Riflessioni sulla menzogna

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Riflessioni sulla menzogna
Alexandre Koiré
RIFLESSIONI
SULLA
MENZOGNA
(1943)
Le Réflexions sur le mensonge sono apparse per la prima volta a New York, nel primo
mero di Renaissance, rivista trimestrale pubblicata dall’École libre des Hautes Études
lume I, fascicolo I, gennaio-marzo 1943). Successivamente furono pubblicate in inglese nel
numero di giugno 1945 di Contemporary Jewish Record, rivista dell’American Jewish
tee col titolo «The political fonction of the modern lie» .Dopo la morte di Alexandre Koiré
(1892-1964), il testo è stato ripubblicato su Le Nouveau Commerce n. 5 (primavera-estate
1965), e infine sul n. 8-9 (novembre 1993) della rivista Rue Descartes, col titolo «La
ction politique du mensonge moderne». Una traduzione italiana di Bruno Lumi, di cui non
abbiamo potuto prendere visione, Riflessioni sulla menzogna politica, è stata pubblicata
le edizioni De Martinis & C., Catania 1994, con un’introduzione di Salvatore Nigro. Il testo
francese su cui si basa la presente traduzione si trova al seguente indirizzo:http://pagesproorange.fr/espace.freud/topos/psycha/psysem/mensonge.htm
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Riflessioni sulla menzogna
Mai si è mentito tanto come ai nostri giorni. Né mentito in una maniera così
spudorata, sistematica e costante. Si dirà: niente di nuovo! Si dirà che la menzogna è vecchia come il mondo; o almeno, che l’uomo, mendax ab initio ; si dirà
che la menzogna politica è nata insieme alla città, come ci insegna con dovizia
la storia; e infine, senza risalire troppo indietro negli anni, che il lavaggio del
cervello della Prima Guerra Mondiale e la menzogna elettorale dell’epoca successiva hanno raggiunto dei livelli e stabilito dei primati che ben difficilmente si
potranno superare.
Tutto ciò è vero, senza dubbio. O quasi. È certo che l’uomo si definisce
mediante la parola, che la parola porta con sé la possibilità della menzogna e
che, con buona pace di Porfirio, il mentire, molto più che il riso, è il proprio
dell’uomo. È ugualmente certo che la menzogna politica esiste da sempre, che le
regole e la tecnica di ciò che un tempo si chiamava «demagogia» e ai nostri
giorni «propaganda » sono state sistematizzate e codificate da migliaia di anni
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e che i prodotti di queste tecniche, la propaganda degli imperi caduti nell’oblio
e ridotti in polvere ci parlano, ancora oggi, dall’alto delle mura di Karnak e delle rocce d'Ankara. È incontestabile che l’uomo abbia sempre mentito. Mentito a
se stesso. E agli altri. Mentito per il suo piacere ― il piacere di esercitare questa
facoltà stupefacente di «dire ciò che non è» e di creare, mediante la parola, un
mondo di cui è il solo responsabile e il solo autore. Mentito, inoltre, per difen-
Già nei Dialoghi di Platone, e soprattutto nella Retorica di Aristotele, troviamo un’analisi magistrale della struttura psicologica, e dunque della tecnica, della propaganda.
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dersi: la menzogna è un’arma. L’arma preferita dell’inferiore e del debole
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che,
ingannando l’avversario, si afferma e si vendica di lui 3.
Tuttavia non procederemo qui nell’analisi fenomenologica della menzogna,
nell’esame del posto che occupa nella struttura dell’essere umano: un libro non
basterebbe. È alla menzogna moderna, e in modo ancor più circoscritto alla
menzogna politica moderna in particolare, che vogliamo dedicare alcune riflessioni. Poiché, malgrado le critiche che ci faranno, e quelle che facciamo a noi
stessi, restiamo convinti che, in questo campo, quo nihil antiquius, l’epoca attuale, o più esattamente i regimi totalitari, hanno notevolmente innovato.
L’innovazione non è totale, senza dubbio, e i regimi totalitari non hanno
fatto che portare all’estremo certe tendenze, certe atteggiamenti, certe tecniche
che esistevano ben prima di loro. Ma niente è interamente nuovo nel mondo,
tutto ha delle origini, delle radici, delle premesse, e ogni fenomeno, ogni nozione, ogni tendenza, spinta al limite si altera e si trasforma in qualche cosa di
notevolmente differente.
Ribadiamo di conseguenza che mai si è mentito tanto quanto ai nostri giorni, e che mai si è mentito così massicciamente e così totalmente, come si fa oggi.
Non si è mai mentito tanto... in effetti, giorno dopo giorno, ora dopo ora,
minuto dopo minuto, fiumi di menzogne si riversano sul mondo. La parola, la
scrittura, il giornale, la radio... tutto il progresso tecnico è messo al servizio della
menzogna.
L’uomo moderno ― è ancora all’uomo totalitario che pensiamo ― si bagna
nella menzogna, respira menzogna, è sottomesso alla menzogna, in ogni istante
della sua vita 4.
Ingannando il suo avversario o il suo maestro, il più debole si rivela il «più forte».
Ingannare è anche umiliare, il che spiega la menzogna spesso gratuita delle donne e degli schiavi.
4 Il regime totalitario è spesso legato alla menzogna. Così non si è mai mentito tanto in Francia
come dal giorno in cui, inaugurando la marcia verso un regime totalitario, il Maresciallo Pétain ha
proclamato: «Odio la menzogna».
