stata evidenziata dal Swiss Tropical and Public Health Institute (University of Basel, Switzerland) nell’intervento introduttivo [10] al Focus Event “How to regulate solid ambient nanoparticles
in the air” a proposito della necessità di fissare dei limiti normativi relativi alla qualità dell’aria più direttamente connessi alla tossicità delle fonti emissive a livello urbano - quali
ad esempio le nanoparticelle derivanti dal traffico veicolare.
Il dibattito su quali parametri regolamentare al fine di meglio tutelare la salute pubblica che dovrebbe avere alla base il principio di precauzione - deve considerare il fatto che i
parametri attualmente normati non rendono debitamente conto delle variabilità spaziali e
temporali dell’inquinamento atmosferico e dei particolari effetti sanitari e meccanismi
indotti da alcune sostanze in esso presenti.
Figura 11
Tra i parametri ‘non normati’ che i risultati
della ricerca scientifica degli ultimi anni candidano alla possibile regolamentazione vi
sono: numero o massa di particelle ultrafini,
superficie specifica delle particelle, potenziale ossidativo del PM, soot/black carbon/elemental carbon/diesel particles, metalli, etc.
L’importanza in termini sanitari della natura
chimico-fisica delle nanoparticelle è evidenziata anche dall’University Children’s Hospital (Basel, Switzerland) che illustra gli effetti
dell’esposizione agli inquinanti già durante la
vita prenatale, riallacciandosi al concetto di
‘Exposome’ introdotto in apertura della sessione sugli ‘Health Effects’. Le nanoparticelle
sono infatti in grado di attraversare la placenta durante la gravidanza, giungendo al feto e
determinando parti prematuri e nascita sottopeso. Gli effetti sulla mortalità e sulla morbidità dell’esposizione agli inquinanti atmosferici nella fase pre-natale e post-natale è stata
ben dimostrata per gli inquinanti normati
NO2, O3 e PM (Figura 11), mentre per le nanoparticelle ulteriori studi si rendono necessari
[11].
Figura 12
20
L’Harvard School of Public Health (Boston,
USA) illustra una rassegna dei principali studi
epidemiologici relativi agli effetti a lungo termine dell’esposizione all’inquinamento atmosferico [12], da quello pionieristico condotto
nei primi anni ‘70 sulla mortalità negli adulti
in sei città degli USA (noto come ‘Six Cities
Study’) ad una più recente ricerca svolta in
Germania (NLCS Air Study), che ha considerato in particolare anche l’esposizione al traffico veicolare di prossimità.
Il rischio relativo per l’esposizione a lungo termine ad un incremento di 10 μg/m3 di PM2.5
era pari a 1.14 nello studio delle ‘Six Cities’ statunitensi mentre è pari a 1.06 nel ‘NLCS
Air Study’ tedesco, così come nella media di tutti gli studi considerati nella review pubblicata da Hoek et al., 2013 (Figura 12). Viene citata, inoltre, una recente rassegna della letLa Rivista dei Combustibili
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teratura in materia di effetti sanitari legati
all’esposizione al particolato atmosferico
ultrafine, contenuta nell’HEI Report, 2013
intitolato “Understanding the Health Effects
of Ambient Ultrafine Particles”. Tale studio
conclude che le associazioni tra le concentrazioni di particelle ultrafini in atmosfera (UFP)
e gli effetti sia a lungo termine che a breve termine ‘non sono consistenti’ e soltanto una
‘forte associazione’ tra mortalità acuta per
cause polmonari e cardiovascolari viene
osservata nelle città di Londra, Erfurt, Roma e
Pechino. Si suggerisce che le motivazioni
della mancanza di una correlazione tra patologie imputabili all’inquinamento atmosferico
(Figura 13) e concentrazioni ambientali di
UFP - che pure dovrebbe esserci dato che tali
particelle derivano anche dalle fonti mobili - siano da ricercare nella scarsa disponibilità
di dati di misura di UFP (come emerge dal lavoro di rassegna di Ruckerl et al., 2011) e
dalla maggiore sensibilità di questo inquinante dalla distanza dalla sorgente che crea una
più difficile comparazione tra gli studi.
Figura 13
Figura 14
Si conclude, quindi, suggerendo di cercare di
comprendere e quantificare il contributo delle
nanoparticelle derivanti dalla combustione
all’esposizione alla frazione respirabile
(PM2.5) oltre che di integrare le informazioni
ambientali disponibili a diversi livelli (stazioni fisse, siti di monitoraggio mobili, remote
sensing - dati da satellite, utilizzo dei dati di
uso del suolo, modellistica). Tra queste soluzioni vi è la possibilità di creare reti capillari
di sensori di inquinamento atmosferico in
combinazione con l’utilizzo di modelli statistici. Di quest’ultimo approccio è un’interessante testimonianza l’innovativo progetto,
presentato dal Laboratory for Air Pollution
and Environmental Technology dell’EMPA
(Dubendorf, Switzerland), svolto in collaborazione con alcuni ricercatori del Computer
Engineering and Networks Laboratory dell’ETH di Zurigo [13].
Tale progetto ha consentito di effettuare una
mappatura in tempo reale dell’inquinamento
nella città di Zurigo attraverso l’utilizzo di
strumentazione ultra-portatile integrata con
sistema GPS, che ha permesso di creare un
database georeferenziato delle concentrazioni
di UFP (in termini di PNC - Particle Number
Concentration) nelle diverse aree della città,
andando ad integrare localmente i dati disponibili dalle 10 stazioni della rete fissa
(NABEL), che già evidenziano importanti difVolume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
Figura 15
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ferenze tra le diverse tipologie di sito (Figura 14). L’utilizzo, in cascata ai dati misurati
mediante la rete di sensori mobili, di modelli statistici che considerano i dati relativi
all’edificato urbano, ai flussi di traffico e alle altre sorgenti inquinanti, la topografia e la
configurazione stradale, oltre che i dati meteorologici, ha consentito di realizzare delle
mappe di esposizione stagionali con elevata risoluzione spaziale (Figura 15).
BIBLIOGRAFIA
[1] Friedrich A. (Consultant, Germany) – “Particles from Gasoline Direct Injection Engines: Abatement Options”
[2] Zinola St. (IFP Energies Nouvelles, France) – “Particle Number Characterization
from a Spark Ignition Direct Injection Engine with GPF”
[3] Ehlers Chr. (Forschungszentrum Jülich, Germany) – “Formation of „White Soot“ by
Diesel Cars Equipped with Particle Filters”
[4] Yamada H. (National Traffic Safety and Environment Laboratory) – “Emission of sub
23 nm Particles from DPF Diesel and GDI”
[5] Riccobono F. (European Commission, Ispra, Italy) – “The Future of the Particulate
Measurement Programme”
[6] Andersson J. (Ricardo, UK) – “The Future of Particulate Mass Measurements”
[7] Tsai M. (Swiss Tropical and Public Health Institute, University of Basel, Switzerland)“Bridging the Gap: Bringing Measurements Closer to Health Effects”
[8] Phuleria H. (Swiss Tropical and Public Health Institute - University of Basel, Switzerland) – “Spatiotemporal variation of particle number & surface area concentration in four Swiss areas & its relationship with mass measurements”
[9] Moroni S. (AMAT - Agenzia Mobilità, Ambiente e Territorio, City of Milan, Italy) ”Airborne Black Carbon and Traffic Patterns during the First Year of ‘Area C’ LEZ
in Milan”
[10] Kuenzli N. (Swiss Tropical and Public Health Institute - University of Basel, Switzerland) - “How to regulate solid ambient nanoparticles in the air. Introduction: Setting
the stage - Linking Policy with Science”
[11] Frey U. (University Children’s Hospital, Basel, Switzerland) - “Effect of Air Pollution
on newborns. Focus: specific vulnerability and public health effects”
[12] Dockery D. W. (Harvard School of Public Health, Boston, USA) - “Lessons from Epidemiologic Studies of Ambient Fine and Ultrafine Particles”
[13] Hueglin C. (EMPA, Dubendorf, Switzerland) - “Real-time Mapping of Air Quality in
Cities for Improved Exposure Estimation“
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notizie SSC
L’ENGINE EXHAUST PARTICLE SIZER
ENTRA A FAR PARTE DELLA
STRUMENTAZIONE DI RICERCA DEL LEA
In dicembre 2013 il LEA (Laboratorio Emissioni
Autoveicolari) della Divisione SSC ha ampliato la propria dotazione strumentale acquisendo un nuovo strumento per la misura dell’emissione di particelle.
L’EEPS (Engine Exhaust Particle Sizer), prodotto dall’americana TSI, è un analizzatore che determina il
numero e la distribuzione dimensionale delle particelle
presenti nel flusso gassoso.
Rispetto ad altri analizzatori l’EEPS offre un ampio
range di misura (5,6-560 nm) consentendo un elevato
livello di dettaglio della distribuzione delle particelle
ultrafini e delle nanoparticelle emesse allo scarico degli
autoveicoli. Usato in parallelo con l’ELPI (Electrical
Low Pressure Impactor), già presente in laboratorio e il
cui principio di misura è differente, questo upgrade
Strumentazione per la misura dell’emissione di particolato all’interno della sala prove del LEA
Grafico di confronto tra le distribuzioni di nanoparticolato
da ELPI ed EEPS. Con il nuovo strumento in dotazione
possiamo estendere il range di misura al di sotto dei 7 nm
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strumentale consentirà al laboratorio di estendere il
limite dimensionale inferiore dell’analisi del nanoparticolato, come si può vedere nel grafico qui a lato, garantendo contemporaneamente una maggior precisione
della misura.