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In quanto alla qualità ― la qualità intellettuale ― della menzogna moderna,
è aumentata in senso inversamente proporzionale alla quantità, com’è del resto
comprensibile. La menzogna moderna ― è questa la sua qualità distintiva ― è un
prodotto di massa ed è indirizzata alla massa. Ora, ogni produzione di massa,
ogni produzione ― ogni produzione intellettuale soprattutto ― destinata alla
massa, è costretta ad abbassare i suoi standard. Ecco perché, se niente è più raffinato della tecnica di propaganda moderna, non c’è niente di più grossolano
del contenuto delle sue affermazioni, che rivelano un disprezzo assoluto e totale
della verità. E perfino della semplice verosimiglianza. Disprezzo che è eguagliato
solo da quello ― implicito ― delle facoltà mentali di coloro a cui si indirizza.
Ci si potrebbe addirittura domandare ― e non si è mancato di farlo ― se,
così stando le cose, si ha ancora il diritto di parlare di «menzogna». In effetti, la
nozione di menzogna presuppone quella di veracità, di cui è l’opposto e la negazione, come la nozione di falso presuppone quella di vero. Ora, i filosofi ufficiali dei regimi totalitari proclamano all’unanimità che la concezione della verità
oggettiva, che è per tutti una sola, non ha alcun senso; e che il criterio della
«Verità» non è il suo valore universale, ma la sua conformità allo spirito della
razza, della nazione o della classe, la sua utilità razziale, nazionale o sociale.
Proseguendo e spingendo all’estremo le teorie biologiste, pragmatiste, attiviste
della verità, e consumando quindi quello che è stato definito il «tradimento degli intellettuali», i filosofi ufficiali dei regimi totalitari negano il valore proprio
del pensiero che, per loro, non è un lume, ma un’arma; il suo scopo, la sua funzione, ci dicono, non è quella di rivelarci il reale, vale a dire ciò che è, ma di
aiutarci a modificarlo, a trasformarlo, guidandoci verso ciò che non è. Ora, appunto per questo, come è stato riconosciuto da tempo, il mito è spesso preferibile alla scienza, e la retorica che si rivolge alle passioni, alla dimostrazione che
si rivolge all’intelligenza. Pertanto nelle loro pubblicazioni (anche in quelle che
si definiscono scientifiche), nei loro discorsi, e ben inteso, nella loro propaganda, i rappresentanti dei regimi totalitari quasi non si interessano affatto della verità oggettiva. Più potenti di Dio Onnipotente stesso, trasformano a loro
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piacimento il presente, e perfino il passato 5. Si potrebbe concludere, e talvolta
lo si è fatto, che i regimi totalitari sono al di là della verità e della menzogna.
In quanto a noi, crediamo che le cose non stiano affatto così. La distinzione
tra verità e menzogna, immaginario e reale, resta certamente valida all’interno
delle concezioni e dei regimi totalitari. È solo il loro posto e il loro ruolo che
sono in qualche modo invertiti: i regimi totalitari si fondano sul primato della
menzogna.
Il posto della menzogna nella vita umana è veramente curioso. I codici della
morale religiosa, almeno per quello che concerne le grandi religioni universaliste, soprattutto quelle che derivano dal monoteismo biblico, condannano la
menzogna in una maniera rigorosa e assoluta. Questo è del resto comprensibile:
poiché il loro è il Dio della luce e dell’essere, ne risulta necessariamente che sia
anche quello della verità. Mentire, dire quello che non è, deformare la verità e
occultare l’essere, è quindi un peccato; e perfino un peccato gravissimo, un peccato d’orgoglio e un peccato contro lo spirito, un peccato che ci separa e che ci
oppone a Dio. La parola del giusto, proprio come la parola di Dio, non può né
deve essere che quella della verità. Le morali filosofiche, tranne qualche caso di
rigorismo estremo, come quelli di Kant e Fichte, sono, parlando in generale,
molto più indulgenti. Sono più umane. Intransigenti per quello che concerne la
forma positiva e attiva della menzogna, suggestio falsi, esse lo sono molto meno
per quello che concerne la sua forma negativa e passiva: suppressio veri. Esse
sanno che, come dice il proverbio, «non è bene dire tutta la verità». Almeno
non sempre; e non a tutti.
Molto più che le morali a fondamento puramente religioso, le morali filosofiche tengono conto del fatto che la menzogna s’esprime per mezzo di parole, e
È interessante studiare, da questo punto di vista, l’insegnamento storico dei regimi totalitari e le
sue varianti. I nuovi manuali di storia delle scuole francesi offrirebbero un vasto materiale per la
riflessione.
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che ogni parola 6 si rivolge a qualcuno 7. Non si mente «all’aria». Si mente, cosi
come si dice, o non si dice il vero, a qualcuno. Ora, se la verità è senz’altro «il
cibo dell’anima», lo è soprattutto delle anime forti 8. Per le altre, può essere pericolosa, per lo meno allo stato puro. Può perfino ferirle. Bisogna che sia dosata, diluita, abbellita. Inoltre bisogna tener conto delle sue conseguenze, dell’uso
che ne faranno coloro a cui la si dirà.
Non ci sono dunque, generalmente parlando, obblighi morali di dire a tutti
la verità. E non tutti hanno il diritto di esigerla da noi 9.
Le regole della morale sociale, della morale reale che si esprime nei nostri
costumi e che governa, di fatto, le nostre azioni, sono ancora più deboli di quelle della morale filosofica. Queste regole, in modo generico, condannano la
menzogna. Tutti sanno che «non sta bene» mentire
10
. Ma questa condanna è
ben lungi dall’essere assoluta. L’interdizione è lontana dall’essere totale. Ci sono
dei casi in cui la menzogna è tollerata, permessa, addirittura raccomandata.
Anche in questo caso un’analisi rigorosa ci condurrebbe troppo lontano.
Grosso modo
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si può constatare che la menzogna è tollerata fin tanto che non
nuoce al buon funzionamento delle relazioni sociali, fin tanto che «non fa male
a nessuno» 12; è permessa fin tanto che non rompe il legame sociale che unisce il
gruppo, fin tanto che non la si pratica all’interno del gruppo, del «noi», ma solo
Il termine «parola» è preso qui nel più ampio senso espressivo e evocativo. È evidente che si può
mentire senza aprir bocca.