La ricerca internazionale sugli effetti sulla salute di particelle con diametri aerodinamici sempre più piccoli
(negli ultimi anni l’attenzione si è spostata dalle particelle fini, alle ultrafini per arrivare allo nanoparticelle
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notizie SSC
con Dp < 30÷40 nm) spinge infatti la normativa verso
vincoli progressivamente stringenti sulle emissioni di
particolato da fonti mobili richiedendo misurazioni
sempre più accurate che permettano di caratterizzarne
al meglio l’emissione allo scarico dei veicoli e dei
motori in generale, rispetto al passato non più solo in
termini di massa ma anche di caratteristiche fisico-chimiche e morfologiche.
Inoltre, riducendosi le emissioni in massa di particolato
allo scarico, le misure gravimetriche di PM sono soggette ad errori crescenti ed è oggetto di discussione la possibilità di considerare in futuro, come parametro caratterizzante le emissioni di particolato da autoveicoli, la sola
concentrazione in numero di particelle con diametro
aerodinamico minimo ancora inferiore rispetto a quanto
attualmente in vigore per l’Euro 5/Euro 6 (23 nm).
In questo dinamico quadro generale si contestualizza il
necessario continuo aggiornamento della strumentazione del LEA, in particolare per quanto riguarda, appunto, la misura delle particelle. L’EEPS consente di
visualizzare in tempo reale ed acquisire in continuo la
distribuzione dimensionale del particolato presente nel
flusso gassoso nell’intervallo di misura, con la risoluzione del tempo più veloce disponibile (1Hz).
Lo strumento visualizza le misurazioni in 32 canali
totali e opera in un ampio intervallo di concentrazione
delle particelle (fino a 200 particelle/cm3), inoltre lavora a pressione ambiente per evitare l'evaporazione di
particelle volatili e semivolatili e non richiede l’uso di
aria sintetica o compressa.
L’acquisizione performante di dati da parte dello strumento permette di indagare con un buon grado di accuratezza le variazioni delle emissioni di particolato durante i transitori (cambiamenti di velocità, della coppia o del
carico del motore) oltre a consentire un’analisi dettagliata delle fasi di guida più critiche in termini di emissioni,
come i primi secondi di un avviamento a freddo o durante la rigenerazione di un filtro antiparticolato.
Angela Maggioni, Davide Merlo
L’ATTIVITÀ DELLA DIVISIONE
COMBUSTIBILI PER IL REACH
Il 16 ottobre 2013 si è tenuto presso la Camera di
Commercio di Milano (Palazzo Turati) un convegno,
organizzato dal Servizio Ambiente ed Ecosostenibilità
della CCIAA di Milano, AssICC in collaborazione con
Innovhub-SSI, per presentare la nuova edizione della
GUIDA REACH 2013. Per Innovhub-SSI erano presenti il Presidente Alessandro Spada per l’apertura dei
lavori e Lucia Gigante per presentare alle imprese i servizi offerti da Innovhub-SSI in qualità di SIT/REACH.
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La Guida REACH è distribuita gratuitamente anche
presso la Divisione Combustibili.
Al link
http://www.youtube.com/watch?v=qqsGq6tH0Y8 si
può visualizzare il filmato dedicato all’evento.
Il 25 ottobre 2013 si è tenuto il II Workshop “I Regolamenti REACH e CLP: obblighi e novità per gli utilizzatori finali delle PMI” organizzato da ASL Milano 2.
Lucia Gigante della Divisione Combustibili ha presentato i servizi di Innovhub-SSI di assistenza per il
REACH. Tutte le presentazioni della giornata sono scaricabili al link
http://www.aslmi2.it/web/documenti.nsf/vw107/24EC
CFF6DDA7C32CC1257C190052B7C4?OpenDocument&restricttocategory=Aziende@
In data 19 novembre 2013 presso Assolombarda si è
tenuto l’incontro informativo “Reach e aziende a
rischio di incidente rilevante - Prepararsi al 2015 e
alla Seveso Ter” al quale hanno partecipato esperti della
Divisione Combustibili di Innovhub-SSI. Durante
l’evento si è discusso di quali possano essere le ripercussioni del regolamento REACH sulla normativa delle
aziende a rischio di incidente rilevante. In particolare, nel
2015 l’Italia dovrà applicare le nuove regole della Direttiva “Seveso Ter” che recepisce la disciplina REACH e
CLP nella normativa per le aziende a rischio di incidente rilevante: variando campo di applicazione, si potrebbe
determinare l’estensione delle imprese interessate.
Tutta la documentazione relativa al workshop è reperibile sul sito di Assolombarda.
Il 16 dicembre 2013 presso la sala convegni della
Biblioteca Nazionale Centrale di Roma si è tenuta la IV
Conferenza Nazionale sul Regolamento REACH.
Tra i relatori della giornata c’è da segnalare la presenza
del Ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato e di altre importanti autorità.
L’evento è stato trasmesso in diretta streaming sul sito
dell’ISPRA e pertanto gli addetti ai lavori che non
hanno potuto recarsi a Roma, hanno avuto comunque la
possibilità di seguire gli interventi più interessanti. Da
sottolineare nella sessione pomeridiana l’intervento di
Vincenzo Zezza del MiSE, coordinatore delle attività
degli Sportelli Informativi Territoriali per il Reach
(SIT-REACH), e quello di Paolo Guazzotti in qualità di
rappresentante dei SIT-REACH. Con la sua presentazione Guazzotti ha voluto descrivere l’esperienza dei
SIT-REACH e l’importanza del ruolo che essi hanno
soprattutto per le PMI.
Eventuali informazioni sui SIT-REACH e sui servizi da
essi erogati possono essere reperiti al seguente link:
http://www.innovhub-ssi.it/servizi-reach-per-le-imprese
Lucia Gigante, Christian Pasturenzi
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web
Ultimi aggiornamenti sul sito www.ssc.it
Tiziana Zerlia
NORMAZIONE SSC
Pubblicate le RELAZIONI presentate alla Riunione dei partecipanti alle attività riguardanti i prodotti petroliferi, promosse dalla Commissione UNICHIM “PRODOTTI
PETROLIFERI e LUBRIFICANTI” (13 Novembre 2013)
Impiego del Bioetanolo nella Benzina (S. Bozzi)
Influenza della materia prima sulle caratteristiche del biodiesel (V. Stanisci)
Study of biodiesel solid contaminants by means of scan electron microscopy
SEM. (P.Bondioli)
Armonizzazione specifiche Jet Fuel (A.Bonini)
Evoluzione delle norme tecniche europee (F. Del Manso)
GPL e numero di metano (P.Comotti)
Residui all’evaporazione nel GPL (M. Alpini)
Aggiornamento metodi DCN & Attività CEN/TC 19/WG35 (D. Faedo)
Prove Interlaboratorio 2014 (D. Faedo)
Le relazioni al LINK: www.ssc.it/it/documentazione/documentazione_tecnica/
combustibili_energia_ambiente_sicurezza_SSC.shtml
FOCUS ON .......REFINING
Performance ambientali del Petroleum Refining: un punto di forza per il green label
(T. Zerlia)
Come anticipato nel precedente numero di questa Rivista, lo studio è disponibile al LINK:
www.ssc.it/pdf/2013/ID223_Performance_ambientali_Petroleum_%20Refining_green_
label_TZ_nov2013.pdf
INTERNATIONAL COAL & CLIMATE SUMMIT - Warsaw on 18-19 - November 2013
La World Coal Association ha ospitato a Warsavia l’’International Coal & Climate Summit’
che ha visto la partecipazione dei maggiori produttori di carbone e dei principali stakeholders (policy-makers, business leaders, mondo accademico e Organizzazioni non Governative NGO) per discutere il ruolo del carbone nello scenario dominato dalla global economy alla luce dell’agenda legata al climate change.
Quattro le sessioni di discussione:
Global perspectives on coal and climate
Policy context for clean coal in the EU
Breakthroughs in clean coal technologies
Financing and international cooperation on clean coal technologies
Le relazioni al LINK:
www.worldcoal.org/resources/international-coal—climate-summit-2013/internationalcoal—climate-summit/
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dal mondo accademico
Da Fresnel a Solvay
La sintesi della soda all’ammoniaca
Marco Taddia
Dipartimento di Chimica "Giacomo Ciamician", Università di Bologna
Via F. Selmi 2, 40126 Bologna
[email protected]
Figura 1
Ernest Solvay
nel 1870
Il nome della Solvay è noto anche a coloro che sono digiuni di chimica perché è diventato con il tempo sinonimo di soda e di bicarbonato di sintesi.
L’anno scorso si è celebrato il 150° anniversario di quest’azienda, un colosso che ha diversificato ed esteso a tal punto la produzione da raggiungere una posizione dominante a livello mondiale. La Solvay &Cie nacque in Belgio il 26 Dicembre 1863 per iniziativa dei fratelli Solvay, Ernest (Rebecq-Rognon1838- Bruxelles 1922) (Figura 1) e Alfred (RebecqRognon1840-Bruxelles1894), con lo scopo di produrre industrialmente la soda utilizzando
il brevetto ottenuto il 12 Settembre 1863 da Ernest Solvay.
La presenza dell’ammoniaca fra le materie
prime, accanto al sale marino ed al calcare,
portò a definirla soda “all’ammoniaca”.
Va detto subito, però, che non fu Solvay a
inventare la reazione alla base del processo
ma qualcun altro il cui nome non è noto con
certezza. L’ipotesi più accreditata è quella che
l’attribuisce ad Augustin Fresnel (Broglie,
1788 – Ville-d’Avray, 1827) lo scienziato che
prima di dedicarsi all’ottica fisica s’interessò
di chimica.