7 Le morali religiose fanno della verità un obbligo nei confronti di Dio e non degli uomini. Esse
proibiscono di mentire «al cospetto di Dio» e «agli uomini».
8 Questa considerazione è talvolta presente anche nelle morali religiose. Latte ai bambini, vino
agli adulti, dice San Paolo.
9 Si deve la verità a coloro che si stima, ai pari o ai superiori. Al contrario, il rifiuto della verità
implica mancanza di stima, mancanza di rispetto.
10 «Un gentiluomo non mente». La veracità è una virtù aristocratica, legata alla nozione dell’ «onore». Per lo schiavo non è una virtù, ma un dovere, un obbligo.
11 In italiano nel testo. [N.d.T.]
12 L’ipocrisia delle forme convenzionali del comportamento sociale, urbanità, cortesia, ecc., non è
«menzogna».
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al di fuori di esso : non si ingannano i «nostri»; in quanto agli «altri» 13… beh! si
tratta per l’appunto degli «altri».
La menzogna è un’arma. È dunque lecito adoperarla nella lotta. Sarebbe
addirittura stupido non farlo. A condizione tuttavia di utilizzarla solo contro
l’avversario, di non rivolgerla contro l’amico o l’alleato.
Si può dunque, in linea di massima, mentire all’avversario, ingannare il nemico. Ci sono poche società, come i Maori, così cavalleresche da proibirsi le astuzie di guerra. Ce ne sono ancora meno, come i Quaccheri e i Wahabiti,
religiose al punto di vietarsi ogni menzogna verso l’altro, lo straniero,
l’avversario. Quasi ovunque l’inganno
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è permesso in guerra. La menzogna
non è, in linea di massima, raccomandata nelle relazioni pacifiche. Tuttavia (essendo lo straniero un nemico potenziale), la veracità non è mai stata considerata la principale prerogativa dei diplomatici.
La menzogna è più o meno ammessa nel commercio: e anche qui i costumi
ci impongono dei limiti che tendono a divenire sempre più ristretti.
15
Tuttavia
anche i costumi commerciali più rigidi tollerano senza batter ciglio la menzogna
dichiarata della pubblicità.
La menzogna resta dunque tollerata e ammessa. Ma, per l’appunto… ci si
limita a tollerarla e ammetterla. In certi casi. Ci sono eccezioni, come la guerra,
durante le quali, e solo in questi casi, avvalersene diventa una cosa giusta e
buona.
Ma se la guerra, da stato eccezionale, episodico, passeggero diventasse uno
stato perpetuo e normale ? È chiaro che la menzogna, da caso eccezionale, diventerebbe, essa stessa, un caso normale, e che un gruppo sociale che si vedesse
e si sentisse circondato da nemici, non esiterebbe assolutamente ad avvalersi
contro di loro della menzogna. Verità per i nostri, menzogna per gli altri, diventerebbe una regola di condotta, entrerebbe nei costumi del gruppo in questione.
I «nostri» hanno diritto alla verità; ma gli «altri», ne hanno diritto?
Déception, «delusione», nel senso di tromperie, «inganno». [N.d.E.]
15 Commerciante e bugiardo erano già nozioni sinonimiche. «Chi non inganna, non vende», dice
un vecchio proverbio slavo. Oggi si ammette che per il commerciante, honesty is the best policy.
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Ma spingiamoci oltre. Operiamo una rottura tra «noi» e «gli altri». Trasformiamo
l’ostilità di fatto in una inimicizia in qualche modo essenziale, che trae fondamento dalla natura stessa delle cose
16
. Rendiamo i nostri nemici minacciosi e
potenti. È chiaro che ogni gruppo, collocato in questo modo al centro di un
mondo d’avversari irriducibili e irreconciliabili, vedrebbe spalancarsi un abisso
fra sé e gli altri; un abisso che nessun legame, nessun obbligo sociale potrebbe
più colmare 17. Sembra evidente che in e per un tale gruppo la menzogna ― la
menzogna nei confronti degli «altri», beninteso ― non sarebbe né un atto solamente tollerato, e neppure una semplice regola di condotta sociale: diventerebbe obbligatoria, si trasformerebbe in virtù. In compenso la veracità fuori luogo,
l’incapacità di mentire, ben lungi dall’essere considerata un tratto cavalleresco,
diventerebbe una tara, un segno di debolezza e di incapacità.
L’analisi, di certo sommaria e incompleta, alla quale ci siamo dedicati non è
un semplice esercizio dialettico, uno studio astratto dalle potenzialità esclusivamente teoriche. Tutto al contrario: niente è più concreto e reale dei gruppi sociali di cui abbiamo tentato di abbozzare una descrizione schematica. Non
sarebbe difficile trovare, e perfino moltiplicare, gli esempi di società con una
struttura mentale che presenta, a differenti gradi, i caratteri fondamentali, o se si
preferisce, la perversione fondamentale che abbiamo segnalato
18
. Ora, questi
gradi, di cui abbiamo d’altronde seguito la scala ascendente, esprimono, ci sembra, l’azione di tre fattori:
1. Il grado di distanza e di opposizione tra i gruppi in questione. Tra l’ostilità
naturale per lo straniero, nemico potenziale e anche nemico reale, e l’odio sacro che ispira i combattenti di una guerra religiosa 19, ce ne corre. Come pure tra
16 Il miglior modo di spingere un’opposizione all’estremo è renderla biologica. Non è un caso che
il fascismo sia diventato razzismo.
17 La guerra come stato di normalità... L’ostilità del mondo esterno... Sono i temi costanti della
coscienza di sé che i totalitari inculcano nel popolo.
18 Citiamo a caso, l’addestramento alla menzogna del giovane Spartano e del giovane Indiano; la
mentalità del marrano o del gesuita.
19 È la mentalità della guerra religiosa che traduce il celebre adagio: non servatur fides infidelibus.
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quest’ultima e la ferocia biologica che anima chi combatte una guerra di sterminio razziale.
2. I rapporti di forza, ossia il grado di pericolo che minaccia il gruppo esaminato a causa dei suoi vicini-nemici. La menzogna, l’abbiamo già detto, è
un’arma. E soprattutto l’arma del più debole: non s’impiega l’astuzia nei confronti di chi si è certi di poter schiacciare senza grandi rischi; si giocherà
d’astuzia, al contrario, per evitare un pericolo
20
.
3. Il grado di frequenza dei contatti tra i gruppi ostili e tra i loro membri. In
effetti, nel caso in cui questi gruppi, per quanto ostili possano essere, non entrassero mai in contatto tra loro, o nel caso in cui vi entrassero solamente nel
campo di battaglia ― se i membri di un gruppo non frequentano mai quelli
dell’altro gruppo, tali membri avranno – eccettuata l’astuzia di guerra – assai di
rado l’opportunità di mentirsi. La menzogna presuppone un contatto, implica
ed esige il commercio.
Quest’ultimo punto ci obbliga a spingere l’analisi un po’ oltre. Togliamo al
nostro gruppo la sua esistenza autonoma. Immergiamolo, per intero, all’interno
del mondo ostile di un gruppo straniero, affondiamolo, per intero, al centro di
una società nemica, con la quale, ciononostante, esso si trovi quotidianamente
in contatto: è chiaro che, nel e per il gruppo in questione, la facoltà di mentire
sarà tanto più necessaria, e la virtù della menzogna tanto più apprezzata, quanto più la pressione esterna, la tensione fra «noi» e «gli altri», l’inimicizia tra «gli
altri» e «noi», la minaccia che questi «altri» fanno pesare su di «noi», crescerà e
aumenterà d’intensità.
Spingiamoci una volta di più fino alla situazione estrema; facciamo crescere
l’ostilità finché non divenga assoluta e totale. È chiaro che il gruppo sociale di
La menzogna è un’arma; non la si userà dunque se non si è minacciati o non si corrono dei pericoli. Ne deriva che un gruppo adotterà la regola della menzogna solo se, essendo il più debole,
viene attaccato e perseguitato. Se non lo è, resta esente dalla perversione che abbiamo studiato,
anche se come gli Jaina (seguaci dello jainismo, una delle tre grandi religioni dell’India ― N.d.T.) e
i Parsi (membri della comunità dell’India dell’Ovest seguaci della dottrina di Zarathushtra ―
N.d.T.) forma una comunità assolutamente e rigorosamente chiusa.
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cui stiamo seguendo le avversità si troverà costretto a scomparire. Scomparire
realmente, ossia, applicando fino in fondo la tecnica e l’arma della menzogna,
scomparire agli occhi degli altri, sfuggire agli avversari, sottrarsi alla loro minaccia rifugiandosi nella notte del segreto.
Il capovolgimento è ormai totale: la menzogna, per il nostro gruppo, che è
divenuto un gruppo segreto 21, sarà più che una virtù. Sarà diventata una condizione d’esistenza, un modo d’essere abituale, fondamentale e primario. Per il
fatto stesso del segreto, certi tratti caratteristici, peculiari di ogni gruppo sociale
in quanto tale, saranno accentuati, esagerati oltre misura. Così, per esempio,
ogni gruppo erige una barriera più o meno permeabile e valicabile tra sé e gli
altri; ogni gruppo riserva ai suoi membri un trattamento privilegiato, stabilisce
tra di loro un certo grado di unione, di solidarietà, di «amicizia»; ogni gruppo
attribuisce un’importanza particolare al mantenimento dei limiti di separazione
tra sé e gli «altri», e dunque alla conservazione degli elementi simbolici che ne
formano, in qualche modo, il contenuto; ogni gruppo, ogni raggruppamento
vitale (vivant) per lo meno, considera l’appartenenza al gruppo come un privilegio ed un onore 22, e ravvisa nella fedeltà al gruppo un dovere per i suoi
membri; ogni gruppo, infine, dal momento che si consolida e raggiunge una certa dimensione, comporta una certa organizzazione, una certa gerarchia.
Tutti questi tratti si acuiscono nel gruppo segreto: la barriera, pur essendo
mantenuta, in determinate condizioni, valicabile, diviene impermeabile
23
;
Lo studio del gruppo segreto è stato stranamente trascurato dalla sociologia. Senza dubbio, conosciamo relativamente bene le società segrete dell’Africa Equatoriale; in compenso, ignoriamo
tutto, o quasi, di quelle che sono esistite, e che esistono, in Europa. Oppure, se talora ne conosciamo la storia, ne ignoriamo la struttura tipologica, di cui Simmel fu quasi il solo a riconoscere
l’importanza.
22 Ci sono senza dubbio dei gruppi ― i gruppi dei Pariah (membri di una bassa casta del sud
dell'India ― N.d.T.) – che considerano essi stessi l’appartenenza al gruppo come una sciagura o
un disonore. Questi gruppi finiscono generalmente con lo scomparire. Ma fintanto che esistono
essi considerano ogni separazione (evasion) come un tradimento.
23 Il tipo classico di raggruppamento segreto è il gruppo al quale si accede tramite un’iniziazione
che, generalmente, comporta dei livelli; esistono anche dei gruppi segreti ereditari, ma sono molto rari, e, inoltre, anch’essi comportano delle iniziazioni. In definitiva, in questi gruppi è
l’iniziazione a essere ereditaria, o riservata per eredità.