Anche se la documentazione è molto carente,
si pensa che Fresnel sia giunto a questa reazione nel 1811, tre anni prima di passare all’ottica. Anche Solvay, rievocando la nascita della
soda all’ammoniaca lo cita in proposito [1].
Questo lavoro ripercorre la storia della soda
all’ammoniaca dedicando tuttavia la maggior
parte dello spazio a Ernest Solvay perché,
primo fra i tanti, riuscì nell’intento di produrre in quel modo la soda industriale.
Benché oggi la soda si ottenga principalmente dal minerale trona, carbonato acido di sodio
biidrato di formula (Na3(CO3)(HCO3)·2(H2O),
o dal Natron (Na2CO3·10H2O), presenti nei
depositi naturali (Figura 2), l’impresa di Solvay rimane un esempio di straordinaria laboriosità d’interesse non solamente storico.
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LA SODA LEBLANC
Prima di essere prodotta industrialmente, la
soda veniva estratta dalle ceneri di piante a
salinità elevata e dai depositi minerali lacustri.
L’impulso alla ricerca di un processo industriale per ricavare la soda dal sale marino
venne dall’offerta di un premio da parte dell’Académie des Sciences, nel 1776. Nessuna
proposta fu soddisfacente e il concorso fu
ribandito più volte. Nicolas Leblanc (17421806), un chirurgo appassionato di chimica e
cultore di cristallografia, iniziò ad occuparsi
del problema a partire dal 1784 . Il 27 marzo
1790 depositò la sua soluzione e ottenne il
brevetto il 25 settembre 1791 [2]. Le materie prime erano il sale marino, l’acido solforico,
il carbone e il carbonato di calcio. Il sale marino veniva convertito in solfato di sodio (sale
di Glauber) per mezzo dell’acido solforico. Dal solfato si passava alla soda trattandolo
con carbone e carbonato di calcio in forno a riverbero. Il prodotto era in realtà una miscela nerastra di carbonato, solfuro e impurezze varie (ca. 20% Na2CO3). A partire dal 1814
le fabbriche di soda Leblanc (Figura 3) si diffusero anche in Gran Bretagna, dove si riuscì
a migliorare la resa della cosiddetta Black ash (ca. 45% Na2CO3 ). In breve la soda Leblanc
trionfò sul mercato, benché i sottoprodotti della sua fabbricazione (acido cloridrico gassoso e solfuro di calcio che, con le piogge acide, sviluppava acido solfidrico) fossero gravemente inquinanti.
Figura 2
Deposito di
Natron
Le fabbriche si attrezzarono gradualmente per contenere i danni arrecati all’ambiente ma
solo nel 1863 la legge nota come AlkaliAct impose loro di recuperare il 95% dell’acido cloridrico [3]. Durante i primi anni di applicazione della legge lo smaltimento dell’acido cloFigura 3
Impianti di una
fabbrica di soda
Leblanc
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dal mondo accademico
ridrico acquoso recuperato dai condensatori costituiva per gli industriali un problema economico. Non si sapeva come utilizzarlo e il suo trasporto era oneroso. Così si tentò in ogni
modo di ricavarne cloro. Si deve a Gossage il brevetto (BP 7416/1837) che ricorrendo
all’ossidazione con biossido di manganese era in grado di recuperare lo stesso ossidante
dopo aver trasformato il cloruro di manganese (MnCl2) in idrossido e fatto reagire questo
con l’ossigeno dell’aria. La realizzazione industriale si ebbe con Weldon nel 1866 e fu perfezionata da Deacon e Hurter nel 1882. La produzione del cloro e del cloruro di calce, da
usarsi specialmente come sbiancante, rese ancor più favorevole agli industriali l’applicazione dell’AlkaliAct.
Il solfuro di calcio, insieme con altri sottoprodotti e scorie di lavorazione contenenti metalli pesanti veniva accumulato all’aperto, emanando un puzzo alquanto sgradevole. Ciò si
spiega perchè venendo in contatto con le piogge acide o l’aria inquinata di acido, il solfuro liberava disolfuro d’idrogeno (acido solfidrico), tossico e maleodorante. Si tentò di
recuperare lo zolfo in diversi modi. Il processo che dava i migliori risultati fu quello di
Chance-Claus (1882) [3] che prevedeva l’ossidazione con ossigeno dell’acido solfidrico in
presenza di catalizzatore. Ma era ormai troppo tardi e il processo che prenderà il nome di
Solvay stava ormai soppiantando quello di Leblanc.
LA SODA SOLVAY
I primi tentativi di preparare la soda dal sale marino con l’aiuto dell’ammoniaca si fanno
risalire ad Augustin Fresnel (Broglie, 1788 – Ville-d’Avray, 1827). Manca una documentazione chiara ed esauriente ma da uno scambio di lettere con lo zio Leonor Mérimée
(pittore e segretario della Scuola di Belle Arti) che per Augustin era un secondo padre,
si deduce che il nipote aveva tentato di preparare la soda in tal modo e che Mérimée
aveva sottoposto il procedimento al giudizio di autorevoli chimici come Louis Nicolas
Vaquelin (1763-1829), Pierre Jean Joseph Darcet (1777-1844) e Louis Jacques Thénard
(1777-1857). Nelle lettere di Mérimée (5 agosto 1811, 31 ottobre 1811 e 20 marzo 1813)
[4] si legge, fra l’altro, che Darcet aveva tentato di riprodurre l’esperimento di Augustin
ma che non vi era riuscito, forse perché non aveva operato nello stesso modo. Del giudizio di Vaquelin nulla si dice, se non che l’interessato aveva ancora tra le mani la lettera di Augustin e che era occupato con altri esperimenti. Di Thenard si sottolineava l’interesse e la curiosità di leggere la memoria finale. Nella lettera del marzo 1813 lo zio
sollecita il giovane Fresnel a inviargli una memoria che “racconti” gli esperimenti effettuati e i ragionamenti conseguenti. Vaquelin avrebbe fatto da “referee”, poi la memoria
sarebbe stata sottoposta agli Annales de Chimie. Non risulta che Augustin l’abbia mai
portata a termine o che abbia pubblicato alcunché in proposito. Nella lettera del 1813 c’è
anche il parere di Thenard che riteneva poco economico il processo di Augustin in quanto necessitava del “muriato” d’ammoniaca (cloruro d’ammonio) fabbricato da pochi. Si
fa cenno anche alle tabelle di solubilità comparativa che Augustin desiderava e che Thenard e Gay-Lussac non gli fornirono perché avevano bisogno di conferma. Secondo
Charles Fabry (1867-1945) che commemorò Fresnel nel centenario della morte, nonostante le scarse informazioni disponibili si poteva dire che “le sue indicazioni fanno irresistibilmente pensare al processo Solvay” [5]. Negli anni seguenti vi furono parecchi
tentativi di trasferire il processo su scala industriale. Quello che portò i migliori risultati si deve a Harrison Grey Dyar (New York, 1805–1875) e John Hemming [6]. In data 30
giugno 1838 ottennero il brevetto inglese e, circa un anno dopo, l’intermediario Pierre
Delaunay Deslandes (1726-1803), direttore della Saint-Gobain, brevettò il loro processo anche in Francia. Il 24 giugno 1839 seguì quello negli U.S.A. [6]. Il punto debole
rimaneva, tuttavia, il recupero dell’ammoniaca. Altri si cimentarono nell’impresa e tra
questi il belga Ernest Solvay, figlio di Alexandre and Adèle Hulin. Come curiosità, si
ricorda che Rebecq Rognon, il paese natale dei fratelli Solvay, è gemellato con il comu28
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ne appenninico di Monghidoro (BO). Nulla a che fare con la soda ma bensì con l’emigrazione di un nutrito gruppo di cittadini di Monghidoro che da quelle parti, specialmente a Quenast, trovarono il lavoro che mancava in patria presso l’enorme cava di porfido
a cielo aperto nota come la carrière [7]. Le vicende che portarono alla nascita e allo sviluppo dell’industria della soda le ricostruì lo stesso Ernest Solvay in una conferenza
tenuta a Berlino il 5 giugno 1903 durante il V Congresso di Chimica Applicata [1].
Ernest Solvay era un autodidatta perché le sue condizioni di salute non gli avevano permesso di frequentare a lungo la scuola. Nel 1859, all’età di circa ventun’ anni, fece il
suo ingresso come “apprendista” dirigente nell’officina per la produzione del gas illuminante posseduta dallo zio. È noto che il gas veniva ricavato dalla distillazione del carbon
fossile e che un sottoprodotto interessante erano le cosiddette “acque ammoniacali”.
Ernest studiava il modo di sfruttarle e mentre tentava di ricavarne bicarbonato d’ammonio le fece reagire con sale marino, un prodotto con il quale aveva una particolare dimestichezza perché il padre lo raffinava industrialmente. La reazione di precipitazione che
ne derivava portava al bicarbonato di sodio da cui, per riscaldamento, era possibile giungere al carbonato. Convinto della validità della sua invenzione la fece brevettare nel suo
Paese il 15 aprile 1861.
A quel tempo era abbastanza facile ottenere il brevetto in Belgio. Ernest pensò a un processo industriale e incominciò a impegnarsi per metterlo a punto. Volendo poi confermare, anche su sollecitazione di altri, che aveva effettivamente inventato qualcosa di
nuovo, svolse ricerche bibliografiche più accurate e si accorse che qualcuno l’aveva preceduto. Per nulla scoraggiato, il giovane Solvay si dedicò al miglioramento del procedimento e a perfezionare le attrezzature, rivendicando tali novità piuttosto che le reazioni.