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l’aggregazione al gruppo diventa inflessibilmente un’iniziazione
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; la solidarietà
si trasforma in un legame appassionato ed esclusivo; i simboli acquisiscono un
valore sacro; la fedeltà al gruppo diventa il dovere supremo, talvolta addirittura
unico, dei suoi membri; in quanto alla gerarchia, divenendo segreta, acquisisce,
anch’essa, un valore assoluto e sacro; la distanza tra i suoi diversi gradi aumenta, l’autorità si fa illimitata, e l’obbedienza perinde ac cadaver, la regola e la
norma dei rapporti tra i membri del gruppo e i suoi capi.
Ma c’è di più. Ogni raggruppamento segreto, si tratti di un gruppo dottrinale o di un gruppo d’azione, di una setta o di una cospirazione ― e, d’altronde,
la demarcazione tra questi due tipi di raggruppamento è abbastanza difficile da
tracciare, in quanto il gruppo d’azione è, o diviene quasi sempre, un gruppo
dottrinale ― è un raggruppamento col segreto, o anche con i segreti. Vogliamo
dire che, anche se mero gruppo d’azione, come una banda di gangster o una
cospirazione di corridoio, che non possiede affatto una dottrina esoterica e segreta di cui è obbligato a salvaguardare i misteri occultandoli agli occhi di noniniziati, la sua esistenza stessa è indissolubilmente legata al mantenimento di un
segreto, e perfino di un duplice segreto: il segreto della sua esistenza, e quello
degli scopi della sua azione. Ne consegue che il dovere supremo del membro di
un gruppo segreto, l’atto nel quale si esprime il suo attaccamento e la sua fedeltà al gruppo, l’atto tramite il quale si afferma e si conferma la sua appartenenza
al gruppo, consiste, paradossalmente, nella dissimulazione di questo fatto.
25
Dissimulare ciò che è, e, per poterlo fare, simulare ciò che non è: ecco dunque il
modo d’esistenza che necessariamente ogni raggruppamento segreto impone ai
suoi membri.
Dissimulare ciò che si è, simulare ciò che non si è… Questo implica con ogni
evidenza: non dire ― mai ― quello che si pensa e quello che si crede; e inoltre:
I gruppi d’iniziazione non sono necessariamente dei gruppi segreti.
Accade ben altrimenti per un gruppo di propaganda religiosa o politica aperto, un gruppo i cui
membri accettano o ricercano il martirio come testimonianza della loro fede, per i quali il martirio
costituisce un mezzo di propaganda e d’azione.
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Riflessioni sulla menzogna
dire ― sempre ― il contrario. Per ogni membro di un gruppo segreto, la parola
non è, in realtà, che un mezzo per nascondere il proprio pensiero.
Così dunque, tutto quello che si dice è falso. Ogni parola, per lo meno ogni
parola pronunciata in pubblico, è una menzogna. Solamente le cose che non si
dicono, o perlomeno, quelle che non si rivelano che ai «nostri», sono, o possono essere, vere.
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La verità è dunque sempre esoterica e nascosta. Non è mai accessibile al
comune, al volgare, al profano. E neanche a colui che non è completamente «iniziato».
Ogni membro di un raggruppamento segreto, che sia degno di tale ruolo,
ne ha piena coscienza. Così non crederà mai a quello che sentirà dire in pubblico da un membro del suo gruppo. E soprattutto non ammetterà mai come vera
qualcosa che sarà proclamata pubblicamente dal suo capo. Poiché non è a lui
che il suo capo si rivolge, ma agli «altri», a quegli «altri» che lui ha il dovere di
raggirare, di abbindolare, di ingannare
27
.
Così, per un nuovo paradosso, è nel rifiuto di credere a ciò che dice e proclama che si esprime la fiducia del membro del gruppo segreto nel suo capo.
Ci si potrebbe obiettare senza dubbio che la nostra analisi, per quanto giusta
sia, si allontana dall’argomento. Cos’altro sono, purtroppo, i governi totalitari
se non delle società segrete, circondate da nemici minacciosi e potenti, e obbligate, per questa ragione, a cercare la protezione della menzogna, a nascondersi,
a dissimularsi
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? E anche i «partiti unici» che formano l’armatura dei regimi to-
talitari, si dirà, non possono aver niente in comune con dei gruppi di cospiratori: non operano, in effetti, alla luce del sole ? Quindi, ben lungi dal volersi
Pertanto bisogna accuratamente distinguere tra la dichiarazione pubblica e la comunicazione,
più o meno segreta e completa, della verità esoterica agli iniziati, e ai candidati all’iniziazione.
27 Credere alle informazioni e alle affermazioni esoteriche, vuol dire dimostrare per ciò stesso
l’insufficienza della propria iniziazione; significa screditarsi.
28 D’altra parte si sa fino a che punto i regimi totalitari coltivino nei loro adepti e nella popolazione la psicologia del Giusto perseguitato, del Popolo eletto circondato da un mondo di nemici
che ledono i suoi diritti e lo minacciano nella sua esistenza. Inversione caratteristica della situazione reale, che alimenta i soprassalti di inferiorità dei totalitari.
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rinchiudere, e dal voler innalzare una barriera tra sé e «gli altri», il loro scopo,
confessato e palese, è proprio quello di assorbire tutti questi «altri», di inglobare
e di annettere la nazione (o la razza) tutta intera.
D’altra parte, si potrebbe anche contestare la relazione che pretendiamo di
stabilire tra totalitarismo e menzogna. Si potrebbe obiettare che, ben lungi dal
nascondere e dissimulare gli scopi immediati e futuri delle loro azioni, i governi
totalitari li hanno sempre proclamati urbi et orbi (cosa che nessun governo democratico ha mai avuto il coraggio di fare), e che è ridicolo accusare di menzogna qualcuno che, come Hitler, ha annunciato pubblicamente (e anche scritto
nero su bianco in Mein Kampf) il programma che in seguito ha realizzato punto
per punto.