A tale scopo richiese un secondo brevetto belga che l’ufficio gli concesse il 12 settembre 1863. Nel dicembre dello stesso anno nacque, con un capitale iniziale di 136.000
franchi belgi, la Solvay &Cie, una società in accomandita semplice che si proponeva di
produrre la soda in una fabbrica da costruire a Couillet. Alcuni soci accomandanti erano
personaggi piuttosto influenti, come l’industriale e politico Eudore Pirmez (1830-1890)
che diventerà anche direttore della Banca del Belgio. I fratelli Solvay, Ernest e Alfred,
tra loro molto legati, erano soci accomandatari. Con loro vide la luce quella “multinational family firm” le cui vicende sono narrate in un poderoso volume di recente pubblicazione che si caratterizza non solo per la mole ma anche per la vastità delle ricerche, la
ricchezza di dati, notizie e preziose citazioni [8]. La Solvay diventerà un’accomandita
per azioni nel 1874. La fabbrica entrò in attività il 1° gennaio 1865. Le cose non andarono subito per il meglio e la produzione procedeva fra alti e bassi, anche perché le apparecchiature necessitavano di robusti miglioramenti. Dai disegni di Louis-Philippe Acheroy capo-tecnico della Solvay si ha un’idea della loro evoluzione rispetto ai primi tentativi. Nel 1866 la fabbrica produceva 1500 Kg di soda al giorno e nel 1867 fu possibile
distribuire il primo dividendo. Una svolta decisiva si ebbe nel 1869 quando entrò in azione la cosiddetta “colonna Solvay” cioè la torre dove l’anidride carbonica veniva mandata a reagire con la salamoia attraverso un percorso in controcorrente. Nel 1872 iniziò la
collaborazione con Ludwing Mond (1839-1909) e l’esportazione del procedimento in
Inghilterra. Il sorpasso del processo Leblanc si ebbe fra il 1889 e il 1893.
Il processo Solvay prevede innanzitutto l’assorbimento dell’ammoniaca gassosa in una
salamoia di cloruro di sodio. La soluzione risultante viene investita (nella torre Solvay)
da una corrente di anidride carbonica. Questa provoca la precipitazione del bicarbonato
di sodio mentre il cloruro d’ammonio resta in soluzione. Si separa il bicarbonato per filtrazione e lo si scalda per ottenere carbonato. L’anidride carbonica si ottiene per decomposizione termica del calcare mentre l’altro prodotto (ossido di calcio) serve per recuperare l’ammoniaca dal cloruro d’ammonio. L’ammoniaca rientra in ciclo e l’unico sottoprodotto non utilizzato direttamente è il cloruro di calcio in soluzione.
Anche l’anidride carbonica proveniente dal riscaldamento del bicarbonato rientra in
ciclo (Figura 4).
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dal mondo accademico
Figura 4
Reazioni del
processo Solvay
Quando si parla di fabbriche Solvay è d’obbligo
ricordare la politica che la Società attuò verso i
dipendenti, specialmente riguardo alla sicurezza
sociale e ad altre importanti provvidenze, con
largo anticipo rispetto alle disposizioni di legge
di molti Paesi. É importante però precisare che
un rapporto della Commissione Belga per il
Lavoro (1886) aveva criticato la Solvay per il
trattamento del personale [8], che il clima rivendicativo dell’epoca spingeva, tra disordini e
scioperi, ad accogliere le istanze operaie e che
la Germania si era già mossa in tal senso. In
questo Paese, specialmente per iniziativa del
cancelliere Otto von Bismark (1815-1898),
furono introdotte per legge, nell’arco di soli sei
anni (1883-1889): l’assicurazione malattia
(1883) , l’assicurazione sul lavoro (1884) nonché l’invalidità e la pensione (1889). In Solvay
l’indennità malattia e quella di invalidità furono concesse dal 1878, la cassa pensione fu istituita nel 1889, la giornata di otto ore nel 1907 e le ferie pagate nel 1913 [9]. All’elenco dei
benefici di carattere previdenziale o legati alla vita di fabbrica occorre aggiungerne altri, erogati dalla società al fine di promuovere condizioni di vita dignitose secondo un modello di vita
standard. Così si passò alla costruzione di villaggi residenziali per operai ed impiegati. Le abitazioni venivano affittate ai dipendenti a prezzi molto bassi o addirittura cedute in uso gratuito. La società si occupava anche della manutenzione degli edifici e della fornitura di energia
elettrica a prezzi ridotti. Un’attenzione particolare era riservata ai servizi sociali, come scuole, impianti sportivi ed ospedali. Era favorita anche la costituzione di cooperative di consumo
gestite dai dipendenti stessi. L’insediamento italiano della Solvay, nel comune italiano di Rosignano, ricalcò il suddetto modello [9]. A proposito di questo insediamento non si può dimen-
Figura 5 - Partecipanti alla Conferenza Solvay 1911
Seduti (S-D): Walther Nernst, Marcel Brillouin, Ernest Solvay, Hendrik Lorentz, Emil Warburg,
Jean Baptiste Perrin, Wilhelm Wien, Marie Curie, Henri Poincaré.
In piedi (S-D): Robert Goldschmidt, Max Planck, Heinrich Rubens, Arnold Sommerfeld,
Frederick Lindemann, Maurice de Broglie, Martin Knudsen, Friedrich Hasenöhrl,
Georges Hostelet, Edouard Herzen, James Hopwood Jeans, Ernest Rutherford,
Heike Kamerlingh Onnes, Albert Einstein, and Paul Langevin.
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ticare che in cambio dei rilevanti vantaggi economici per i residenti, il territorio della Val di
Cecina pagò un prezzo elevato in termini di sfruttamento delle risorse naturali e di degrado
ambientale [9]. Resterebbe molto da dire su questa impresa industriale e soprattutto sul suo
fondatore Ernest Solvay ma ciò esula dagli scopi del lavoro e si rimanda ad altra pubblicazione [10 ]. Qui si può ricordare che quando la Solvay raggiunse i risultati sperati, il fondatore
si buttò a capofitto negli studi sociologici e scientifici da cui si sentiva attratto e divenne promotore nonché mecenate di iniziative culturali di prim’ordine. Tra queste la fondazione di Istituti Scientifici e l’organizzazione di Conferenze Internazionali che da lui presero il nome e
alle quali partecipavano anche molti premi Nobel (Figura 5). Ma Solvay non si accontentò di
questo. Intendeva dare il proprio personale contributo “politico” e scientifico. Elaborò un dettagliato piano sociale [11] e presentò memorie che talvolta ponevano in discussione leggi e
principi scientifici consolidati [12]. Gli scienziati dell’epoca le contestarono o fecero orecchie
da mercante ma lui sembrava refrattario alle critiche e proseguiva per la sua strada. Questa
eccessiva considerazione di sé ne offusca tuttora la grandezza ma nulla toglie al valore della
sua impresa industriale. Essa ebbe successo anche per la fiducia che il fondatore poneva nei
propri mezzi e che poi purtroppo debordò.
Come osservazione finale si può aggiungere che i giovani protagonisti di questa storia, Augustin Fresnel ed Ernest Solvay, non erano chimici ma subirono, seppure in via transitoria, il
fascino della chimica intesa come esplorazione dei segreti della materia. Scrivendo al nipote
Augustin, laureato in ingegneria, Mérimée gli diceva: “Sono ben contento che ti occupi di chimica: è un modo per riempire i momenti di vuoto che, malgrado le tue notevoli occupazioni,
sarebbero comunque difficili da sopportare”. Raccontando come nacque la sua soda all’ammoniaca, Solvay scrisse : “Il punto di partenza di questo risultato non fu dunque un insegnamento scientifico, dato che non ero né ingegnere né chimico e conoscevo semplicemente le
leggi di Berthollet”. Che dire? Erano altri tempi e oggi, per dare un contributo originale alla
scienza e all’industria, occorrono anni di studio e di specializzazione ma non è detto che questo basti e soprattutto che l’inventiva sia una prerogativa dei soli addetti ai lavori.
BIBLIOGRAFIA
[1] Solvay E., 1903. Coup d’oeil rétrospectif sur le procédé de fabrication de la soude a
l’ammoniaque, Imprimerie Veuve Monnom, Bruxelles, 1903, p. 6
[2] M. Taddia, La Chimica e l’Industria, 89(2), 108 (2007)
[3] M. Taddia, Sapere, 74(4), 60 (2008)
[4] L. Mérimée L., Lettre (Léonor Mérimée à son neveu A. Fresnel), 1811, in Senarmont
(De) H., Verdet E., Fresnel L., 1868. Oeuvres completes d’Augustin Fresnel, Tome
deuxième, Imprimerie Impériale, Paris, 1868, p. 810 e segg.