Tutto ciò è giusto, senza dubbio, ma soltanto in parte. Ed è per questo che
le obiezioni che abbiamo appena formulato non ci sembrano assolutamente decisive.
È vero che Hitler (così come gli altri capi dei paesi totalitari) ha annunciato
pubblicamente tutto il suo programma d’azione. Ma lo ha fatto appunto perché
sapeva che non sarebbe stato creduto dagli «altri», che le sue dichiarazioni non
sarebbero state prese sul serio dai non iniziati; era proprio dicendo loro la verità
che era sicuro di ingannare e di abbindolare i suoi avversari 29.
È una vecchia tecnica machiavellica della menzogna di secondo grado, la più
perversa tra tutte le tecniche, e nella quale la verità stessa diviene un puro e
semplice strumento per ingannare
30
. Sembra chiaro che questa «verità» non ha
niente in comune con la verità.
È inoltre vero che né gli Stati, né i partiti totalitari, sono delle società segrete
nel significato proprio del termine, e che agiscono pubblicamente e addirittura a
forza di propaganda. Il fatto è che per l’appunto ― e in questo consiste la noviLa tecnica della menzogna di secondo grado, com’è noto, è stata largamente adoperata dalla
diplomazia bismarkiana. Il suo utilizzo, insieme a quello della menzogna semplice ― che ha lo
scopo di confondere l’avversario ― è caratteristico della diplomazia totalitaria.
30 Per ingannare gli avversari; in compenso i «nostri», gli iniziati, e quelli che sono degni di esserlo
vi troveranno l’annuncio e l’espressione della verità.
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Riflessioni sulla menzogna
tà di cui abbiamo parlato in precedenza ― abbiamo a che fare con delle cospirazioni sotto gli occhi di tutti.31
Una cospirazione sotto gli occhi di tutti ― forma nuova e curiosa di gruppo
d’azione, peculiare dell’epoca democratica, dell’epoca della civiltà delle masse
―, non è circondata da minacce, e dunque non ha bisogno di dissimularsi; tutto
al contrario, essendo obbligata ad agire sulle masse, a conquistare le masse, a
inglobare e organizzare le masse, essa ha bisogno di apparire alla luce, e perfino
di concentrare questa luce su di sé e soprattutto sui suoi capi. Anche i membri
del gruppo non hanno bisogno di nascondersi: al contrario, essi possono ostentare la loro appartenenza al gruppo, al «partito», possono renderla manifesta e
riconoscibile agli altri e anche a loro, mediante dei segni esteriori, degli emblemi, delle insegne, per mezzo di coccarde o anche uniformi, tramite gesti rituali
compiuti in pubblico. Ma, proprio come i membri di una società segreta ― e
questo malgrado il fatto, appena menzionato, che la cospirazione sotto gli occhi
di tutti tende necessariamente a divenire un’organizzazione di masse ―, essi
manterranno la distanza tra sé e gli altri; l’adozione di segni esteriori di appartenenza al «partito» non farà che accentuare l’opposizione e rendere più netta la
barriera che li separa da quelli al di fuori dal gruppo; la fedeltà al gruppo resterà
la virtù principale dei suoi membri; la gerarchia interna del «partito» assumerà
l’aspetto, e avrà la struttura, di un’organizzazione militare, e la regola non servatur fides infidelibus sarà osservata ancor più scrupolosamente. Giacché la cospirazione sotto gli occhi di tutti, se non è una società segreta, è pur sempre una
società col segreto.
La vittoria, la riuscita della cospirazione, non sopprimerà affatto i tratti che
abbiamo menzionato; essa si limiterà ad indebolirne alcuni, ma in compenso ad
accentuarne altri, e in particolare a rafforzare il sentimento di superiorità della
Abbiamo preferito tradurre en plein jour con «sotto gli occhi di tutti» anziché con il più tradizionale «alla luce del sole». [N.d.T.]
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nuova classe dirigente, la sua convinzione di appartenere ad un’élite, ad
un’aristocrazia completamente separata dalla massa
32
.
I regimi totalitari non sono altro che cospirazioni di questo genere, prodotti
dall’odio, dalla paura, dall’invidia, nutriti da un desiderio di vendetta, di dominio, di rapina; sono cospirazioni che sono riuscite, o meglio ― e questo è un
punto importante ― che sono parzialmente riuscite : sono riuscite ad imporsi nel
loro paese, a conquistare il potere, ad impadronirsi dello Stato. Ma non sono
riuscite ― non ancora ― a realizzare gli scopi che si erano prefisse
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e dunque,
proprio per questo, continuano a cospirare.
Ci si potrebbe chiedere se la nozione di cospirazione sotto gli occhi di tutti
non sia una contraddizione in adjecto. Una cospirazione implica mistero e segreto. Com’è possibile che avvenga sotto gli occhi di tutti?
Indubbiamente, ogni cospirazione implica il segreto; segreto che concerne
precisamente gli scopi della sua azione; scopi che deve dissimulare appunto per
poterli realizzare e che non sono conosciuti se non da chi «ne fa parte». Ma la
cospirazione sotto gli occhi di tutti non fa affatto eccezione a questa regola,
poiché, come abbiamo appena detto, pur non essendo una società segreta, essa
è una società col segreto.
Com’è possibile tuttavia che una società di tal genere, una società che opera
pubblicamente, che cerca di organizzare le masse, e la cui propaganda si indirizza alle masse, possa mantenere il segreto? La domanda è del tutto legittima. Ma
la risposta non è così difficile come sembrerebbe di primo acchito. Anch’essa è
semplice, poiché non c’è che un solo modo di mantenere un segreto: non rivelarlo; o rivelarlo solo a coloro di cui ci si fida, a un’élite d’iniziati.