[5] E. Picard, H.A. Lorenz, C. Fabry , Discours cérémonie du centenaire de la mort de
Augustin Fresnel à la Sorbonne le jeudi 27 octobre 1927. Série Institut (Paris), 192733; Palais de l’Institut, Paris
[6] J. Hemming, H.G. Dyar, Improvement in the mode of manufacturing carbonate of
soda, United States Patent Office, Letter Patent No.1,191 (1839)
[7] V. Comellini, Voci e volti, Bologna (Stampa Tipo Arte sas-Ozzano dell’Emilia), 2010, p. 179
[8] K. Bertrams, N. Coupain, E. Homburg E., 2013. Solvay. History of a multinational
family firm, Cambridge University Press, Cambridge, 2013
[9] B. Cheli, T. Luzzati, 2010. La Solvay in Val di Cecina, Edizioni Plus – Pisa University Press, Pisa, 2010, p. 32
[10] M. Taddia, Solvay (1865-2013) – L’impresa e il leader fondatore, Atti del XV Convegno Nazionale di Storia e Fondamenti della Chimica, Bologna, 18-20 Settembre
2013 Aracne, Roma, p. 31
[11] E. Solvay, Notes sur le productivisme et le comptabilisme, Lamertine, Bruxelles, 1900
[12] E. Solvay, Sur l’Etablissement des Principes fondamentaux de la Gravito-Materialitique, Bothy, Bruxelles, 1911
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responsabilità sociale
Le interviste sostenibili
Ne parliamo con Massimo Ramunni (Assocarta)
a cura di Daniele Bussini1 e Paolo Lopinto2
ISSI – Divisione Stazione Sperimentale Carta, Cartoni e paste per carta
Via Giuseppe Colombo 83, 20133 Milano
[email protected]
1
ISSI – Divisione Stazione Sperimentale per i Combustibili
Viale Alcide De Gasperi, 3, 20097 San Donato Milanese (MI)
[email protected]
2
Nell’ambito del progetto CSRLAB di INNOVHUB-SSI (Call for ideas) nella giornata di
venerdì 5 luglio 2013 è stata condotta un’intervista al Dott. Massimo Ramunni, Vice-direttore di ASSOCARTA, l’Associazione imprenditoriale di categoria che aggrega, rappresenta e tutela le aziende che producono in Italia carta, cartoni e paste per carta, nonché riferimento per l’associazione stessa presso la sede di Milano sui temi Ambiente, sicurezza,
materie prime, carte per alimenti.
ASSOCARTA aderisce a CONFINDUSTRIA a livello istituzionale nazionale, coprendo
circa l’85% della produzione italiana del settore.
Attraverso la Confederazione Europea dell’Industria Cartaria (CEPI), l’associazione rappresenta gli interessi del comparto e qualifica l’immagine del settore presso le Istituzioni
Comunitarie e internazionali.
L’intervista ha riguardato l’impegno associativo in termini di Corporate Social Responsibility (CSR). L’intervista è stato tuttavia un modo per approfondire l’aspetto della sostenibilità ambientale in tutti i settori non trascurando di fare anche cenni sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro nel settore.
Nel settore cartario il tema CSR è principalmente declinato ed interpretato nei due ambiti
ambiente-sicurezza, essendo comunque un’industria di processo con aspetti ambientali
importanti (ad esempio volumi di materie prime e conseguenti emissioni). La disamina del
Dott. Ramunni si è pertanto calata fin da subito in questi due ambiti venendo incontro alle
richieste di INNOVHUB-SSI rappresentati per l’occasione dal Dott. Paolo Lopinto (Divisione Combustibili) e dal Dott. Daniele Bussini (Divisione Carta).
Considerando come primo indicatore il mondo delle certificazioni, al fine di dare già
un’indicazione della sensibilità delle aziende per i temi ambientali e in termini più ampi di
Responsabilità Sociale, circa il 65-70% della carta prodotta in Italia esce da stabilimenti
con certificazione ambientale ISO 14000. Non esiste invece un sistema radicato di aziende certificate SA8000 (Social Accountability) con l’esclusione di alcuni casi nel settore
cartotecnico. In generale aspetti di responsabilità sociale riguardanti il lavoro minorile o in
nero sono di fatto assenti nell’industria cartaria sul territorio nazionale.
Il territorio, e la presenza su questo dell’industria cartaria, è invece un tema importante che
può impattare sulla Responsabilità Sociale messa in atto dallo specifico stabilimento: sono
aziende che spesso sono fortemente inserite nel tessuto urbano in cui operano, frutto in
molti casi di un’urbanizzazione avvenuta in modo più o meno controllato in fasi successive alla costruzione dello stabilimento. I rapporti con la comunità, in alcuni casi delicati,
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sono tenuti in forte considerazione dall’impianto cartiera che spesso si concretizza in attività di coinvolgimento della popolazione circostante e di dialogo con le autorità locali, attività di sostegno a società no-profit e sportive locali, eventi di informazione con la cittadinanza, per esempio l’iniziativa “Riciclo Aperto” che si tiene annualmente in collaborazione con Comieco.
Durante questo evento alcune cartiere che producono carta riciclata, così come altre aziende della filiera del riciclo della carta, aprono alle scuole, cittadinanza, autorità pubbliche
per informare e valorizzare proprio il messaggio del riciclo. Questo è uno dei punti nei
quali ASSOCARTA punta e punterà nel prossimo futuro: il ruolo sociale delle cartiere che
sono in grado di operare sul territorio lavorando concretamente per risolvere problemi
ambientali nel territorio in cui operano, quale ad esempio quello dei rifiuti, e continuare a
garantire lavoro e sviluppo per la comunità.
La cartiera ha sempre compiuto, tradizionalmente e storicamente, la funzione di riciclo dei
materiali cartari, ben prima che nascessero i consorzi pubblici di settore e prima che i legislatori nazionali e l’Unione Europea stabilissero obiettivi di riciclo.
Ne è derivato in questo modo un beneficio per la collettività e il comune in cui l’impianto
si inserisce, diminuendo di fatto il volume totale di rifiuti urbani da smaltire grazie al riciclo della frazione carta, così come nel raggiungimento degli obiettivi imposti di riciclo
(con implicazioni positive anche economiche).
In questo senso si coniugano bene i tre ambiti CSR (sociale, ambientale ed economico) non
tralasciando nemmeno l’aspetto cruciale (che a sua volta ha implicazioni economiche ed
ambientali) in base al quale un maggiore riciclo permette di ridurre l’importazione di materia prima a base cellulosica ad esempio dal Nord Europa. (l’Italia è il secondo importatore europeo di legno e di cellulosa).
Strettamente connesso alla materia prima è il tema della sostenibilità dell’approvvigionamento.
Partendo dai dati medi di produzione nazionali, la carta come prodotto finito è costituita
per circa un 50% da fibra di riciclo, un 34% da fibra vergine (cellulosa da legno) e la parte
restante da additivi, principalmente cariche minerali (carbonato di calcio, talco) ed amidi.
La risposta a questo tema è quindi fondamentalmente l’utilizzo del macero oppure assicuVolume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
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rarsi che la cellulosa provenga da aree di bosco o piantagioni con
regole che assicurino nel tempo la loro conservazione e corretta
gestione. I due sistemi di regole, FSC (Forest Stewardship Council) e PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes), regolamentano la gestione forestale sui tre aspetti
(ambientale, economico e sociale), rispettandone la biodiversità,
produttività, capacità di rinnovamento, vitalità, mantenendone le
funzioni ecologiche (adeguato sviluppo delle funzioni protettive
nella gestione forestale, in particolare suolo e acqua), economiche
e sociali a livello locale, nazionale e globale e non danneggiando
altri ecosistemi.
Il settore forestale-cartario è l’unico che ha sviluppato dei sistemi di assicurazione della
sostenibilità nel tempo, essendo un settore la cui materia prima è già di per se rinnovabile
(a differenza di risorse in partenza non rinnovabili) e si basa anche su un legame uomomateria prima molto forte perché in sostanza è il legame uomo-natura (ambiente naturale).
Tale rapporto ha naturalmente portato l’industria cartaria europea a mantenere una posizione decisa ed intransigente contro tutte le pratiche di “taglio illegale” delle foreste (non esiste una definizione riconosciuta internazionalmente di “taglio illegale”, ma è necessario
quindi fare riferimento alle singole legislazioni nazionali del luogo di taglio) adottando un
proprio codice di condotta per l’approvvigionamento del legno (anticipando così il Regolamento 995/10).
Nonostante l’utilizzo percentuale minoritario nel settore cartario (l’utilizzo del legno è tale
per cui il 50% viene usato per usi energetici, circa il 34% viene usato per l’edilizia e l’industria dell’arredamento, l’ 11-12% è utilizzato per carta ed il restante per altri usi) viene
richiesto a tale settore un impegno maggiore nella capacità di assicurazione al consumatore finale della certificazione del materiale (anche per motivi di percezione che si ha del
bene prodotto).
Il tema della sicurezza sul lavoro è un tema molto sentito anche nell’ottica di CSR ma
comunque in generale un’industria pesante come quella cartaria non può non mostrare
attenzione.
Da poco meno di una decina di anni il settore attraverso una fondazione ha istituito un premio per le aziende con i migliori indici di frequenza e gravità degli infortuni, i maggiori
miglioramenti in ambiti di sicurezza e vengono premiati quei dipendenti impiegati in produzione con i numeri maggiori in termini di anni senza infortuni.
L’industria si spende in formazione specifica e professionale, in quanto operai e tecnici del
settore devono avere una specializzazione mediamente alta, lavorando su macchinari complessi e di elevato valore economico, per il cui utilizzo è richiesta pratica ed esperienza.
Al fine di favorire l’inserimento di personale di alto livello nel mondo del lavoro era presente negli scorsi anni un corso di laurea in Ingegneria Cartaria afferente al Politecnico di Ancona; attualmente è attivo, sempre a livello di studi superiori, un Master di primo livello in
“produzione della carta e gestione del sistema produttivo” dell’Università di Pisa e gestito dal
Celsius di Lucca e una scuola di formazione professionale a Verona presso l’Istituto
San Zeno (fonte: http://www.assocarta.it/it/scuola-e-formazione/formazione.html).
L’attenzione agli aspetti ambientali non si ferma però unicamente alle materie prime.
La gestione di processo è implementata e monitorata attraverso progetti mirati, essendo il
settore essenzialmente un’industria di processo.
Già a partire dal 1998, ASSOCARTA ha lanciato un progetto chiamato ECOGESTIONE
per incentivare e sostenere le aziende nell’adozione di sistemi di gestione ambientale, sviluppando linee guida ad hoc per l’applicazione delle norme ISO 14000 ed EMAS ed arri34
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vando oggi a circa cinquanta aziende certificate (più ISO 14000 che EMAS ad eccezione
di alcuni distretti come quello gardesano o lucchese).
Stesso discorso lo si sta affrontando oggi con la certificazione sulla sicurezza OHSAS
18000.
Inoltre il settore è stato il primo in Italia a sviluppare e pubblicare un rapporto ambientale
completo e annuale, chiamato “Rapporto ambientale dell’industria cartaria italiana”, giunto oggi alla 14^ edizione (altre esperienze di settore possono essere quelle, in ambito chimico, del Responsible Care sebbene non si possa considerare un Rapporto ambientale in
senso stretto).
Per quanto riguarda le certificazioni ambientali dei prodotti, in parte correlate alla materia
prima, le cartiere italiane hanno spinto e contribuito in modo fondamentale allo sviluppo
del marchio ECOLABEL europeo per la carta
tissue e la carta grafica. La maggior parte
delle aziende che operano in tali campi hanno
prodotti a catalogo con questi sistema di etichettatura il quale non ha comunque riscosso
un successo immediato.
Il primo prodotto italiano che si è potuto fregiare dell’ECOLABEL europeo con il simbolo della Margherita Europea (che certifica
l’assoluta qualità ambientale di un prodotto e
ne accresce la competitività) è stata proprio
una linea tissue.
Il settore ha maturato anche significativa esperienza nelle Dichiarazioni ambientali di prodotto come il PAPER PROFILE, uno schema volontario di dichiarazione ambientale che
fornisce in modo uniforme dati sui parametri ambientali chiave (ad esempio composizione ed emissione dei prodotti, attività di approvvigionamento del legno e sistemi di gestione ambientale) per prodotti come la carta per fotocopie. Anche l’EPD svedese ha avuto tra
le prime linee guida specifiche di prodotto quella sulla carta.
Altre tematiche sulle quali il settore cartario ha partecipato ai lavori per lo sviluppo di criteri per la misurazione dell’impronta “ambientale” sono la CARBON, la WATER e la più
generale PRODUCT ENVIRONMENTAL FOOTPRINT, al momento ancora poco diffuse
tra i consumatori ma sempre più presenti nelle politiche e business delle aziende.
ASSOCARTA e più in generale CEPI (Confederation of European Paper Industries) a
livello europeo è membro dell’European Waterpartners, la sezione europea dell’ Alliance
for Water Stewardship ed è membro del Water Footprint Network.
Agganciandosi all’ultimo concetto ed estendendolo alla tutela delle acque nel suo complesso si può dire che l’industria cartaria è grande utilizzatrice di acqua ma nel contempo
cerca di ottimizzarne il riciclo e la depurazione nel processo.
Le criticità per quanto riguarda l’impatto sull’acqua sono principalmente legate ai volumi
di utilizzo ed alle emissioni di carico organico, non avendo i reflui di cartiere natura tossica o nociva.
In passato vi era il problema dei residui di cloro dal processo, ma la riconversione industriale che ha interessato gli impianti 30 anni or sono ha messo fine alla problematica.
Il cloro era principalmente utilizzato nelle procedure di sbiancatura della carta cellulosa, i
cui residui inquinavano le acque reflue di composti alogenati (si sono successivamente
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rilevate concentrazioni di composti alogenati in strutture sedimentarie nei mari del nord
principalmente il Mar Baltico). L’utilizzo via via di processi TCF (Totally Chlorine Free)
finalizzati allo sbiancamento senza uso di cloro ma utilizzando ossigeno e perossido di
idrogeno è stata una vittoria ambientale, forse non adeguatamente comunicata in passato
per rilevarne la dovuta importanza, ad opinione dello stesso Dott. Ramunni.
L’energia è un altro tema fondamentale affrontato durante l’intervista. Energia considerata da un punto di vista ambientale ma anche e soprattutto economico, in una situazione
nazionale nella quale il prezzo è considerato tra i più alti a livello europeo.
Per il nostro paese questo è un problema essenzialmente di fonti di approvvigionamento.
In Italia viene principalmente utilizzato il gas naturale a differenza di altri carburanti (il
settore cartario è il più grande utilizzatore di gas naturale, rispetto agli omologhi internazione che utilizzano anche scarti di legno, cortecce per chi produce cellulosa o energia
nucleare per impianti localizzati in aree dove è possibile attingere a questa fonte). Questo
pone il settore nazionale economicamente svantaggiato rispetto ad omologhi concorrenti
internazionali.
Il problema economico è quindi evidente. Quello ambientale si esplica nelle emissioni di
CO2 di entità notevole, non essendoci alternative di miglioramento non ancora battute
(avendo spinto sulla cogenerazione e sul miglioramento dell’efficienza energetica per
quanto si poteva) significative al di la del recupero energetico degli scarti che in Italia è
comunque da un punto di vista normativo-autorizzativo molto difficile da realizzare.
Altro tema di forte rilevanza ambientale per il settore, correlato a quello energetico, è quello
dei rifiuti di produzione. Il costo dello smaltimento dei rifiuti si va a sommare a quello energetico ed in aggiunta a questo il contesto nazionale non permette l’utilizzo degli scarti nel
settore cartario, per esempio per la produzione di energia per gli stessi stabilimenti.
Si è cercato di fare quanto più si poteva in termini di riduzione dei volumi di scarti inviati
alle discariche, ricuperandoli energeticamente in impianti esterni, tipicamente inceneritori.
Nonostante ad oggi pochissimi impianti di termovalorizzazione in Italia sono in grado di
accettare e trattare questi scarti, si è comunque passati in una decina di anni da circa il 40%
dello smaltimento degli scarti in discarica ad un 20-25%. (fonte: Rapporti ambientali di
settore).
Le difficoltà burocratico – autorizzative che impediscono alle cartiere l’installazione di
impianti interni di combustione asserviti all’impianto, diventa ancora più grave se si pensa
ai distretti cartari ad elevata densità di aziende e quindi al beneficio che ne avrebbero se vi
fossero impianti ad utilizzo comune. Il beneficio potrebbe essere non solo economico, ma
anche ambientale, se si pensa all’intero ciclo di vista dello scarto di cartiera ed agli impatti correlati, ad esempio all’attuale trasporto verso impianti di smaltimento localizzati a centinaia di chilometri di distanza o alla parte che tuttora non trova altra possibile soluzione
se non la discarica.
Va ricordato che le elevate quantità di questo scarto generato nel processo di riciclo, derivano principalmente da altri materiali non cellulosici che si trovano in quantità elevata
nella carta di recupero da raccolta differenziata, esempio plastica, alluminio, etichette, adesivi con leganti chimici annessi, polistirolo ecc. La Pubblica Amministrazione che organizza la raccolta, lascia in buona parte alle cartiere la criticità della gestione di questi materiali non cellulosici, che di fatto vanno a costituire la gran parte dello scarto di produzione
e un problema/costo di smaltimento. In definitiva il macero è una risorsa fondamentale per
le cartiere, sebbene queste si accollano allo stesso tempo un grosso onere di smaltimento
di materiali estranei al loro ciclo, non vedendo spesso pienamente riconosciuto questo
aspetto dalle amministrazioni.
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servizi alle imprese
Innovhub SSI è membro della rete Enterprise Europe Network, creata dalla Direzione Generale Imprese della
Commissione Europea, allo scopo di fornire alle PMI europee un servizio integrato in materia di
informazione, internazionalizzazione ed innovazione tecnologica. La rete Enterprise Europe Network rappresenta uno dei principali strumenti della Commissione ed anche il network più esteso a supporto delle PMI
europee, coprendo l’intero territorio UE e altri paesi extra-europei.
La rete EEN offre alle imprese:
- servizi di informazione, feedback, cooperazione delle imprese e di internazionalizzazione;
- servizi a favore dell’innovazione e del trasferimento di tecnologie e di conoscenze;
- servizi volti a promuovere la partecipazione ai Programmi comunitari in materia di Ricerca e Sviluppo Tecnologico.
In una apposita sezione del sito Enterprise Europe Network (http://een.ec.europa.eu/services/technology-transfer), viene regolarmente pubblicata una selezione di annunci di ricerca di partner commerciali, tecnologici e
di ricerca, promossi dalla rete Enterprise Europe Network.
Di seguito un’estrazione di alcuni profili di offerta e ricerca tecnologica.
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servizi alle imprese
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Fractional conversion of treated organic components is 99.9%. The systems work on regular base on
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REQUEST: Portuguese forest services provider in the wood and wood-related energy sectors and
bioenergy sector. (POD Reference: BRPT20130729001)
Portuguese forest services provider with a large experience in the wood and wood-related energy sectors is interested in promoting and developing new business areas related to the bioenergy sector,
including research and development (e.g. Horizon 2020). The Portuguese company provides services for planning and forest management, evaluation of cork (quantity, quality and moisture), evaluation of wood of eucalyptus and pine, and land evaluation. Regarding afforestation and improvement
of forest stands, the company provides the following services: preparation of land, planting, manual
and mechanical cleaning of understory growth, pruning, and thinning, and harvesting. The company
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also proceeds to the planning, construction, adjustment and maintenance of roads and firebreak. The
company is also present as wood and biomass supply-chain operator, acting as forest contractor
(chipping and delivery of biomass and roundwood). The company wants to act as a franchisee, to the
extent that seeks to exploit the right to use the trademark of the potential partner, patent, infrastructure and know-how. The company also seeks a similar company to create a joint venture for development of regional activities in Spain and Italy. The company also offers trade intermediary services in order to be an agent or a representative in Portugal of the following types of products: moisture
meter for biomass, technology for the industrial sector, biomass products, wood chips, and other similar products.