Si potrebbe chiamarla «l’aristocrazia della menzogna» se questi termini non stridessero. In effetti
un’élite della menzogna è, necessariamente, un’élite menzognera, una cacocrazia (cacocratie) e
non un’aristocrazia.
33 Per chi sa leggerlo, lo scopo della dominazione mondiale è chiaramente formulato in Mein
Kampf.
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Ora, nella cospirazione sotto gli occhi di tutti, questa élite, che è la sola a
essere a conoscenza degli scopi reali del complotto, è, naturalmente, formata
dai capi, i membri dirigenti del «partito». E poiché il partito esercita un’attività
pubblica e i suoi capi agiscono in pubblico e sono obbligati a esporre pubblicamente la loro dottrina, a fare discorsi pubblici e dichiarazioni pubbliche, ne deriva che il mantenimento del segreto implica l’applicazione costante della regola
che ogni affermazione pubblica sia crittogramma e menzogna: tanto
un’affermazione di dottrina quanto una promessa politica, tanto la teoria
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o il
credo ufficiale quanto un obbligo stipulato per trattato.
Non servatur fides infidelibus resta la regola suprema. Gli iniziati lo sanno.
Gli iniziati e quelli che sono degni di esserlo. Essi comprenderanno, decifreranno
e penetreranno il velo che maschera la verità.
Gli altri, gli avversari, la massa, compresa la massa degli adepti al gruppo,
accetteranno come vere le affermazioni pubbliche e, proprio per questo, si riveleranno indegni di promuovere la verità segreta e di far parte dell’élite.
Gli iniziati, i membri dell’élite, e questo per una specie di sapere intuitivo e
diretto 35, conoscono il pensiero intimo e profondo del capo, conoscono i fini
segreti e reali del movimento. Pertanto, non sono assolutamente turbati dalle
contraddizioni e dall’inconsistenza delle sue affermazioni pubbliche: essi sanno
che il loro scopo è ingannare (décevoir) le masse, gli avversari, gli «altri», e ammirano il capo che maneggia e pratica così bene la menzogna. Quanto agli altri,
a quelli che credono, mostrano per ciò stesso di essere insensibili alla contraddizione, impermeabili al dubbio e incapaci di pensare.
L’atteggiamento spirituale che abbiamo appena descritto, atteggiamento di
tutti i regimi totalitari e soprattutto, certamente, del regime totalitario per eccel-
La teoria è ancora della propaganda. Propagata, è vero, da dei non iniziati, che vi credono.
Una specie di contatto mistico si stabilisce per l’iniziato – o per colui che crede di esserlo – tra sé
e il capo.
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lenza, il regime hitleriano
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, implica, senza alcun dubbio, una specifica conce-
zione dell’uomo, un’antropologia.
Ma,
in
quanto
opposta
all’antropologia
democratica,
o
liberale,
l’antropologia del totalitarismo non consiste assolutamente in un capovolgimento di valori che, abbassando il pensiero, l’intelligenza, la ragione, collocherebbe
al vertice dell’essere umano le forze oscure, «telluriche», dell’istinto e del sangue.
Senza dubbio l’antropologia totalitaria insiste sull’importanza, il ruolo e il primato dell’azione. Ma essa non ha in alcun modo in spregio la ragione
37
. O,
almeno, ciò che disprezza, o più esattamente aborre, sono solo le sue forme più
alte, l’intelligenza intuitiva, il pensiero teorico, il nous, come lo chiamavano i
Greci. In quanto alla ragione discorsiva, la ragione raziocinante e calcolatrice,
non ne misconosce affatto il valore
38
. Tutto al contrario, la mette talmente in
alto da rifiutarla ai comuni mortali. Nell’antropologia totalitaria l’uomo non è
definito dal pensiero, dalla ragione, dal giudizio, appunto perché, secondo questa antropologia, la stragrande maggioranza degli uomini ne è priva. D’altra
parte, si può ancora parlare dell’uomo in questa antropologia? In nessun caso.
Poiché l’antropologia totalitaria non ammette l’esistenza di un’essenza umana
unica e comune a tutti
39
. Tra un uomo e «un altro uomo» la differenza non è,
per essa, una differenza di grado, ma una differenza di natura. L’antica definizione greca che designa l’uomo come zoon logicon, si fonda su un equivoco:
non c’è un legame necessario tra logos-ragione e logos-parola, non più di quanto ci sia una comune misura tra l’uomo, animale razionale, e l’uomo, animale
Il fascismo italiano benché tempore prior non è che una pallida imitazione, se non una caricatura, del totalitarismo hitleriano.
37 Essa disprezza l’uomo, e in particolare, l’uomo totalitario. Cfr. R. Avord, «Tirannie et mépris
des hommes» (Tirannia e disprezzo degli uomini), France libre, n° 16, 1942.
38 Come potrebbe? Il totalitarismo che, ufficialmente (ossia in modo millantato e falso) denigra la
ragione e l’organizzazione razionale, a vantaggio della visione e dei legami organici, non realizza,
in realtà, che il più rigido dei meccanicismi (mécaniques).
39 Tra i membri dell’élite e il resto dell’umanità, l’homo sapiens e l’homo credulus, c’è per
l’antropologia totalitaria altrettanta differenza di quanta ce n’è per l’antropologia gnostica tra iletici e pneumatici o per l’antropologia aristotelica tra l’uomo libero e lo schiavo.
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parlante. Giacché l’animale parlante è prima di tutto un animale credulo, e
l’animale credulo è precisamente quello che non pensa.