OFFER
German producer of a fuel saving device is looking for a distributor
(POD Reference 20110426012 BO)
The founders of this German company offer a remarkable expertise in the field of efficient use of
energy and environmental aspects that occur within that context.
They found equipment which enables a much more efficient use of energy as well as increasing wellbeing and reducing stress e.g. due to environmental pollution. They have engaged in the challenge of
making such novel technologies known as these innovations offer great competitive advantage for
business on many levels. The company is requesting partners for distributing the technology in their
respective country and/or looks for licensing agreements for outsourcing parts of the production.
The company also offers a great know-how in terms of leading a company since one of the cofounders has led an engineering company for twenty years. There he also developed and produced
electronic assemblies for suppliers of large industrial facilities. These products were used in power
generation and chemical plants, in the distribution of electricity and natural gas.
Meanwhile, they found some devices in development or already in production, which implement
these insights into practical use. This opens up to new approaches to energy production and use.
REQUEST Expert in services on rotating equipment is looking for suppliers of spare parts’
compressor in the oil and gas market (POD Reference: BRFR20140331001)
The company deploys 10 Engineers highly qualified and specialized in Rotating Equipments and
Automated Systems for the execution of Field Services Activities: pre-commissioning, commissioning, start up, troubleshooting, retrofit, revamping or major overhaul.
In order to meet customer demand, the company is looking for suppliers (specialized in oil and gas)
which produce spare parts of compressor in United Kingdom, Germany, Sweden an Italy.
More than 8000 different spare parts are needed.
Long term supply agreement in the countries mentioned above.
Per entrare in contatto con le aziende che hanno inserito gli annunci presenti in questa pagina, potete inviare
un e-mail indicando il CODICE PROFILO a:
Susy Longoni
[email protected]
Tel: 0039.02.85155237
Volume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
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notizie – sicurezza chimica
LA DIVISIONE COMBUSTIBILI E LA SICUREZZA CHIMICA: LA CONFERENZA INTERNAZIONALE “HAZARDOUS CHEMISTRY FOR STREAMLINED
LARGE SCALE SYNTHESIS”
Nei giorni giorni 4-5 novembre 2013 si è tenuta a Colonia la seconda conferenza europea
“Hazardous Chemistry for Streamlined Large
Scale Synthesis”. La conferenza è stata organizzata da Scientific Update
(http://www.scientificupdate.co.uk), azienda
inglese che tra le diverse attività scientifiche
nel campo dello sviluppo di processi chimici,
si occupa di organizzare corsi, seminari ed
eventi divulgativi ed è editore (nella figura di
Trevor Laird) della rivista scientifica internazionale “Organic Process Research and Development” (IF 2012: 2.739).
La partecipazione come relatore alle loro conferenze avviene per invito e non per candidatura. Lucia Gigante è stata invitata a presentare il lavoro dal titolo “Thermoanalytical investigation on the root causes of accidents in
chemical plants: some case studies”.
Il programma comprendeva le presentazioni
di oratori provenienti da aziende di spicco
quali Astra Zeneca, Novartis e Dottikon, con
un elevatissimo livello culturale e scientifico
nel campo della sicurezza chimica.
Lucia Gigante
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La Rivista dei Combustibili
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notizie
XXVII CONVEGNO: “LA CALORIMETRIA DI REAZIONE PER LO SVILUPPO
E LA SICUREZZA DEI PROCESSI CHIMICI”
L’8 ottobre 2013 presso la sala conferenze della Divisione Combustibili di Innovhub-SSI si è
svolto l’annuale convegno “La Calorimetria di Reazione per lo Sviluppo e la Sicurezza dei
Processi Chimici”. Il convegno, giunto alla XXVII edizione, ha come sempre riscosso molto
successo tra gli addetti ai lavori e la presenza di 80 persone arrivate da tutta Italia lo testimonia perfettamente. Osservando l’elenco dei partecipanti si può notare come l’interesse degli
argomenti trattati durante la giornata sia trasversale: si possono infatti trovare rappresentanti
di aziende private, dalle PMI che costellano il panorama della chimica italiana ai grandi gruppi multinazionali, come pure membri delle pubbliche amministrazioni, sempre attenti agli
eventi formativi della Divisione Combustibili.
L’evento ha rappresentato un valido momento di incontro non solo per tecnici e ricercatori, ma
anche per responsabili di laboratorio e di processo quotidianamente impegnati nello sviluppo
e nell’ottimizzazione di nuovi processi.
La buona riuscita della giornata è da attribuire anche alla varietà dei relatori. Oltre ai padroni
di casa della Divisione Combustibili di Innovhub-SSI, che hanno mostrato come è possibile
ricostruire le cause di un incidente industriale mediante tecniche calorimetriche, sono stati
esposti lavori del mondo industriale privato, ricerche universitarie applicate a processi industriali reali e un esempio di strumentazione all’avanguardia utilizzabile per lo studio della sicurezza e dell’ottimizzazione dei processi chimici.
All’apertura dei lavori, C. Pasturenzi (Innovhub-SSI) ha mostrato un recente studio relativo ad un incidente in cui era coinvolta
acqua ossigenata, ed in particolare la distruzione dell’eccesso di
acqua ossigenata residua al termine di un processo di ossidazione. Oltre alla puntuale ricostruzione dell’evento incidentale
mediante tecniche calorimetriche, è stato messo in evidenza
come sarebbe stato possibile evitare l’incidente e soprattutto
come è stato possibile riprendere la produzione gestendo gli
eccessi di perossido.
A. Barozza (CBC Procos), parlando di come intensificare un processo senza dover rinunciare agli aspetti di sicurezza, ha voluto
dare al suo lavoro un taglio particolarmente didattico. La presentazione è stata virtualmente divisa in due parti: nella prima sono
state richiamati tutti gli elementi di teoria necessari da conoscere per arrivare ad avere un processo industriale ottimizzato e allo stesso tempo sicuro; mentre nella seconda sono stati esposti esempi di processi chimici (amidazione, cloroformilazione, Grignard e nitrazione) recentemente studiati dal suo gruppo e già passati alla produzione su larga scala.
S. Copelli, ricercatrice presso l’università dell’Insubria, ha presentato un nuovo approccio metodologico per l’ottimizzazione in sicurezza di reattori semibatch multipurpose. Combinando l’approccio del “batchsize” classico con quello dei criteri topologici risulta possibile garantire contemporaneamente sia la sicurezza dei reattori sia un’elevata produttività. I risultati teorici di questo studio sono stati convalidati sperimentalmente mediante dati ottenuti da test di calorimetria
di reazione utilizzando come caso studio la polimerizzazione in soluzione dell’acrilato di butile.
F. Visentin (Mettler-Toledo) ha mostrato come l’utilizzo della corretta ed aggiornata strumentazione possa aiutare i ricercatori a raggiungere un elevato grado di conoscenza dei propri processi; presentando alcuni casi di reazioni di interesse industriale ha fornito gli spunti necessari per comprendere l’importanza degli studi calorimetrici ai fini della sicurezza ed ottimizzazione dei processi chimici industriali.
Nel prossimo numero (1-2014) verrà pubblicato il lavoro integrale relativo alla presentazione di Sabrina Copelli.
Christian Pasturenzi
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a cura della Stazione Sperimentale per i Combustibili
www.ssc.it
Ricerca & Sviluppo per
il rispetto dell’ambiente
La Rivista dei
Combustibili
e dell’Industria Chimica
a cura della Stazione Sperimentale per i Combustibili
www.ssc.it
Volume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
2013 - volume 67 - n. 2
ISSN 1972-0122
La Rivista dei
Combustibili
e dell’Industria Chimica
Ricerca & Sviluppo per
il rispetto dell’ambiente
La Rivista dei
Combustibili
e dell’Industria Chimica
a cura della Stazione Sperimentale per i Combustibili
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2013 - volume 67 - n. 4
ISSN 1972-0122
2013 - volume 67 - n. 1
ISSN 1972-0122
INDICE RIVISTA 2013
2013 - volume 67 - n. 3
ISSN 1972-0122
SSC_4_2013
Ricerca & Sviluppo per
il rispetto dell’ambiente
La Rivista dei
Combustibili
e dell’Industria Chimica
a cura della Stazione Sperimentale per i Combustibili
www.ssc.it
Ricerca & Sviluppo per
il rispetto dell’ambiente
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Pagina 44
la rivista dei combustibili e dell’industria chimica 2013
n.
pag.
APPROFONDIMENTI SSC
BIO vs. FOSSILI: “sustainable” o “sustainababble”?
Perché il metro della bio-sostenibilità non può essere la CO2
T. Zerlia, G. Pinelli
1
2
Metano, Gas naturale, Biogas, Biometano
Un po’ di chiarezza: non tutto il “gas” è uguale ….
P. Comotti, S. Bertagna
1
12
L’incertezza del GWP? E’ incerta!
T. Zerlia
3
2
Particolato, Polveri sottili, PM10, PM2.5, ..……..Qual’è il vero Killer?