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Secondo questa antropologia, il pensiero, la ragione, il discernimento del
vero e del falso, la decisione e il giudizio, sono una cosa molto rara e assai poco
diffusa nel mondo. È un affare d’élite, non della massa. Quest’ultima è guidata,
anzi, mossa, dall’istinto, dalla passione, dai sentimenti e dai risentimenti. Non sa
pensare. Né lo vuole. Non sa che obbedire e credere 41.
Crede a tutto ciò che le si dice. A condizione che lo si dica con una certa insistenza. A condizione, inoltre, che si lusinghino le sue passioni, i suoi odi, i suoi
terrori. È dunque inutile preoccuparsi di rimanere nei limiti della verosimiglianza; al contrario, più si mente in modo grossolano, massiccio, brutale, più si sarà
creduti e seguiti. Ugualmente inutile cercare di evitare le contraddizioni: la massa non le noterà mai; inutile cercare di coordinare quello che si dice agli uni
con quello che si dice agli altri: nessuno crederà ciò che viene detto agli altri, e
tutti crederanno quel che viene detto
a loro
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; inutile mirare alla coerenza: la massa non ha memoria
43
; inutile na-
sconderle la verità: essa è radicalmente incapace di riconoscerla; inutile perfino
L’animale pensante ricerca l’intellezione; l’animale credulo, la credulità.
Credere, obbedire, combattere: ecco il dovere del popolo. Il pensiero è prerogativa del capo.
42 La tecnica della menzogna multipla procede secondo il principio: «Sono un uccello, guardate le
mie ali, sono un sorcio, viva i ratti» e offre il grande vantaggio di permettere la falsa confidenza,
equivalente psichico della falsa iniziazione, che dà agli ingannati la (falsa) soddisfazione di costituire un’eccezione, di credersi nel «segreto», e di provare un sentimento di superiorità e dunque, di
appagamento, nel vedere «gli altri» soccombere alla menzogna. [In una delle favole di Esopo un
pipistrello viene catturato da una donnola, «per natura» nemica di tutti gli uccelli. Il pipistrello si
salva giurando che lui non è uccello, ma topo. Viene ancora catturato da un' altra donnola, che
odia tutti i topi. Il pipistrello se la cava dichiarando che non è topo, ma uccello. Nell' interpretazione tramandataci da La Fontaine (La Chauve souris et les deux Belettes), esibendo in qualunque
occasione una doppia identità , il pipistrello si mette al riparo da tutti gli intoppi del mondo. Prima: «Io sorcio!. Ve l' hanno detto dei malvagi. Grazie all' autore dell' universo. Io sono uccello:
guardate le mie ali». Dopo: «Io passare per tale!. Voi non fate attenzione. Che cos' ha l' uccello? Le
piume. Io sono sorcio: viva i ratti!. Che Giove confonda i gatti!». ― N.d.T.]
43 «Gli Italiani sono dei nordici» dichiarò un bel giorno Mussolini, dopo essersi preso gioco, per
anni, pubblicamente e per iscritto, del razzismo hitleriano.
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nasconderle che la si inganna: non capirà mai che è di se stessa che si tratta, che
la si tratta in quel modo per sottometterla
44
.
È questa antropologia che è alla base della propaganda dei membri della cospirazione sotto gli occhi di tutti: ed è il successo stesso che essa consegue che
spiega il disprezzo letteralmente sovrumano dei totalitaristi ―
dell’élite che sa ― per la massa
45
dei membri
, quella dei loro avversari, come quella dei lo-
ro adepti; per la massa, ossia per tutti quelli che li credono e che li seguono; per
tutti quelli, inoltre, che, anche senza seguirli, li credono. Non contesteremo la
fondatezza di questo atteggiamento. Essa ci sembra, quanto a noi, passabilmente giustificata. D’altra parte i rappresentanti e i capi dei regimi totalitari sono
nella posizione adatta per giudicare il valore intellettuale e morale dei loro adepti, delle loro vittime.
Noi ci limiteremo solamente a constatare che se la riuscita della cospirazione dei Totalitari può essere considerata come prova sperimentale della loro dottrina antropologica e dell’efficacia perfetta dei metodi di insegnamento e di
educazione fondati su di essa, questa prova vale solo per i paesi e i popoli che
essi dominano. Non vale per gli altri, e in particolare per i paesi democratici
che, restando ostinatamente increduli, si sono mostrati refrattari alla propaganda totalitaria. Poiché in questi paesi, questa propaganda, sebbene sostenuta da
delle cospirazioni locali, ha potuto, in definitiva, ingannare solo una certa parte
della presunta “élite sociale”. Così, per un ultimo paradosso ― che in fin dei
conti non è tale ―, sono appunto le masse popolari dei paesi democratici, di
quei paesi pretesi degenerati e imbastarditi ― secondo i principi stessi
Così Hitler si permette di esporre la sua teoria della menzogna in Mein Kampf. Pochissimi dei
suoi lettori hanno capito che stava parlando di loro.
45 La nozione di massa acquista così un senso in qualche modo qualitativo e funzionale: la «massa»
si definisce dall’incapacità di pensare, che si rivela e si dimostra nel e dal fatto di credere alla dottrine, agli insegnamenti, alle promesse dei Führer, dei Duce e altri capi dei regimi totalitari. È chiaro che, preso in questo senso, il termine «massa», non designa più una categoria sociale, ma una
categoria intellettuale e che i membri della «massa» si reclutano assai spesso tra quelli delle «élites
sociali».
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Riflessioni sulla menzogna
dell’antropologia totalitaria ―, che si sono rivelate appartenere alla categoria
superiore dell’umanità, ed essere costituite da uomini pensanti. Al contrario, sono le pseudo-aristocrazie totalitarie a rappresentare la categoria inferiore, quella
dell’uomo credulo, incapace di pensare.
(Traduzione dal francese di Moreno Manghi)
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Questo eBook è stato creato nel mese di maggio dell’anno 2009.
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