T. Zerlia
3
4
Nanoparticle size distribution, soot and ammonia emissions from a NGVs fleet
S. Casadei,D. Faedo, F. Avella
2
2
Inquinamento indoor da apparecchi a etanolo: indagine sull’impatto sulla qualità
dell’aria indoor prodotto dall’utilizzo di apparecchi ad uso domestico alimentati
a etanolo
S. Bertagna, C. Morreale, G. Migliavacca
4
2
3
12
Andamento del primo circuito di correlazione interlaboratorio relativo alla
determinazione del fattore k Tubo di Pitot
P. Lopinto
1
9
EN 228:2012 – Combustibili per autotrazione - Benzina senza piombo:
requisiti e metodi di prova
D. Faedo
2
11
Norma UNI EN 16329 - Determinazione della temperatura limite di filtrabilità
dei combustibili per motori diesel e per impianti di riscaldamento domestico
A. Gallonzelli
3
5
Gassificazione di Biomassa e Raccomandazione 13 CTI - Stato dell’Arte
P. Comotti, C. Morreale
3
6
ATTIVITA’ SSC – Studi & Ricerche
ATTIVITA’ SSC
Laboratori SSC: esperienza, competenza, affidabilità
a cura della Redazione Rivista SSC
ATTIVITA’ SSC – Normazione
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La Rivista dei Combustibili
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Pagina 45
ATTUALITA’
31 maggio 2013: prossima scadenza per il REACH
L. Gigante
1
18
Combustibili solidi secondari (CSS): il decreto 22/2013 e l’integrazione
all’Allegato X del Testo Unico Ambientale
S. Bertagna, G.Migliavacca
2
13
Bioetanolo di seconda generazione e gasolio paraffinico (HVO): le bioraffinerie
di Crescentino e di Porto Marghera
D. Faedo
3
28
2
19
3
30
RASSEGNE SSC
Nitrato d’ammonio: un secolo di esplosioni
C. Pasturenzi, L. Gigante, P. Cardillo
ANTEPRIMA
Performance ambientali del Petroleum Refining: un punto di forza per il green label
T. Zerlia
CURIOSITA’ ANALITICHE
Una strana morchia
M. Priola
RESPONSABILITA’ SOCIALE
Salute, sicurezza sul lavoro e tutela ambientale alla luce della norma
UNI ISO 26000:10
P. Lopinto
3
32
1
21
Il ruolo e la qualifica professionale del Manager CSR ed esperto in
Sviluppo Sostenibile
P. Lopinto
2
29
Le interviste sostenibili
Ne parliamo con Donatella Giacopetti (Unione Petrolifera)
a cura di P. Lopinto e B. Rubiliani
3
31
Le interviste sostenibili
Ne parliamo con Massimo Ramunni (Assocarta)
a cura di Daniele Bussini e Paolo Lopinto
4
32
Nuova strumentazione alla Divisione SSC: analizzatore specifico per mercurio
M. Priola
1
32
Progetto Nanoparticles, nanotechnologies and ultrafine particles
2
35
Delegazione Russa in visita alla SSC
2
35
NOTIZIE SSC
Volume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
45
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Pagina 46
la rivista dei combustibili e dell’industria chimica 2013
Sistema Qualità SSC: visita di valutazione Accredia
2
35
Seminario Microreactors and Flow Chemistry: technical, safety and economic features
2
35
Gruppi di Lavoro CUNA “Combustibili, Lubrificanti ed Affini”
2
35
L’Engine Exhaust Particle Sizer entra a far parte della strumentazione di ricerca del LEA
A. Maggioni, D. Merlo
4
23
L’attività della Divisione Combustibili per il REACH
L. Gigante, C. Pasturenzi
4
24
1
2
3
4
31
38
34
37
Generazione elettrica da carbone: un piano d’azione per tecnologie ad elevata
efficienza e basse emissioni
G. Pinelli
1
33
IL MARE - Supplemento al Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse
Anno LVII N. 2 - 28 Febbraio 2013
T. Zerlia
1
34
Contratto Servizio Energia – Come ridurre le spese di riscaldamento e tutelare
ambiente e salute
S. Bertagna
2
36
www.ssc.it: statistiche 2012
T. Zerlia, M. Frittoli
1
28
www.ssc.it: Documentazione OnLine per tematiche dal 2001 al 2012
1
29
Ultimi aggiornamenti sul sito www.ssc.it
T. Zerlia
4
25
Fondazione EnergyLab Laboratorio dell’Energia: “L’impatto dell’e-mobility sul
sistema di distribuzione elettrico”
S. Casadei
1
36
Il passaggio di consegne di Pasquale DE VITA ad Alessandro GILOTTI
T. Zerlia
2
40
SERVIZI ALLE IMPRESE
La rete ENTERPRISE EUROPE NETWORK
SEGNALAZIONI
WEB SSC
NOTIZIE
46
La Rivista dei Combustibili
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11:15
Pagina 47
FORUM UNI-CIG 2013 - “Il Sistema Gas-Europa – Ispirare e attuare l’eccellenza”
P. Comotti
2
41
L’attività di Innovhub-Stazioni Sperimentali per l’Industria per il REACH
L. Gigante
2
44
Biogas e biometano in Italia e in Europa - II giornata nazionale sul biogas/biometano
S. Bertagna
2
46
Studio e Valutazione delle Reazioni Fuggitive: 31° edizione!
L. Gigante
2
49
Autorizzazione Unica Ambientale (AUA): DPR 13 Marzo 2013, n° 59
S. Bertagna
2
52
Convenzione tra ISSI-SSC ed ENEA-UTTS
F. Hugony
3
36
La Divisione SSC al Chem-Med 2013 – La chimica dei biocombustibili
a cura della Redazione Rivista SSC
3
39
International workshop on road transport emissions in occasione dell’ERMES
Plenary meeting in Commissione Europea - Brussels
S. Casadei
3
42
Industria verde e orizzonti globali
S. Bertagna
3
45
Corso di formazione “Engine Emissions Measurement”
A. Maggioni
3
46
La Divisione Combustibili e la Sicurezza Chimica: la Conferenza Internazionale
“Hazardous Chemistry for Streamlined Large Scale Synthesis”
L. Gigante
4
40
XXVII convegno: “La Calorimetria di Reazione per lo Sviluppo e la Sicurezza dei
Processi Chimici”
C. Pasturenzi
4
41
1
2
3
39
54
47
LEGGI….le ultime uscite 2013
GENNAIO-MARZO
APRILE-GIUGNO
LUGLIO-SETTEMBRE
Volume 67 - fascicolo n. 4 - 2013
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16:11
Pagina 48
La Rivista dei Combustibili – anno 2013, volume 67, fascicolo 4.
Periodico trimestrale della Stazione Sperimentale per i Combustibili, Viale A. De Gasperi 3
20097 San Donato Milanese (MI), tel. 02 516041, fax 02 514286 - e-mail: [email protected], sito: www.ssc.it
Direzione e redazione:
Stazione Sperimentale per i Combustibili
Viale A. De Gasperi 3 - 20097 San Donato Milanese (MI) - tel. 02 51604220 – 02 51604262 - fax 02 514286
e-mail: [email protected]
Grafica, Impaginazione e Stampa:
Lasergrafica Polver srl
via Kramer 17 – 20129 Milano - tel. 02 76000213 - fax 02784164
e-mail: [email protected]
Direttore:
Giacomo Pinelli
Capo Redattore:
Silvia Bertagna
Redazione:
Sara Bianchi, Simone Casadei, Davide Faedo, Andrea Gallonzelli, Lucia Gigante, Angela Maggioni,
Antonella Mazzei, Carmen Morreale, Marco Priola.
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Copyright La Rivista dei Combustibili. La riproduzione e/o l’impiego di informazioni pubblicate sulla Rivista è
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La Rivista dei Combustibili
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Dal 1947 la SSC pubblica La Rivista dei Combustibili,
organo di stampa ufficiale dell’Istituto, un periodico dedicato a studi, rassegne e notiziari nel campo dei combustibili solidi, liquidi e gassosi, convenzionali e non. I temi
affrontati riguardano la caratterizzazione, l’utilizzo, l’impatto ambientale, l’aspetto normativo e la sicurezza. Nel
2002, a seguito del nuovo statuto della Stazione
Sperimentale per i Combustibili, che ha consentito alla
SSC di intensificare alcune attività nei confronti dell’industria chimica, la Rivista dei Combustibili ha cambiato
denominazione in La Rivista dei Combustibili e
dell’Industria Chimica.
La Rivista, attualmente pubblicata con periodicità trimestrale, è aperta al contributo di tutti gli studiosi, i tecnici
e gli operatori dei settori di competenza. Viene distribuita in abbonamento gratuito ad aziende, enti ed istituzioni legate ai settori dei combustibili e dell’industria chimica ed è disponibile anche in formato pdf.
STAZIONE
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sicurezza legati a combustibili fossili, rinnovabili e biocombustibili.
Ricerca Istituzionale
Ricerca finanziata
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Realizzata su richiesta e con finanziamenti di
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di ricerca finanziati a livello nazionale e europeo.
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on line sul sito dell’Istituto (www.ssc.it) alla sezione documentazione online. Questa sezione, creata ad hoc per dare
visibilità all’informazione non commerciale (studi, indagini, rapporti tecnici, presentazione a convegni, articoli,ecc. ),
rappresenta un vero e proprio valore aggiunto per la comprensione e la valorizzazione dell’attività istituzionale SSC.
STUDI E RICERCHE
La Rivista dei Combustibili
e dell’Industria Chimica
2013 - volume 67 - n. 4
ISSN 1972-0122
La Rivista dei
Combustibili
e dell’Industria Chimica
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Ricerca & Sviluppo per
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